QUESTA LETTERA  E' STATA INVIATA A UN SACERDOTE, DI CUI NON SI RIFERISCE IL NOME IN QUANTO  NON ERA DESTINATA AL PUBBLICO. PERTANTO ABBIAMO RIBATTEZZATO IL DESTINATARIO  COL NOME DI DON GIUSTO PER IL SUO IMPEGNO  CIVILE E PER UNA CHIESA  MIGLIORE.

 

Questa lettera vale   più che mai  anche per Alessandro Santoro, prete delle Piagge in Firenze,soprattutto ove esso dice:


Fa che questo Papa abbia il coraggio di incarnarsi nella storia degli altri, che abdichi alla Verità assoluta che schiaccia e uccide e senta il bisogno di incontrare e nutrirsi delle Verità dell’altro. Dio non ha un nome, prende ed assume il nome dei volti e delle storie degli emarginati di questo mondo e nessuno detiene la verità di Dio e può pretendere di possederla.”

 

 

 

 

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Addì 17.11.2005

 

 

Caro Don Giusto

 

 

tu mi inviti alla lettura di un libro e me ne invii due  pagine. Ti Ringrazio moltissimo e, mentre mi propongo di leggerlo per intero, ne riporto un brano che, tra quelli inviatomi, mi dà lo spunto a qualche riflessione.

Non  alla critica, ma alla riflessione.  Spero che l’autore  tragga materiale,  più che per  approfondire il suo pensiero che mi pare già sufficientemente sviscerato, per vagliare  la sua posizione rispetto al suo pensiero.

Questo intervento,quindi, vuol essere, almeno nelle intenzioni, un  utile gesto di reciproca cordialità e non  la spocchia spicciola di un saccente dell’ultimo minuto.

 

….. l’etica che nostro fratello, nostra sorella, i bambini sollecitano in noi è un’etica il cui primo comandamento è: ricordati che la giustizia NON è il coronamento della carità; è vero il contrario, la giustizia è la misura MINIMA della carità. Troppi peccati sono stati commessi da noi cristiani, anche per responsabilità di tanti pastori, rendendo virtuosa l’elemosina e riducendo la giustizia a un’utopia da realizzare chissà quando. I popoli che gridano al cospetto del Signore vogliono giustizia e non elemosina, cosi come Egli ci chiede giustizia e non sacrifici. Non prendere parte alle lotte per la giustizia, non è soltanto pigrizia o viltà: è anche, io lo credo fermamente, un comportamento eretico.

 

 

Che  la valutazione sia  corretta, nulla da eccepire, ma che sia evangelico, a mio parere, non è vero.

Prendere parte  ad un impegno per la giustizia non è, per quanto sia sorprendente  a dirsi, un comportamento evangelico, fino al punto che fare  il suo contrario diventi  addirittura una eresia.

Nel vangelo la giustizia è sempre rinviata nel futuro regno dei cieli.

Persino,anzi, soprattutto il  poetico discorso della montagna  rimanda ad una giustizia differita ad un altro mondo, in  una specie  di contrappasso  ove le situazioni vengono  risolte nel loro contrario.

Altrove,sempre nel vangelo, il ricco, per quanto pio e giusto, non salirà in cielo se non si farà povero.

Sommando le due cose assieme a tante altre che si omettono per brevità, chi subisce l’ingiustizia e, mansueto,  offre l’altra guancia,  va nel  Regno, mentre chi  si comporta con giustizia, non necessariamente ci andrà.

Il vangelo non invoca mai, e men che meno pretende, la giustizia  in questa vita, quanto, invece, in ogni sua  riga,  promette la speranza  di giustizia,  facoltà che è esclusivamente divina, ( non giudicate se non volete essere giudicati), che viene esercitata  in questo mondo con castighi reali ed immediati, mentre le ricompense vengono promesse in un  futuro  godibile nel Regno ove la ruggine nulla consuma, alla fine dei tempi  dopo la resurrezione dei corpi.  Il Dio del vangelo viene temuto per la sua severità attuale e futura (digrignar di denti) e viene amato per la sua bontà che però    esigibile  solo  oltre la vita terrena.

