ANCHE MANCINI SI ALLINEA
AGLI SMEMORATI, IL DENTE
AVVELENATO PER IL
LICENZIAMENTO DI DUE
ANNI FA...
Mancini assolve Moggi
"Solo foga agonistica"
Il tecnico del
Manchester City ha
deposto questa mattina
al processo di Napoli:
"Una volta litigai con
Rosetti e coinvolsi l'ex
dg della Juventus ma
durante le partite si
dicono tante cose..."
di DARIO DEL PORTO
NAPOLI -
Apparizione lampo di
Roberto Mancini al
processo Calciopoli.
L'allenatore del
Manchester City ha
risposto alle domande
del pm Stefano Capuano
per circa quindici
minuti. L'ex tecnico
dell'Inter ha
confermato un
episodio, riferito
durante le indagini,
relativo al finale di
un Roma-Inter 3-3. In
quella occasione
Mancini apostrofò
l'arbitro Rosetti (che
non è coinvolto nel
processo) dicendo:
"Alla fine pagherete
tutto tu e i tuoi
amici di Torino". In
aula, Mancini ha
detto: "Alludevo a
Moggi, ma non volevo
dire niente di
particolare, l'arbitro
è di Torino, dunque il
collegamento è facile.
Ma quando uno pensa di
aver subito un torto,
dopo la partita, si
dicono tante cose", ha
spiegato il teste,
ribadendo più volte,
nel corso dell'esame,
quest'ultimo concetto.
"In quei momenti si
può dire qualsiasi
cosa". Mancini ha poi
detto di non ricordare
episodi di contrasti
con l'arbitro Bertini
e di non ricordare di
aver apostrofato con
un "vergogna"
l'arbitro Trefoloni
dopo un Inter-Lazio.
"ma ho avuto spesso
problemi con gli
arbitri" ha ammesso.
A una domanda del pm
ha risposto di aver
visto l'allora dg
della Juve Luciano
Moggi a bordocampo
"tra le due panchine"
solo durante i
supplementari di una
partita di
Supercoppa.
PUTTANIERI SMEMORATI
CIRCONDATI DA LECCACULO
SENZA ALCUNA ARTE NE
PARTE
Comunque finisca il
processo di Napoli su
Calciopoli,
Luciano Moggi
ha già vinto, almeno sul
piano mediatico.
Complici folte schiere
di giornalisti smemorati
e/o asserviti, vedi la
recente puntata di
“Matrix”, l’ex direttore
generale della Juventus
è riuscito a gabellare
la bufala del “così
facevan tutti”. Stampa e
tv hanno pubblicato le
“nuove intercettazioni”
di Moratti e Facchetti
per dimostrare cheJuve e Inter
pari sono. Tanto quelle
pubblicate nel 2006, in
cui “Lucianone” ordinava
arbitri à la
carte e tramava
per salvare le squadre
amiche, chi se le
ricorda più.
Eppure, per rimettere
le cose a posto,
basterebbe una sentenza
del Tribunale di Torino:
quella del 1995 sulle
sexy-accompagnatrici
per gli arbitri
di coppa Uefa del Torino
Calcio, all’epoca
diretto da Moggi e
presieduto da Gianmauro
Borsano. Nel 1993 la
Procura indaga sui
fondi neri
della società
granata e scopre un
conto segreto (“Mundial”)
per pagare i fuoribusta
a giocatori, dirigenti e
procuratori, ma anche le
“pubbliche
relazioni-accompagnatrici”.
Decine di milioni di
lire per accogliere le
terne arbitrali
internazionali con
gioielli, orologi, abiti
firmati e
ragazze-squillo. Nel
diario del ragionier
Giovanni Matta, ex
contabile del club, i pm
leggono: “Ieri s’è
presentata Adriana R.,
faccia, fisico e
abbigliamento di puttana
di alta classe: voleva
6.300.000 per le
prestazioni amorose sue
(?) e di colleghe per
gli arbitri Aek Atene”.
Matta rivela: “Era Moggi
a combinare questi
incontri” insieme al
factotum Gigi Pavarese.
Borsano conferma: “Delle
prostitute si occupava
Moggi”. Adriana (la
squillo arbitrale),
Vittoria e Marina
(addette ai guardalinee)
raccontano: “Nella hall
dell’albergo ci davano
le chiavi delle stanze
degli arbitri. Noi
salivamo durante la
partita e li attendevamo
lì”. La scena si ripete
per almeno tre turni
della coppa Uefa
1991-’92. Moggi si
difende come Scajola:
non s’era accorto di
nulla, pensava a
innocenti “hostess”
o “interpreti”, comunque
faceva tutto Pavarese.
Che si prende tutta la
colpa.
Alla fine i giudici
ritengono indimostrabile
lo sfruttamento della
prostituzione. Resta il
reato di frode
sportiva, che
però scatta solo per le
gare Coni (campionato e
coppa Italia), non per
quelle Uefa. Ce ne
sarebbe abbastanza per
una squalifica della
giustizia sportiva, ma
questa si volta
dall’altra parte. E la
Juve di Umberto Agnelli
si precipita a
ingaggiare Moggi. Anche
se, nel decreto
di archiviazione
del gup Piera
Caprioglio (24 ottobre
1995), si legge: “Non
può esser revocato in
dubbio un piano di
assistenza femminile
degli illustri ospiti”
nè che “la scelta di
connotare l’ospitalità
con presenze femminili
sia riferibile al
Moggi”. Ne consegue un
“severo giudizio sulla
lealtà dei dirigenti”
che resero “più ameno il
soggiorno degli arbitri”
con “l’ingaggio di
avvenenti signore
addette al dopo cena… La
lesione degli interessi
sportivi e la
frustrazione delle
regole del calcio si
stagliano in modo anche
troppo evidente”.
Davvero così fan tutti?
Ma adesso l'Inter
rischia
di perdere lo scudetto
2006,
di Fulvio Bianchi, un
nome da ricordare.
L'Inter oggi ha vinto lo
scudetto n. 18, il
quinto consecutivo. Ma,
come noto, la Procura
federale ha aperto un
procedimento su
Calciopoli-2 e, anche su
instanza della Juventus,
ora dovrà esaminare a
fondo la posizione
dell'Inter. Ci vorrà
molto tempo, forse la
decisione si avrà fra un
paio di mesi e
sicuramente non prima
dell'avvio della
prossima stagione: ma è
sempre più probabile che
al club nerazzurro venga
revocato lo scudetto del
2006, quello che fu
tolto alla Juve e
assegnato alla prima
classificata. Ci sono
fatti nuovi infatti che
dovrebbero portare ad
una decisione clamorosa,
che Massimo Moratti
combatterà però con
tutte le forze. L'Inter
quel titolo ("di
cartone", come fu
chiamato) non ha alcuna
intenzione di
restituirlo. Dovranno
sfilarglielo con la
forza. Sono due le
telefonate più
imbarazzanti e che
potrebbero costare care
all'Inter.
11 maggio 2005, vigilia
semifinale di Coppa
Italia fra Inter e
Cagliari: Facchetti al
telefono con Bergamo,
designatore in coppia
(la strana coppia) con
Gigi Pairetto.
Facchetti: "Guarda che
ho guardato, ho guardato
lo score di Bertini
(quando ha arbitrato
l'Inter, ndr) ...
quattro vittorie,
quattro pareggi, quattro
sconfitte..."
Bergamo: "Porca miseria,
facciamo cinque,
quattro, quattro
allora... eheheh"
Facchetti: "Eheheh..."
Bergamo: "Ma vittorie
però..."
Facchetti: "Digli che è
determinante domani"
Bergamo: "Sì, no lo devi
sentire ora, mi ha
chiamato ma non potevo
rispondere"
Facchetti: "E'
determinante, ha fatto
dodici partite, quattro,
quattro, quattro..."
Bergamo: "Una, dici te,
una la smuove, ma deve
smuovere quella che
comincia per "V""
Facchetti: "Quella
giusta, quella giusta,
quella giusta"
Bergamo: "Sì, ma viene,
vedrai, bene, perché è
un ragazzo intelligente
e ha capito ora come si
cammina. C'è voluto un
po' per capire, ma
insomma, meglio tardi
che mai". Pressioni di
Facchetti, sembrerebbe,
e Bergamo che, come
consuetudine, dava
ascolto a tutti,
sembrava che tifasse per
tutti ma in realtà
tifava solo per se
stesso.
Altra telefonata (25
novembre 2004) fra
Facchetti e Gennaro
Mazzei, allora
designatore assistenti.
Il n.1 dell'Inter
vorrebbe Collina per
Inter-Juventus (ma poi
arriverà Rodomonti e
Collina arbitrerà
Chievo-Milan): in
pratica Facchetti
consiglia Mazzei di "non
fare i sorteggio...", e
di mettere due arbitri
preclusi in griglia ("Rosetti
che è di Torino" e De
Santis che "ha già fatto
la Juve domenica e non
può"), cosa che non è
possibile. E difatti
Mazzei, correttamente,
lo fa presente a
Facchetti ("devono
lasciare un campo aperto
almeno del 50%, non
possono forzare per le
preclusioni...". Queste,
soprattutto queste, sono
le intercettazioni al
vaglio di Stefano
Palazzi e i suoi
investigatori e che
potrebbero configurare
una violazione
dell'articolo 1 per
comportamenti "poco
limpidi". Ci sono poi
anche chiamate fra
Bergamo e Moratti, fra
Fachetti e Pairetto e De
Santis (proibito, anche
allora, parlare con gli
arbitri prima delle
partite) e altre
telefonate dove si parla
di pranzi, di regali da
ritirare in sede,
eccetera. Se questo
materiale fosse stato a
disposizione della
Procura Figc durante il
processo per Calciopoli
(CLAMOROSO ERRORE
SEMANTICO: LA PROCURA DI
NAPOLI HA FATTO METTERE
A VERBALE NEL PROCESSO
PENALE CHE QUELLE
TELEFONATE DELL'INTER
ERANO AGLI ATTI !!!!
QUELLE TELEFONATE
ESISTEVANO MA NESSUNO LE
RITENNE FONDAMENTALI PER
STABILIRE IL
COINVOLGIMENTO
DELL'INTER IN UN SISTEMA
DELINQUENZIALE, CONDANNA
DI GIRAUDO DOCET !!!! ),
anche l'Inter sarebbe
stata deferita e le
sentenze nei confronti
della Juventus forse
sarebbero state diverse.
Di sicuro nessuno
avrebbe assegnato
all'Inter lo scudetto
2006: né Guido Rossi,
tantomeno i tre saggi (Coccia-Pardolesi-Aigner).
Ma ora sarà la Figc, con
il suo consiglio
federale, che dovrà
decidere se revocare
quel titolo all'Inter: è
molto probabile che lo
farà, ma con calma. In
via Allegri si stanno
convincendo. Anzi,
qualcuno, si è già
convinto.
Ancelotti su Calciopoli
"Ci sentivamo
defraudati". Sulle
dichiarazioni del
tecnico del Chelsea
silenzio mediatico
totale.
Il
tecnico del Chelsea al
processo: "Che strano
quel gol annullato al
Milan a Siena...". Poi
aggiunge: "Mai visto
Moggi nello spogliatoio
dell'arbitro, perché non
ci sono mai entrato, ma
Gattuso mi riferì di
avercelo visto dopo uno
Juve-Milan". La difesa
di Pairetto chiede di
trascrivere altre 30
intercettazioni. Intanto
slitta a luglio
l'inchiesta della
Federcalcio. Prossima
udienza il 25 maggio con
Mancini a testimoniare
NAPOLI, 11 maggio 2010 -
"No nessuno mi chiese se
avessi delle preferenze
su quali squadre
incontrare nelle prime
dieci partite". Carlo
Ancelotti nella
deposizione di oggi al
processo napoletano di
Calciopoli non conferma
che c'era la longa manus
di Moggi pure sul
calendario quando lui
allenava la Juve. Ma
sottolinea che nel
campionato di Calciopoli
"successero cose strane"
e che da allenatore del
Milan si sentì
”defraudato” di fronte a
una serie di episodi a
sfavore. Poi parla del
rapporto "confidenziale
fra Moggi e De Santis
che però era
caratterialmente più
estroverso degli altri
arbitri. Sono stati
ascoltati anche il
maresciallo Di laroni,
che condusse l`inchiesta
sul filone schede
svizzere, il guardalinee
Cuttica e Fabio
Vignaroli, oggi in
Australia, protagonista
di quel Lecce-Parma
finito fra le carte di
Calciopoli. Il giocatore
ha confermato quel
"questa partita non la
vincete" che avrebbe
detto l'arbitro De
Santis durante la
partita. L'udienza
odierna è stata dedicata
pure a una nuova puntata
della battaglia delle
intercettazioni bis,
diventate 225 con le
integrazioni delle
difese di Moggi e
Pairetto ma anche
del'accusa. Per la
trascrizione ufficiale
ci vorranno due mesi e
quindi l`inchiesta del
procuratore federale
Palazzi non partirà
prima del 20 luglio.
Quanto alla prossima
udienza del processo
penale l`appuntamento è
per il 25 maggio con la
deposizione di Roberto
Mancini, l`ultimo
testimone del'accusa.
STRANE CIRCOSTANZe
— Per avvalorare il
concetto del defraudato
ecco cosa risponde
Ancelotti
nell'interrogatorio del
pm Narducci, che parte
da Siena-Milan 2-1. Il
tecnico se lo ricorda
bene per quel gol
annullato a Shevchenko
per "fuorigioco
inesistente segnalato
dal guardalinee
Baglioni". L'arbitro era
Collina. "Io rimasi
esterrefatto". Dopo la
partita, Ancelotti tornò
a casa a Parma insieme
con Leonardo Meani,
l'addetto agli arbitri
del Milan di allora,
presente in aula per la
prima volta come
imputato. "Se abbiamo
parlato della partita?
