Indice del libro sui tumori

Cap. 1 - CONCETTO  DI  TUMORE - Prima parte

Il primo libro di medicina dato alla stampa (Firenze,1478) è il “De re medica”, di Aulo Cornelio Celso. Il manoscrittodell’opera, introvabile per oltre quattordici secoli, era stato scopertoqualche decennio prima dal papa Niccolò V (Tommaso Parentucelli,1397-1455). Era costui un dotto umanista, che nei suoi viaggi si facevaaccompagnare da un gruppo di scrivani, che copiavano gli antichi codiciche non si potevano acquistare; volume dopo volume, creò il primonucleo della Biblioteca Vaticana. Il “De re medica”, un trattato in ottolibri, faceva parte di un’enciclopedia intitolata “Artes”, che comprendevaun po' di tutto: filosofia, giurisprudenza, medicina, retorica, scienzamilitare; non abbiamo più nulla, ad eccezione dei libri di medicina.Celso (25 aC-50 dC) apparteneva alla nobile famiglia dei Corneli; non sisa bene se abbia esercitato o meno la professione di medico, ma èprobabile che fosse soltanto un ricco patrizio. Egli si interessòdi molteplici argomenti e scrisse l’enciclopedia in latino, non in grecocome allora spesso si usava, per rendere note a tutti le informazioni raccolte.
Gli Enciclopedisti erano soliti affrontare condisinvoltura i temi più disparati e, quando erano a corto di notiziesicure, facevano ampio uso della fantasia, un po’ come Pierino, che invitatocon affettuosa fermezza dal padre a non dire più bugie, gli rispose:“da oggi in poi dirò sempre la verità, soltanto la verità,e quando non avrò alcuna verità da raccontare, l’inventerò”.Non è da escludere che, almeno in campo scientifico, qualche Pierinosia ancora in circolazione.
I libri di Storia Naturale di Plinio il Vecchio(Caio Plinio Secondo, 24 -79 dC) che parlano di medicina possono considerarsiun perenne monumento all’ignoranza umana: per facilitare il parto si consigliavadi legare ai lombi una pelle di serpente, mentre la cura della calcolosirenale consisteva nel massaggiare l’addome con escrementi di topo . . .
Per taluni aspetti, Celso rappresenta un’eccezione,e forse proprio per questo non sembra che abbia goduto di molta stima pressoi suoi contemporanei: Plinio il Vecchio lo inquadra fra gli auctores, ossiagli uomini di lettere, mentre Quintiliano (Marco Fabio Quintiliano, 35-96dC) è molto più severo e lo definisce, senza mezzi termini,vir mediocri ingenii, un uomo di modeste capacità intellettuali.
Gli umanisti del XV secolo, a cominciare da NiccolòV, la pensarono però in maniera completamente diversa: per loro,nel “De re medica” la materia era esposta in modo convincente ed esaustivo,le conclusioni apparivano ragionevoli, la lingua suonava limpida e chiarae lo stile impeccabile, tanto che lo definirono il Cicerone dei medici;inoltre, le conoscenze tecniche di Celso furono valutate favorevolmente,e perciò gli venne attribuito anche l’appellativo di “Ippocratedei Romani”. Non avevano torto: molti interventi da lui esemplificati,come la tonsillectomia, l’ablazione del carcinoma del labbro inferiore,le operazioni di chirurgia plastica finalizzate a ricostruire i tessutimolli gravemente traumatizzati, l’estrazione della cataratta e quella deidenti, sono ancora oggi, in un certo senso, accettabili. Per quanto riguardale amputazioni degli arti inferiori in caso di gangrena, egli sottolineòche il taglio deve essere praticato al disopra della linea che delimitala zona sana da quella malata, in modo tale da lasciare disponibili deilembi di cute perfettamente integra, da impiegare poi per ricoprire ilmoncone.
Celso è ricordato ancor oggi, nei testidi patologia generale, per la sua sintetica elencazione dei sintomi dellaflogosi: “Notae vero inflammationis sunt quator, rubor et tumor, cum caloreet dolore”, cui deve aggiungersi, come inevitabile conseguenza, un altrodisturbo: la “functio lesa”.
