Catone il censore (Tuscolo 234 - Roma 149 a.c.) 

 

Franco Battiato non sopporterà i cori russi, la musica finto rock, il free jazz punk inglese e tante altre cose ma Catone, pur non essendosi mai pronunciato in materia, sicuramente non sopportava tutto il resto.

"No al lusso, è roba da Greci..."

E ancora: "Politica espansionistica? Perché cercare di complicarsi la vita?"

"Quel tizio non mi garba, quell'altro nemmeno..... come dice? E' senatore? Non c'è problema, lo espelliamo..."

Ma avrà mai avuto qualche amico? Sì, insomma, qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere ogni tanto......

Non che Marco Porcio Catone fosse un uomo cattivo, o forse sì, ma non è questo il punto... la questione è che era un po' ripetitivo nelle sue aspre condanne, e stargli vicino non penso che fosse piacevole.

 

Nonostante ciò il Censore per antonomasia fu un personaggio importante, un uomo politico, uno scrittore nato da una famiglia di agricoltori che però entrò nella vita pubblica percorrendo tutti i gradi del cursus honorum. 

Combatté contro Annibale agli ordini di Fabio Massimo, fu questore nel 204, pretore nel 198 in Sardegna, dove acquistò fama per la severità usata contro la corruzione della pubblica amministrazione, e console nel 195, quando represse in Spagna la rivolta dei Celtiberi; nel 184 fu censore e colpì inesorabilmente il lusso e la corruzione. Successivamente, anche senza più ricoprire cariche, ebbe un enorme prestigio e dominò il Senato. Di carattere tenace e di mentalità conservatrice, fu assertore del nazionalismo tanto nella vita quanto nella letteratura. Ebbe come direttiva costante la preoccupazione di distruggere Cartagine, nella quale vedeva una rivale della potenza romana, tanto che è rimasta famosa la conclusione di tutti i suoi discorsi: ''Ceterum censeo Carthaginem esse delendam'' (del resto penso che Cartagine debba essere distrutta). Osteggiò l'introduzione in Roma della cultura e della filosofia greche, favorita dagli Scipioni, e, in opposizione ai molti autori romani che scrivevano in greco, compose tutte le sue opere in latino, inaugurando un costume destinato a rimanere costante. 

Della sua produzione letteraria si è conservato per intero il Liber de agri cultura, mentre restano solo pochi frammenti delle Orazioni, dei Libri ad Marcum filium, manuale enciclopedico nel quale, per evitare al figlio l'influenza della cultura greca, Catone espone le varie dottrine secondo i principi della più pura tradizione indigena, e delle Origines, la prima grande opera in prosa della letteratura latina, nella quale, abbandonando il metodo annalistico, Catone affronta una visione unitaria della storia di Roma e delle altre città italiche fino alle guerre puniche.

 

 

 

Zona non formale

Io capisco Catone il Censore, che andava ripetendo continuamente: « Delenda Carthago! » (per gli studenti della nuova scuola classica: « Bisogna distruggere Cartagine »).
Questa potenza extra-europea, strapotente, prepotente, invadente, doveva essere davvero odiosa e insopportabile, oltre che un nemico pubblico.

Rendeva impossibile la vita ai vicini e ai lontani, agli amici e ai nemici. S'era insediata da padrona nel Mediterraneo; dall'Africa aveva messo piede in Europa, aveva attraversato la Spagna e le Alpi con quella specie di carri armati che erano gli elefanti, ignoti a Roma1, e con essi aveva invaso l'Italia da un capo all'altro, probabilmente dicendo d'essere stata chiamata, e vi aveva fatto da padrona, alternando guerre fredde con guerre calde, incursioni con paci infide, per riprender fiato e preparare nuovi attacchi, inganni, tradimenti. E si faceva sempre più arrogante.

Il Senato di Roma esitava a lanciarsi nell'avventura d'una nuova guerra.

 

Finché Catone non ne poté più. Visto che nulla valeva a scuotere i colleghi senatori, vecchio com'era, parte, va a Cartagine, compera un cesto di fichi, si reimbarca con esso, torna a Roma e si presenta al Senato, seguito da un servitore col cesto, per far sentire ai senatori che razza di fichi squisiti produceva l'odiata rivale, e indurli a muovere guerra.

 

« E lì dentro che c'è? » fa l'usciere alla porta.

« Fichi. »

« Fichi?! »

« Fichi, fichi. Non sapete che cosa sono i fichi? Non avete mai visto dei fichi? » E l'austero senatore scoperchia il cesto e mette sotto il naso dell'usciere i prelibati frutti ordinatamente allineati su file e file.

Sì, l'usciere sa benissimo che cosa sono, ne ha visti, ne ha anche mangiati. Ma non ha mai visto portarli in Senato. « Vuol lasciarli in guardaroba? » dice.

« No, » fa Catone con indifferenza « li porto con me» e fa per avviarsi.

L'usciere lo ferma, trasecolato: « Veramente, eccellenza, » balbetta « mi scusi, ma i fichi non sono ammessi in aula ».