Sì e soprattutto
dell'annullamento di
questo gol che mi era
sembrato strano perché
mi sembrava un episodio
molto chiaro. Lo
ritenevamo un torto
grosso subito dal
Milan". Strano,
"circostanze strane",
un'espressione che
Ancelotti usa
ripetutamente per
ricordare quel
campionato della
stagione di Calciopoli.
Ecco la cronaca della
giornata in dettaglio:
Da sinistra,
Ancelotti, Giraudo e
Moggi. Ap
ORE 10.15, Aperta
l'udienza
— La difesa di Pairetto
chiede di trascrivere
altre trenta
intercettazioni bis
oltre alle 74 presentate
dalla difesa di Moggi.
Che a sua volta chiede
altre 50 telefonate. Il
pm Narducci chiarisce:
“Tre anni fa tutte le
intercettazioni erano
depositate e nessuna
difesa le ha chieste da
allora. Mai. I cd
contengono i brogliacci,
le sintesi”. Poi
Narducci chiede anche
lui la trascrizione di
altre 78 telefonate. In
particolare di Moggi. E
di Bergamo. Alcune sono
con l'arbitro Trefoloni.
Il pm chiede anche
l'acquisizione della
trasmissione Matrix con
le "confessioni" di
Moggi sulle schede
svizzere.
ore 11, slitta
l'inchiesta federcalcio
— Slitta l'inchiesta
della Federcalcio su
Calciopoli. Il perito ha
chiesto 60 giorni per
trascrivere le
intercettazioni bis. Il
procuratore federale
Palazzi potrà cominciare
a lavorare solo dal 20
luglio.
ore 11.20, arriva meani
— A sorpresa arriva in
aula Leonardo Meani, ex
addetto agli arbitri del
Milan, imputato e gia
condannato in sede
sportiva. Come sempre
presente Luciano Moggi.
Per Meani è un esordio
in aula. È sua la
telefonata intercettata
in cui parla dei
racconti di Ancelotti
sul sistema Moggi.
ore 12.25, ecco
ancelotti
— Accolto da fotografi e
cameramen ha fatto il
suo ingresso nell'aula
216 il tecnico del
Chelsea, Carlo
Ancelotti, che ha
iniziato la sua
deposizione come teste.
ore 13, defraudati
— "Ci sentivamo
defraudati in quel
campionato". Cosi
Ancelotti al pm Narducci
in aula parlando della
stagione di Calciopoli.
"Mai visto Moggi nello
spogliatoio dell'arbitro
perché io non ci sono
mai stato. Gattuso mi
riferì di aver visto
Moggi nello spogliatoio
dell'arbitro dopo uno
Juve-Milan”. Poi parla
dei rapporti
"confidenziali" fra
Moggi e l'arbitro De
Santis: "Si, si davano
del tu". Ma Ancelotti
nega di aver sentito di
condizionamenti sulla
compilazione del
calendario.
ore 14.20 chiusa
l'udienza
— Dopo aver sentito l'ex
giocatore del Parma,
Vignaroli, l'udienza si
conclude.Branca:
"Restiamo calmi..."
CALCIOPOLI 2 ESPLODE
SULLE TESTATE OMOLOGATE
TORINESI FILO -
JUVENTINE, SOVVENZIONATE
DALLO STATO,
ALL'INDOMANI DEL CROLLO
DELLA REALE SQUADRA
SABAUDA A QUATTRO ANNI
DALLA CALCIOPOLI UNO,
QUELLA VERA, QUELLA
DELLA MASSA DI SOCI
MAFIOSI CHE AGGIUSTAVANO
PARTITE E CARRIERE. A
FARNE LE SPESE LA RICCA,
ANCHE DI DEBITI, FC
INTERNAZIONALE, LA
QUALE, PUR FACENDO UNA
STAGIONE STRAORDINARIA
DATO CHE SI RITROVA A
BATTAGLIARE SU TRE
FRONTI
CONTEMPORANEAMENTE, PUO'
NON VINCERE NULLA ED IL
TENTATIVO E' ANCHE
QUELLO DI TOGLIERLE
QUALCOSA, UNO SCUDETTO E
MAGARI DEI PUNTI DI
PENALIZZAZIONE, ANCHE SE
IL POPOLO ALL'AMMASSO
JUVENTINO GRIDA A GRAN
VOCE LA SERIE B.
IL DIARIO AL 19
APRILE CI DICE JUVENTUS
A 20 PUNTI DALLA PRIMA
IN CLASSIFICA, SETTIMA A
6 PUNTI DAL QUARTO POSTO
UTILE PER ENTRARE IN
COPPA DEI CAMPIONI. AL
COMANDO LA ROMA DEL
GIUBILATO RANIERI, UNA
SPECIE DI LIPPI "DE
ROMA" COL SUO FRASARIO
FALSO E FINTO-UMILE, CHE
DEVE RINGRAZIARE LE
MERDATE DEL PORTIERE
DELL'INTER E DI SULLEY
MUNTARI, L'INTER INCALZA
A DUE PUNTI (IL PUNTO DI
DISTACCO PIù LO SFAVORE
DELLO SCONTRO DIRETTO
PERSO) IN FINALE DI
COPPA ITALIA ED IN
SEMIFINALE DI COPPA DEI
CAMPIONI CONTRO GLI
INVINCIBILI DEL
BARCELLONA.
Dopo il tarocco su
Facchetti siamo arrivati
al "vilipendio di
cadavere"
Moggi e la sua difesa
non conoscono la
vergogna: dopo tanto can
can, si scopre che la
"madre di tutte le
intercettazioni" era una
bufala e che a fare il
nome di Collina non è
Facchetti, ma Bergamo -
La telefonata è
ascoltabile su Youtube
Bergamo:
è lui a parlare di
Collina
nell'intercettazione
con Facchetti
Mercoledì, 14 Aprile
2010
Ci mancava solo il
vilipendio di cadavere.
Se è vero che l'articolo
410 del codice penale
recita: “Chiunque
commette atti di
vilipendio sopra un
cadavere o sulle sue
ceneri è punito con la
reclusione da uno a tre
anni. Se il colpevole
deturpa o mutila il
cadavere, o commette,
comunque, su questo atti
di brutalità o di
oscenità, è punito con
la reclusione da tre a
sei anni”, allora –
allegoricamente
parlando, ma non troppo
– la “Moggi-band” alla
fine ci è arrivata. In
una tragicommedia che
non conosce la vergogna,
Moggi e la sua difesa –
nella persona
dell'avvocato Trofino –
sono arrivati al punto,
nell'ultima udienza al
Tribunale di Napoli, di
taroccare
un'intercettazione di
Giacinto Facchetti, il
presidente dell'Inter
scomparso il 4 settembre
del 2006, mettendogli in
bocca una frase che
invece era stata
pronunciata da Paolo
Bergamo, il designatore.
In quella che la difesa
di Moggi ha presentato
come “la madre di tutte
le intercettazioni”
(citazione testuale),
l'avvocato Trofino
denunciava una frase
scabrosa e
inequivocabile di
Facchetti che a un certo
punto dice a Bergamo:
“Metti dentro Collina”
(per arbitrare
Inter-Juventus). Sulla
base di ciò, Trofino ha
messo alle corde il
colonnello Auricchio:
“Perché questa
telefonata non è stata
messa agli atti?”. “La
telefonata è stata
registrata e trascritta
– ha risposto Auricchio,
che di telefonate ne ha
ascoltate a migliaia,
ritenendo degna di fede
la citazione di Trofino
-, ma non è
nell'informativa perché
non è stata considerata
investigativamente
utile”. A queste parole,
molti in aula si sono
stracciati le vesti. Per
l'indignazione.
Invece era tutto falso.
La madre di tutte le
intercettazioni è una
bufala e a mo' di
boomerang, tra poco,
finirà con l'abbattersi
sul testone lucido di
Big Luciano. Punto
primo: Facchetti non ha
mai detto a Bergamo di
mandargli Collina.
L'audio della telefonata
è inequivocabile ed è a
disposizione di tutti in
svariati siti web, a
cominciare dal canonico
Youtube. E anche se a un
certo punto le due voci
si sovrappongono, è
Bergamo a fare il nome
di Collina. “Senti –
dice Bergamo riferendosi
alla designazione per
Inter-Juventus –, per
domenica noi facciamo un
gruppo di internazionali
perché non vogliamo
rischiare niente...
quindi sono quattro,
tutti e quattro possono
fare la partita.
C'è...”. Breve pausa.
Nella quale s'inserisce
Facchetti che dice: “Ma
metti dentro
qualche...”. Qui
riprende a parlare
Bergamo, che si era
arrestato al “c'è” e
inizia l'elencazione:
“... Collina... Ma tutti
internazionali,
Giacinto. Così perlomeno
non c'è discussione
perché c'è dentro
Collina, c'è dentro
Paparesta, c'è dentro
Bertini, c'è dentro
Rodomonti”. Bufala
clamorosa, come si vede.
Questa sarebbe dunque la
madre di tutte le
intercettazioni, il
Totem attorno a cui il
popolo delle vedove di
Moggi si è dato
appuntamento per
raccogliersi in
preghiera davanti
all'effige del dio
Luciano e chiedere
l'esemplare cacciata
agli inferi dell'Inter
del malaffare. Macchè.
Non c'era niente di
vero: tutto taroccato
come ai tempi della
super-moviola del
Processo di Biscardi
(ricordate? La conduceva
Baldas, e cioè l'ex
designatore ai tempi del
famoso Juve-Inter 1-0,
quello del rigore-non
rigore Iuliano-Ronaldo).
Facchetti, che lo
ripetiamo, è morto il 4
settembre del 2006 e non
ha la facoltà di
difendersi, non ha mai
detto a Bergamo di
mandare Collina ad
arbitrare Inter-Juventus;
per la cronaca, si beccò
Rodomonti, l'arbitro del
leggendario gol non
convalidato a Bianconi
in Empoli-Juventus del
campionato '97-'98:
palla dentro di mezzo
metro prima del rinvio
di Peruzzi, con
Rodomonti che da due
passi non vede e fa
cenno di proseguire. Si
era sullo 0-0. La Juve
vinse poi la partita
1-0.
Sotto processo a Napoli
con l'accusa di
“associazione a
delinquere” finalizzata
alla frode sportiva –
reato per cui Giraudo,
compagno di merende alla
Juventus, è già stato
condannato a 3 anni di
reclusione, pena ridotta
di un terzo per via del
rito abbreviato -, e già
condannato a 1 anno e 6
mesi per “violenza
privata” nel cosiddetto
Processo-Gea, Luciano
Moggi continua a
sorprendere. E col
tarocco
dell'intercettazione
Bergamo-Facchetti
stabilisce un record:
allegoricamente
parlando, ma non troppo,
colleziona anche il
reato di “vilipendio di
cadavere”. Lo scempio
che Moggi ha fatto
martedì, al Tribunale di
Napoli, della figura di
Giacinto Facchetti, è la
vergogna elevata alla
massima potenza. E le
patetiche scuse fatte in
serata dall'avvocato
Prioreschi (“C'erano
quattro o cinque persone
che hanno ascoltato la
telefonata: e comunque
la sostanza non
cambia”), non fanno
altro che aggiungere
vergogna a vergogna.
Questa è l'Italia.
Questi sono gli
italiani.
Calciopoli, nuova
puntata
Ecco le 74 telefonate
Riassumiamo la lista
presentata dalla difesa
di Moggi e che sarà
integrata agli atti
processuali. Si tratta
di 41 chiamate di
Facchetti, 3 di Moratti
e altre di tesserati
delle società: Bologna,
Cagliari, Milan,
Palermo, Reggina,
Udinese. Per i legali
dell'ex d.g.
dimostrerebbero che
tutti parlavano con i
designatori
NAPOLI - Vediamo di
entrare nel merito di
queste 74
intercettazioni che
lunedì la difesa di
Moggi
ha chiesto di inserire
negli atti del processo.
E così sarà perché è
d'accordo il presidente
della nona sezione del
tribunale di Napoli,
Teresa Casoria, e nulla
hanno avuto da eccepire
i pubblici ministeri
Narducci e Capuano.
Secondo i legali dell'ex
dirigente juventino
tutti parlavano con i
designatori, dunque
nessuno può essere
colpevole ma è innocente
anche Luciano Moggi. Non
la pensano così gli
inquirenti che
attribuiscono grande
importanza alle schede
sim straniere acquistate
proprio da Moggi e messe
a disposizione degli
arbitri.
la listA dell'inter
— Delle 74, oltre la
metà, 41, riguardano
conversazioni di
Giacinto Facchetti,
all'epoca presidente
dell'Inter: 17 con Paolo
Bergamo e 10 con
Pierluigi Pairetto,
allora designatori
arbitrali; 5 con
Francesco Ghirelli, a
quei tempi segretario
della Federcalcio; 4 con
Gennaro Mazzei,
designatore degli
assistenti; 3 con
l'arbitro Massimo De
Santis; 1 con Innocenzo
Mazzini, vicepresidente
federale; 1 con Tullio
Lanese, presidente degli
arbitri. Sempre in casa
Inter in lista altre 3
conversazioni di Moratti
con Bergamo il cui testo
è stato già
pubblicato nei giorni
scorsi.
