Marco Papirio

 

Durante il sacco gallico del 390 a.c. sembra che, mentre la drammatica e catastrofica incursione imperversava per l'Urbe, i senatori siano rimasti al loro posto in Curia, non seguendo il resto della popolazione fuggitiva.

All'irruzione dei barbari rimasero immobili, tanto che uno dei galli di Brenno tirò la barba ad uno dei vetusti senatori per accertarsi che non fossero statue, ma alla reazione del vecchio tutto il senato venne passato a fil di spada.

Secondo altri, come il nostro Achille Campanile, un solo senatore rimase al proprio posto: l'illustre Marco Papirio.

 

 

Zona non formaleSempre a proposito di quelle tempre di ferro che (quanto diversi da quelli di oggi!) furono gli antichi romani, figuratevi un senatore Papirio, oggi. Quale storia! Quale esempio! All'appressarsi degl'invasori, tutti scappano. Lui no. Benché vecchio, benché inerme, li aspetta a piè fermo. Cerchiamo d'immaginarci la scena.

Ecco, l'esercito nemico arriva, si sparpaglia per le vie e per le case deserte, entra nel senato silenzioso e vuoto. I seggi marmorei sono abbandonati, non si sente volare una mosca. Anche il Se nato, come il resto della città, è stato precipitosamente sfollato. Ma chi c'è laggiù? In un seggio, nella marea dei posti vuoti, si vede un vecchio seduto. Lui: Papirio. Così solenne, severo, così bianco e immobile, che un soldato dell'esercito invasore, per accertarsi che non sia una sta tua, va a tirargli la barba.

Basterebbe questo per far passare alla storia un personaggio. Ma Papirio non si contenta. Avvenuto il tiramento della barba, con un colpo di littorio sulla testa accoppa l'indiscreto che gliel'ha tirata.

"All'anima della botta!" direte.

D'accordo. Ma, anzitutto: quale dignità e quanta grandezza! Non con una pedata, non con un ceffone, il vecchio reagisce, ma con l'emblema del proprio potere, col fascio littorio.

« All'anima della statua! » deve a sua volta aver esclamato l'indiscreto, esalando l'ultimo respiro, mentre Papirio presumibilmente tornava immobile in attesa d'altri eventuali strappatori della sua barba, da accoppare.

Dove trovereste, oggi, un senatore di questa tempra? (e anche che sappia assestare un colpo di quella fatta?). Papirio, non soltanto non fugge, non soltanto aspetta il nemico, ma lo aspetta seduto al posto che gli compete, con le insegne del proprio grado, e immobile. Perché? A che serve? Foss'anche Papirio riuscito ad accoppare con questa specie di trappola una dozzina di nemici, questo non avrebbe mutato le sorti della guerra.

 

Ma Papirio lavora per la storia. Prepara due righe. Non già ch'egli aspetti acquattato dietro una porta, per colpire subdolamente qualche invasore. Nessuno scopo pratico. Aspetta per compiere un gesto. Per dimostrare che un senatore romano non fugge, che non abbandona il proprio posto. Lavora per i libri di testo delle scuole medie.

L'unico guaio sarebbe stato se, tratti in inganno dal l'immobilità e dalla bianchezza, gl'invasori l'avessero creduto definitivamente una statua, non se ne fossero occupati e nessuno si fosse avvicinato. Ripugna alla storia immaginare un senatore Papirio costretto a tossicchiare per attirare l'attenzione d'un invasore e provocare così la storica scena per cui egli era là.

 

Ma si direbbe che il coraggioso vecchio sapesse in anticipo che un indiscreto gli avrebbe tirato la barba. E commuove l'impegno con cui egli va, con sublime ingenuità, a sedersi immobile nel proprio stallo, per farsi trovare lì dal nemico. Bisogna pensarlo mentre, appressandosi il nemico alla città, gli balena la prima idea sul da farsi, nello stesso momento in cui tutti si fanno prender dal panico e scappano; bisogna pensarlo mentre, concepito il piano in tutti i particolari, va al senato; mentre siede nell'aula deserta, mentre resta in attesa.

Ora, si presenta un quesito: Papirio volle di proposito essere scambiato per una statua? Quello stare perfetta mente immobile potrebbe far nascere questo sospetto. Allora bisogna pensare ch'egli, prima d'uscir di casa, si sia infarinato la faccia, che si sia dato un po' di biacca, che, insomma, si sia truccato da statua. Ma preferiamo scartar l'ipotesi d'un voluto tranello. Allora, da che tanta bianchezza? Semplice pallore? Vecchiaia? Niente di più probabile. S'aggiunga l'emozione del momento. Vogliamo escludere di proposito l'ipotesi di pallidezza estrema da paura, che, oltre a sminuire il fatto, implica l'idea di tremarella, contraria al concetto d'immobilità statuaria.

Naturalmente, l'invasore non avrà per prima cosa, entrando in Roma, invaso il Senato. Mentre l'Urbe veniva messa a ferro e fuoco, per parecchio tempo Papirio sarà rimasto immobile, tenendo d'occhio la porta e pensando:

Be'? Arrivano o non arrivano?

Avrà tradito un po' di nervosismo. A un certo punto gli sarà venuto anche il fastidioso dubbio che non arrivassero più, che il Senato fosse escluso dal loro, diciamo così, giro; e avrà trepidato. Ché sarebbe stato deprimente ritirarsi con un nulla di fatto, dopo l'eroica attesa.

E tutto questo armeggio, ripetiamo, per compiere un gesto, unicamente per questo.

 

Ma ora mi viene anche il dubbio che Papirio si sia trovato per caso nel Senato, o che vi si sia rifugiato, pensando che il nemico, lì, non l'avrebbe scovato; e che, sopraggiunti inopinatamente gl'invasori, egli si sia irrigidito in un'immobilità assoluta, con la speranza d'essere preso per una statua e lasciato indisturbato; come quegl'insetti che, per scampare a un nemico, fanno il morto. Ma no. L'ipotesi è troppo lontana dal carattere di quei nostri ferrei progenitori.


Piuttosto, si potrebbe pensare che, con quello stare immobile e fingersi statua, egli avesse voluto tendere una trappola ai nemici e lasciarli avvicinare, per accopparli uno alla volta. La tattica dell'uomo-statua delle corride. Papirio potrebbe aver vagheggiato perfino di accoppare, con questo sistema, tutto l'esercito invasore, e liberare da solo la patria. Questo toglierebbe un po' di valore al gesto. Che tuttavia resterebbe sempre notevole, come prova d'astuzia e di coraggio. Oltre che, beninteso, in questo caso, un po', di rimbambimento.

 

(Da Achille Campanile: "Vite degli uomini illustri")