L'81% DEGLI AMERICANI NON CREDE ALLA VERSIONE UFFICIALE SULL'11 SETTEMBRE
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Di Maurizio Blondet. Tratto da
www.effedieffe.com.
STATI UNITI - La maggior parte degli americani adulti sono convinti che il governo Bush abbia nascosto parte o tutta la verità sull’11 settembre: per l’esattezza il 53%, secondo un sondaggio New York Times-CBS. E il 28 % è convinto ormai che sia tutta una menzogna di Stato.
In totale, quindi, l'81% degli americani intervistati ha dichiarato di non credere alla versione ufficiale dell'11 settembre.
Solo il 16% continua a ritenerla vera, e il 3% ha dichiarato che non sa cosa pensare (1).
Una caduta impressionante, se si pensa che ancora nel 2003, quando Bush annunciò la guerra contro Saddam, 86 americani su cento erano con lui nella «guerra al terrorismo globale».
Significativa anche l’evoluzione dell’opinione pubblica.
Nel 2002, lo stesso sondaggio con la stessa domanda appurò che il 21% credeva alla versione ufficiale dell’11 settembre, contro il 16% di oggi.
Allora, il 63% era convinto che l’amministrazione «nascondesse qualcosa», contro il 53% di oggi. Ma ciò perché gli americani convinti che «sia tutta una menzogna» sono saliti dall’8% al 28%. Si è ridotta anche la quota degli incerti, di quelli che replicano «non so» o non rispondono. Erano 6 su cento nel 2002, ora solo 3 su cento.
Intanto esce in USA un saggio di
Philip Shenon, noto giornalista del New York Times che a suo tempo seguì le
udienze della Commissione parlamentare sull’11 settembre, che può grandemente
aumentare il numero degli increduli
(2).
Il volume, «The
Commission: The Uncensored History of
the 9/11 Investigation»,
è centrato
sulla figura di Philip Zelikow, il personaggio che fu nominato (dalla Casa
Bianca) direttore esecutivo della 9/11 Commission, ossia di fatto il capo delle
investigazioni.
Zelikow poteva decidere quali testimoni ammettere, quali
materiali portare come prove, e filtrare tutta la documentazione sul caso.
Ora,
si scopre ciò che tutti i grandi media sapevano: che Zelikow accumulava su di sé
una quantità incredibile di conflitti d’interesse.
Amico personale di Condoleezza
Rice, al cui fianco ha lavorato nel National Security Council al tempo della
presidenza di Bush padre, Zelikow aveva capeggiato il
«transition team»
per Bush figlio, ossia il gruppo che assicurò il passaggio delle consegne dal
presidente uscente (Clinton) a quello entrante.Un
lavoro di strettissima fiducia presidenziale.Fiducia confermata dal fatto che,
un mese dopo l’11 settembre 2001, George Bush jr. nominò Zelikow capo del
President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB).
Si tratta di un riservatissimo ufficio che è l’interfaccia tra il
presidente e le numerose agenzie di intelligence americane, dalla CIA alla DIA
(militare), dalla National Security Agency all’FBI.
I suoi sedici membri hanno il compito di vagliare le informative
ultra-riservate che vengono da queste agenzie, di valutarne la fondatezza e di
riferirne al presidente in persona.
Per questo compito delicato, Zelikow aveva accesso completo alle fonti più
segrete dello spionaggio e controspionaggio.
Con un simile
«investigatore»
a capo delle indagini della Commissione parlamentare, ogni critica alla Casa
Bianca per la evidente incapacità (o peggio) di prevenire i mega-attentati del
cosiddetto bin Laden, è stata ovviamente neutralizzata.
Tutto
questo era noto ai media anche prima.
Anche chi scrive ha riferito
nel suo libro «Israele,
USA il terrorismo islamico»
(EFFEDIEFFE, 2005, pagina 159) un significativo dettaglio.
Philip
Zelikow, parlando a pochi analisti politici selezionati alla Virginia University
il 10 settembre 2002, aveva detto loro che, naturalmente, l’Iraq non
aveva bombe atomiche né si preparava a
lanciarle contro gli USA, come ripeteva in quei giorni Bush.
