Indice del libro sui tumori

Cap. 3 - La cellula e il tessuto neoplastico. Caratteri morfologici e funzionali (prima parte)

Generalità
La ricerca oncologica, fin dai suoi albori, si è rivolta allostudio delle caratteristiche morfologiche e funzionali delle cellule neoplastiche,per enuclearne un aspetto altamente specifico ed esclusivo. In altre parole,individuare il classico “segno patognomonico”, un unico sintomo necessarioe sufficiente per la formulazione diagnostica. In realtà, néla semeiotica fisica né quella strumentale offrono al clinico talepossibilità, tranne rarissime occasioni: ciò vale per lamedicina in genere, a prescindere dai tumori. Nella maggior parte dei casi,l’enunciato nosologico viene espresso in base ad un insieme di sintomi,reciprocamente integrati, che si valutano tenendo conto di particolaricriteri. Lo stesso dicasi per il cancro: soprattutto nelle fasi iniziali,che sono poi quelle di maggior interesse dal punto di vista preventivo,in genere un solo indizio non basta.
Ciò premesso, la cellula che da normale si è trasformatain neoplastica presenta una serie di caratteri relativamente specifici,che interessano la forma, la crescita in cultura, il metabolismo e la capacitàdi indurre, in determinate circostanze, tumori in alcuni animali.
 
Caratteri morfologici. Concetto di anaplasia
Il criterio morfologico, secondo cui l’esame microscopico delle celluleo dei tessuti può condurre a formulare diagnosi di tumore, presentaalcune limitazioni che derivano dal fatto che non sempre il materiale prelevatocontiene elementi che fanno parte della massa neoplastica. Inoltre alcunealterazioni, anche abbastanza rilevanti, quasi mai rappresentano caratteristicheesclusive del cancro.
Il termine anaplasia, che letteralmente significa sviluppo a ritroso,trova un brutto sinonimo nella parola sdifferenziazione, o ancor peggioin disdifferenziazione; esso indica una diversità morfologica efunzionale della cellula e, più estensivamente, del tessuto. E’un processo irreversibile ed abbastanza frequente: infatti, molti tumorimaligni sono anaplastici, presentando caratteristiche relativamente specifichee comunque tali da indurre il citologo o l’istologo a formulare, o piùpropriamente ad ipotizzare, la diagnosi. Ma non è sempre così:alcune volte il grado di anaplasia è minimo, spesso non èpossibile osservare una concordanza fra l’entità dell’anaplasiae il grado di malignità del tumore. “Guardi, qua, sotto questo baffo. . qua, vede quel bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, unnome dolcissimo . . . più dolce di una caramella: - Epitelioma,si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma . . . Lamorte, capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, em’ha detto: - <<Tienitelo, caro: ripasserò fra otto o diecimesi!>>. (Luigi Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca). E’ l’epiteliomaspinocellulare, che pur essendo il carcinoma cutaneo meno anaplastico,è più maligno del basalioma, un tumore dello stesso tessutoma assai poco differenziato. Lo stesso dicasi per alcune neoplasie dell’intestinoe della tiroide. In particolare, queste ultime sono tanto evolute da produrreormoni, ma ciò nonostante metastatizzano precocemente. Al contrario,l’epulide della gengiva, i tumori misti delle ghiandole salivari, il melanomadi Spitz, pur essendo altamente anaplastici sono benigni.
Un discorso a parte meritano i cosiddetti “epatomi a deviazione minima”,neoplasie del fegato indotte sperimentalmente somministrando ai topi piccoledosi di sostanze cancerogene. Si ottiene un tumore che possiede sia caratteristichesimili al tessuto di provenienza, che elementi distintivi della trasformazione.Si possono così riconoscere questi ultimi, escludendo gli altrifattori accessori. In particolare, queste neoplasie presentano strutturae funzioni molto prossime a quelle del fegato normale, tanto che produconobile anche se impiantati a distanza, per esempio in un arto dello stessoanimale. Crescono lentamente, ma sono infiltranti e danno metastasi. Ciòdimostra che l’anaplasia non è un carattere peculiare dei tumori,ma riflette soltanto un aspetto marginale della trasformazione neoplastica,forse legato alla velocità di crescita, forse indotto da altre cause;può avere importanza o meno, più che altro da un punto divista diagnostico, a seconda dei casi.
