C'E' UN COMPLOTTO PER NEGARE I COMPLOTTI
C’è un complotto per negare i complotti
Di Maurizio Blondet, tratto da
www.effedieffe.com
Non c’è nessun complotto nella storia.
Mai.
L’11 settembre 2001, l’immenso tragico attentato, è opera di Al Qaeda.
E’ normale, dopo aver frequentato una scuola di volo e non aver imparato, a
detta degli istruttori, nemmeno a pilotare bene un apparecchietto da turismo,
mettersi alla cloche di un colossale Boeing e colpire tre su quattro bersagli
determinati.
E’ normale che due grattacieli d’acciaio alti mezzo chilometro, colpiti
«lateralmente» da aerei, cadano in modo perfettamente «verticale»; e che ne cada
un terzo, l’edificio 7, mai colpito da alcun aereo, nella stessa perfetta
verticalità.
E’ normale che qualcuno, sei o sette giorni prima dell’11 settembre, abbia
speculato al ribasso sulle azioni delle due linee aeree che sarebbero state
colpite dal disastro - di fatto scommettendo che sarebbero crollate in Borsa -
con un volume di scambi superiore del 700% rispetto al consueto.
E’ normale che un Boeing lungo 50 metri e largo 44 non lasci traccia di sé sul
prato del Pentagono, non strini nemmeno la verde erbetta, nulla.
E’ normale.
Chi si pone quelle domande è un complottista, un mattoide, un ossessionato.
Ve l’hanno detto da cinque anni.
Ed ora, tutti i grandi media ve lo stanno ripetendo sempre più spesso, sempre
più nervosamente: l’11 settembre non è stato un complotto.
Certe TV, che per cinque anni non hanno mai dato segno di sapere che sulla
faccenda esistevano dei dubbi, ora organizzano perfino dei cosiddetti dibattiti,
per discutere i fatti inspiegati dell’11
settembre, e per «spiegarli» con l’aiuto di «esperti».
Il fatto è che a Chicago si apre un convegno internazionale dal titolo «11
settembre, rivelare la verità, reclamare il nostro futuro», e quell’evento
minaccia di rompere il muro di silenzio così ben conservato per cinque anni.
Si deve dunque mettere in guardia l’opinione pubblica: non credete ad una parola
di quello che si dirà là, sono tutti pazzerelli, sognatori, ossessivi, persino
antisemiti…tutti i complottisti sono antisemiti, assicurava anche ieri Sergio
Romano sul Corriere, tutte le teorie del complotto nascono dai «Protocolli dei
savi di Sion».
Ma perché tutta questa foga a screditare?
Il convegno di Chicago non merita una normale copertura giornalistica?
La merita almeno perché è una rivolta di notevole significato politico contro
l’attuale governo americano; e viene dal basso, da centinaia di movimenti
spontanei, da famiglie di morti nelle Twin Tower, da professori universitari, da
attori come Charlie Sheen (premio Oscar per
Platoon) e Susan Sarandon, da deputati come Cynthia McKinney.
Un simile movimento politico di protesta dal basso è raro negli Stati Uniti,
dove la politica è ingessata dai due soli partiti «ufficiali» che non si
distinguono in nulla, e dove fare politica è materia riservata a chi può
spendere miliardi di dollari, che ricevono con donazioni solo i candidati
politicamente corretti, ossia rassicuranti per i miliardari.
Nel convegno di Chicago ha messo dei soldi un miliardario coraggioso, Jimmy
Walter, che abita (prudentemente) ad Amsterdam; ma tutto il resto viene dalle
fatiche e dai risparmi di migliaia di persone comuni, che si sono messe in
contatto per anni via internet; che fanno vivere sulla rete, con contribuzioni
volontarie, siti che si chiamano «Cosa è veramente successo» (What Really
Happened), «Domande senza risposta» (Unanswered Questions) e simili, e che hanno
- tenetevi forte - oltre 4 milioni di lettori al giorno in tutto il mondo.
Assai più del Washington Post e del New York Times, i cosiddetti «grandi
giornali autorevoli».
Insomma: ciò che si manifesta per la prima volta nel convegno di Chicago è un
movimento di massa paragonabile a quello per i diritti civili di Martin Luther
King, o a quello contro la guerra del Vietnam che dilagò nelle università
americane e cambiò la vita americana e occidentale.
Per anni, i «grandi» media non hanno dato spazio ai dubbi sulla versione
ufficiale (ciò che essi chiamano «teorie complottiste») con la motivazione che
venivano da «frange marginali» della società, e quindi trascurabili, da mettere
all'indice come folli.
Ma oggi, un sondaggio condotto dall’autorevole agenzia Zogby di New York ha
appurato che 42 americani su cento sono convinti che sull’11 settembre ci sia un
cover-up, un «insabbiamento» da parte di Bush, insomma che l’Amministrazione non
dica tutto, che abbia qualcosa da nascondere, e che la stia nascondendo.