Tornando ai colloqui di
Facchetti, per i legali
di Luciano Moggi la più
importante ("la madre di
tutta intercettazioni",
ipse dixit l'avvocato
Paolo Trofino) riguarda
Giacinto e Bergamo -
clicca qui per
ascoltarla
- ed è del 26 novembre
del 2004. In attesa che
tutto emerga in maniera
trasparente e imparziale
ci sono comunque degli
aspetti che non sembrano
particolarmente
rilevanti, come una
chiamata in cui
Facchetti
dice a Bergamo
"Moratti ha un regalo da
darti...", registrata il
23 dicembre 2004 e
dunque probabile si
riferisca al presente
natalizio.
galliani e i designatori
— La difesa di Moggi ha
inserito nella lista
delle intercettazioni
ritenute rilevanti altre
8 chiamate che
riguardano il numero 2
del Milan, Adriano
Galliani: 3 con Bergamo,
altrettante con Pairetto
e 2 con Mazzini.
Restando in casa Milan,
un'altra conversazione
telefonica riguarda
Leonardo Meani (addetto
agli arbitri, imputato
nel processo di Napoli)
e De Santis.
foschi al telefono
— Con i designatori
anche Rino Foschi,
direttore sportivo del
Palermo in quel periodo,
in collegamento
telefonico: 9 le
chiamate depositate,
tutte con Pierluigi
Pairetto. Una curiosità?
Foschi, e storicamente è
risaputo, prende le
difese anche del Cesena
oltre che del club di
Maurizio Zamparini per
il quale lavorava in
quell'epoca.
Calciopoli
I controllori
parlavano con i
controllati. Arbitri
sotto controllo
BOLOGNA, CAGLIARI E GLI
ALTRI
— Tre anche le chiamate
del presidente del
Cagliari, Massimo
Cellino: 2 a Bergamo e 1
a Pairetto, già comunque
emerse nei giorni scorsi
e in passato. Poi c'è
anche il presidente
(fino al 2005) del
Bologna Renato Cipollini
a colloquio 2 volte con
Paolo Bergamo (su questa
intercettazione il pm
Narducci ha sottolineato
si trattasse di una
richiesta di numero
telefonico di Mazzone,
allenatore del Bologna).
Poi anche un colloquio
fra Bergamo e Pairetto,
1 fra il direttore
sportivo della Roma
Pradè e Mazzini, quella
fra Spalletti
(allenatore
dell'Udinese) e Bergamo
già
pubblicata
nei giorni scorsi.
curiosità foti
— Le 4 chiamate fra il
presidente della Reggina
Lillo Foti e il
designatore Bergamo
segnalate dalla difesa
di Moggi in realtà sono
già agli atti ormai da
anni e in procura
sostengono che tra le 74
intercettazioni che la
difesa di Moggi ha
sventolato lunedì in
udienza quale novità ce
ne siano parecchie già
trascritte e agli atti.
"Per Kakà ho fatto
cambiare il referto"
Tra le 74 telefonate
consegnate in tribunale
molte non compromettenti
e una rivelazione di
Bergamo a Galliani.
Citati 43 volte i
campioni d'Italia col
loro presidente: "Quella
partita era preparata
bene"
ROMA -
Ci sono anche nove
telefonate dei
dirigenti del Milan
nel controdossier
della difesa di
Luciano Moggi. Tra le
74 nuove
intercettazioni
depositate al
Tribunale di Napoli e
in attesa di essere
acquisite al processo
di Calciopoli, in nove
occasioni si ascoltano
l'amministratore
delegato del Milan,
Adriano Galliani, e il
suo dirigente
arbitrale, Leonardo
Meani. Parlano con i
designatori arbitrali
Paolo Bergamo,
Pierluigi Pairetto e
Gennaro Mazzei. Con i
guardalinee Copelli e
Puglisi. Anche con
l'arbitro Massimo De
Santis, pochi minuti
prima di un derby.
Comportamenti
scorretti sul piano
sportivo:
il rapporto tra
dirigenti e arbitri
era già proibito
all'epoca. Se queste
telefonate fossero
emerse nell'estate
2006, quando si
allestì il processo
federale che avrebbe
portato alla
squalifica per 5 anni
di Luciano Moggi e
Antonio Giraudo e a
una penalizzazione di
8 punti per il Milan,
probabilmente
l'inibizione di
Galliani (5 mesi, alla
fine) sarebbe stata
più pesante. Così
quella del suo
intraprendente
dirigente Meani,
squalificato per due
anni e due mesi.
Nelle tre telefonate
che qui proponiamo si
ascolta Bergamo
schierarsi
platealmente con il
Milan: il designatore
è accusato da Moggi di
sfavorire la Juventus.
Il collega di stanza
Pierluigi Pairetto e
al presidente degli
arbitri Tullio Lanese
lo stanno isolando. Il
17 maggio 2005,
allora, Bergamo
assicura a Galliani di
aver vissuto il
pareggio del Milan con
la Juventus come "un
trauma in famiglia".
Poi rivela di aver
costretto l'arbitro
Trefoloni, dopo un
Lecce-Milan che ha
registrato un brutto
fallo di un difensore
pugliese su Kakà, a
cambiare il referto:
"Bisognava usare i
toni giusti per una
squalifica esemplare".
Infine, il designatore
accetta (come farà
Pairetto) l'invito
sull'aereo del Milan
che deve partire per
Istanbul per la finale
di Champions League.
In una seconda
telefonata Pairetto
parla con Meani di
griglie arbitrali.
Nella terza un
colloquio tra Meani e
il suo datore di
lavoro spiega bene la
strategia di Galliani
in materia arbitrale:
"Ho parlato con
Puglisi, lo mettiamo
tra gli assistenti. E
lei spinga con Lanese".
Contropiede della
Procura
con le telefonate di
rimbalzo
Mentre Moggi parla al
cellulare, lo si sente
intercettato su un'altra
linea con un arbitro.
L'ex dg bianconero: "
Quando si dice che io ho
parlato con gli arbitri,
trovino le
intercettazioni che lo
dimostrano. Io non ho
parlato con gli arbitri"
ROMA, 17 aprile 2010 -
La controffensiva è
pronta. Si chiama
"schede svizzere". La
Procura di Napoli vuole
infatti sottolineare
l’ammissione della
stessa difesa di Luciano
Moggi sull’argomento,
con la domanda
dell’avvocato Trofino al
colonnello Auricchio,
responsabile delle
indagini di Calciopoli,
durante il controesame.
Un’ammissione che però i
legali interpretano in
tutt’altro modo: "Non
avete mai pensato che
servissero per le
trattative riservate
visto che Moggi è stato
sempre considerato il re
del mercato?".
AL LAVORO
— I pm Giuseppe Narducci
e Stefano Capuano stanno
cercando di smontare
l’"alibi mercato". Sono
quattro le telefonate
chiave a questo
riguardo. Innanzitutto
quella dell’11
novembre del 2004:
Bergamo chiama Moggi che
gli fornisce il codice
di ricarica di una
scheda svizzera, poi si
danno appuntamento per
sentirsi più tardi su
utenze riservate.
L’allora designatore
deve commentare sulla
Gazzetta la giornata
degli arbitri. Così
parlando della mancata
espulsione di Thuram da
parte dell’arbitro: "Ma
io dirò tutta una
cosa... Vedrai come te
la scrivo bene",
assicura il d.g.
bianconero.
Una fase del processo:
sulla sinistra Luciano
Moggi. Ansa
CON GLI ARBITRI
— La stessa familiarità
che ha con i due
designatori, Moggi la
dimostrerebbe anche
nelle telefonate con gli
arbitri. Ci sono state
intercettazioni
"indirette". Mentre
parla al telefonino
italiano, squilla
un’altra linea. È il
caso delle
telefonata che l’accusa
ipotizza avvenga con un
arbitro:
"Pronto!... Come ti
senti oh... mi sa che
domenica hanno paura a
farti uscì e... e...
perché gli ha detto
avevi la febbre alta, te
ora rassicurali poi vedo
un pochino io eh…. Se
non ti senti bene è
meglio per quest’altra a
Cagliari eh... Se no la
lascia perde... Sta’ a
sentì detto inter nos,
inter nos mica giochiamo
col Livorno e non ti
devi impelagà a... Va’
tranquillo...". Poi
commenta un errore di
Morganti in
Messina-Atalanta e dice:
"Il giorno dopo c’ha
trovato tutte le
critiche sul giornale,
sul giornale... Ieri
l’altro lo chiamo, prima
griglia... e... Uno,
due, tre, quattro
Morganti... Allora sei
scemo: Morganti si deve
sta a ca... Morganti si
deve sta a casa dopo il
casino che ha combinato,
si piglia e si mette a
casa e non rompe i
coglioni, voglio di’...
Allora questo qui... E
che lui evidentemente lo
utilizza, infatti
Morganti andò da lui...
Morganti, Morganti non
ha capito un cazzo...
Non ha capito come
funzionano le...".
VALZER DELLE AMMONIZIONI
— E sempre con un
arbitro che chiama da
utenza riservata a
utenza riservata di
Moggi è
questa telefonata
nella quale si parla
della partita
Fiorentina-Bologna, una
delle partite più
studiate dall’indagine
dei pm. "Aspetta un
attimo... Aspetta un
attimo in linea! Oh, la
peggiore che ti poteva
toccà, eh!... Però tu fa
la partita tua,
regolare, eh?... No,
senza regalà niente a
nessuno, con
tranquillità perché qua
a me mi serve per la...
Eh? Ok! Dondarini!.....
Eh, ma a me quello che
mi serve è
Fiorentina-Bologna... In
modo particolare...
Apposta!... Il minimo...
Eh eh... Quello, quello
mi serve in particolare
e poi... Ehm mi serve
ehm... Il Milan, di
avanzare.. Nelle
ammonizioni per far fare
le diffide, insomma!
Vabbè! Tanto comunque ne
parliamo stasera".
LA DIFESA
— Intanto l’avvocato
Maurilio Prioreschi, uno
dei legali di Moggi,
annuncia che "finora è
stato fatto un lavoro
parziale che è difficile
immaginare. Stiamo
cercando altre cose.
Altre intercettazioni.
Preferisco non entrare
nel merito delle
intercettazioni. Ho
argomenti difensivi
imponenti, ma che voglio
utilizzare in aula".
Insomma, martedì si
annunciano altre
scintille. Insieme con
una testimonianza
eccellente, quella di
Carlo Ancelotti.
Calciopoli, telefonata
shock
Bergamo-Fazi, su
Facchetti
Un'altra intercettazione
fa discutere: quella del
5 gennaio 2005 tra
l'allora segretaria
della Can di A e B e
l'ex designatore,
istruito dalla donna su
come affrontare il
prossimo colloquio con
l'allora presidente
dell'Inter. "Più
silenzioso che puoi,
l'argomento principale
deve essere la fatica
che fai a stare con
tutti, non come dicono
solo con Juve e Milan"
MILANO, 18 aprile 2010 -
Ogni giorno c'è un colpo
di scena nella seconda,
recente fase di
Calciopoli. Sviluppi
continui, fatti di nuovi
file audio che
riproducono
intercettazioni in
precedenza non venute a
galla. L'ultima,
fragorosa, è quella che
riporta una
conversazione del 5
gennaio 2005 tra l'ex
designatore arbitrale
Paolo Bergamo e Maria
Grazia Fazi, a quella
data segretaria della
Can di A e B, tra gli
imputati dell'inchiesta.
Paolo Bergamo. Ansa
L'intercettazione non è
inclusa nella lista
delle 74 presentate
dalla difesa di Moggi, e
di cui è stata chiesta
l'acquisizione agli
atti. Ma è stata
verosimilmente fatta
emergere dall'entourage
dell'ex direttore
sportivo della Juventus
il 24 marzo, e allora
pubblicata in dal sito
juventinovero
(www.ju29ro.com), che di
recente ha pubblicato in
anteprima file audio
relativi a Calciopoli.
Ascolta l'audio:
la telefonata
— Da un lato ribadisce
come l'allora presidente
dell'Inter Giacinto
Facchetti e Bergamo
avessero colloqui
specifici, anche sugli
arbitri, dall'altro
colpisce e assume
rilevanza perchè
dimostra come la Fazi
istruisse per filo e per
segno Bergamo su come
impostare la
conversazione ("più
silenzioso che puoi"), e
sul come relazionarsi
con Facchetti,
invitandolo a
presentarsi come chi non
vuole stare solo con
Juve e Milan - come
dicono - ma che
piuttosto fa fatica
quotidianamente a
svolgere il suo lavoro,
perchè si deve sorbire
le lamentele di tutti.
prossimi appuntamenti
— La prossima udienza,
presso la sezione penale
del Tribunale di Napoli,
è prevista per martedì
20 aprile.
Facchetti jr: "Ridiamo
lo scudetto del 2006"
Il figlio dell'ex
presidente nerazzurro:
"Darebbe più punti alla
nostra storia". Sul
'giallo' della
telefonata, Bergamo
conferma la difesa di
Moggi: "Il nome di
Collina lo fece
Facchetti"
NAPOLI
- Dopo l'udienza di
ieri, si attende la
decisione dei giudici
sull'istanza con la
quale la difesa di
Luciano Moggi ha
chiesto la
trascrizione di 75
telefonate ritenute
irrilevanti dalla
Procura. Il collegio
presieduto da Teresa
Casoria scioglierà la
riserva martedì
prossimo, alla ripresa
del dibattimento. La
Procura non si è
opposta, pur
giudicando "tardiva"
la richiesta,
motivando la scelta
con la volontà di
poter "ragionare
finalmente su dati
veritieri". Se
l'istanza della difesa
dovesse essere
accolta, verrà
conferito incarico al
perito d'ufficio del
Tribunale, l'ingegnere
Roberto Porto
(peraltro quasi
omonimo del consulente
della difesa che si
chiama Roberto Porta)
di trascrivere le
nuove conversazioni.