E confidò:
«E
perché l’Iraq dovrebbe usare
armi nucleari contro di noi? Vi dico io quale pericolo reale rappresenta,
e questo fin dagli anni ‘90: è una minaccia per Israele».
Ma questo motivo non può essere reso pubblico, aggiunse,
«perché
è una politica non troppo popolare».
Aiutare
Israele a liberarsi dai suoi avversari, cioè.
La novità non sta dunque
nelle rivelazioni di Shenon.
Sta nel
fatto che un giornalista del New York Times, il più ufficioso dei grandi media,
le racconti oggi.
Il sospetto e l’incredulità
verso la versione ufficiale sale dai «cospirazionisti
marginali»
ai media dotati d’influenza.
Se
questa configuri una concreta minaccia per la versione ufficiale e per Bush
stesso, non è chiaro.
Apparentemente, il presidente agli sgoccioli, e al punto più basso della sua
credibilità, si comporta come dovesse restare alla Casa Bianca in eterno.
George Bush ha appena
reso noto il bilancio di previsione per i prossimi 12 mesi: un colossale aumento
di spesa pubblica (la cifra del bilancio supera, per la prima volta, i 3
trilioni di dollari, il 6% in più rispetto al budget precedente) non dedicata
però a contrastare la recessione in arrivo o ridurre l’indebitamento, bensì ad
accrescere le spese militari (3).
L’ultimo bilancio di Bush
«risparmia»
tagliando le poche spese di tipo sociale dello Stato: meno 196 miliardi in
cinque anni per Medicare (la sanità gratuita per i vecchi) e Medicaid (la
striminzita assistenza per i poveri).
In compenso, ci sono nuovi tagli di tasse per
i ricchi, presentate come «stimulus»
anti-recessione. Anche per questo il deficit resta altissimo, sui 407 miliardi
di dollari.
«Il
presidente ripropone le stesse politiche fallimentari che hanno caratterizzato
la sua presidenza»,
ha detto il presidente della Commissione Bilancio, il democratico Kent Conrad:
«Più spesa bellica
a debito, più tagli fiscali
finanziati a debito intesi a favorire i più ricchi, e più indebitamento
con Paesi stranieri come Cina e Giappone».
Ma Bush tira dritto, come se sapesse che non sarà mai chiamato a rispondere dei
suoi atti.
In
questo senso, una notizie inquietante è stata raccolta da Paul Joseph Watson,
uno dei più informati
«cospirazionisti»:
soldati americani in Iraq sarebbero stati sottoposti ad uno speciale
addestramento che simulava rastrellamenti, arresti e sequestro di armi casa per
casa
«sul
suolo americano».
Tutto ciò, era stato spiegato dai superiori, per neutralizzare cittadini
americani
«disobbedienti
alla legge marziale».
Venivano
selezionati i soldati che rispondevano sì alla domanda se erano disposti a
sparare su loro amici o parenti, se gli veniva ordinato
(4).
Già nel 2006 era emerso
un programma segreto, chiamato «Clergy Response Teams», in cui pastori e
preti sono stati addestrati dalla FEMA (la protezione civile) a «tenere
tranquille» le pecorelle della loro parrocchia, a «calmarne il dissenso»
e a «pacificare» i cittadini «perché obbediscano allo Stato in
caso di dichiarazione della legge marziale».
Soprattutto in caso di «vaccinazioni di massa e rilocazioni forzate».
Note:
1)
«Americans Question Bush on 9/11
Intelligence», Angus
Reid Global Monitor, 2 febbraio 2008.
2) Max Holland, «9/11
Commission had to go through Bush advisor’s
Karl Rove», mparent7777
blogspot, 4 febbraio 2008.
3) Martin Crutsinger, «Bush
unveils $3.1 trillion spending plan»,
Associated Press, 4 febbraio 2008.
4) Oaul Joseph Watson, «US
Troops Asked If They Would Shoot American Citizens»,
PrisonPlanet, 4 febbraio 2008.