Una cellula si considera “anaplastica” quando osserviamo al microscopioaumento del volume, alterazioni della forma e della tingibilitàcon tendenza alla basofilia ed alla vacuolizzazione citoplasmatica; nucleigrandi, a volte duplici o plurimi, ben tingibili perché ricchi diacidi nucleici; aumento della grandezza e del numero dei nucleoli; presenzadi un numero accentuato di mitosi, spesso atipiche. Si possono vedere cellulescarsamente differenziate, tondeggianti o ovali, con caratteristiche embrionali.In sostanza, le cellule tumorali presentano, accentuate ed alterate, lecaratteristiche proprie degli elementi normali in attiva proliferazione.
Di maggior rilievo sono le anomalie che si riscontrano al momento dellamitosi.
In genere, il fenomeno si svolge con le modalità consuete, maqualche volta alla scissione del nucleo non fa seguito quella del citoplasma,oppure i cromosomi si duplicano senza che il nucleo si divida, con la formazione,rispettivamente, di cellule polinucleate e di elementi che contengono unnumero di cromosomi abnormi. Nel complesso, la popolazione cellulare diun tumore può essere eterogenea sotto il profilo genetico, essendorappresentata da elementi con un numero variabile di cromosomi, anche sela maggior parte ne possiede lo stesso numero. Quest’ultimo gruppo omogeneorappresenterebbe, secondo alcuni autori, la linea capostipite o stem-linedella neoplasia, di cui le altre cellule sarebbero una variante.
Un fenomeno importante è che il numero di cromosomi della stem-lineè spesso diverso da quello normale della specie. Se indichiamo conn il numero aploide di cromosomi normalmente presente  nelle cellulegerminali (ovulo e spermatozoo), quello di tutte le altre cellule (somatiche)sarà 2n, diploide. In tutti e due i casi il numero è giusto,ed il corredo cromosomico, o cariotipo, si definisce euploide. Un cariotipocostituito da un multiplo di n può essere triploide (3n), tetraploide(4n) e così via; se n non è un numero intero, si parla dicellule aneuploidi. In buona parte delle cellule neoplastiche il quadrocromosomico non è euploide, essendo compreso fra un po’ meno di2 (ipodiploide) ed un po’ più di 4 (ipertetraploide), con variepossibilità intermedie.
Le abnormità del quadro cromosomico non riguardano solo il numero,ma anche la morfologia dei cromosomi. Si noti però che queste difformità,peraltro trasmissibili ereditariamente, non sembrano legate a specifichecaratteristiche neoplastiche, né a un tipo particolare di tumore.E’ probabile che un’eccezione sia rappresentata dalla leucemia mieloidecronica, in cui le cellule tumorali contengono un piccolo cromosoma soprannumerarioed abnorme, il cromosoma Philadelphia o Ph1, che deriva dal distacco diquasi la metà del braccio lungo del cromosoma 21. E’ verosimileche tale anomalia interessi soltanto le cellule leucemiche e si manifestiper tutta la durata della malattia. Nelle fasi terminali, però,si possono riscontrare anche altre alterazioni cromosomiche piùo meno marcate.
Le abnormità cui ho fatto ora cenno, a parte quelle che si osservanonelle leucemie croniche e di cui parlerò in un altro capitolo, nonsembrano, in linea di massima, essere direttamente correlate con i fenomenidi trasformazione neoplastica, ovvero non hanno un significato causaleben definito. Non è da escludere che esse siano riconducibili, inqualche modo, alla rapida crescita del tumore.