Le cose non sono cambiate in duemila anni a parte il fatto che,nelle remore della resurrezione, si è messa di mezzo un’anima eterna ed individuale di cui mai nessuno ha mai  parlato nel vecchio e nel nuovo testamento.

 

E’ storia di questi giorni  in cui Giovanni Paolo VI  riceveva in vaticano con tutti gli onori Suor Teresa -premio Nobel per la pace- la quale raccattava i poveri abbandonati per le strade, sia  malati che moribondi offrendo  soccorso , senza utilizzare alcuna delle offerte ingenti che le venivano date.

Morivano da poveri al coperto, anzi,  più esattamente, morivano perché poveri. In compenso  venivano loro  aperte,  tramite suor Teresa, le porte del paradiso.

Dov’è la giustizia per i poveri? Di là, con la buona pace di tutti.

Che Suor Teresa  fosse evangelica ed osservante, questo, alla luce di quanto detto, è  vero e coerente. Ciò a quanto  pare soddisfaceva e rasserenava chiunque,compreso papa Wojtila.

La controprova si è avuta quando lo stesso papa , in una   circostanza pubblica,  rifiutò di  ricevere suor Rigoberta Menchù,  anche lei premio Nobel per la pace, assegnato in seguito al suo impegno di liberazione in Guatemala. La qual cosa era,  evidentemente,  poco  rassicurante, anzi  aveva  qualche lieve nota eversiva poiché pretendeva la giustizia su questa terra per mano dell’uomo e non per elargizione divina  in paradiso.

Una specie di usurpazione di potere.

La differenza tra le due, come se non  si fosse ancora capito,è che  la prima faceva l’elemosina di un tozzo di pane e una scodella di minestra  con  “tanto amore cristiano”, mentre la seconda  lottava con tutte le sue forze per un minimo di  giustizia affinché non vi fossero più  poveri  nelle tristi condizioni  su cui,  poi,  agire cristianamente in maniera ortodossa e tranquilla, senza  sovvertimenti sociali, magari dopo aver trattenuto le spese  sull’obolo.

La prima è  stata Beatificata, mentre la seconda,  che pure   aveva  lottato  rischiando la propria vita per la giustizia, senza  compiacimenti masochistici e pietismi, venne  materialmente allontanata  e totalmente ignorata dai mass-media.

Questa contraddizione dell’etica cattolica, che vede il povero cristianamente obbligato ad essere tale per il resto della sua vita e la povertà come un privilegio (..voto di povertà..), è  la stessa contenuta nel vangelo  e questo è quanto fanno gli alti prelati d’oggi: predicare affinché altri facciano l’elemosina  ai poveri con quanto loro avanza. Mai che si  sia fatto  qualcosa per ripristinare  i diritti violati, le vite rubate, le sofferenze subite. All’angelus, ormai da decenni, si auspica che  siano gli altri  a  “fare”,  con la consapevolezza  che tanto basta per salvare la faccia.

Chi ha osato tra i cardinali, i vescovi ed i  sacerdoti  di ridare agli ultimi la stessa dignità dei primi si sono trovati isolati: si veda   Romero.

Romero? Abbi pazienta, caro Don Giusto ,ora che l’eversivo è stato “normalizzato in orizzontale” verrà fatto santo.

La faccia  sarà ancora salva.

Pare che i santi siano utili da morti  ed ingombranti da vivi.

 

I ferraresi dicono “sta mo’ bon e bas, e brisa salter” .

Tradotto suona esattamente così :”adesso sta  buono e chino e non saltare nemmeno”.

Romero evidentemente ha saltato troppo.