Tumor significa letteralmente tumefazione, otumore. Attualmente, il primo sinonimo viene di solito utilizzato per indicareil segno clinico, visibile e palpabile, di un processo infiammatorio chesi estrinseca a livello superficiale; col secondo si definiscono invecealtre forme morbose, che presentano in genere caratteristiche completamentediverse da quelle delle flogosi. Già gli antichi medici si eranoaccorti che l’incremento volumetrico di un distretto corporeo èsolo un dato anatomico alquanto grossolano, e che i “tumores” non costituisconoun insieme omogeneo.
Galeno (131-202 dC) operò una prima distinzionefra tumori secondo natura, sopra natura e contro natura. L’ingrossamentofisiologico dell’utero, nel corso della gravidanza, era considerato unatumefazione secondo natura, mentre il callo osseo che si forma dopo unafrattura, nonché i processi infiammatori acuti e cronici, gli ematomi,gli igromi, le cisti sebacee e tutte le altre patologie che, prima o poi,evolvono con significativa frequenza verso la guarigione, erano consideratitumori sopra natura.
Venivano dunque correlati due insiemi, entrambicostituiti da elementi empirici, il primo rappresentato dai segni obiettivied il secondo dai fenomeni che vi facevano seguito; in altri termini, seil tumore presentava determinati requisiti, allora vi erano buone speranzedi una sua conclusione favorevole: il parto nel tumore secondo natura,la guarigione in quello sopra natura. Nei tumores contra naturam rientravanoinvece le malattie che offrivano all’osservatore un gruppo di sintomi talida far presagire, a scadenza più o meno prossima, un esito infausto:fra esse, anche quelle che oggi vengono definite coi termini di tumori,neoplasie o cancri.
I nostri progenitori andarono avanti cosìper secoli, fino a quando non vennero introdotte le indagini istologiche.E’ opportuno premettere che le tre parole citate prima, tumore, neoplasiae cancro possono dar luogo ad equivoci. Tumore, come ho già fattocenno, resta un termine generale, che include tutti i rigonfiamenti ditessuto o di organo, fisiologici, riparativi, infiammatori e neoplastici;ma nessuno si sognerebbe di rivolgersi a una donna incinta affermando “haiil tumore dell’utero”, anche se la frase è corretta dal punto divista semantico, perché nel linguaggio comune la parola “tumore”ha un significato negativo, che coincide con quella di “male incurabile”,ed è sinonimo, generalmente accettato, di neoformazione maligna.Lo stesso vale per la “neoplasia”, che letteralmente significa nuova crescita;il tessuto di granulazione che si forma al fondo e lungo i margini di unaferita è a rigore una neoplasia, come lo è la cicatrice,ma in pratica questo termine viene impiegato, ad un livello espressivopiù colto, ma ugualmente impreciso, per designare una neoformazionemaligna.
Ippocrate (460-375 aC) ebbe modo di osservareun adenocarcinoma della mammella, e notò che da esso si dipartivanodelle propaggini varicose simili alle chele di un granchio, che in grecosi dice karkinos: di qui il latino cancer e l’italiano cancro, un vocaboloscientificamente corretto per indicare un tumore maligno, ma piuttostogenerico perché non viene precisato il tessuto da cui prende origine.Secondo molti autori, la parola cancro dovrebbe essere usata per indicarei tumori maligni in genere e, più specificamente, quelli di derivazioneepiteliale.
In questo capitolo, che ha lo scopo di affrontarel’argomento da un punto di vista generale, userò la dizione “tumore”a proposito delle neoformazioni maligne, che saranno comunque definitein maniera più appropriata nei capitoli seguenti.
Possiamo avere un’idea delle condizioni generalidi un bosco ispezionandolo dall’alto a bordo di un elicottero: osserviamola macchia verde, notiamo se vi sono delle zone in cui la vegetazione èmeno rigogliosa, ma non andiamo oltre: se qualcosa non va bisogna scenderea terra e prendere visione degli alberi che presentano anomalie. Alcunevolte anche quest'esame non è sufficiente, ed occorre prelevaredei frammenti di corteccia o alcune foglie per sottoporli ad indagini piùapprofondite.