Se osserviamo il preparato con maggiore ingrandimento, possiamo notareche alcune volte il nucleo, oltre che essere ipertrofico, presenta alterazionidella superficie, nel senso che la membrana si introflette mentre il citoplasmasi inserisce in tale invaginazione. Inoltre, sempre nel nucleo, èdato scorgere inclusioni varie, costituite da sostanze grasse, glicogene,strutture riferibili a virus e anelli di incerta natura, generalmente dispostiin maniera disordinata. La cromatina può collocarsi in blocchetti,oppure assumere una configurazione a rete. I nucleoli possono essere dinumero considerevole, presentare all’interno dei vacuoli ed aderire allamembrana nucleare. Queste peculiarità esprimono, molto genericamente,un semplice aumento del metabolismo cellulare.
Anche a carico del citoplasma degli elementi neoplastici si osservanoalterazioni, che hanno la caratteristica di non essere costanti né,tanto meno, specifiche. Fra esse, ricorderò:
1) – L’aumento di tingibilità della struttura, che si estrinsecain una spiccata basofilia. Esprime un elevato contenuto di RNA, rapportabileall’esaltazione della sintesi proteica. A questo fenomeno è correlatol’aumento del numero dei ribosomi.
2) – Riduzione del reticolo endoplasmatico.
3) – Presenza di inclusioni varie, che contengono lipidi, mucine oaltre sostanze. Verosimilmente, sono l’espressione di fenomeni degenerativi.
4) – Nello stesso tipo di tumore, e nello stesso individuo, possiamonotare che in alcune cellule il numero dei mitocondri è aumentato,in altre diminuito. Si possono riscontrare mitocondri giganti, che spessopresentano inclusioni cristalline ed alterazioni degenerative. Le crestemitocondriali sono irregolari e in genere diminuite.
E’ sempre opportuno, nello studio morfologico delle configurazioniintracellulari di un tessuto neoplastico, osservare anche quelle del corrispondentetessuto normale, perché alcune volte le alterazioni che si riscontranonel tumore si notano anche nel tessuto sano ed esprimono quindi un difettonon specifico. Per esempio, nella plasmacellula normale il reticolo endoplasmaticoè particolarmente sviluppato, esprimendo le specifiche caratteristichebiosintetiche di tale elemento, che permangono pressoché immutateanche nel plasmocitoma.
Ai fini dell’approfondimento della patogenesi delle neoplasie, moltesperanze erano state riposte nello studio della membrana citoplasmaticadelle cellule tumorali. Ma le immagini ottenute al microscopio elettronicohanno mostrato che essa non presenta alcuna particolarità degnadi rilievo.
L’osservazione, in un tessuto tumorale, di configurazioni, come i desmosomie le gap junction, che servono alle cellule per aderire l’una all’altrae comunicare quindi fra loro, sono caratteristiche non specifiche, perchési trovano sia nei tessuti normali che in quelli cancerosi. Il riscontrarlein un tumore ha valore diagnostico solo nel senso che tale reperto èutile per indicare il tessuto di provenienza del tumore, ma non èsufficiente per formulare diagnosi di neoplasia. Lo stesso discorso valeper quanto riguarda i componenti contrattili della cellula, che costituisconoil cosiddetto citoscheletro: esso dà forma alla cellula, ed intervienenella motilità e nell’adesione al substrato. Alcune volte si sonoriscontrate nelle cellule neoplastiche abnormi quantità di actinae miosina. Il microscopio elettronico può essere di qualche utilitànello studio delle forme tumorali meno differenziate, o di metastasi dicui non si conosce la formazione primitiva. In questi casi, se per esempioriscontriamo ponti intercellulari e cheratina, possiamo indirizzarci versouna metastasi di carcinoma squamoso; ancora, siamo in grado di definirecorrettamente determinati tipi di sarcoma in base alle loro caratteristicheultra strutturali: il rabdomiosarcoma presenta nel citoplasma parecchiemiofibrille, mentre il leiomiosarcoma è caratterizzato da filamentidi actina. Attualmente si conducono anche indagini immunoistochimiche,utilizzando gli anticorpi monoclonali; tali tecniche si impiegano nellostudio dei filamenti di actina, miosina, tubulina, e per bene evidenziarela presenza dei filamenti intermedi. Queste ultime strutture sono ben distribuitenel tessuto nervoso, epiteliale e mesenchimale, ma hanno caratteristichedifferenti e si collegano variamente ai microtubuli, ai poliribosomi eda particolari tipi di proteine. La costituzione chimica di dette struttureè specifica per ciascuno dei tipi di tessuto elencati prima. Taleparticolarità si mantiene anche quando ha luogo la trasformazioneneoplastica, per cui con anticorpi monoclonali specifici è possibileindividuare il tessuto di provenienza del tumore.
