Madonna della Cona, chiesa e quartiere

a cura di Fausto Eugeni

[L'articolo è pubblicato, sotto forma di intervista, in "Il Cittadino", Teramo, 1 dicembre 2005]

 

Una chiesa “in miniatura” quella della Madonna della Cona, divenuta oggi del tutto insufficiente ad accogliere i numerosissimi abitanti di un quartiere ormai tra i più popolosi della città di Teramo.

Misteriosa la sua origine. Nei testi di antiche preghiere si ricorda il nome di San Bernardino da Siena che secondo la tradizione ispirò, nella prima metà del Quattrocento, la costruzione di una primitiva edicola votiva, posta all’uscita della città, dalla parte dei monti, a memoria della devozione dei teramani per la Madonna della Grazie.

 

In quel luogo fu edificata in seguito una chiesetta rurale che ricomprese al suo interno l’antica edicola sulla quale, effettivamente, sembra potersi riconoscere il simbolo dell’ostia fiammeggiante che caratterizza il monogramma di San Bernardino.

 

Nelle sue vicinanze l'ingegnere Carlo Forti realizzò nel 1817 un cimitero "d’emergenza", una sepoltura collettiva per i corpi di ben tremila vittime causate dalla terribile epidemia che morti a migliaia provocò quell'anno in tutto il Regno. A futura memoria fu posta sul luogo una croce allora denominata del "legno della Passione".

 

Quel primo edificio rurale, poco più di una capanna con un abbozzo di campanile, fu per anni stabile dimora di eremiti. Dopo il 1850, per iniziativa di don Patrizio Spinozzi e di don Ottaviano Maggiore, la chiesa fu trasformata nell’edificio attuale. Due lapidi poste all’interno della chiesa ricordano ai posteri l’impegno di quei parroci.

 

Per iniziativa di don Ottaviano, verso il 1878 furono commissionate al pittore Gennaro Della Monica le due tele che ancora oggi ammiriamo, perché abbellissero la chiesa e rinsaldassero la fede dei parrocchiani. In una è raffigurato San Vincenzo Ferreri che benedice i campi, nell’altra S. Antonio di Padova che annuncia il Vangelo a Ezzelino da Romano. Veramente singolare è l'accostamento dei due temi, a testimonianza comunque di una Chiesa che benedice gli umili e affronta a viso aperto i ricchi e i potenti.

 

Nel 1881 Gianfrancesco Nardi scattò la prima "foto ufficiale" della chiesetta, dall’altura di Fonte Bajano (dov’era la sorgente che alimentò prima la Fontana di San Giorgio e poi quella delle Piccine). L’edificio si presenta isolato, al centro di una vasta pianura ancora libera di edifici, con la catena del Gran Sasso sullo sfondo.

Si evidenzia qui la speciale valenza paesaggistica del quartiere Cona. Nardi scelse poi il piano di fronte alla chiesa per fotografare il profilo lontano della città circondata dalle colline. Così fece pure nell'89 il pugliese Gonsalvo Carelli che, in uno dei suoi più noti lamp-black, dipinse una suggestiva veduta con il corso del Tordino che si snoda tortuoso verso Teramo, luminosa all'orizzonte.

 

Posta a circa un chilometro dall'attuale piazza Garibaldi, la chiesa della Cona fu tradizionale meta di pellegrinaggi e di passeggiate, luogo di scampagnate e sede, nell’Ottocento, di una partecipata festa campagnola che fu celebrata in tempi remoti a luglio e poi dislocata a settembre per non interferire con la festa della Madonna delle Grazie. La caratterizzarono sempre “polli e vino”, “merende e ubriacature”.

Nei tempi più antichi pezzo forte del programma erano “botti e tamburi” sostituiti, dopo l’Unità , da fuochi artificiali e banda musicale. La banda partiva dal centro della città e si recava in gran pompa verso la Cona, seguita da un largo codazzo di gente. Giunta sul posto eseguiva il suo repertorio fino al momento dei Fuochi, sostituita poi da qualche orchestrina locale di chitarre e mandolini. La festa così raggiungeva il suo culmine con danze e balli. Era questo però anche il momento delle risse, per gli eccessi del vino: uno sguardo sfrontato, una parola di troppo e subito si estraevano i coltelli.

 

È il folclorista Giuseppe Savini a raccontarci inoltre di un singolare pellegrinaggio che le ragazze in cerca di marito compivano verso la Cona affinché la Vergine favorisse le loro speranze di matrimonio. Savini trascrive con cura le preghiere che le ragazze recitavano all’arrivo in chiesa: Madonne de la Cône / Tu sì belle, tu sì bône - Bon giôrne a vvoje Madonne / Prim’a’vvoje ch’a l’addre donne; e così via.

 

Il quartiere Cona fu caratterizzato dalla presenza di numerose aziende agricole e latterie che rifornivano la città. Non mancavano artigiani come il "ferraro" e il “carraro”, il "ramaio" con attività commerciali e "osterie ogni 50 passi". Negli ultimi anni dell’Ottocento, don Domenico Scimitarra vi aprì una fornace con il caratteristico metodo Hoffmann nella quale si producevano giornalmente migliaia di mattoni dal caratteristico colore rosso. Ormai in disuso, la fornace Scimitarra, perfettamente conservata, rappresenta uno dei più interessanti reperti di archeologia industriale del nostro territorio.

L'espansione del quartiere ha reso indispensabile l'edificazione di una nuova Chiesa la cui prima pietra sarà posta l'8 dicembre 2005. 


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 Sintesi della proposta

Costruzioni storiche incontrate

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