 

Tornando al brano citato dal libro che mi hai presentato, si conviene con l’autore che non si dovrebbe  incoraggiare il  risarcimento, ma si deve impedire  lo spogliamento del diritto. Ma questo, a quanto pare, non è previsto né dal vangelo, né  avvallato dalla consuetudine  e dal consenso della curia romana.

Non si vuole certamente dire che il vangelo sia stato  cosa da poco, anche se  oggi, dopo  1565 anni della sua canonizzazione è divenuto  insufficiente  per  una società complessa i cui problemi non possono essere contenuti e risolti  con edificanti  parabole e con concetti che non si adattano nemmeno alla convivenza di un condominio.

Comunque rispetto al vecchio testamento esso  fece un balzo  avanti, non così come si vuol far credere, poiché una corrente farisaica che faceva capo ad Hillel,  contemporaneo di Gesù, professava un codice etico molto simile al vangelo. 

Nel vecchio testamento  c’è un Dio che dà all’uomo (sessualmente inteso) solo alcuni privilegi sulla proprietà  poiché la  sua roba  e la  sua donna non possono essere fatti oggetto del desiderio altrui e permette a lui di uccidere il figlio che non rispetti di genitori ( rispetta il padre e la madre se vuoi vivere a lungo). Per quanto riguarda il resto, il  Dio “biblico” accampa solo i suoi diritti  di despota assoluto,terribile e sanguinario,  paventando   vendette atroci,  per esempio contro un singolo che fa un censimento,oppure un altro  viola il riposo del sabato  oppure contro un popolo che non lo riconosce, il tutto  uccidendo indiscriminatamente.

Nelle guerre, allora sempre etniche, il Dio, partecipe come stratega supremo, risparmiava solo le vergini ed il bestiame e quando si arrabbiava di brutto ordinava di uccidere anche quelle,  mentre, nella tranquillità degli ozi e quando  era in vena di amenità, scommetteva con diavolo sulla fedeltà di Giobbe, uomo giusto e devoto, lasciando il poveretto in preda al all’“avversario” affinché gli infliggesse tutti i tormenti di cui era capace.

Il  vecchio ed il  nuovo testamento non possono essere  la parola del Signore,se non per altro,almeno per i suoi contenuti,  ma sono la voce dell’uomo che, nello scorrere del tempo e dei costumi,  cerca il suo Dio, che allora  era un mostro tribale, mentre ora,nella versione neotestamentaria, diventa   un giustiziere buono e compassionevole

( facendo eccezione della condanna a morte di Anania e sua moglie per questione di soldi)  il quale applica la legge   del taglione capovolta, senza nemmeno pensare di dare un minimo di giustizia ai mortali,in quanto tali: la giustizia è solo nel suo regno.

Era già qualcosa, per quei tempi disperati.

Il buon Ponzio Pilato del vangelo, era nella realtà un autentico macellaio,tanto che una delegazione di palestinesi si recò a Roma a protestare.

Quale speranza di giustizia potevano  avere Gesù e gli altri  suoi contemporanei?

Cosa poteva fare San Paolo,  dopo circa 20- 25 anni dalla morte di  Gesù, se non invitare i   suoi seguaci a sottomettersi ai romani attraverso i quali si sarebbe manifestata la volontà di Dio?

Sotto questo profilo, a quanto oggi possiamo constatare, il nostro Paolo è stato ampiamente profetico. Nulla da obbiettare.

 

Non dico che Dio sia  stato creato dall’uomo, anche se questo è il mio pensiero, ma  intendo dire invece che Dio è cercato dall’uomo e che questa continua  ricerca  comporta un naturale  aggiustamento del credo in relazione appunto all’affinarsi del sentimento etico.

Karen Armstrong  teologa  ed ex suora cattolica, afferma che la religione  è tanto più valida quanto meglio funziona.

I testi sacri sono una testimonianza di questo travaglio, di questo adattamento “ funzionale”, di questa ricerca di Dio. Il fatto che in origine, anteriormente  al primo concilio Nicea,  vi  fossero stati moltissimi vangeli ne è la controprova.