Anche nelle colture in vitro di cellule tumorali si osservano alterazionimorfologiche ed ultrastrutturali, più o meno simili a quelle chesi riscontrano in vivo. E’ abbastanza caratteristico, in questi elementitrasformati, l’aumento del rapporto nucleo citoplasma e l’incremento delnumero e della grandezza dei nucleoli. Tali particolarità sembranoanche correlate all’attitudine di queste cellule a riprodursi, causandoformazioni tumorali, quando vengono trapiantate negli animali da esperimento.
Da quanto ho esposto finora si deduce che il concetto di anaplasiaè stato formalizzato allo scopo di trovare, in uno sconvolgimentostrutturale più o meno marcato, il riscontro morfologico di un fenomenoclinico, la malignità di una neoplasia, e trarne le opportune conseguenzedi carattere nosologico. Il tentativo non è perfettamente riuscito,perché alcune volte l’osservazione di un insieme di cellule (indaginecitologica) o di un tessuto (esame istologico) non ci consente di esprimerecon certezza un enunciato diagnostico. Ad ogni modo, una sola cellula alteratanon è indicativa, ma un gruppo consistente di elementi, o meglioancora un tessuto, può esserlo in un numero sufficientemente ampiodi casi.

Caratteri funzionali: concetto di invasività
Come abbiamo visto prima, un requisito incostante dei tumori maligniè rappresentato dall’anaplasia. A tale attributo morfologico sene devono aggiungere altri due, che non interessano la forma bensìla funzione: l’invasività, ossia l’attitudine ad infiltrare e distruggerei tessuti circostanti, e la capacità di proiettare a distanza metastasi,che sono centri secondari di sviluppo del cancro. Riassumendo, con buonaapprossimazione il tumore maligno è anaplastico, infiltrante e metastatizzante,e generalmente si sviluppa con una certa rapidità. Le neoformazionibenigne, invece, sono generalmente circondate da un involucro di tessutofibroso, riferibile sia alla pressione esercitata dal tumore sulle strutturevicine, che atrofizzandosi hanno lasciato uno strato di connettivo compatto,sia ad una leggera reazione infiammatoria. Vi sono comunque tumori benigniprivi di capsula, e ciò avviene quando non sussiste un confine veroe proprio, essendosi sviluppati sulla superficie dell’organismo o all’internodi organi cavi. Inoltre, le neoformazioni benigne di regola si accresconolentamente, non invadono i tessuti vicini e non arrecano disturbi, a menoche non comprimano o producano in eccesso determinate sostanze, come peresempio ormoni nel caso degli adenomi ipofisari.
I tumori maligni invece sono quasi sempre privi di capsula. E’ probabileche tale fenomeno dipenda dal fatto che essa viene distrutta, man manoche si forma, dalle cellule neoplastiche in rapida proliferazione. La presenzao meno della capsula, riferibile a flogosi o a compressione, non consentequindi di differenziare con certezza, da un punto di vista patogenetico,i tumori benigni da quelli maligni. Ciò nonostante, l’involucrofibroso ha notevole importanza pratica, in quanto permette al chirurgodi enucleare la formazione benigna con la ragionevole certezza che nonsi riprodurrà. Nei tumori maligni invece non vi è un marginenetto che delimita la zona ammalata, per cui la sezione deve andare oltreil tumore, interessando una buona quantità di tessuto normale, peressere sicuri di aver eliminato tutto. Ma anche seguendo queste precauzioni,se il tumore è in uno stadio avanzato, si può avere una recidivalocale. Ad ogni modo, qualora in camera operatoria sorgessero dubbi sullabenignità o meno di una lesione, sarebbe opportuno, prima di adottaretecniche più o meno demolitive, procedere con tempestivitàagli accertamenti del caso.
