Si narra che Barbara di Nicodemia in Bitinia fu rinchiusa in una torre e poi condotta al martirio per la sua indomata fede Cristiana, osteggiata dal padre pagano Dioscoro che, il 4 dicembre (circa nel 288 d.C.), fu incenerito da un fulmine celeste, simbolo della morte immediata senza la possibilità di redimersi.
Protettrice
degli artificieri, degli artiglieri, dei minatori, dei carpentieri e dei vigili
del fuoco; viene invocata come protettrice contro i fulmini e la morte
improvvisa.
Il
nome Barbara è di origine greca e significa “straniera”.
Viene festeggiata il 4 dicembre.
Nicodemia
di Bitinia, in quel tempo, era una città fiorente. Era stata fondata nel 264
a.C. dal re Nicomede I. Fu fondata sulla sponda Nord della baia di Astaco e
divenne ben presto un centro di notevole importanza. Quando, nel IV secolo d.C.,
Nicomede IV offrì il suo regno all’impero romano, Nicodemia accrebbe la sua
importanza, tanto che Diocleziano la volle come sua sede.
A
Nicodemia viveva Dioscoro con la sua famiglia: una moglie e una giovane figlia.
Dioscoro era un funzionario che lavorava alla corte di Diocleziano. Qui aveva
fatto sfoggio di tutta la sua fanatica devozione all’imperatore e,
soprattutto, agli Dei pagani.
Nonostante
il padre Dioscoro, la rinchiuse in una torre per impedirlo, Barbara divenne
cristiana. Per questo motivo fu denunciata dal prefetto Martiniano durante la
persecuzione di Massimiano (III – V sec.) e imprigionata
a Nicodemia.
La Leggenda narra della collera di Dioscoro quando si
accorse che nella torre era stata edificata una terza finestra. Infatti, Barbara
per sfuggire al pericolo implorò il Signore affinchè le aprisse un varco nelle
pareti della torre. Iddio, dopo aver esaudito questa richiesta volle dimostrare
tutto il suo amore e tramutò in tre gradini uno scoglio che si ergeva sulla
montagna, per consentirle di poter osservare le mosse del padre che
l’inseguiva. Per sfuggire al padre la fanciulla cercò riparo presso un sasso,
ma ecco che la roccia, miracolosamente si aprì, assumendo la forma di una
nicchia nella quale ella trovò riparo. Il padre, intanto, incontrò due pastori
ai quali chiese se avevano visto una fanciulla in fuga. Il primo, per salvarla
tacque, mentre l’altro, con un dito indicò la direzione del luogo in cui si
era nascosta. Quando finalmente Dioscoro la raggiunse, la percosse, la
ricondusse a casa e poi la consegnò al Prefetto.
Fu prima
percossa con le verghe, torturata col fuoco, poi subì il taglio delle mammelle
e altri tormenti. Infine venne decapitata per mano del padre, che la tradizione
vuole incenerito subito dopo da un fulmine. Sempre la tradizione racconta che
durante la tortura le verghe con le quali il padre la picchiava si trasformarono
in piume di pavone, per cui la santa viene talvolta raffigurata con questo
simbolo.
Dolcissimo è l’episodio della fanciulla che supplica
il Signore di coprire le sue nudità. Barbara, infatti, non implora Dio quando i
suoi carnefici infieriscono sul suo corpo, ma quando lo espongono al disprezzo
della gente. E ancora una volta l’Onnipotente, misericordiosamente interviene
e copre quelle carni martoriate, inviando una schiera di angeli che la ricoprono
con candidi veli.
Ed ancora una volta, questa suggestiva leggenda di
Barbara di Nicodemia ci si propone come metafora della titanica lotta fra due
mondi, quello pagano e quello cristiano.
Per
Dioscoro la dottrina cristiana non aveva alcun fascino, imbevuto com’era di
quell’ideologia pagana, formatosi ad una scuola di vita dove tutte le
soddisfazioni della carne erano permesse, dove le credenze sulla sopravvivenza
dell’anima erano respinte quasi universalmente dagli uomini di cultura. La
dottrina cristiana insegnava, invece, la mortificazione della carne,
incoraggiava la castità, esigeva addirittura dai suoi adepti che amassero i
loro nemici e facessero del bene a quelli che li odiavano. Tutto ciò era
incomprensibile per Dioscoro. Soprattutto, egli non riusciva a farsi una ragione
del fatto che questa malefica ideologia avesse contagiato proprio la sua
figliola.
Ecco
perché, dopo lunghe trattative, tentativi di persuasione, preghiere, minacce,
il padre giunse alla conclusione che quella figlia doveva morire. E poiché
c’era da riscattare l’onore del casato, l’opera non poteva concludersi
meglio che con l’esecuzione praticata da lui stesso, con le sue stesse mani.
Dopo
la morte di Barbara vi sarà ancora un’esaltazione del terrore voluta da
Diocleziano. Poi con Costantino, l’incubo finirà.
IL TRIONFO DI BARBARA
E poi venne Costantino, il primo imperatore che si convertì al cristianesimo. Fondò Costantinopoli (l’odierna Instabul), che rimase la capitale dell’impero bizantino fino al 1453.
Figlio del comandante Costanzo Cloro e di Elena (in seguito proclamata santa), trascorse la giovinezza alla corte di Diocleziano; nel 305, il padre divenne imperatore e Costantino, che aveva dimostrato il proprio talento militare in Oriente, lo raggiunse in Britannia. Grazie alla sua popolarità fra i legionari, alla morte del padre (306) venne proclamato imperatore.