Il concilio di Nicea cercò di porre freno a questa tendenza considerata dispersiva e difficilmente controllabile e tentò di  capovolgere la situazione in un modo a dir poco grottesco,senza comunque riuscire a dare unità,anzi provocando nette distinzioni e contrasti che durano tuttora.

 La tradizione storica di quella scelta, così riferiscono gli storici cattolici, ci dice che Dio  avrebbe espresso la sua volontà con uno di questi tre  eventi miracolosi, a scelta:

·       dopo che i vescovi avevano pregato, solo i 4 vangeli canonici, mescolati agli altri, avrebbero preso il volo fino a posarsi sull’ altare.

·       su un altare furono poggiati tutti i vangeli in competizione: i “falsi”  caddero tutti a terra, mentre i 4 vangeli non si mossero.

·       una colomba (lo “spirito santo”, viene riferito) volò sulla spalla di ogni vescovo sussurrando all’orecchio la scelta giusta.

 

Quando poi si pensi che il consiglio di Nicea fu indetto dall’imperatore Costantino solo per porre fine alle lotte intestine tra  i cristiani che tendevano a disgregare l’impero e che, quindi, lo scopo era prettamente politico, ci si rende conto che non si trattava della parola di Dio, ma della volontà di un imperatore che voleva l’unità  dei suoi sudditi.

 

A parte queste finalità  terrene, a parte le stramberie per nasconderle e farle passare per una volontà divina, la esegesi storica e filologica dei quattro vangeli canonici  fa ampia  testimonianza  di pezzi interpolati, di modifiche e di  correzioni avvenute  più o meno nascostamente proprio per mano di cristiani,che, in fatto di falsi, furono imbattibili. E non parliamo del  vecchio testamento,assemblato sotto Giosia ed ampiamente modificato con aggiunte anacronistiche, rimaneggiato  sostituendo le molte divinità tribali  con un unico Dio   al fine, non diverso da quelle di Costantino, di unificare le tribù palestinesi e portarle compatte contro il nemico comune (Le tracce di Mosè di Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman).

Nell’esegesi del vangelo vediamo  che Gesù  da  uomo diventa Cristo, ossia il Messia discendente da Davide tramite Giuseppe e poi diventa Dio,  mentre Maria diventa la Madre di Dio trasformandosi in  vergine – prima durante e dopo-  e Giuseppe una specie di padre putativo. Gli altri  figli e  le altre figlie  di Maria diventano cugini e cugine  di Gesù e via così. Un vero e proprio sconvolgimento anagrafico.  Quando dopo il secondo concilio di Nicea non fu più possibile accettare cambiamenti, si intervenne  per risolvere le contraddizioni con i dogmi.

Insomma al Dio-uomo, nell’ambito del vangelo, si  è giunti tramite tappe successive per  la necessità storica e politica  di affermarsi quale religione  efficiente (e quindi preminente) nella società di allora.

Basti pensare al concilio di Efeso nel 431 quando   il vescovo Cirillo, fatto santo per meriti speciali,corruppe Teodosio II con la cifra  per quei tempi sbalorditiva di 77.760 monete d’oro, oltre ad altri regali accuratamente elencati e documentati (Peter Brown. “Potere e cristianesimo nella tarda antichità”), per ottenere il riconoscimento che la natura umana e divina di Cristo erano indissolubilmente unite al momento stesso del suo concepimento e che pertanto la vergine Maria aveva partorito Dio (theotokos), non uomo concepito per intervento divino e successivamente  riunitosi al Padre.

Questo aumentava il prestigio presso le masse,poiché di vergini che partorivano per intervento divino,nel mondo greco-romano di allora si sprecavano.

Una vera e propria operazione di immagine per la conquista del potere.

