Marco Manlio e le oche capitoline

 

I galli, durante il sacco del 390 a.c. avevano fortunosamente scoperto un passaggio segreto che dal tempio di Carmenta portava direttamente alla rocca del Campidoglio. Alcuni di loro lo percorsero carponi con cautela eludendo la vigilanza dei soldati di guardia e il fiuto dei cani. Ma ci fu chi si avvide della intrusione che si profilava fatale per Roma. Erano le oche. Sacre a Giunone esse erano state risparmiate dai romani pur fra tanta fame.

Le oche si misero a starnazzare. Il loro schiamazzo fu tanto forte da svegliare un ex console, Marco Manlio, famoso proprio per il suo sonno profondo. Ma per fortuna dei romani, al sonno di Manlio era corrisposto l'udito finissimo delle oche. Sicché l'ex console poté organizzare una prima resistenza e respingere i galli che gli si paravano davanti. Sopraggiungevano altri romani, e tutti insieme salvavano l'ultimo lembo di Roma libera. Nel pieno di tante ristrettezze, Manlio fu ricompensato con mezza libbra di farina e un quarto di vino rosso che ogni concittadino gli portò a casa l'indomani. Era poca cosa, ma la gravità della situazione conferiva grande rilevanza a un piccolo gesto. Per onorare la sua impresa Marco Manlio fu soprannominato Capitolino, e questo era il più invidiabile riconoscimento del suo eroismo. Ma lui, montandosi la testa, cominciò a brigare per assurgere alla carica di dittatore.  Fu infatti tempo dopo condannato a morte in quanto si mise a capeggiare le protesta della plebe per invidia verso Furio Camillo; fu così gettato dalla rupe Tarpea, paradossalmente la medesima sorte che toccò ad una sentinella che non aveva saputo fare buona guardia sul Campidoglio.

Alla dea Giunone si conferì l'appellativo di moneta - «colei che avverte», da moneo - in segno di ringraziamento. Le oche a lei dedicate e che avevano salvato Roma venivano allevate in un recinto sacro a essa. Il tempio di Giunone Moneta divenne stranamente anche la sede della Zecca dello Stato, per cui si designò il denaro con il termine di moneta.