Il primo approccio al problema si definisce olistico,perché esamina il bosco nel suo insieme, mentre il secondo, chene considera i singoli elementi e quando necessario anche parte di essi,si chiama riduzionistico. Come spesso accade, si privilegia l’uno o l’altrometodo, anche se sarebbe più opportuno utilizzarli entrambi. Infatti,sempre restando nella nostra metafora botanica, se non individuassimo prima,dall’alto, i gruppi di alberi che sembrano ammalati, dovremmo vagare alungo per il bosco, per di riconoscere le piante abnormi tra quelle sane:in altre parole, i due tipi di indagine si integrano l’uno con l’altro.
Ciò nonostante, diremo che in ambito diagnostico,per determinate forme morbose, l’approccio olistico è sufficiente,almeno in prima approssimazione, per un corretto inquadramento nosologico.Mi riferisco in particolare ad alcune malattie esantematiche, che offronoall’osservatore dei sintomi caratteristici ed inequivocabili. Per esempio,osserviamo sulla mucosa orale dei gruppi di tre o quattro macchioline rossecon al centro un granellino bianco azzurrognolo della grandezza di unapunta di spillo (macchie di Koplik); successivamente notiamo un’eruzionecutanea, che inizia da dietro le orecchie, rappresentata da macule rosee,grandi come una testa di spillo, che si allargano e confluiscono tra loro,dando al tatto una sensazione di velluto ed assumendo un contorno frastagliato.Tutto ciò indica, con un buon margine di certezza, che il pazienteè affetto da morbillo. Se facessimo un esame istologico, ossia secercassimo di confermare l’ipotesi diagnostica adottando il metodo riduzionistico,esaminando al microscopio dei frustoli di tessuto prelevato dalle mucosee dalla cute interessate dalle lesioni, troveremmo che il granellino dellemacchie di Koplik è costituito da cellule in degenerazione grassaed ialina, mentre nelle chiazze esantematiche vi è un essudato sieroso,le cellule sono rigonfie e presentano intorno al nucleo degli ampi vacuoli.Insomma, il quadro istologico, pur offrendo delle informazioni piùdettagliate di quelle che provengono dall’esame obiettivo, è inrealtà molto meno specifico. In pratica, nessun medico ritiene opportunochiedere una biopsia, in un caso sospetto di morbillo.
Ma anche se restassimo nell’ambito delle malattieinfettive, ci accorgeremmo subito che il discorso fatto ora a propositodel morbillo può ritenersi valido solo in pochi casi. Nel IV secoloa.C. Ippocrate aveva distinto due tipi di febbri, le une continue e lealtre intermittenti, riconoscendo nelle ultime diversi tipi: quotidiane,terziarie e quaternarie. Una caratterizzazione clinica della malaria antelitteram, ma ci sono voluti oltre due millenni per giungere all’intuizionedi Giovanni Rasori (1766-1837), che scrisse “Sono già molti anniche io porto l’opinione che le febbri intermittenti vengano prodotte daparassiti che ne rinnovano l’accesso nell’atto della loro riproduzione,la quale succede più o meno presto secondo le diverse specie”. Trascorseancora un buon mezzo secolo, fino a quando il medico militare franceseCharles Louis Alphonse Laversan (1845-1922), mentre era di guarnigionea Constantine (Algeria, 1880) osservò nel sangue degli ammalatidelle strane forme, che più tardi furono riconosciute come gli elementisessuali del plasmodio. Laversan scrisse oltre 600 pubblicazioni scientifiche,di cui un centinaio sulla malaria, e fu l’autore del famoso trattato “DuPaludisme et son Hématozoarie”; conseguì nel 1907 il premioNobel per la medicina. Col progredire delle ricerche, le strane forme deglihématozoarie furono classificate come protozoi, e si stabilìche le specie patogene per noi sono quattro, appartengono alla famigliadei plasmodi e si distinguono in vivax, falciparum, malariae ed ovale;fu anche accertato che il loro ciclo vitale si compie in parte nella zanzara(fase sporogonica) ed in parte nell’uomo (fase schizogonica). La febbreè il sintomo che domina il quadro clinico della malaria; si notiperò che la proprietà di presentarsi ad intervalli piùo meno distanziati a seconda del tipo di parassita cui è riferibile,già segnalata da Ippocrate, non si manifesta subito, ma diversigiorni dopo l’inizio della malattia, che al suo esordio è invececaratterizzata soltanto da febbre alta, irregolare, remittente o continua.Come si vede, a differenza del morbillo, non disponiamo subito di segniobiettivi tali da orientarci nella formulazione diagnostica, anzi il tipodi ipertermia che osserviamo nei primi giorni può trarci in inganno.