 

Caro Don “Giusto”, non vedo motivo per cui tu ti debba meravigliare tanto se oggi il Vaticano passa all’incasso,dopo tutte le spese che ha  dovuto sostenere.

 

Una analoga  evoluzione  di Dio, diversa da quella non edificante  che abbiamo  appena   visto esservi nelle sacre scritture, la sta percorrendo  l’Autore del libro e, con grande fede –lasciatelo dire-, anche tu Don Giusto senza accorgervi che state “ereticando”  poiché seguite  la via dell’etica e della giustizia su questa terra,così come voi la sentite,contestando la curia di Roma.

Consolati, se questo ti può bastare, poiché   io, che sono ateo,  vedo a mio modo (senza far paragoni), che  nelle stesse circostanze  si è trovato  anche Gesù-uomo con la sua predicazione, giudicata allora eretica dai detentori del potere religioso.

Nella stessa situazione si sono trovati tutti i cristiani dopo il concilio di Nicea del 325, principalmente gli ebioniti , gli gnostici  e gli ariani i quali consideravano blasfemo che Gesù potesse essere il Logos incarnato.

Tenendo conto della tendenza palesemente apologetica del nuovo testamento, teso a sbaragliare gli altri cristiani, bisogna riconoscere che Gesù, uomo tra gli uomini, detto anche spregiativamente il Galileo (e quindi lievemente ribelle), abbia  realmente  cercato Dio con  una marcia in più rispetto al suo tempo, rappresentato dal Vecchio testamento.

 

Ratzinger afferma  che l’etica e quindi ogni legge ed infine  la   giustizia sono   immutabili ed universali  essendo i testi sacri  rivelati da Dio,ai suoi legittimi successori,cosa tutta da vedere….

Però tutti i testi sacri gli danno torto, proprio per la loro  mutabilità che abbiamo appena constatato e per la ridicola  versione   con la quale si è tentato di farli passare come verità rivelata.

La presenza degli stessi profeti assieme a Gesù costituisce il nucleo progressista, la modernità di allora,la mutazione,il cambiamento… ma tanto a Ratzinger frega niente,anzi è proprio questo che teme.

La giustizia quindi, secondo Ratzinger,  procederebbe in eterno sempre uguale a se stessa dall’alto verso il basso, cioè in ultima analisi  da lui, che è il vicario di Dio in terra, verso noi mortali.

E’ la legittimazione della sacralità del potere assoluto, anzi la sua  restaurazione che dura ormai più di  sedici secoli, per cui invero Ratzinger rappresenta solo un epigone  sia pure molto rappresentativo.

Ribadisco la mia convinzione: è l’uomo che cerca dal basso verso l’alto l’etica,  la legge , la giustizia e Dio per cui il relativismo etico che  il vicario tanto depreca è nella nostra natura, è evidente nella varietà delle culture, è insopprimibile come insopprimibile è la diversità, la curiosità e la libertà dell’uomo, il quale continua a mangiare la biblica mela ogni giorno della sua vita, che  piaccia o no ai vari papi infallibili ed immutabili.

Se con questa ricerca  si arrivi o meno  a Dio, non è cosa  che mi riguarda, quanto invece mi sta a cuore questa  attuale   posizione che voi, come tanti altri, avete presa e della quale, mi pare come detto sopra, non abbiate la  totale  coscienza delle  implicazioni che essa contiene. In essa è implicito il rinnegamento totale della religione del libro, in cambio della religiosità dei suoi contenuti.

Non è la parola di Dio all’uomo, ma la parola dell’uomo su Dio o meglio ancora, più precisamente, è  la storia della parola dell’uomo su Dio, non Dio che entra nella storia.

Il testo sacro, diventa il testo sul sacro,testo di uomini,insomma,così come era  stato fin dall’inizio,  ossia  nel  periodo del cristianesimo ebraico, prima che questo diventasse, con  Paolo e con il primo concilio di Nicea una pizza quattro stagioni da esporto nell’impero romano.