Fra le intercettazioni
figura anche quella al
centro di un giallo:
il colloquio
intercorso fra l'ex
designatore Paolo
Bergamo e l'allora
presidente dell'Inter
Giacinto Facchetti il
26 novembre 2004, alla
vigilia di un
Inter-Juve. Il figlio
di Facchetti ha
categoricamente
smentito
l'interpretazione del
dialogo fornita dalla
difesa di Moggi, che
aveva attribuito
all'ex capitano e
dirigente nerazzurro
la frase "metti dentro
Collina", che comunque
non arbitrerà
l'incontro. "È una
falsificazione dei
fatti grave,
vergognosa e
inaccettabile, il nome
del signor Collina
viene pronunciato,
dialogando, dal signor
Bergamo", ha
evidenziato il figlio
di Facchetti.
Oggi però Bergamo,
ai microfoni di
Raisport, ha fornito
una diversa versione:
"Fu lui a fare il nome
di Collina, non
viceversa", ha
sostenuto. Quindi,
riferendosi a un'altra
delle telefonate
diffuse in questi
giorni dalla difesa di
Moggi, ha aggiunto:
"Non ricordo di essere
mai andato nella sede
(dell'Inter n. d. r.)
a ritirare alcun
regalo. Era Natale, in
quel periodo era
normale ricevere dalle
società il classico
regalo delle feste.
Insomma, anche nel
valutare questi audio
ci vorrebbe un po' di
buon senso. Le cene
con i dirigenti? Non
mi sembra una cosa
vergognosa - ha
concluso l'ex
designatore - era il
mio ultimo anno e
così, d'accordo con
mia moglie, organizzai
delle serate a casa
con vecchi amici, fra
i quali Giraudo e
Moggi. Moratti non
venne mai, fu lui a
invitarmi negli anni
precedenti a Forte dei
Marmi".
Intanto torna a
parlare anche
Gianfelice Facchetti,
nella trasmissione "le
Iene". Facchetti jr,
dopo aver alzato la
voce per l'utilizzo
"vergognoso" della
intercettazione in cui
suo padre Giacinto, ai
tempi presidente
nerazzurro poi
scomparso nel 2006,
parlava con Paolo
Bergamo, in
un'intervista alle
Iene in onda stasera,
risponde anche a chi
gli chiede se sarebbe
giusto restituire
quello scudetto.
"Sarebbe un gesto
molto eclatante ma che
avrebbe il potere di
far acquisire ancora
più punti alla nostra
storia - dice
Facchetti - Anche
restituendo lo
scudetto ci sarà chi
rivorrà indietro i
suoi, ma secondo me
sarebbe una mossa
vincente".
Il figlio dell'ex
presidente interista
definisce Calciopoli
"una degna conclusione
di una pagina del
calcio italiano
orribile durata più di
dieci anni". Ma senza
quello scandalo,
l'Inter non avrebbe
vinto i titoli: "No,
assolutamente no, per
un sacco di motivi",
risponde Gianfelice.
Poi ammette che
c'erano sospetti su
Calciopoli e che in
famiglia se ne
parlava: "Di alcuni
episodi che si
vedevano, di una serie
di strane coincidenze,
chiamiamole così. Io
all'inizio facevo
fatica a credere e poi
sono felice di essere
stato sbugiardato".
Facchetti jr ammette
che suo padre parlava
con i designatori, ma
in modo diverso da
Moggi, ?perché il
contenuto delle
telefonate era
differente". E torna
su quella incriminata,
in cui la difesa di
Moggi accusa Facchetti
di aver indicato il
nome di Collina per
arbitrare una partita.
"Il nome del signor
Collina lo pronuncia
per la prima volta
nella telefonata il
dottor Bergamo e non
Giacinto Facchetti -
ribadisce dopo aver
riascoltato
l'intercettazione -.
La telefonata è
completamente diversa
dalla trascrizione che
è stata usata in aula
ieri". La teoria di
Moggi per cui tutti
colpevoli nessun
colpevole, per
Gianfelice non esiste:
"La sostanza è
assolutamente
differente. Chiedere
il miglior arbitro per
giocare una partita mi
sembra la richiesta di
giocare una partita in
condizioni di legalità
nel campionato più
taroccato nella storia
del campionato
italiano".
Sulle dichiarazioni di
Gianfelice Facchetti
non c'è una presa di
posizione ufficiale
del club. Filtra
soltanto qualche
posizione ufficiosa,
comunque contraria
all'idea. Restituire
lo scudetto, fanno
notare da corso
Vittorio Emanuele,
"non sarebbe affatto
un bel gesto ma un
brutto gesto nei
confronti dei tifosi
interisti".
Inter, addio a San Siro
Moratti si farà lo
stadio,con quali
soldi?Ancora con le
plusvalenze SARAS?Ma
qualcuno vuole
intervenire??
Entro la fine
dell'anno dovrebbe
arrivare il via libera
al progetto. Il modello
sarà l'Allianz Arena, la
casa del Bayern Monaco.
Il nuovo impianto
polifunzionale da 60.000
posti dovrebbe entrare
in funzione nel 2012
San Siro, fino ad
ora casa di Inter e
Milan. Fotogramma
MILANO, 15 ottobre 2008
- Massimo Moratti sarà
quasi certamente l’uomo
della grande svolta in
casa Inter. Il via al
progetto di uno stadio
di proprietà del club è
infatti alle porte.
Tutto è già stato
studiato e pianificato
nei minimi particolari:
l’okay al finanziamento
è atteso entro la fine
dell’anno, forse
addirittura per i primi
di dicembre. Poi, se
tutto dovesse filare
liscio, i nerazzurri
manderebbero in pensione
San Siro a partire dalla
stagione 2012-2013.
I MODELLI
- Dove
nascerà il nuovo
impianto è un segreto
custodito ancora
gelosamente dai Moratti,
anche se molti indizi
portano all’area
Rho-Pero, zona
vicinissima alle
autostrade e servita
bene anche a livello di
metropolitana (linea
rossa). Lì sarebbe
dovuto sorgere lo stadio
Olimpico se fosse andata
in porto la candidatura
di Milano per i Giochi
del 2000. Moratti vuole
evitare di costruire una
cattedrale nel deserto,
ma in questo - a
prescindere dalla zona
scelta - potrà aiutarlo
molto la recente
assegnazione dell’Expo
2015 a Milano. A Palazzo
Durini si pensa a uno
stadio da 60.000 posti,
piacciono gli impianti
dell’Ajax (Amsterdam
ArenA, "cinque stelle"
Uefa, oltre 50.000 posti
a sedere) e del Bayern
Monaco (Allianz Arena,
altro "cinque stelle" da
poco meno di 70.000
spettatori). In
particolare, sembra
proprio la casa dei
bavaresi il modello di
riferimento degli uomini
di Massimo Moratti: un
impianto polifunzionale
con ristoranti (dai più
raffinati ai self
service, per finire con
i classici pub), area
shopping e addirittura
un asilo dove è
possibile "parcheggiare"
i pupi poco interessati
alla partita. Le aree di
accesso (in base al
biglietto acquistato)
sono sostanzialmente
tre: i palchi privati
per le aziende, la zona
dei vip e quella per
gran la massa dei
tifosi.
VERSO ROMA -
Intanto, oggi Mourinho
ritrova Ibrahimovic,
Chivu e Muntari. Obinna
è a Milano da ieri.
Arrivano buone notizie
dall’infermeria:
domenica sera, contro la
Roma, Materazzi e Vieira
potrebbero anche andare
in panchina.
Biglietti gratis e
un film
scoppia la pace con la
curva
Cinquemila tagliandi al
derby ed altre promesse.
Protagonista di una
pellicola sul tifo un
pregiudicato che guida
gli ultrà. E così
nonostante il 4-0...
di PAOLO BERIZZI
Scompaiono dal calcio
professionistico alcune
società: dopo Venezia e
Avellino, anche Treviso,
Pisa e Sambenedettese
hanno rinunciato al
ricorso alla Covisoc.
Ripartiranno dai
dilettanti. Ora si
aspettano i ripescaggi.
Perugia, Pistoiese e
Catanzaro sono a rischio.
MILANO, 12 luglio 2009 -
Si parte dall’Irpinia e
si arriva su, fino in
Veneto. Nel mezzo si
passa dalle Marche e
dalla Toscana. Storie di
crisi economica, di
tifosi delusi e di
calcio che non c’è più.
Attraversano lo stivale
e abitano tutte in Lega
Pro. Anzi abitavano,
perché adesso hanno
ufficialmente alzato
bandiera bianca. Hanno
rinunciato a presentare
ricorso dopo che le loro
richieste d’iscrizione
sono state bocciate
dalla Covisoc. Con buona
pace dei tifosi,
ripartiranno dai
dilettanti in attesa di
tempi migliori. Sono
Avellino, Pisa, Treviso,
Venezia e Sambenedettese:
è l’Italia delle società
cancellate.
stop
— Tre, Avellino, Pisa e
Treviso, scendevano dal
piano di sopra, appena
retrocesse dalla serie
B. Il Venezia veniva da
una salvezza acciuffata
per i capelli nel
playout di Prima
divisione contro la Pro
Sesto. La Sambenedettese
era appena piombata in
Seconda, perso lo
spareggio salvezza
contro il Lecco. Per
tutte e cinque è
arrivato lo stop più
duro: nessuna è riuscita
a sopravvivere. Puntuale
il commento del
presidente della Lega
Pro Mario Macalli: "E’
sempre molto doloroso
quando si perdono delle
società, in questo caso
anche molto gloriose".
Ma con un piccolo
distinguo: "Di tutte
queste squadre solo due
provengono dal nostro
campionato (Sambenedettese
e Venezia appunto) e i
problemi dei dirigenti
delle due società sono
legati a motivi
extracalcistici. Per i
club provenienti dalla
B, posso dire che se
fossero rimasti in
quella serie, avrebbero
continuato a giocare
anche con 10 milioni di
debiti. Da noi è diverso
e con centomila euro di
debiti si va fuori".
Federico Piovaccari,
attaccante del
Treviso. Lapresse
erano in 5
— Destini simili e
futuro incerto per
tutti. Prendete il
Treviso: fino a 4 anni
fa era in Serie A, in
una città abituata a
respirare solo volley,
basket e rugby. Adesso
la società scompare
seppellita dai debiti,
proprio nell’anno del
centenario, e il
presidente Ettore Setten
se la prende con alcuni
giocatori (Trotta,
Piovaccari e Scaglia)
che non hanno accettato
la riduzione di una
parte dello stipendio in
cambio del cartellino.
Non se la passano meglio
ad Avellino, sotto choc
vedendo sciogliere 97
anni di gloriosa storia.
E se i tifosi non si
rassegnano, già quattro
gruppi sembrano pronti a
rivelare la società
irpina. Arrivano
addirittura a 17,7
milioni i debiti del
Pisa: da quelle parti il
presidente Luca Pomponi
continua ad essere
introvabile, mentre il
sindaco Marco
Filippeschi si sta
attivando con la
Federcalcio per
permettere alla squadra
di ripartire. La Copra,
colosso cooperativo con
filiali a Pisa e
provincia, proprietaria
della squadra di volley
di Piacenza campione
d’Italia, ha già dato la
sua disponibilità per un
progetto di medio e
lungo termine. Anche a
Venezia la situazione è
in mano al sindaco: è
stato, infatti, lo
stesso Cacciari ad
annunciare la rinuncia
al ricorso alla Covisoc.
Panorama desolante anche
in casa Samb, unica
società di Seconda a
scomparire a fronte di
una massa debitoria di
quasi 3 milioni.
ripescaggi
— Se in cinque
soccombono, altre
provano a salvarsi
presentando ricorso.
Alghero, Barletta, Igea,
Legnano, Pro Sesto e
Vibonese (tutte di
Seconda) dovrebbero
avere saldato le loro
pendenze. Più complesse
le situazioni di Perugia
(Prima), Catanzaro e
Pistoiese (Seconda) che
non hanno ancora risolto
del tutto i loro
problemi finanziari.
Rimane aperto il
capitolo dei ripescaggi:
quattro squadre dovranno
prendere in Prima
Divisione il posto di
Pisa, Venezia, Avellino
e Treviso. Per questo è
prevista una graduatoria
mista tra le squadre
appena retrocesse e
quelle che hanno
disputato i playoff di
Seconda. Verranno,
invece, ripescate in
Seconda Divisione ben
sette squadre: tra i
club che hanno i titoli
necessari e faranno
richiesta, verranno
alternate società
retrocesse dalla Seconda
e squadre che
hanno partecipato ai
playoff di D vinti dalla
Nocerina.
MONDO
ULTRAS O AFFARISMO SOTTO
BANCO?
DA
UN'INDAGINE DEL CORSER
ALL'INDOMANI DELLA
BATTAGLIA DI CATANIA
MILANO — Il capo dei
Commandos, qualche
anno prima, nonpoteva
entrare allo stadio.
Però alla festa del
Milan campione
d’Italia, nel 2004,
aveva un tavolo
accanto a quello del
presidente Berlusconi.
«Noi siamo soliti
festeggiare con la
nostra famiglia
allargata», dice la
società. Una
definizione che
comprende sia il
presidente della
Regione Formigoni e
l’allora sindaco di
Milano Albertini, sia
una quindicina di
ultrà esponenti
deiCommandos, delle
Brigate Rossonere, e
della (oggi sciolta)
Fossa dei leoni. Un
frammento dei rapporti
pericolosi che Inter e
Milan intrattengono
con i «cattivi» delle
curve. Rapporti
leciti,ma alla base di
un giro d’affari da
milioni di euro, della
gestione di un potere
su migliaia di ultrà,
e di un meccanismo di
ricatto più o meno
latente verso i club.