Il concetto di invasività dei tumori maligni presenta alcuniinteressanti aspetti anatomici. Il nocciolo della questione consiste nelfatto che il cancro si espande, sempre e comunque, seguendo la strada cheoffre minore resistenza. E’ un principio economico, semplice e banale,che è opportuno sottolineare adeguatamente.
Un tumore maligno che nasce e si sviluppa in un organo relativamenteomogeneo, come per esempio il fegato, il polmone o il cervello, cresceuniformemente in tutte le direzioni, assumendo configurazione sferica.Non a caso si parla di cancro a palla del polmone, anche se la sua superficienon è mai perfettamente liscia come una boccia da biliardo: se laosserviamo al microscopio, notiamo discontinuità più o menoaccentuate. In questi casi, la sottile capsula che riveste esternamentel’organo può fungere momentaneamente da barriera, la neoformazionetrova un ostacolo e si espande verso il parenchima, che è piùlabile. Per motivi analoghi, sempre seguendo le linee di minore resistenza,le cellule neoplastiche penetrano con una certa facilità nei capillarisanguigni e linfatici; scivolano tra i piani di clivaggio delle fasce muscolari;si sviluppano sulla superficie delle sierose pleurica e peritoneale. Lacapsula che circonda un organo rappresenta sì un confine invalicabile,ma solo fino a quando il tumore non si sia espanso notevolmente, poi vienedistrutta e la neoplasia continua a crescere. In molti testi di patologiagenerale viene riportato l’esempio dei tumori maligni che traggono originedagli acini ghiandolari. Normalmente, queste strutture sono costituiteda un monostrato di cellule epiteliali, mentre gli elementi neoplasticisono pluristratificati. Quando essi raggiungono la membrana basale, larompono, passano dall’altra parte e diffondono nei tessuti circostanti.La membrana basale, costituita da un sottile strato di matrice proteicaextracellulare, rappresenta una barriera insuperabile per quasi tutte lecellule normali, ma non per quelle tumorali. Questo fatto può esseredimostrato in vitro costruendo un modello biologico formato da cellulee membrane. Gli elementi normali si fermano davanti all'ostacolo, quellitumorali l'attraversano. Si noti che anche i globuli bianchi riescono apassare. Il fenomeno è riferibile alla presenza, sia nei leucocitiche nelle cellule trasformate, di particolari enzimi, le metalloproteasi,capaci di attaccare le membrane basali, creando brecce più o menoampie. Ponendo in opera questo meccanismo di degradazione enzimatica, lecellule neoplastiche dissolvono la membrana basale e proseguono nel lorocammino, invadendo i tessuti circostanti. A questo punto, è moltoprobabile che incontrino un'altra membrana basale, quella di un piccolovaso sanguigno o linfatico. Non è difficile trovarlo perché,a causa della neoangiogenesi indotta dal tumore, esso è circondatoda un'abbondante rete vasale. Se anche questa barriera, e l'endotelio checostituisce lo strato interno del vaso, vengono superati, le cellule sonopraticamente in circolo, potenzialmente in grado di raggiungere qualsiasidistretto dell'organismo, Ciò vale anche per le fasce muscolarie le pareti dei vasi sanguigni e linfatici. Ci si chiede: come fanno lecellule neoplastiche a penetrare negli altri tessuti? Sembra accertatoche il fenomeno non sia riconducibile né alla velocità dicrescita, né alla mobilità di alcuni elementi neoplastici,né ad una loro ipotetica attitudine alla fagocitosi, che non èmai stata documentata in maniera convincente, e che si ritiene sia riferibileai macrofagi presenti nel contesto della massa tumorale. Gli elementi normalicoltivati in vitro si sviluppano sulla superficie del mezzo solido comeuno strato unicellulare, e quando raggiungono la parete del recipientesi fermano. Il fenomeno è noto col termine di “inibizione da contatto”.Le cellule tumorali, invece, crescono disordinatamente, in strati plurimied in tutte le direzioni. La perdita dell’inibizione da contatto èritenuta da alcuni autori responsabile del fenomeno dell’invasività,mentre altri sono dell’avviso che questa sia riferibile ai prodotti liticielaborati dalle cellule trasformate, in particolare enzimi del gruppo delleaminopeptidasi. Si è accertato che non tutte le strutture del nostroorganismo si comportano alla stessa maniera nei confronti degli elementitumorali: i tessuti fibrosi compatti come i tendini ed i legamenti, i tessutielastici ivi comprese le pareti delle arterie, offrono notevole resistenzaall’invasione, mentre i linfatici, le ossa ed i muscoli sono molto piùlabili. E’ evidente che questa fenomenologia sia ascrivibile a sostanzialidifferenze biochimiche fra i vari tessuti, ma in che cosa esse consistanonon è stato ancora accertato.