E 45 su cento vogliono una nuova inchiesta indipendente sul grande attentato,
perché quella ufficiale fatta dal Congresso due anni fa (quasi tutta a porte
chiuse, senza pubblico, e con fasci di documenti segretati) non è stata
indipendente.
Certo, fra questo 45% sono in relativa minoranza quelli che sostengono che
l’attentato è stato un auto-attentato del governo americano per giustificare le
sue guerre in Afghanistan e Iran, notoriamente programmate prima dell’11
settembre.
Certo, la crescita dei dubbi sulla versione ufficiale fra la popolazione USA ha
a che fare con l’orrendo impaludamento dell’occupazione dell’Iraq, una guerra
che Bush scatenò sulla base di menzogne (le armi di distruzione di massa di
Saddam) e che ha dichiarato «mission accomplished» tre anni fa.
Ma anche la protesta popolare contro la guerra in Vietnam avvenne solo quando
gli americani morti sul Mekong superarono il numero di 55 mila, e 5 milioni di
americani avevano partecipato alla guerra.
Il popolo americano è paziente, ma ammaestrato dall’esperienza.
Oggi, i soldati morti in Iraq sono solo 2500 circa.
Ma anche in Vietnam, nei primi tre anni di conflitto, morirono solo 2500
americani; poi ci fu l’impennata, e quelli che oggi reclamano «la verità»
vogliono che la nazione prenda coscienza prima di un’altra impennata di sangue.
E’ un po’ tardi per ridicolizzare come pazzarielli, isolati e marginali, 45
americani su cento.
Per bollare come «complottiamo» quello che stanno dicendo a Chicago, ma da anni
su internet: non già che l’11 settembre è un complotto (su questo, la gente
comune non può avere se non indizi), ma che il governo Bush, che ha già mentito
per fare entrare l’America in guerra, può aver mentito sull’attentato.
Vuol dire che il sistema di potere USA sta perdendo la sua legittimità agli
occhi del suo popolo, come ai tempi del Vietnam.
E’ un fatto politico da prendere molto, ma molto sul serio.
I nostri media italiani non lo fanno.
Questo risveglio democratico di base sembra loro meritevole solo di articoli «di
colore», ridanciani e leggerotti.
Perché, dopo cinque anni di silenzio sulle tesi alternative alla verità
ufficiale, tanto zelo improvviso a parlarne per screditarle, su Il Corriere e su
Matrix?
Nel 1968 Edward Luttwak, il noto analista del Pentagono, pubblicò con la Harvard
University Press un libro di grande interesse, dal titolo significativo: «Il
colpo di stato - manuale pratico». In esso, si immaginava come condurre con
successo un colpo di Stato nella più grande democrazia del mondo, gli Stati
Uniti.
E v’era un capitolo dedicato alla manipolazione dei media da parte degli
immaginari golpisti.
In cui si legge: «Le trasmissioni radio-televisive avranno lo scopo non già di
dare informazioni sulla situazione, bensì di controllarne lo sviluppo grazie al
nostro monopolio sui media… le notizie di ogni piccola resistenza contro di noi
agiscono come un potente stimolante ad ulteriori resistenze, perché riducono
quel senso di isolamento. Quindi […] dobbiamo sottolineare con forza che essa
viene da individui ‘isolati’, mal informati e disonesti, che non sono affiliati
a nessun partito importante… ciò farà apparire la resistenza inutile e
pericolosa».
E’ una lezione che i direttori dei nostri «grandi» media sembrano aver imparato
benissimo.
Sono straordinari, nel loro partito preso di non vedere nulla di strano in quel
che è successo l’11 settembre 2001; se hanno ragione loro, è inutile mandare i
piloti Alitalia che passano dal Boeing all’Airbus a fare sei mesi di difficile
corso, con costosi simulatori di volo; basta spedirli un paio di settimane nelle
scuole di volo della Florida.
Ed è inutile spendere tanti soldi, tonnellate di esplosivo e impegno di
ingegneri per fare demolizioni controllate: basta dare un bel colpo in qualunque
modo, e i grattacieli vengono giù da soli in perfetta verticale.
Il mondo che ci descrivono i «grandi media» è un mondo fantastico, dove non
esistono le leggi della fisica, dove le cose «accadono» senza bisogno di
progettazione, dove si possono dirottare aerei armati di taglierini, dove si può
telefonare coi cellulari in volo…
Dopotutto, caro ambasciatore Sergio Romano, un complotto nella storia c'è stato,
ricorda? L’incendio del parlamento tedesco, il Reichstag.
Hitler proclamò che era un attentato comunista, e per salvare la patria messa in
pericolo dai terroristi, assunse i poteri dittatoriali.
Oggi sappiamo che l’incendio fu opera delle SA nazionalsocialiste.
E se l’11 settembre fosse un altro Reichstag?
Perché negarlo per principio?
Si può finire per credere che la stampa ufficiosa partecipi ad un complotto per
negare i complotti.
A nome di poteri che hanno tanto, troppo da nascondere.
Maurizio Blondet.