Che negli ultimi mesi
è sfociato in
unatentata estorsione
ai danni dei
rossoneri.Concolpi di
pistola e un
pestaggio.
Equilibrio sottile
Rapporti a rischio. I
capi ultrà viaggiano
spesso sugli stessi
charter che portano i
giocatori e i
dirigenti. «Ma volano
a loro spese», fanno
sapere da Milan e
Inter. Entrano negli
spogliatoi di San Siro
e nelle aree vip.
Perché i leader della
curva possiedono pass
nominali, con tanto di
foto per «muoversi
liberamente in ogni
settore dello stadio,
compresi gli
spogliatoi dei
giocatori »
(deposizione di un
dirigente del Milan).
Lostesso succede per
l’Inter.Avolte, i
legami diventano
lavorativi. Come per
un esponente di
Alternativa rossonera,
impiegato in un
ufficialissimo Milan
point. Infine, sul
sito delle Brigate
rossonere Gilardino,
Inzaghi, Kakà e
Gattuso mettono
gratuitamente a
disposizione la loro
(costosa) immagine per
pubblicizzare
magliette, cappellini
e felpe del gruppo.
Fin qui, niente di
illecito. Solo la
prova di una certa
contiguità tra le
società e i gruppi di
tifosi più estremi. Di
contatti che vengono
considerati
inevitabili. E da
coltivare: servono a
«responsabilizzare» i
capi dei tifosi, con
il risultato «di
essere una delle
squadre meno
sanzionate in Europa e
in Italia», come
chiarisce un
responsabile del Milan
in un verbale della
Digos. Il fatto è che
l’equilibrio è
fragile. E il confine
tra rapporto corretto
e complicità sottile.
Il patto
nerazzurro
Quindici maggio 2005,
a San Siro si gioca la
partita Inter-Livorno.
In curva Nord, quella
nerazzurra, compare
una croce celtica.
Sventola per pochi
minuti, poi viene
ritirata. Cosa è
accaduto? Un
responsabile della
polizia ha avvertito
un referente della
curva, che ha girato
immediatamente
l’ordine: «Fate levare
quella roba». Il
magistrato che ha
indagato sugli ultrà
interisti parla di
collaborazione
«efficace». È il
sistema nerazzurro,
per come è stato
ricostruito dagli
investigatori.
Funziona così:
concessione di
benefici «limitati» ai
capi-curva in cambio
di una sorta di
«servizio d’ordine».
Il tutto sotto la
supervisione della
polizia, che però non
compare mai sugli
spalti. L’Inter
assicura cinquanta
biglietti omaggio
«consegnati a Franco
Caravita (leader della
curva Nord, ndr) e da
questi gestiti con
successiva
distribuzione » ad
altri esponenti degli
ultrà. La
contropartita, per
l’immagine e per le
casse di una società
di calcio, è enorme:
una curva calma,
niente guerriglia
urbana (rarissima
fuori da San Siro
negli ultimi anni),
poche multe per
incidenti e lancio di
fumogeni. Ma come: si
tratta con i
«cattivi»? Ci si
affida a loro per il
servizio d’ordine,
anche se alcuni hanno
precedenti penali? E
qual è il limite di
questi accordi? La
risposta l’ha data il
pm Fabio Roia
chiedendo
l’archiviazione
dell’indagine sul
lancio di fumogeni che
portò all’interruzione
del derby diChampions
del 12 aprile 2005: «È
evidente come questa
intesa possa suscitare
qualche perplessità
sotto il profilo etico
e della eventuale
prospettiva
investigativa, ma la
gestione dell’ordine
pubblico in situazioni
di particolare
complessità comporta
una visione ampia e
flessibile del
problema». Un
pragmatismo efficace
da un lato,mache
dall’altro rappresenta
una sorta di resa del
sistema calcio: le
società sono i
«soggetti deboli» per
il principio della
responsabilità
oggettiva (le
intemperanze dei
tifosi si pagano con
multe e squalifiche
del campo); polizia e
carabinieri non
entrano mai nelle
curve di San Siro per
evitare «possibili
provocazioni», eun
anello chiave della
sicurezza sono gli
ultrà stessi. Viene da
pensare: ma cosa
succede negli stadi
italiani se questo
modello,come accertato
dopo mesi di indagine,
è il risultato della
«bonifica culturale»
del presidente Moratti?
Se il calcio è una
macchina da soldi, 3
per cento del Pil, le
curve tentano di
ritagliarsi la propria
fetta. Il tifo che
diventa mestiere.
Il giro
d’affari
Primo: i biglietti per
le trasferte. Di
solito le società li
vendono ai
rappresentanti della
curva. Niente di
illecito.Maquesto cosa
comporta?Unodei capi
ultrà del Milan
haammessodi rivenderli
a 2-3 euro in più.Edè
il primo ricarico. Sui
biglietti si fonda poi
l’organizzazione dei
viaggi: pullman e
treni per le trasferte
più vicine, aereo per
quelle distanti. I
curvaioli comprano il
pacchetto completo.
Che comprende,
ovviamente, altri
ricarichi.
Moltiplicando per le
18 trasferte di
campionato, più quelle
di coppa Italia e di
Champions, alle quali
partecipano in media,
per le squadre
milanesi, tra le mille
e le 4 mila persone,
si scopre che una
stagione calcistica
può fruttare 5-600
mila euro. Sottobanco
poi, è un’altra
storia: biglietti
regalati, venduti
sottocosto o pagati
inmododilazionato. Per
l’Inter la
magistratura ha
escluso questa prassi,
sul Milan (come parte
lesa in un tentativo
di estorsione da parte
di gruppi ultrà) c’è
un’indagine in corso.
«Ma per società molto
importanti — spiega
Maurizio Marinelli,
direttore del Centro
studi sulla sicurezza
pubblica— l’omaggio
può arrivare anche a
un migliaio di
biglietti». In questo
caso gli introiti per
gli ultrà-affaristi si
moltiplicano. «I
capitifoseria hanno un
potere enorme
—aggiunge il
procuratore capo di
Monza, Antonio Pizzi,
che ha condotto
l’inchiesta oggi
passata a Milano —.
Ricattano le società
che forniscono loro
biglietti sottocosto o
in omaggio. Il giro
d’affari per una curva
è nell’ordine di
milioni di euro».Aquesto
fiume di soldi bisogna
aggiungere gli aiuti
per le coreografie
(negati dalle società)
e la vendita dei
gadget: cappelli,
felpe, magliette.
Questa è la montagna
di soldi da spartire.
Che non arriva a tutta
la curva, manelle
tasche dei pochi che
comandano.
Conseguenza: i capi
degli ultrà milanesi
pensano più agli
affari che alla
violenza. Ma appena
gli equilibri si
spostano, c’è qualcuno
che per entrare nel
business è pronto
sparare. È quel che
sta succedendo intorno
a San Siro.
La
tentata estorsione
Nell’autunno 2005 si
scioglie, dopo 37
anni, la Fossa dei
Leoni. È un gruppo
storico del tifo
rossonero, ma ha due
macchie: è l’unico
rimasto di sinistra e
non risparmia le
critiche alla società.
La ragione dello
scioglimento sembra
tuttadacercarsi dentro
il codice d’onore
ultrà: i Viking
juventini hanno rubato
lo striscione alla
Fossa, che per la
restituzioneha chiesto
la collaborazione con
la Digos. Questa
storia è anche un
pretesto. In realtà,
c’è già un nuovo
gruppo, di destra, che
sgomita per la
leadership: i
Guerrieri ultras. I
Guerrieri si sarebbero
alleati con le Brigate
Rossonere. I Commandos
vanno in minoranza. E
pagano. «I nuovi
cominciano a
sgomitare. In due
direzione: per
guadagnare spazio
nella curva e per
ottenere il
riconoscimento dalla
società. Che consente
di partecipare al giro
d’affari» spiega un
investigatore. Così,
l’ottobre scorso, due
uomini in moto sparano
alle gambe di A. L.,
32 anni, esponente dei
Commandos, davanti a
un supermercato di
Sesto San Giovanni. Il
25 gennaio, un altro
leader dello stesso
gruppo viene picchiato
fuori da San Siro da
sette persone (due
sono state arrestate e
stanno per andare a
processo). È conciato
così male che ancora
oggi non si sa se ce
la farà. Intanto, i
Guerrieri chiedono
biglietti alla
società. Forse anche
abbonamenti. Mail
Milan, per due volte,
rifiuta. E,
combinazione, subito
dopo per due volte
dalla curva piovono
fumogeni: Milan-
Lilla, 6 dicembre, e
Milan-Torino, 10
dicembre 2006. Il
Milan annuncia una
linea più dura: taglia
i pass. Galliani va in
procura a Monza, che
nel frattempo ha
indagato dieci
ultrà:«Manon sono io
che mi occupo di
queste cose». Non c’è
stata nessuna
denuncia. La procura è
arrivata alla tentata
estorsione indagando
sulla sparatoria. «Nei
nuovi gruppi di
ultrà—rivela
uninvestigatore — ci
sono molti delinquenti
comuni, con precedenti
per spaccio e rapine».
Sicuri che valga la
pena tenerli in
famiglia?
MILANO —
Tifoserie organizzate
sempre più
politicizzate. Ultras
che grazie «ad una fitta
rete di rapporti
economici e non con le
società», approfittando
di crisi e debolezze di
molte, entrano nel
business del calcio
gestendo gadgets,
biglietti e trasferte
arrivando a
«condizionare» assetti e
comportamenti dei club
che pure li hanno
finanziati. Fino a
diventare, con i loro
comportamenti violenti
sugli spalti e fuori
dagli stadi, «massa di
manovra da utilizzare
nelle scalate alle
stesse società», ma
anche soggetti attivi
con proprie finalità. Un
rapporto della direzione
centrale della polizia
di prevenzione, basato
sull’osservazioni delle
«Sezioni tifoserie»
durante i campionati
2003-2004 di serie A, B,
C1 e C2, traccia la
prima fotografia del
fenomeno delle tifoserie
italiane. Un territorio
inesplorato.
DESTRA E SINISTRA—
Dei 74.000 tifosi
raccolti in 445 gruppi
ufficiali, 43.000 (il
59%), secondo la
polizia, sono orientati
politicamente e fanno
parte di 192
organizzazioni. Di
questi ultimi, 39 sono
su posizioni di estrema
destra, 74 genericamente
di destra, 22 di estrema
sinistra e 57
genericamente di
sinistra. I restanti 253
sodalizi non hanno
connotazione. In base a
questi dati, la polizia
ha stilato anche un
elenco di 23 squadre le
cui tifoserie «hanno
evidenziato un profilo
politico particolarmente
aggressivo» e si «sono
distinte per una
particolare propensione
verso comportamenti
violenti »: Ancona,
Ascoli, Bari, Cagliari,
Cavese, Nocerina,
Catania, Cosenza, Genoa,
Inter, Lazio, Livorno,
Napoli, Parma, Perugia,
Pisa, Roma, Savona,
Ternana, Torino,
Triestina, Venezia e
Verona.
LA MAPPA — I club
di destra e di estrema
destra raccolgono la
maggioranza dei tifosi e
sono concentrati in
Lombardia, Emilia
Romagna, Veneto, Lazio,
Marche e Sicilia;
l’orientamento verso
sinistra ed estrema
sinistra è egemone solo
in Toscana. Al Sud
generalmente gli ultras
non hanno connotazione.
I gruppi di destra sono
caratterizzati da un
«ideale utopico e
romantico» di «fede del
tifo», da un «marcata
tendenza ad iniziative
aggressive» e, talvolta,
«da suggestioni razziste
e xenofobe». A sinistra,
invece, c’è una
«vocazione sociale e
terzomondista », gli
spalti diventano
«terreno di lotta»,
anche sociale, e
«strumento per
contrastare la
fascistizzazione delle
curve».
Qui si registra
«l’interesse di realtà
antagoniste dei centri
sociali» e si segnala
(Cagliari e Viterbo) «la
presenza degli
anarco-insurrezionalisti».
Ma le divisioni
politiche o di campanile
possono essere
agevolmente superate in
nomedel «credo utras» e
di un interesse unico
(vedi derby Lazio- Roma
del 21 marzo 2004
interrotto su richiesta
dei tifosi per un
presunto, falso,
incidente mortale) che,
spesso, si materializza
nella lotta al calcio
moderno, visto come un
sistema corrotto che ha
sacrificato gli ideali,
e i comuni nemici delle
forze dell’ordine.
ULTRAS — Lo stadio,
riflettono gli esperti,
a partire dagli anni ’70
è diventato «luogo di
aggregazione » per
giovani che, in cerca di
identità, si
richiamavano al modello
dei violenti hooligans
inglesi. Uno stile
teorico presto
abbandonato permettendo
ad esempio che le donne
accedessero alla curva,
rinunciando alla
violenza gratuita (ma
non a quella contro
Polizia e avversari) e
dotandosi di strutture
verticistiche e codici
comportamentali.
Il «senso di
appartenenza » diventa
un dogma. Essere ultras
è uno «stile di vita ».
INFILTRAZIONI E AFFARI
— Sono di regola
le infiltrazioni di
soggetti che cercano di
fare proselitismo
politico sugli spalti.
Ma a mimetizzarsi tra
gli striscioni ci sono
anche elementi della
criminalità, comune e
organizzata,
specialmente a destra.