Nel dicembre del 1959 Fausto Coppi, Raphael Geminiani,Jacques Anquetil ed altri ciclisti furono invitati ad un incontro sportivoa Uagaduga, nell’Alto Volta. Il meeting era stato organizzato dalle autoritàlocali per festeggiare l’anniversario dell’indipendenza del giovane paeseafricano; dopo le gare, gli atleti parteciparono ad un safari. Al suo ritornoin Italia, Coppi cominciò a star male: senso di profondo malessere,astenia, febbre alta. Si mise a letto e chiamò il medico, che formulòdiagnosi di bronchite. Ma le condizioni del Campionissimo andarono aggravandosi,tanto che venne ricoverato d’urgenza in ospedale, dove fu confermata ladiagnosi di compromissione bronchiale, e continuata la terapia antibioticagià inizialmente prescritta dal curante. Nel frattempo anche Geminiani,ritornato in Francia, si era ammalato e presentava la stessa sintomatologiadi Coppi, ma i medici francesi si orientarono per una forma di malaria,praticarono il trattamento del caso ed il ciclista cominciò a migliorare.Fu allora che il fratello di Geminiani telefonò in Italia, parlòcon uno dei sanitari che avevano in cura Coppi e gli prospettò l’ipotesiche anche questi avesse contratto la malaria, visto che entrambi i corridorierano stati recentemente in Africa. La risposta del medico italiano fu“rough” - come si legge sul monumentale sito Internet dedicato a Fausto:“dont’t worry about Coppi’s health!”, non si preoccupi della salute diCoppi, sottointendendo ovviamente "è nostro compito”. Ed espletaronotanto bene il loro compito, i medici dell’ospedale di Tortona, che nonpensarono nemmeno, o forse ci pensarono, ma solo quando era troppo tardi,di mettere una gocciolina di sangue su un vetrino e di osservarla al microscopio.Il due gennaio del 1960, alle 8,45 del mattino, dopo una lunga notte d’agonia,l’atleta morì stroncato dalla malaria, lasciando parenti, amicie tifosi addolorati, sbigottiti e perplessi. Aveva solo 41 anni; ai funerali,che si tennero a Castellania, suo paese natale, parteciparono oltre 5Omila persone; l’estremo saluto, il più famoso, gli venne da OrioVergani, che scrisse in suo ricordo un articolo sulla Gazzetta dello Sport.
Da un punto di vista epistemologico, potrei direche qui in Italia qualcosa non abbia funzionato, verosimilmente per un’erroneavalutazione dei dati anamnestici, mentre in Francia furono correttamenteintegrati i due insiemi più importanti di informazioni, quello olistico(storia clinica: Geminiani era stato recentemente in un paese africanoin cui la malaria è endemica) e quello riduzionistico (esame microscopicodi un campione di sangue, finalizzato alla ricerca del plasmodio). Nelcaso di Coppi, il risultato dell’analisi del sangue sarebbe stato determinante,ai fini di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico della suamalattia.
Ho portato due esempi di malattie infettive:nel primo, quello del morbillo, l’indagine ad alto livello (esame obiettivo)è sufficiente per formulare la diagnosi, mentre nel secondo, quellodella malaria in fase iniziale, sono necessari degli accertamenti di livellopiù basso. Per quanto riguarda invece i tumori, la questione èmolto diversa, e non solo per ciò che attiene l’inquadramento nosologico.Non vi è mai nulla di semplice in patologia, perché i diversifenomeni morbosi presentano sempre aspetti molteplici, non tutti agevolmentericonoscibili ed indagabili. In questo difficile ambito, i tumori costituisconoun insieme eterogeneo molto complesso, in cui parecchi elementi sono ancoraavvolti da una fitta nebbia.