Secondo
la leggenda, nel 312, alla vigilia della battaglia contro Massenzio (suo rivale
al trono) gli apparve in sogno Gesù, che gli chiese di scrivere le prime due
lettere del proprio nome (in greco XP) sugli scudi dei suoi soldati. Il giorno
seguente, Costantino avrebbe visto una croce stagliarsi contro il sole, e nel
cielo sarebbero apparse le parole: “In hoc signo vinces”, in questo segno
vincerai. Quest’episodio segnò l’inizio della sua conversione al
cristianesimo.
23
anni erano trascorsi dal martirio della fanciulla di Nicodemia, decapitata il 4
Dicembre del 1290. Il suo sacrificio non era stato vano.
UN
CULTO DILAGANTE
Come
un’epidemia quella storia si diffuse fin nelle più lontane propaggini
dell’impero restando miracolosamente intatta. Il culto di S. Barbara fu un
culto forte e lasciò le sue impronte, ancora oggi visibili e verificabili.
E’
praticamente impossibile contare tutte le città italiane che hanno eletto loro
Patrona la giovane martire di Nicodemia. Ricordiamo Rio Marina nell’isola
d’Elba, Montecatini Terme in provincia di Pistoia, Piane Crati, Rovito e Marzi
in provincia di Cosenza, Paternò in Sicilia, Amaroni in provincia di Catanzaro,
Colleferro in provincia di Roma, Cencio in Liguria, Furti, Nureci e Ninnai in
provincia di Cagliari, Fontana Liri in provincia di Frosinone, Gravere in
provincia di Torino, Belledo in provincia di Como.
Il
corpo di S. Barbara si venera, dal 1009, nella chiesa veneziana di S. Giovanni
Battista a Torcello. La reliquia del cranio era custodita, prima in un busto di
legno poi in uno di metallo, nella chiesa di S. Barbara dei Librari. Con la
soppressione della parrocchia di S. Barbara, avventua il 15 settembre 1594,
l’insigne reliquia fu portata a S. Lorenzo in Damaso. Il reliquiario parte in
argento , parte in argento e bronzo dorato, è da attribuirsi alla prima metà
del XVI secolo. Il diario Romano (1926) indica a S. Maria in Traspontina,
nell’altare a lei dedicato, un frammento di un braccio. Alcune reliquie non
insigni di S. Barbara sono conservate, in un cofanetto del XII secolo, nel
Tesoro di S. Giovanni in Laterano.
Nel mondo S. Barbara è venerata in Svizzera, in Spagna, nella ex Cecoslovacchia, in Egitto, in Belgio, in Olanda, in Inghilterra, in Austria, in Germania, in Romania e in Francia.
A La Plata in Bolivia, a Bolivar nell’Equator e a Majorca, S. Barbara è la Patrona della città.
I
PIANOTI E S. BARBARA
Si racconta che tanti secoli fa, una vecchietta tornando a casa dalla campagna, vide in un burrone, denominato “Ricune”, poco distante da Piane Crati, una donna bellissima che pascolava un gregge. “Io mi chiamo Barbara” disse la donna alla vecchietta “e questo gregge che io pascolo sono i tuoi compaesani; perciò desidero che Piane Crati si consacri a me”, e scomparve. L’anziana signora ritornò in paese per riportare la lieta novella. Piane Crati si consacrò così alla Santa che lo protesse più volte. Pare, infatti, che un giorno si sia scatenato un grande temporale ed un fulmine caduto sulle baracche, uccise molte persone, ma i pianoti rimasero inspiegabilmente illesi.
Con un secondo miracolo la Santa avrebbe salvato i suoi protetti dalla peste che colpì l’hinterland cosentino nel Seicento. Fu in questa occasione che i pianoti videro una seconda volta S. Barbara che toglieva gli stracci infetti, giacenti nei dintorni del paesello.
Si racconta, inoltre, che una certa Betta di Donnici Superiore, sposata con un pianota di nome Giuseppe Tosto, al ritorno dal suo paese natio incontrò S. Barbara che le disse di essersi recata a Donnici per salvare una pecorella smarrita. Dopo poche ore un violento sisma distrusse Donnici Superiore.
Il 4 dicembre, in occasione della festa di S. Barbara, i pianoti offrono “pannicelli” e “taralli” alle persone che chiedono la cosiddetta “pietanza”. E’ una vecchia consuetudine ma che ha un grande significato: aiutare le persone bisognose.
PREGHIERA
DEI PIANOTI
Illustre Vergine e Martire Santa Barbara,
Padrona ed avvocata nostra,
prescelta dai nostri padri per la custodia di questa devota terra,
deh! Gradite il culto che abbiamo per voi,
e i voti che ogni anno vi offriamo.
Vi preghiamo di ottenerci la perseveranza nelle buone opere,
ed una viva fede,
affinché con ferma speranza potessimo aspirare al Cielo
per godervi insieme con gli angeli e i Santi
nello splendore dell’Eterna Carità.
FONTI
1)
Codice Vaticano Barberino Greco IV, 38
2)
Codice Vaticano Barberino Latino n.2268
3)
Codice dell’Archivio Capitolare di Rieti
4)
Codice Alessandrino n.96
5)
“Reliquie Insigni e Corpi Santi a Roma” di Giovanni Sicari
6)
“Ite ad Barbaram” di Franco Infelise