Tra i supporter di
destra albergano anche
aderenti a Forza nuova e
skin-heads. Tra quelli
di sinistra non mancano
gli
anarco-insurrezionalisti.
In tanti criticano
violentemente l’attività
affaristica- lobbistica
interna. Accusati di
questo sono gli
Irriducibili della Lazio
«avversati dalla maggior
parte dei sodalizi».
«Negli ultimi anni molte
tifoserie hanno
accresciuto» la tendenza
affaristica» e, in
passato, sono state
finanziate dalle società
calcistiche.
CONTATTI—I gruppi
comunicano con internet,
radio private e 95
pubblicazioni (fanzine).
Anche quelli
storicamente nemici. Nel
’95, dopo l’omicidio a
Genova di un rossoblu,
molti si sono uniti nel
«Movimento ultras
nazionale» per opporsi
alla violenza (pure
teorizzata) e a ciò che,
trattando il tifoso come
consumatore, gli nega un
ruolo da protagonista:
industria calcistica,
pay-tv e
commercializzazione del
calcio.
UN ESERCITO IN CAMPO
— Contro questo stato di
cose a ogni partita
vengono schierati
migliaia di uomini delle
forze dell’ordine che,
nella stagione
2003-2004, hanno
arrestato 281 persone,
ne hanno denunciate
1.105, a 733 delle quali
è stato vietato di
rimettere piede negli
stadi.
Mentre a Milano va verso
l’archiviazione una
delle poche inchieste
sul tifo: quella del pm
Fabio Roia sugli scontri
nel derby Milan- Inter
di Champions league,
interrotto il 12 aprile
per un lancio di
oggetti. Giuseppe
Guastella
I match a tutte le ore
dal sabato al lunedì sera,
fine delle trasmissioni in
chiaro, un nuovo canale
sky di notizie. IL CALCIO
MARKETING ALL'ENNESIMA
POTENZA: UN MILIARDO DI
EURO DA SPARTIRSI.
Ilaria D'Amico,
volto di Sky Sport
Luca Valdiserri per il
Magazine
Lo spezzatino, come
potrebbe testimoniare ogni
moglie alle prese con il
caro-vita, è un piatto
tendenzialmente povero.
Carne un po’ dura, che
deve cuocere a lungo;
patate e carote per dare
sostanza; spezie per
insaporire. Lo spezzatino
dei diritti tv del calcio,
che rischia di cambiare
sabato, domenica e lunedì
delle famiglie italiane, è
invece un piatto ricco,
ricchissimo, che la Lega
calcio valuta in almeno un
miliardo di euro. C’è
molto nel piatto, anche
una rivoluzione televisiva
che porterà Sky a un
canale tutto dedicato agli
eventi sportivi e uno
all’informazione sportiva,
che potrebbe mettere la
parola fine a programmi in
chiaro come Controcampo
e/o i corrispettivi sulla
Rai, che magari convincerà
fior di professionisti
come Sandro Piccinini a
prendersi un anno
sabbatico e poi decidere
cosa fare da grande. E c’è
pure il rischio che quel
piatto non arrivi mai in
tavola. Sky ha appena
depositato un ricorso alla
Commissione Europea contro
il decreto legge
Melandri-Gentiloni, che ha
riportato la cessione dei
diritti televisivi in
ambito collettivo e non
più individuale. «Secondo
noi», ha detto il
vicepresidente del Milan,
Adriano Galliani «è il
primo in ordine
cronologico e altri ne
seguiranno davanti ad
altri organi
giurisdizionali». La
battaglia, insomma, è
cominciata ben prima del
fischio d’inizio.
La copertina del
Magazine di questa
settimana
QUANTO VALE LA TORTA
Una partita a mezzogiorno
la domenica, un’altra il
lunedì sera e flessibilità
negli orari in caso di
turni infrasettimanali
(come è già successo
quest’anno con il derby
Lazio-Roma programmato
all’orario “spagnolo”
delle 21,15). Il prossimo
campionato potrebbe
aggiungere queste novità
ai due anticipi al sabato
(alle 18 e alle 20,30) e
al posticipo la domenica
sera (20.30). I diritti tv
ritorneranno alla vendita
collettiva nel 2010. Ci
sono già una quindicina di
pretendenti per il ruolo
di advisor, tra banche di
affari e broker, che
dovranno dare una risposta
alla Lega calcio entro il
30 marzo. Il mandato a
vendere non scende sotto
il miliardo di euro.
L’ultimo contratto è stato
di 850 milioni e soltanto
sopra quella cifra l’advisor
comincerà a guadagnare la
sua provvigione. Vendendo
a un miliardo di euro,
insomma, l’advisor avrà la
sua quota su 150 milioni
di euro. Il partito dei
nostalgici, quello delle
gare tutte in
contemporanea la domenica
alle 15, è forte. Ma lo è
anche quello del calcio
business. Il presidente
dell’Inter, Massimo
Moratti, dice: «Non vorrei
che si esagerasse. Il
calcio bisogna un po’
farlo desiderare.
Preferivo quando era tutto
alla domenica. E,
comunque, le 15 sono un
errore, era meglio giocare
alle 16. Però può essere
che i giovani preferiscano
la spalmatura su diverse
ore». Il vicepresidente
vicario del Milan, Adriano
Galliani, come in un vero
derby, la pensa
all’opposto e bacchetta i
giornalisti, che definisce
in modo colorito: «Tipi da
spiaggia, perché un giorno
leggi come sono bravi gli
inglesi, che sanno vendere
il loro prodotto a un
milione di euro, mentre
gli italiani non sono
capaci. Poi, quando
diversifichi giorni e
orari, qualche giornale
parla di spezzatino
televisivo. Dovete solo
mettervi d’accordo, perché
non si possono fare
entrambe le cose. È come
quando in prima pagina si
invocano i bilanci sani
senza spendere molti soldi
e poi nelle pagine interne
si chiede perché non si
compra un giocatore. In
Inghilterra giocano di
sabato, domenica a
mezzogiorno, di
pomeriggio, il lunedì, a
Natale e a Capodanno,
ottimizzando i ricavi, e
nessuno si lamenta. In
Italia, invece, lo
chiamate spezzatino».
IL MODELLO INGLESE
Ma come è organizzato
questo mitico modello
inglese di cui tanti
parlano e pochi conoscono?
La prima vendita alla pay
tv (all’epoca si chiamava
BSkyB) è del 1992 e, da
quel momento, l’ascesa è
stata continua: 191
milioni di sterline,
saliti a 670 nel 1997, a
1.024 nel 2007 e
addirittura a 1.700 con
l’ultimo contratto. Sky,
per non incorrere nelle
sentenze dell’Antitrust
dell’Unione Europea, non
ha più il monopolio del
criptato. Il calcio della
Premiership è stato diviso
in 6 pacchetti: 4 sono
andati a Sky e due a
Setanta Television. A
differenza dell’Italia,
non tutte le partite in
programma sono trasmesse
in pay-tv, ma c’è una
scelta da parte
dell’emittente, che
determina anche gli
incassi dei singoli club.
La divisione dei proventi
avviene in tre parti: 50%
in parti uguali tra le
partecipanti, 25% in base
alla classifica finale,
con la prima classificata
che guadagna 20 volte più
dell’ultima, e 25% a
seconda di quante partite
della singola squadra
vengono trasmesse in
televisione. Una regola
che, come è facile capire,
favorisce le squadre più
importanti e con più
tifosi abbonati alla
pay-tv. Il divario tra
“grandi” e “piccoli” club
è quantificabile in 1 a 4
a favore dei club più
prestigiosi. In Italia era
sbilanciato in 1 a 7 e per
questo, su spinta del
ministro per lo Sport,
Giovanna Melandri, è stato
approvato un decreto
legislativo che ha
riportato alla vendita
collettiva dei diritti tv
e non più alla vendita
singola.
IL CALCIO KOSHER
Per continuare nella
metafora culinaria, però,
lo spezzatino del calcio
italiano rischia di
trasformare anche gli
ingredienti della
televisione che si occupa
di sport. Il palinsesto di
Sky, la novità delle
telecronache “dedicate”
sul digitale terrestre e
il clamoroso successo di
radio e tv private che si
occupano di calcio provano
una nuova realtà, che,
riprendendo un termine
della cucina ebraica,
possiamo definire kosher,
cioè “adeguato”. A ogni
tifoso viene assicurata la
“purezza” del prodotto che
riguarda la sua squadra,
sacrificando l’obiettività
in nome del tifo e, in
ultima analisi, del
vecchio adagio “il cliente
ha sempre ragione”. Il
pomeriggio di Sky, ad
esempio, è diviso in fasce
orarie dedicate a Juve,
Inter, Milan, Roma, Lazio.
Al programma generalista,
tipo Domenica Sportiva o
Controcampo, dove si parla
di tutte le squadre, si è
preferito un prodotto che
garantisce un ascolto con
meno picchi ma più
fidelizzato. Il tifoso,
poi, può cambiare canale.
Sarà sostituito dal tifoso
di un’altra squadra.
Eclatante la
trasformazione delle
telecronache. Prima il
commento doveva essere
imparziale, una garanzia
per l’ascoltatore. Adesso
ci sono le telecronache
tifose (Carlo Pellegatti
per il Milan, Carlo Zampa
per la Roma, Paolo Brosio
per la Juve…) dove si urla
al gol della squadra del
cuore e si sospira
addolorati a quello
dell’avversaria. Ha fatto
clamore la sciarpa
nerazzurra al collo di
Walter Zenga, seconda voce
nella tlecronaca di
Inter-Liverpool di
Champions League su Raiuno,
cioè sul servizio pubblico
pagato da tutti gli
abbonati, interisti e non.
È dovuto intervenire il
direttore di Raisport,
Massimo De Luca: «Diciamo
che è stata un’uscita
avventurosa, e gliel’ho
fatto notare,
garantendogli che per la
prossima volta gliene
regalerò una io. Ma per il
resto ha interpretato in
maniera eccellente il
ruolo di voce tecnica al
fianco di Gianni Cerqueti,
autore di un’ottima
telecronaca». Come mai la
televisione ha così tanto
potere sul calcio
italiano? Perché i diritti
televisivi sono la fonte
primaria degli introiti
delle società. Ogni
analista finanziario può
spiegare che un bilancio
sano tiene in equilibrio
tre fattori di reddito: 1)
i diritti tv, 2) gli
incassi da stadio, 3)
marketing, merchandising e
sponsorizzazioni. Più ci
si avvicina a un 33% di
ogni introito e meno
rischi si corrono di
andare incontro a un
ridimensionamento
economico. In Inghilterra,
molti club sono in questa
situazione. In Italia,
nessuno. Da noi, anzi,
sono in parecchi a
dipendere per il 60% dai
diritti tv. Questo dà alle
tv un potere immenso.
Tradizioni e malcostume,
però, non sempre
garantiscono a chi paga
(le tv) i diritti che
dovrebbero essere
automatici. In nessun
altro posto, come in
Italia, esiste e prospera
l’assurdità del silenzio
stampa. Lazio e Napoli,
per esempio, da mesi non
fanno parlare i loro
giocatori, ma solo
presidente e allenatore.
Le leghe professionistiche
americane non
sopporterebbero mai un
comportamento simile. Chi
non parla con la stampa,
nella Nba, viene multato.
Il calcio italiano ha un
grande potenziale, ma non
sempre viene gestito con
professionalità. Giorgio
Giovetti, responsabile
acquisti dei diritti
sportivi di Mediaset,
analizza così la
situazione: «I diritti
televisivi per il calcio
in chiaro sono stati
svuotati negli ultimi due
anni, quando 4 milioni di
spettatori si sono
spostati sul calcio a
pagamento, dove vedono
tutti i gol in diretta,
che vengono poi ripetuti a
rullo: c’è stato un calo
di quasi 50% sul chiaro.
Da spettatore lo
spezzatino non mi
convince, anche perché le
strutture sono inadeguate.
Non mi eccita andare a San
Siro a mezzogiorno, con la
partita alle 13, e
mangiare un fetido panino
con la porchetta. Fosse
come allo stadio dell’Arsenal,
con quattro ottimi
ristoranti, sarebbe
diverso. A quel che ci
risulta da nostre
indagini, non c’è nel
pubblico tutta questa
richiesta di spezzatino.
Per noi, poi, avendo due
parti in commedia,
digitale e chiaro,
l’offerta della Lega è
poco interessante:
perderemmo da una parte
quel che guadagneremmo
dall’altra. Noi, ora,
paghiamo 60 milioni per
avere il chiaro dopo le
18. Poniamo, invece, che
venga spostato dopo le
22,30: a quel punto ci
terremo il criptato, che
già abbiamo per il
digitale, e offriremmo 4-5
milioni per il chiaro dopo
le 23. Il calcio è un
prodotto devastato dalla
Lega. Non per nulla con
loro ci trasciniamo un
paio di cause da anni». E,
come Mediaset, anche la
Rai non ha intenzione di
fare offerte, se non con
un forte ribasso, per il
chiaro.
IL FUTURO
La Lega calcio conferma
che anche in futuro sarà
mantenuta, a garanzia
della regolarità del
campionato, la
contemporaneità di tutte
le partite nelle ultime 4
giornate. Un paradosso e,
sicuramente, diventerà il
prossimo terreno di
battaglia tra tv e Lega
calcio. Vi immaginate un
campionato con tre squadre
in corsa per lo scudetto e
la possibilità di
spalmare, nelle ultime
quattro giornate, una
partita al sabato sera,
una alla domenica sera e
una al lunedì sera? Si
potrebbe contare sui
teletifosi di tutte la
squadre interessate non
una volta sola ma tre. Con
ovvio aumento
dell’audience. Se si deve
trasgredire, insomma,
meglio farlo del tutto.