Una malattia infettiva si definisce in base allasintomatologia clinica ed ai riscontri di laboratorio. Quasi sempre sononoti l’agente eziologico e le modalità con cui interagisce con ilsistema immunitario; inoltre, si sa che alcune forme interessano soltantol’uomo, mentre altre riguardano anche poche specie animali.
I tumori attaccano tutte le classi di vertebratied anche parecchi invertebrati; per quanto concerne l’uomo, si èaccertato che la diffusione delle neoplasie maligne non è omogeneain tutto il mondo: si osserva che i paesi industrializzati sono maggiormentecolpiti in confronto a quelli in via di sviluppo. Tutto ciò nonautorizza a stabilire una correlazione diretta fra progresso civile e morbilitàtumorale, perché nelle nazioni evolute la maggior parte dei casiviene diagnosticata e notificata alle autorità sanitarie, mentrenelle popolazioni primitive buona parte degli ammalati sfugge alla rilevazioneclinica e statistica. Inoltre, negli stati occidentali la vita media èpiù lunga, quindi aumenta il tempo di esposizione a fattori oncògeni;non è nemmeno da escludere che l’ambiente in cui viviamo sia particolarmentericco di sostanze contaminanti di varia natura, che possono giocare unruolo non secondario nella genesi dei tumori.
Al contrario di quanto abbiamo visto per le malattieinfettive, non si può  attribuire ai tumori una precisa connotazionecausale: si parla di ereditarietà, di virus, di composti cancerogeni,ma non sono noti i meccanismi con cui essi agiscono, ed il peso che hannonel dar luogo alle malattie neoplastiche. Per questo motivo, non èagevole definire i tumori in modo semplice, chiaro ed esauriente. Poichépossono colpire, con frequenza variabile, qualsiasi tessuto dell’organismo,dovremmo trovare una definizione che li comprenda tutti, a prescinderedal distretto somatico interessato. Il fatto che molti autori ne abbianoformulate diverse, spesso discordanti, è riferibile all’intrinsecacomplessità del problema, più che a carenze dottrinarie deivari ricercatori. Non è facile individuare degli attributi che sianocomuni a tutte le forme tumorali ed escludano nel contempo qualsiasi altrofenomeno morboso. In termini matematici, potrei dire che occorre isolareun insieme che non presenti alcuna intersezione con altri insiemi, conmodalità di identificazione del tipo: gruppo dei tumori; gruppodelle malattie infettive; gruppo delle malattie degenerative e cosìvia. Vedremo più avanti che esistono fondati motivi per ritenereche non sia possibile operare in tal senso.
Agli inizi del ‘900 molti medici rivolsero lapropria attenzione ad una fenomenologia del genere seguente:
  a) - Insorgenza spontanea, almeno in apparenza,dei tumori;
  b) - Crescita autonoma delle neoformazioni;
  c) - Loro incapacità di inserimentonell’economia dell’organismo;
  d) - Differenza morfologica fra i tessuticolpiti e quelli normali.
Ora, se intendiamo condurre il discorso in terminideterministici, come peraltro è d’obbligo in un lavoro scientifico,ci accorgiamo subito che il primo punto non regge: nulla avviene per caso,come diceva A. Einstein, Dio non gioca a dadi. E’ fuori di dubbio che lamalattia neoplastica si estrinseca perché vi è una causa,o più concause, che la sottendono; il fatto che non siamo ancorain grado di precisare quali siano non vuol dire che non esistano. D’altraparte, pensandoci bene, anche un dado lanciato in aria cade poggiando suuna faccia o su un’altra, perché vi sono delle leggi fisiche chegovernano il suo movimento. Quindi, è  necessario scartareil concetto di spontaneità dall’insieme dei fenomeni che caratterizzanole neoplasie, anzi dovremmo affermare il contrario. Ma ciò non aggiungenulla di nuovo, né serve a definire i tumori.
