- Il manifesto come nuovo genere letterario -

Per diffondere i propri programmi, l’avanguardia futurista non adottò il genere tradizionale del saggio, ma quello del manifesto. Come genere esso risale al Settecento, quando veniva usato per i documenti di protesta politica, e fu ripreso ancora nella seconda metà dell’Ottocento dagli artisti francesi. Martinetti, infatti, non fu il primo a pubblicare il suo programma su giornali di larga diffusione come Le Figaro (antesignani i simbolisti ed i naturalisti).
Nel futurismo i manifesti assumono non solo la caratteristica di supporto teorico alla produzione artistica del movimento, ma anche quella di forma immediata di azione. È un mezzo pubblicitario, non tanto da leggere, ma da declamare e da diffondere in modo spettacolare. Martinetti gestì molto bene la forma-manifesto in funzione propagandistica. Il manifesto diventa un genere nuovo, in cui non si trascurano gli aspetti linguistici ed iconici; i programmi sono esposti per paragrafi numerati in forma di dogmi, che escludono ogni possibilità di discutere e approfondire le tesi; viene elencato soprattutto ciò che viene rifiutato e poi gli obiettivi da raggiungere, le proposte concrete di rinnovamento. Il tono è aggressivo, apodittico, escatologico, ricco di metafore, simboli, immagini e analogie. Il contenuto è evidenziato da una grafica che utilizza efficacemente caratteri di forma, colore e grandezza diversi. Il manifesto è spesso opera collettiva, scritto a più mani o comunque firmato da persone che vi possono aderire.
Tra i manifesti più importanti ricordiamo quelli di Martinetti: il Manifesto del Futurismo, i Manifesti sul teatro di varietà, su il Teatro futurista sintetico, il Manifesto del partito futurista italiano, per citarne alcuni. Ad essi se ne aggiungono altri riguardanti gli argomenti più disparati: La religione morale della velocità, il Manifesto della scienza futurista, il Manifesto della matematica futurista.                        

 

Arte

Storia