Per poter chiedere ancora
più soldi, in attesa che
piattaforme tecnologiche
emergenti, come l’Iptv
(trasmissione digitale
attraverso banda larga) e
la televisione sui
telefoni cellulari,
prendano piede. Gli
esperti pensano che, prima
di tre-quattro anni, i
diritti tv sulla rete
telefonica mobile non
saranno un affare. Ma c’è
chi pensa già al futuro,
tanto che il decreto
legislativo sui diritti tv
se ne è già occupato:
potrà partecipare all’asta
solo chi ha un titolo
autorizzativi per quel
tipo di piattaforma e non
chi pensa a comperare per
poi sublicenziare, in più
per Iptv e Dvbh (smartphone,
palmari e cellulari
evoluti) su telefonia
mobile non ci saranno
diritti di esclusiva.
«Su Alitalia contano
criteri economici
Le valutazioni politiche
sono secondarie»
La
risposta del premier alle
polemiche sulla scelta del
cda
(Ap)
ROMA
- Le
valutazioni dubbiose o
polemiche di alcuni
componenti del governo,
dei politici lombardi e
dei sindacati come la Cgil
sulla scelta di Air France
da parte del cda di
Alitalia si stanno
alimentando nell'attesa
della decisione finale del
governo. I tempi di
attesa, come indicava
anche il commento di
Francesco Giavazzi sul
Corriere del 23 dicembre,
rischia di dare spazio
anche ampio a pressioni e
dichiarazioni. Anche per
questo Palazzo Chigi
interviene per frenarle.
ALT DEL GOVERNO
- Lo fa attraverso una
dichiarazione a Sky Tg24
del portavoce di Prodi,
Silvio Sircana, per il
quale nella vendita di
Alitalia «il governo si è
preso il tempo necessario
per esaminare tutti i
documenti, che sono anche
complessi. Ma qui c'è da
risolvere una crisi
aziendale che dura da
anni: le valutazioni
politiche, pur importanti,
sono secondarie, il vero
obiettivo è rimettere
questa azienda il grado di
gareggiare». Un segnale di
un indirizzo che per il
premier è ormai definito.
Si vedrà come e quanto il
confronto in consiglio dei
ministri sarà duro. «Lo
spirito - conclude Sircana
- è rimettere l’azienda in
carreggiata».
«PAROLA AL GOVERNO»
- Le puntualizzazioni di
Sircana arrivano
all'indomani delle
dichiarazioni con cui Air
France ha spiegato di non
volere puntare sul
depotenziamento
dell'aeroporto di Malpensa,
considerandolo funzionale
nell'ambito della propria
riorganizzazione di
servizi. Tuttavia, avevano
precisato da Oltralpe,
occorre mettersi
nell'ottica che si può
avere un grande aeroporto
pur senza lo status di hub.
Una posizione, questa, che
tuttavia continua a non
convincere il mondo
politico lombardo e del
Nord Italia in generale.
Il presidente della
Regione Lombardia, Roberto
Formigoni, contesta la
decisione del Cda di
Alitalia e ribadisce che
«la partita non è chiusa»
invitando il governo a
«scoprire le carte» e a
svelare se vi siano
accordi sottobanco per una
scelta che di fatto mette
a repentaglio lo sviluppo
dello scalo varesino
L'attacco ha avuto
luogo in una zona 250
chilometri a est della
capitale Nouakchott
Mauritania, uccisi
quattro turisti francesi
Tra le vittime anche
due bambini. Due le
ipotesi: un tentativo di
rapina, un agguato
terroristico
WASHINGTON - Attacco
contro il turismo in
Mauritania. Un gruppo
armato – secondo la tv Al
Jazira - ha aperto il
fuoco su una comitiva di
francesi: quattro persone
sono rimate uccise, altre
cinque ferite. Il grave
episodio è avvenuto a
circa 250 chilometri dalla
capitale Nouakchott.
L’uccisione dei turisti
francesi può avere due
spiegazioni: un tentativo
di rapina, un agguato
terroristico.
DUE BAMBINI TRA LE
VITTIME - Appartenevano ad
un'unica famiglia i
quattro turisti francesi
uccisi da un gruppo di
uomini armati in
Mauritania e almeno due
erano bambini. Lo ha
riferito una fonte
dell'ambasciata di Francia
a Nouakchott. «Quattro
persone sono morte, fra
cui almeno due bambini. Il
padre di famiglia è
rimasto ferito in modo
grave ed è stato
trasportato all'ospedale
di Aleg, da dove verrà
trasferito immediatamente
a Nouakchott», ha detto il
diplomatico. Il numero
delle vittime e la loro
nazionalità sono stati
confermati da un
giornalista mauritano che
si è recato sul luogo
della tragedia. Secondo il
cronista, la famiglia
francese è stata vittima
di un attacco a mano
armato condotto da tre
uomini che viaggiavano a
bordo di una berlina e che
poi sono fuggiti. La
gendarmeria locale ha
aperto un'inchiesta
I BANDITI –
Nell’area subsahariana si
muovono gruppi di predoni
per i quali una comitiva
di turisti può essere
l’obiettivo ideale. Ma
appare strano che abbiano
deciso di assassinare i
derubati, a meno che non
vi sia stata una reazione.
In qualche occasione ad
agire sono militanti che
rubano per alimentare la
loro lotta. In passato
numerosi turisti europei
vennero sequestrati da
estremisti algerini e
liberati dopo il pagamento
di un riscatto
miliardario.
I TERRORISTI -
L’episodio però potrebbe
essere legato alle azioni
di formazioni islamiste
ispirate da Al Qaeda nella
terra del Maghreb, la
costola algerina del
movimento. Nella regione
compresa tra Algeria,
Mali, Niger e Mauritana
agiscono, infatti, diverse
formazioni armate e sono
presenti piccoli campi
d’addestramento mobili.
Negli ultimi due anni, la
sezione algerina ha
cercato di infiltrarsi nel
territorio mauritano
attraverso il reclutamento
di militanti locali. Nel
2005 un commando ha
assalito una caserma
uccidendo 15 soldati.
L’anno dopo le autorità
hanno cancellato due prove
del rally Parigi-Dakar. Il
17 ottobre del 2006 la
polizia mauritana ha
rivelato di aver
smantellato una cellula
qaedista che stava
pianificando attacchi
anti-occidentali. Il
nucleo – composto da una
decina di persone – era in
rapporti operativi con Al
Qaeda nella terra del
Maghreb.
IL BERSAGLIO -
L’agguato nei confronti
dei turisti rientra nel
modus operandi delle
fazioni integraliste e
rappresenta in qualche
modo una risposta –
indiretta – all’appello
dell’ideologo Ayman Al
Zawahiri. In uno dei suoi
recenti messaggi, il
braccio destro di Osama ha
esortato ad espellere gli
stranieri – spagnoli e
francesi in particolare -
dal Nord Africa.
Gli
indagati sul sisma dell'Aquila sono
sette alti dirigenti della Commissione
"Grandi Rischi". L'accusa è omicidio
colposo. Per il procuratore capo
Alfredo
Rossini "non diedero l'ordine di
evacuazione". Tra loro
Franco
Barberi e
Bernardo
De Bernardinis. Il primo già a
processo per lo scandalo della missione
Arcobaleno (1999). Il secondo coinvolto,
ma poi prosciolto, nell'inchiesta
sull'alluvione di Vibo Valentia del 2006
che provocò quattro morti.
Foto LaPresse
Franco Barberi, Bernardo De Bernardinis
e Gian
Michele Calvi. Sono tre i nomi
già noti alle cronache sulla Protezione
civile, tra quelli dei sette membri
della Commissione Grandi Rischi indagati
dalla procura dell’Aquila per non aver
evacuato la città prima del terremoto
del 6 aprile 2009. (leggi
tutto)
Chi è
l'uomo che ha fatto quei nomi non
pronunciabili
Gaspare Spatuzza non è
stato un mafioso qualsiasi ma il killer
di fiducia dei fratelli Giuseppe
e Filippo Graviano, a
capo del mandamento di Brancaccio di
Palermo. E quando i Graviano sono stati
arrestati all’inizio del ’94 a Milano, è
proprio Spatuzza a diventare il reggente
della cosca. Insieme ai suoi capi e al
pentito Salvatore Grigoli,
viene condannato per l’omicidio di don
Pino Puglisi. Due mesi
dopo l’omicidio del parroco di
Brancaccio, nel novembre del ’93,
Spatuzza è tra i rapitori e assassini
del piccolo Giuseppe Di Matteo,
il figlio del pentito Nino Di
Matteo. Ora l’ex mafioso detto
“u tignusu”, per la sua calvizie, è uno
dei grandi accusatori di Marcello Dell’Utri
e Silvio Berlusconi, che sarebbero stati
referenti politici di cosa nostra. Il 2
luglio del ’97 la squadra mobile di
Palermo lo arresta. E accumula
ergastoli, anche per le stragi del ‘93.
Il fosso Spatuzza lo salta nel 2008
quando comincia a parlare prima con il
procuratore nazionale Pietro
Grasso e poi con i pm di
Caltanissetta, di Palermo e di Firenze
che stanno indagando nuovamente sui
mandanti esterni delle stragi e sulla
trattativa Stato-mafia. Agli inquirenti
nisseni, Spatuzza fornisce un’altra
verità sulla strage Borsellino, quella
già passata in giudicato, che riguarda
gli esecutori. Dice che è stato lui a
fornire la 126 che sarà riempita di
tritolo per l’attentato del 19 luglio
1992, e non Vincenzo Scarantino,
un balordo di borgata diventato pentito.
Dopo un drammatico confronto fra i due,
Scarantino ammette che si era inventato
tutto e 3 poliziotti che lo avrebbero
indotto ad autoaccusarsi sono indagati.
Ma fino a quando Spatuzza non tocca i
fili ad alta tensione della politica non
succede quasi nulla.
Il finimondo pidiellino, con le consuete
accuse di complotto contro il premier e
l’eccezione di Fini che
invece le definisce “ una bomba
atomica”, si scatena quando l’aspirante
collaboratore di giustizia – ritenuto
credibile da tutte le procure che lo
hanno interrogato – parla dei rapporti
dei boss Graviano con Marcello
Dell’Utri e con l’attuale
presidente del Consiglio. Rapporti che
almeno per quanto riguarda Dell’Utri
erano già stati definiti “ provati”
nella sentenza di primo grado contro il
senatore. “U tignusu” racconta che fu
Giuseppe Graviano a parlargliene. Quelle
confidenze pericolose Spatuzza le
conferma anche alla corte d’Appello di
Palermo che tra poco dovrà giudicare
Dell’Utri, già condannato a 9 anni per
concorso esterno in associazione
mafiosa.
È il 4 dicembre 2009 , siamo nella maxi
aula del Tribunale di Torino, per motivi
di sicurezza. Spatuzza con un tono
pacato ma fermo, dice: “Al bar Doney di
via Veneto a Roma, Giuseppe Graviano mi
disse: abbiamo il paese nelle nostre
mani, abbiamo fatto l’accordo con
Berlusconi e il nostro compaesano Dell’Utri”.
Sempre Graviano avrebbe detto a
Spatuzza: “Queste sono persone serissime
non come quei 4 crasti
(buffoni, ndr) dei socialisti.
Io non conoscevo Berlusconi - aggiunge -
e chiesi se era quello di Canale 5 e
Graviano mi disse sì”. Il preambolo
della testimonianza di Spatuzza è molto
importante: sono affiliato
all’associazione terroristico-mafiosa”
denominata Cosa Nostra. Mai prima di
allora l’organizzazione criminale
siciliana era stata defintica
terroristica.
Ma l’ex mafioso fornisce una spiegazione
che adombra una regia politica delle
stragi del ’93: “Non c’entravano con noi
quelle bombe, erano un’anomalia”.
Spatuzza conferma anche, che in quel bar
romano Graviano gli diede il via libera
per uccidere i carabinieri in servizio
allo stadio Olimpico. Attentato fallito
e non più riprogrammato. Della
trattativa Stato-mafia, Spatuzza ne
parla anche a proposito di un incontro
precedente a quello nella capitale. È il
’93, pochi mesi dopo la strage di
Firenze. Sostiene di aver parlato con
Giuseppe Graviano, davanti a un altro
mafioso, Cosimo Lo Nigoro
a Campofelice di Roccella
proprio per programmare l’attentato
all’Olimpico:” …Noi avevamo perplessità,
in quel momento io compresi che c'era
una trattativa e lo capii perchè
Graviano disse a me e a Lo Nigro se noi
capivamo qualcosa di politica e ci disse
che lui ne capiva". Spatuzza cita
inoltre una conversazione avuta con
Filippo Graviano nel 2004, nel carcere
di Tolmezzo in cui erano detenuti: “Se
non arriva niente da dove deve arrivare
- avrebbe detto Filippo Graviano - è
bene che anche noi cominciamo a parlare
con i magistrati”.