Veniamo adesso a parlare dell’autonomia dellacrescita. Era comunemente accettata la capacità da parte dei tumoridi proliferare senza alcun limite. Ciò avrebbe rappresentato unimportante aspetto discriminante con i processi infiammatori e con quellirigenerativi, in cui pure si riscontra un accrescimento volumetrico piùo meno notevole, ma dove il fenomeno si arresta fino a scomparire, ed alcunevolte si ritorna perfino alle condizioni iniziali di normalità,non appena si interrompe lo stimolo che li ha provocati. Inoltre nei tumori,a differenza delle forme rigenerative e flogistiche, non si riscontra maiuno stadio evolutivo ben definito, né tantomeno è possibileosservare dei tessuti che dapprima erano neoplastici e poi hanno riacquistatoi primitivi caratteri di strutture cellulari adulte normalmente differenziate.Ma col trascorrere degli anni i ricercatori si accorsero che la situazioneera diversa, e che il requisito dell’autonomia della crescita, pur essendovalido per la maggior parte dei tumori, non lo è per tutti. Esistonoinfatti delle neoplasie, comunemente dette condizionate, in cui la crescitae la diffusione, pur presentando caratteri clinici e morfologici di indubbiamalignità, sono prevalentemente sostenute da una sollecitazioneormonica. Queste forme possono arrestarsi, ed in alcuni casi anche regredire,se cessa lo stimolo che le ha provocate. Se riflettiamo bene su questoaspetto del problema, ci accorgiamo che si pone in discussione anche ilterzo punto, ossia l’incapacità dei tumori di partecipare all’economiadell’organismo: infatti, se essi reagiscono agli stimoli, è fuoridubbio che si inseriscono in un contesto più ampio, che in qualchemodo li controlla e ne regola lo sviluppo.
Si ha l’impressione che ogni volta che si tentadi attribuire ai tumori un requisito particolare, al fine di differenziarlidalle altre malattie, si finisce poi col notare che, per un motivo o perun altro, detto requisito non è valido.
Tutti gli studiosi concordano nell’attribuireai tumori una modalità di crescita espansiva, infiltrativa e distruttiva,e la capacità di dare metastasi, vale a dire l’attitudine a proiettarea distanza, per via sanguigna e/o linfatica, delle cellule neoplasticheche, una volta impiantate, daranno luogo alla riproduzione del tumore inluoghi diversi da quello originario.
Tutto ciò è indubbiamente vero,ma resta un’evidenza sconcertante: la fenomenologia in argomento non èesclusiva dei tumori, perché si osserva anche in altre malattie.Potrei citare numerosi esempi, forse il più tipico, concernentela compromissione dei tessuti contigui al focolaio primitivo, èquello del morbo di Pott, un’osteite cronica distruttiva riferibile albacillo della tubercolosi (Mycobacterium tuberculosis). La lesione iniziaal margine di uno o più corpi vertebrali e coinvolge in un primomomento lo spazio discale, per poi estendersi ai muscoli paraspinali. Siproduce un ascesso freddo, che diffondendo sia in alto che in basso lungola colonna, può interessare le coste, lo sterno, il collo e l’inguine.A volte si osserva un aneurisma dell’aorta, provocato dall’infiltrazionetubercolare delle pareti dell’arteria.
L’infezione indotta dal bacillo di Koch ci fornisceanche un esempio di metastasi, che presenta molti punti in contatto conquanto si verifica nei tumori. Mi riferisco a ciò che avviene quandoun focus contenente materiale caseoso, ossia l’essudato caratteristicodi dette forme flogistiche, si svuota in un vaso sanguigno: il germe diffondeper tutto l’organismo e può colonizzare altrove, tanto che èpossibile osservare focolai specifici in qualsiasi organo. Vi sono anchealtri tipi di malattie che si estrinsecano dapprima localmente, poi a distanza:un focolaio tonsillare provocato dallo streptococco beta emolitico puòdeterminare, per via delle tossine del germe che passano in circolo, notevolidanni che interessano il cuore, i reni, le articolazioni.