Nel lontano 1926 J.B. Murphy osservò che intorno ai tumori maligni,almeno nella fase iniziale, si concentra un insieme rilevante di linfocitie plasmacellule. Le moderne acquisizioni in campo immunologico ci portanoad ipotizzare che tutto ciò rappresenti un meccanismo di difesa,che forse in molti casi, per ovvi motivi non quantificabili, riesce adavere la meglio sullo sviluppo neoplastico.
La proliferazione, in condizioni normali ed in tutte le patologie nontumorali, è regolata da una serie di meccanismi che operano a diversilivelli: intra ed intercellulare, di tessuto, di organo e di individuo.La crescita dei tumori invece sfugge a qualsiasi controllo, ad eccezionedelle forme ormono-dipendenti, in cui è riferibile anche a fattoriestrinseci. E’ importante sottolineare che questa sorta di autonomia deitumori non è causata da un deficit di regolazione estrinseca, cheinfatti continua, nell’organismo ammalato, ad operare sulle strutture normali.Il fenomeno è invece insito nella stessa cellula neoplastica, èuna sua caratteristica propria, che si trasmette ereditariamente alle cellulefiglie.
Un esempio servirà meglio a chiarire questo concetto. Se asportiamoa un ratto una parte consistente del fegato, la porzione rimanente iniziaa proliferare, ed in pochi giorni la massa dell’organo ritorna al volumeiniziale. A questo punto, la ricostruzione si arresta, per motivi non ancoraben chiari. Forse normalmente il fegato elabora un prodotto che bloccala mitosi delle proprie cellule; se queste diminuiscono di numero, la sostanzainibitrice non è più sufficiente, e la moltiplicazione cellulareriprende fino a quando non sarà stata ripristinata la quantitàoriginaria del fattore di controllo. Un’altra spiegazione potrebbe risiederenel fatto che l’inibitore sia di provenienza extraepatica, ed in condizioninormali verrebbe metabolizzato dal fegato. Anche in questo caso, asportandouna porzione dell’organo, calerebbe la quantità di inibitore, conconseguente incremento del numero di mitosi. In entrambi i casi, sarebbesempre il fegato a regolare la quantità delle proprie cellule, inmodo che il volume dell’organo resti costante. Nei tumori, questo delicatomeccanismo di regolazione non funzionerebbe più.
Al concetto di invasività e di crescita disordinata si associail criterio di diagnosi istologica del cancro. Al microscopio, il tessutoneoplastico maligno, oltre a presentare le alterazioni morfologiche dicui ho già parlato, è sconvolto nell’architettura ed irregolarmentemescolato alle strutture circostanti. Nelle forme benigne, invece, le celluleappaiono ben differenziate, il loro aspetto complessivo è moltosimile a quello del tessuto normale circostante, e non si riscontrano fenomeniinfiltrativi.






Indice del libro sui tumori