Una settimana dopo la deposizione di
Spatuzza al processo Dell’Utri, l’11
dicembre 2009, vengono chiamati a
deporre, in videoconferenza a Palermo,
proprio i Graviano. Filippo nega il
colloquio riferito da Spatuzza, ma senza
dargli dell’infame, come sempre fanno i
mafiosi con i pentiti, e Giuseppe
Graviano, lancia un segnale all’esterno:
dice che quel giorno non parla ma solo
perché sta male. In precedenza i
Graviano avevano usato addirittura la
parola “rispetto” per Spatuzza che a
Torino li ha contraccambiati,
manifestando per loro “affetto
profondo”. Per Berlusconi e Dell’Utri
sono dichiarazioni “folli” e
rappresentano una “macchinazione” ai
loro danni. Spatuzza però ne ha anche
per il presidente del Senato
Schifani. Sostiene di averlo
visto all’inizio degli ani ’90 insieme a
un imprenditore, cliente di Schifani e a
Filippo Graviano. La seconda carica
dello Stato annuncia querele e il
capogruppo del Pdl,
Fabrizio Cicchitto lo definisce
un “ pentito kamikaze”. Ma altri due
collaboratori, Pietro Romeo
e Giuseppe Ciaramitaro,
per esempio, hanno raccontato ben 10
anni fa ai magistrati quanto detto in
questi mesi da Spatuzza, sui rapporti
Graviano-Dell’Utri, dicendo che avevano
ricevuto confidenze proprio da “ U
tignusu”.
Ieri, 15 aprile 2010, si è varcato il
Rubicone della legalità. Alea iacta est.
Il protagonista non è stato
Giulio
Cesare, ma più modestamente il
duo Pdl-Pdmenoelle che si esibisce da
quasi vent'anni nella distruzione della
democrazia in Italia, riuscendovi peraltro
benissimo. Il fiume non era il Rubicone,
ma il Parlamento, la
Cloaca
Massima della politica italiana.
La Camera
ha
approvato
con 435 voti a favore, 21 contrari e 41
astensioni la legge salva Errani-Formigoni.
La coppia stagionata dalle molte
legislature di presidenza delle Regioni
Emilia Romagna-Lombardia per ora è salva.
La legge,
che vieta la ricandidabilità dopo due
mandati consecutivi, ne
impediva
l'elezione
fino a ieri. Con il decreto ad hoc Errani
e Formigoni sono riverginati, gli è stato
ricucito l'imene elettorale. La legge
votata dai deputati è la prova provata
della ineleggibilità di Errani e
Formigoni. E' una legge a posteriori per
legittimare un comportamento fuori legge a
priori. Il decreto salva liste è
un'istigazione a
leggi ex
post fai da te. Hai evaso il
fisco? Nessun problema, ti riunisci in
salotto con i famigliari e fai un
decretino ex post con uno scudo fiscale.
Sei stato licenziato insieme ad altri
precari? Convochi un'assemblea per
approvare una legge per il reintegro
immediato. Non riesci a pagare le bollette
dell'acqua, della luce e del gas? Scrivi
una legge ex post per un'autoriduzione del
100% e la spedisci a Equitalia con
affrancatura a carico del destinatario.
Calderoli
dovrebbe bruciare Il Codice Civile e il
Codice Penale. Sono inutili. Ogni legge si
può cambiare dopo il reato. E' la
semplificazione della democrazia,
l'ingresso in un nuovo mondo in cui ognuno
può fare il c...o che gli pare a norma di
legge ex post. Il decreto salva
Errani-Formigoni deve essere ancora
approvato al Senato, ma è una formalità. I
senatori sono persone ubbidienti. Poi
dovrà firmarlo Napolitano, ma anche questa
è una formalità. Il decreto però è
incostituzionale e mi impegnerò per farlo
decadere. Nel frattempo, mentre è in
vigore, ognuno potrà farsi la sua legge,
leggina, decreto, decretino ex post.
Neanche
gli dei
possono cambiare il passato, ma i nostri
politici ci riescono senza alcun problema,
così come ci fottono con naturalezza il
futuro. Il
corruttore diventa presidente del
Consiglio, il mafioso un eroe, Errani e
Formigoni presidenti di Regione. La realtà
ti fa schifo? La legge è contro le tue
attitudini naturali di
grassatore, ladro, mafioso,
estorsore? Tutto questo appartiene al
passato. Con la legge ex post sarai un
altro uomo, forse da grande potrai fare
anche il deputato.
Il marasma sessuale che imprigiona la
Chiesa
romana (e celibe) è paragonabile
solo al marasma politico che sta
sbriciolando il Partito Democratico.
Entrambi gli organigrammi stanno scivolando
sul vetro
della Storia. Entrambi parlano di
cose che non sanno più, annaspano,
improvvisano.
La sessualità malata e immaginaria dei primi
li porta a dire risibili nefandezze come
quella che equipara la pedofilia alla
omosessualità e a leggere, nelle denunce
planetarie delle violenze sessuali praticate
da centinaia di preti nel mondo, un
complotto
giudaico laicista guidato da New
York Times. La politica malata e immaginaria
dei secondi li conduce a singolari forme di
auto
dissoluzione come quella di
convincersi di avere ottenuto una mezza
vittoria e incidentalmente anche una mezza
sconfitta alle ultime elezioni regionali. A
campare di rimessa, seguendo sempre l’ultimo
osso lanciato dal Cavaliere (da una
settimana: Le Riforme) come
levrieri
ubbidienti e ciechi.
A perdere Mantova per faide interne. Ad
ascoltare, ancora, Franco Marini che dà del
folle a Romano Prodi. Ad affidare a Massimo
D’Alema, dopo gli esiti noti della sua
discesa in Puglia, il Copasir, organismo di
controllo sui Servizi, con esiti non ancora
noti, ma prossimi venturi. E poi: a non
avere una
sola idea sul Nord Italia, le
fabbriche polverizzate, le partite Iva, la
disoccupazione, la delocalizzazione. A non
addentare una volta per tutte il
problema
dei problema, l’evasione fiscale:
50 italiani su 100 che dichiarano di
guadagnare meno di 15 mila euro,
imprenditori e commercianti che incassano
meno dei loro dipendenti, che è il vero
patto politico (etico, giudiziario) su cui
si fonda la supremazia elettorale (e
culturale) di questa nostra destra populista
e autoritaria.
Tempi duri per
Gianfranco Fini. Nei prossimi giorni
l’ex numero uno di An sarà calunniato, spiato,
dossierato. I media del premier, che già in
settembre avevano iniziato a sparargli contro,
lo descriveranno come un malfattore, un
poco di buono,
forse un malato di mente, o peggio. Se poi
davvero i finiani arriveranno a costituire un
gruppo in parlamento, verrà bandita un'asta per
convincerli, uno a uno, a desistere. Saranno
offerti loro incarichi, prebende, denari.
Inutile scandalizzarsi. Le cose, nell’Italia di
B, vanno così.
Il Cavaliere, del resto, a differenza dei suoi
coriferi, sa che le ultime regionali sono andate
bene per il centro-destra, ma malissimo per il
Pdl. Più di due
milioni di elettori hanno voltato le
spalle al partito. Sono i voti degli astenuti
che ora Fini spera legittimamente di recuperare,
pensando pure di attingere qualcosa nel
campo avverso, dove la linea del Pd, se esiste,
appare ormai opposta a quella del suo
elettorato. I sondaggi parlano chiaro: il Fini
moderato nei toni, ma
inflessibile
sui principi (dalla giustizia, ai
diritti civili) piace. Anche a sinistra. Per
questo il Cavaliere si prepara ad ucciderlo
(politicamente).
B. ha bisogno di una truppa compatta perché per
lui le riforme sono la (nuova)
ultima spiaggia.
Solo cambiando la Costituzione potrà
reintrodurre una qualche immunità che lo metta
per sempre al riparo dalla sua grande
ossessione: i processi. L’abbraccio con
la Lega
(disposta a tutto per il federalismo)
si spiega in buona parte così. Ma con un Fini
forte, nemmeno Bossi e il debole Pd basteranno
più. Dunque il
Cavaliere olia il fucile. Dice di
essere in forma. Ma ha 74 anni. E forse, per
fortuna di Fini e del Paese,la sua miranon è più quella di un tempo.
UNA NAZIONE ALLO
SFASCIO, LA BISANZIO DEL XV SECOLO IN ONDA NEL
NUOVO MEDIOEVO D'ITALIA
In Lombardia il numero di
sfratti per il mancato pagamento dell'affitto o
del mutuo sarà nel 2009 il
doppio
dello scorso anno. Tutte famiglie italiane, tutte
in mezzo a una strada nella regione più ricca
d'Italia. Esattamente come nelle altre regioni.
L'abitazione da bene sociale è
diventato un investimento speculativo da parte
delle imprese immobiliari e delle banche. Le case
vuote, gli appartamenti sfitti in Lombardia sono
decine, centinaia di migliaia. Le gru intanto sono
ovunque, intente a costruire nuovi immobili che
resteranno spesso invenduti.
Quando una famiglia perde la casa perde le sue
radici, il suo senso di unità. Viene dispersa, il
padre da un amico, la madre e i figli dai nonni e
dagli zii. Questo nei casi migliori, nei casi
peggiori c'è anche il
suicidio.
Chiedo una moratoria per le famiglie sfrattate a
causa della crisi. Lo Stato corrisponda un
prestito al capo famiglia che ha perso il lavoro
pari all'importo dell'affitto o delle rate del
mutuo con l'impegno di ripagarlo in futuro.
Nessuno rimanga indietro e neppure per strada.
Chi ha una storia da raccontare sulla perdita
della sua casa, lo scriva in un commento.
Come chiamereste un
vostro dipendente che, invece
di lavorare per voi, lavorasse in proprio o per
qualcun altro? Come definireste un tizio, eletto
alla Camera o al
Senato e a cui pagate un lauto
stipendio ogni mese, che continua, imperterrito, a
mantenere la propria occupazione? Un dipendente
che remunerate con le vostre tasse, con benefit da
favola e una pensione sicura dopo soli due anni e
mezzo? Un signore che faceva l'avvocato come
Ghedini, prima di essere "nominato"
deputato dal suo cliente psiconano, e che continua
a fare l'avvocato percependo laute parcelle? Un
parlamentare come Barbareschi
che si esibisce come attore nei teatri d'Italia? O
uno Stanca che pretende di
percepire DUE stipendi, come amministratore di
EXPO 2015 e come deputato, dopo i trionfi del
portale Italia.it che ci ha resi
ridicoli in tutto il mondo?
Ho pensato a lungo a come definire questa gente.
Questa condizione umana ha molti aspetti, molte
facce. Un solo aggettivo è forse insufficiente.
Limitativo. Il termine
doppiolavorista
non è adeguato: hanno sì due lavori, ma ne
praticano in prevalenza o esclusivamente uno solo.
Lavativo non è corretto,
in realtà lavorano per sé.
Assenteista
è quasi appropriato perchè in Parlamento spesso
non si fanno vedere, ma non rende abbastanza
l'arroganza di questi "desaparecidos"
pubblici, che ostentano la loro assenza come un
diritto divino. L'impiegato pubblico cerca di non
farsi sorprendere fuori dal luogo di lavoro in
orario di ufficio per non essere licenziato,
mentre per i parlamentari è un vanto. Loro non si
sentono dipendenti di nessuno.
Mangiapane a tradimento?
Quattro ganasce? Riduttivi.
Fare il parlamentare dovrebbe essere un'attività
impegnativa, la più importante per il
funzionamento dello Stato. E' molto ben pagata.
Farla part time o zero time
è un insulto nei confronti dei cittadini. In
particolare dei precari, dei licenziati, della
generazione 500 euro al mese.
Chi diventa parlamentare non deve esercitare la
sua professione per la durata del mandato. E' una
questione di rispetto verso gli elettori che lo
pagano e verso lo Stato che dovrebbe servire. Tra
i tanti nomi per questa categoria di dipendenti
infedeli, "Zecche
di Stato" è il migliore. Succhiano il nostro
sangue, qualche volta trasmettono malattie, come
il Lodo Alfano e le ronde, e si ingrassano.
Uno per volta devono rendere
conto alla collettività del loro comportamento e
dimettersi. Iniziamo da
Lucio Stanca con il suo
mezzo milione di euro di retribuzione
come amministratore di Expo. Lucio Stanca
dimettiti!
ok della Ue alla vendita Sciopero trasporti, le
città in tilt
Alitalia, piloti e assistenti in assemblea a
Fiumicino. Chiesto il blocco delle attività ma per
i sindacati autonomi "non è opportuno". La Ue:
"Non c'è continuità fra la vecchia compagnia e la
Cai". I sindacati sullo stop per treni, bus e
metro: "Adesione oltre l'84%" (video).
Le modalità
città per città /Audio
dati dell'Istat: Il ribasso per i primi 9 mesi
dell'anno è del 5,7%
Produzione industriale in forte calo
A settembre -2,1% sul mese precedente: il più
alto da dieci anni. Auto a settembre: -26%
ROMA
-
Netto calo a settembre per la produzione
industriale. Lo rende noto l’Istat che rileva un
calo annuo del 5,7% dell’indice corretto per i
giorni lavorativi e una forte diminuzione rispetto
allo scorso mese di agosto con un -2,1%, che non
si registrava dal dicembre 1998. A settembre,
spiega l’Istat, l’indice corretto per i giorni
lavorativi, registra un aumento su base annua per
l’energia (+0,2%); in diminuzione i beni
strumentali (-8,2%), i beni intermedi (-6,4%) e i
beni di consumo (-5,7% in totale). Su base
mensile, gli indici destagionalizzati dei
raggruppamenti principali di industrie
diminuiscono del 3,3% per i beni di consumo (-3,5%
beni non durevoli, -1,4% beni durevoli), del 2,6%
per i beni intermedi, del 2,5% per i beni
strumentali e dell’1,7% per l’energia.
AUTO
-
La produzione di autoveicoli a settembre ha
registrato una flessione del 26,3% rispetto a
settembre 2007, secondo i dati Istat. Nei primi
nove mesi del 2008 la produzione di autoveicoli è
calata invece del 10,9%.