La religiosità cristiana che in questo modo  verrebbe ristabilita,  annullata solo  nella sua eziologia, resterebbe comunque intatta nei suoi principi fondamentali con l’immenso vantaggio che in luogo di proporre una verità unica ed assoluta, propone la ricerca di essa sulle basi già acquisite e quindi  non potrebbe mai  discriminare  un diverso.

Un islamico  ed  un ebreo,  sarebbero tutti   unitamente tesi nella ricerca di  un unico Dio condiviso, pur seguendo vie diverse in se stesse non pregiudizievoli per l’esistenza della altre.

Lo stesso  rapporto si stabilirebbe con  altre religioni non monoteistiche o non trascendentali oppure con l’ateismo,in ragione del fatto  che comunque sono pur sempre  la  ricerca di verità,  per la quale non si può  prescindere dall’esigenza comune  di giustizia, così come con vivacità e chiarezza si esprime il nostro autore.

Non  sarebbe giustificato invero nemmeno l’attuale odio contro i cristiani i quali fra l’altro potrebbero assurgere a paradigma di un nuovo modo di vivere per  le  diverse religioni, in totale concordia.

La ricerca dei comuni denominatori,  seguita da parziali rinunce da parte dei concorrenti, così come ben prospettata e sostenuta da Hans Kunk, è un compromesso il cui  equilibrio, anche se realizzato, sarebbe comunque instabile e si perderebbe al primo soffio di vento.

Del tutto inutili sono le scuse di Wojtila che, al di là dell’emozione suscitata, rappresentano un tentativo di riconciliazione assolutamente di facciata,  fintanto che  non si rinuncia anche  alla causa che ha prodotto gli  errori da lui riconosciuti. Causa che, per essere lapalissiana e semplice, balza agli occhi con evidenza. La verità divina  assoluta, immutabile, di loro esclusiva pertinenza e  gestione  non si  può conciliare con gli altri se non con loro  totale sottomissione. Gli zuccherini e le lacrime non servono a nascondere questa elementare  contraddizione. I baci. gli abbracci. le fiaccolate,le riunioni in nome della pace,sono rappresentazioni teatrali,ne più e né meno.

Ci  vuole  il disarmo  unilaterale e totale.  Utopia? Certamente, fermo restando che  qualsiasi utopia diventa realtà quando saranno in molti a volerla.

Ed oggi questo potrebbe essere più facile di quanto non  si creda, soprattutto se si tiene conto   del vantaggio  che offre il  trasferimento della “teologia del rivelato”  nell’ambito più  filosofico  ed umano della “teologia della rivelazione”. Questo cambiamento di fronte toglierebbe  il  pretesto a   tutti quei poteri  assoluti , religiosi e  laici,  che  agiscono in nome del  Dio  manifesto, al fine triviale di   imporre la loro insaziabile  volontà di domino sub vestimentis ovium, a chi non   ha potuto sottrarsi  a quella fede che fin da piccino ha  dovuto acriticamente accettare con una imposizione indiscriminata  e totalizzante.

 

La teologia della rivelazione, va da sé, porterà,  come perpetua eredità, l’ombra del dubbio che, così come afferma Emanuele Severino, costituisce l’essenza stessa di ogni  fede   sia per il cristiano,sia  per i non cristiani e per gli atei. Il dubbio sarebbe il collante dell’umanità ed un invito alla  modestia ed al riconoscimento dell’ “altrui” , la prima pietra per cancellare l’odio. Il resto verrà da sé,forse con un po’ di  varietà.

Una vecchietta  quasi centenaria ogni tanto mi rassicurava dicendomi:

 

“ Il mondo è bello perché è vario

   Se così non fosse,

   Sarebbe un calvario”

 

Non era mia parente,ma quando se ne è andata,mi ha lasciato solo,con una grande  convinzione .

La varietà è un bene a cui non si deve rinunciare.

 

Alla prossima. Cordialmente    Giuseppe Totaro