Quindi, nemmeno l’invasività e la metastatizzazionesono esclusive dei tumori. Sembra di aver davanti un foglio di carta sucui è scritto un sonetto; ogni giorno qualcuno ne cancella un rigo,tanto che alla fine scompaiono i dieci versi originari, e resta solo iltitolo della poesia. Cosa fare? E’ evidente che desiderando parlare deitumori dovrò pur darne una definizione univoca, altrimenti corroil rischio di andare, come suol dirsi, fuori tema. Ritorno allora al vecchioinquadramento nosologico dei “tumores contra naturam”, privilegiando l’aspettoterminale di queste malattie, che nella maggior parte dei casi hanno esitoinfausto? Ciò non è  possibile, perché vi sonodiversi eventi morbosi che, pur non essendo sicuramente neoplastici e purpresentando tumefazioni più o meno palesi, per un motivo o per unaltro si concludono in maniera tragica. La terapia antibiotica e quellachirurgica risolvono oggi parecchi problemi, ma non tutti. Si muore, anchenei paesi scientificamente e tecnologicamente all’avanguardia, per malattiecaratterizzate da tumefazioni che non sono aggredibili né dal bisturiné dai farmaci, oppure lo sono soltanto in via teorica. Un aneurisma(tumor) che interessa un’arteria cerebrale può non dare alcun sintomo,poi improvvisamente si rompe, esercitando effetti devastanti sulle strutturenervose superiori, che conducono il paziente a morte in pochi istanti,prima ancora che si abbia il tempo materiale per intervenire. Gli esempipotrebbero moltiplicarsi, portando tutti alla stessa conclusione: non èpossibile definire i tumori in funzione delle loro caratteristiche evolutive.
Proviamo ora a scendere di livello, passandodagli aspetti clinici della malattia a quelli microscopici. E’ comune convincimentoche le sindromi tumorali presentino alterazioni cellulari specifiche, chene rendono agevole il riconoscimento. Si parla di elementi anaplastici,caratterizzati da anomalie di volume, di forma, di affinità perdeterminate sostanze coloranti, di alterazioni del rapporto che intercorretra la superficie del nucleo e quella del citoplasma. A sua volta, il tessuto,ossia l’insieme più o meno ampio delle cellule che costituisconoil tumore, si comporta in maniera abnorme, nel senso che le cellule cresconodisordinatamente, si ammassano le une sulle altre e tendono ad infiltrarei tessuti vicini. Ma tutto ciò, pur accadendo in un numero significativamenteampio di casi, non si verifica in tutti i tumori. Infatti, se da un latovi sono neoformazioni maligne così atipiche da non permettere ilriconoscimento del tessuto da cui provengono, tanto che si parla di citoblastomi,ossia di tumori costituiti da cellule prive di specifiche connotazionidi tessuto, dall’altro vi sono neoplasmi, come alcuni adenocarcinomi dellatiroide e dell’utero, la cui morfologia microscopica poco o nulla si discostada quella di un tessuto normale. Quindi, nemmeno le alterazioni dell’aspettovisibile delle cellule possono considerarsi, a rigore, un elemento da associaresempre ad una neoformazione maligna. Lo stesso dicasi a proposito delleabnormità funzionali del tessuto, che possono essere scarse o mancaredel tutto, come ad esempio avviene nel carcinoma della portio, che restain situ per un certo tempo, conservando i normali rapporti di contiguitàcon le struttute confinanti.
Siamo dunque al titolo del sonetto? Davvero nonresta più nulla? Forse, ma credo che si potrebbe tentare di risolvereil problema adottando una definizione operativa, premettendo che essa èmomentanea, e ci serve solo per lavorare sull’argomento. In tale definizioneverrebbero incluse tutte le caratteristiche di cui ho parlato prima, emagari anche qualche altra in più. Si dice che un unico indiziopuò essere una coincidenza, quindi ha scarso valore; se sono dueallora cominciamo a farci caso, se sono tre ci pensiamo un po’ su, se sonoquattro accentuiamo le nostre riflessioni e così via. Alla fine,quando gli indizi avranno raggiunto un numero abbastanza consistente, potremodire che essi rappresentano una prova, se non certa, almeno attendibile.



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