« Perché? » fa Catone « c'è una disposizione che lo vieta? »

L'usciere è sempre più imbarazzato. «Il caso » dice «non è previsto espressamente, ma in linea di massima non si può portare in aula frutta o verdura, o comunque oggetti atti al lancio e alla offesa. Per evitare spiacevoli incidenti, lei mi capisce.»

«Ma che c'entrano i fichi?»

L'usciere giunge le mani, supplice: «Eccellenza, eccellenza,» esclama col pianto nella voce «lei non è nato ieri. Cerchi di capirmi. Mentre un oratore parla, gli arriva, salvognuno, un fico in faccia o un pomodoro in un occhio. Dove siamo? E s'immagina una battaglia parlamentare a base di lanci di carote? o un oratore con una pesca sotto un occhio? Poi chi ci va di mezzo sono io. No, no, non posso lasciar passare questa roba.»

«Eccellenza,» interviene il servo curvo sotto il cesto «questo pesa!»

«Un momento, un momento» fa Catone. Si volge al cerbero sulla porta, e taglia corto: «I fichi mi servono per il discorso che debbo pronunziare oggi».

L'usciere guarda allibito l'austero personaggio. Che gli abbia dato di volta il cervello? Forse l'età, l'arteriosclerosi. «Un discorso sui fichi?» balbetta esterrefatto.

«Proprio così. Un discorso sui fichi.»

«In Senato?»

«In Senato.»

Ormai l'usciere è convinto che il povero vecchio non è in sé. Cerca di prenderlo con le buone: «Capisco, capisco, eccellenza. Un discorso sui fichi. Molto interessante. Ma guardi che oggi non è in programma il bilancio dell'agricoltura. Il che, tuttavia, nemmeno giustificherebbe del tutto la cosa. Oggi è all'ordine del giorno una discussione sul riarmo e la guerra ».

«E volete che venga con una triremi? Ringraziate il cielo che vengo coi fichi!» Senza ulteriori indugi, l'autorevole senatore scosta il cerbero e passa.

 

L'aula è gremita in tutti i settori, per la storica seduta. L'attesa per il discorso di Catone, reduce dal lungo viaggio in terre ostili e lontane, è enorme. Si dice che egli farà rivelazioni sensazionali.

All'apparire di lui, seguito dall'uomo con la cesta, scoppia un applauso fragoroso misto a clamori dell'estrema sinistra.

Il presidente scampanella energicamente: «Silenzio, o faccio sgomberare l'aula!».

A poco a poco, mentre il nuovo venuto raggiunge il suo seggio, scambiando cenni di saluto coi vicini, i clamori si placano. Non tanto per la minaccia di far sgomberare l'aula, quanto per la vista della cesta, che incuriosisce tutti. Qua e là s'odono bisbigli: « Ma che porta, una cesta? », « Che ci sarà dentro? », « Documenti? », « Forse gli appunti del discorso ». (Ilarità.) « Misericordia! »

Il presidente scampanella: « La parola all'onorevole Catone! ».

L'assemblea si fa attentissima. Si sentirebbe volare una mosca. Nel silenzio generale, Catone s'alza, scoperchia la cesta, prende un fico e lo leva in alto, bene in vista.

« Onorevoli colleghi, » comincia « questo è un fico! » (Mormorio di sorpresa, impressione.) « Uno dei fichi che nascono a Cartagine! » (Sensazione.) « Ve ne ho portata una cesta. Assaggiateli e ditemi se non sono tali, per squisitezza, da giustificare una guerra per la conquista del suolo che li produce!»

 

A un suo cenno, gli uscieri cominciano la distribuzione, facendo su e giù per i vari settori, compresi quelli dell'opposizione. Intorno s'udivano esclamazioni: « Squisiti! », « Eccellenti! », « Che delizia! », « Che bontà! ». E già qua e là, dopo l'assaggio, scoppiavano, da parte dei più entusiasti, piccole grida di «Guerra! Guerra!».

Per quel giorno in Senato non si fece altro. La seduta fu tolta, i senatori si sparsero per la città sotto l'impressione di quei fichi prelibati, e fino a tarda ora durarono discorsi accesissimi contro la odiata rivale.

Visto che i fichi vanno sbucciati (all'amico monda il fico), l'indomani, facendo le pulizie, gli uscieri non face vano che dire: « Fortuna che non gli è venuto in mente di esortare la guerra contro la Spagna! » (rinomata per la produzione di cocomeri e meloni).

 

Da allora, Catone andava ripetendo il famoso monito: "Delenda Cartago!". Finché, batti batti, la spuntò: scoppiò la terza guerra punica che portò alla distruzione della potenza Cartaginese. purtroppo Catone era già morto, quindi non poté godersi, è proprio il caso di dirlo, i frutti della vittoria; o se preferite -ed è altrettanto il caso di dirlo- i frutti della campagna condotta per anni.

 

1 - In realtà Roma conobbe gli elefanti nella guerra contro Pirro, re dell'Epiro [N.d.r.]

 

 

Da Achille Campanile: "Vite degli uomini illustri")