Pneumatologia
Per la coscienza ecclesiale ortodossa, la scarsa
attenzione portata allo Spirito Santo nel cattolicesimo romano è un frutto della
stessa distorsione della teologia trinitaria che produsse anche il filioque
(q.v.). Per accorgersi di tali lacune, è sufficiente vedere quanto poco spazio
sia dedicato nei testi teologici occidentali all'attività dello Spirito Santo
nel mondo, nella Chiesa, nella vita dei singoli cristiani. A colmare questa
carenza, sorse un eccesso opposto di accettazione della Chiesa come istituzione
terrena. La mancata ricostruzione di una pneumatologia (scienza dello Spirito
Santo) basata sulla comprensione patristica lascia aperto il campo a numerose
visioni alternative, quali quelle del movimento carismatico (q.v.). Di fronte a
ogni tentativo ecumenico di appianare le divergenze minimizzando la questione
del filioque, l'Ortodossia non può che rispondere che ogni insegnamento
falso sullo Spirito Santo è un colpo diretto alla Fede della Chiesa.
Una delle ragioni dell'insistenza ortodossa su un'adeguata
dottrina dello Spirito Santo è anche quella di ridimensionare il concetto di
autorità: non è l'autorità a rendere tale la Chiesa, ma l'inabitazione in
essa dello Spirito, che rende reale la presenza di Cristo tra gli uomini e negli
uomini. Anche se esiste posto nella Chiesa ortodossa per un esercizio
dell'autorità (Vescovi, Concili, Sacre Scritture, Tradizione), questa è solo una
delle espressioni di tale presenza.
Precetto festivo
Anche se alcune Chiese ortodosse locali, nella loro
disciplina canonica, includono una regola di partecipazione alla Liturgia
domenicale che è molto simile al "precetto festivo" del cattolicesimo romano (e
in alcuni casi ne sembra evidentemente influenzata), gli ortodossi si sentono
piuttosto a disagio con la "obbligazione" cattolica romana al culto domenicale
(come se la partecipazione alla Liturgia fosse un atto di dovuta cortesia,
piuttosto che la partecipazione al dono della salvezza).
Forse il concetto della Liturgia come scuola potrebbe aiutare a
chiarire questa scarsità di precetti: essendoci così tante funzioni ricche di
contenuto teologico, coloro che cercano di approfondire la propria conoscenza
spirituale si sforzano di essere presenti a quante più funzioni possibili, e
anche la durata (q.v.) delle funzioni assume un carattere pedagogico.
Preparazione alla Santa Comunione
Il profondo senso di venerazione degli ortodossi per
l'eucaristia fa sì che i fedeli dedichino una particolare attenzione alla
preparazione alla comunione, partecipando alla funzione di Veglia (o quanto meno
al Vespro) alla sera prima, o supplendo alla preghiera pubblica con adeguate
preghiere preparatorie. La stessa prassi vuole che chi desidera comunicarsi si
astenga alla sera prima da attività dispersive (come la danza) o, nel caso di
sposi, da rapporti coniugali (questo non per disprezzo verso la sessualità, ma
per un senso di priorità del nutrimento dello spirito).
Nel mondo cattolico romano, la totale scomparsa di questi
precetti, oltre all'estrema semplificazione delle norme sul digiuno (q.v.),
espone facilmente alla banalizzazione dell'atto centrale e più sacro della vita
del cristiano.
Primato di giurisdizione universale
Oltre all'infallibilità papale (q.v.), il concilio
Vaticano I promulgò una definizione dogmatica riguardo al primato papale, meno
nota di quella dell'infallibilità, ma altrettanto inaccettabile agli occhi della
tradizione ortodossa. Si tratta della giurisdizione universale del pontefice
romano, che fa del Papa di Roma, per il fatto stesso della sua elezione al
soglio pontificio, una sorta di super-Ordinario universale, superiore di diritto
a qualsiasi vescovo. Ne consegue che, per la concezione cattolica romana, un
vescovo è vescovo della Chiesa cattolica solo in virtù della sua comunione con
il papa. Quest'ultimo diventa il solo vescovo in senso proprio, e tutti gli
altri i suoi vescovi vicari, in diretto conflitto con i canoni della Chiesa, che
apertamente vietano l'interferenza di un vescovo nella giurisdizione di un
altro, eccetto che per ben definiti rimedi conciliari (simbolicamente, un corpo
con due capi visibili è un mostro).
L'Ortodossia vede in questa forma di primato la costituzione di
un vero e proprio Ordine sacro al di sopra dell'episcopato, un Ordine non
istituito da Cristo, e senza precedenti nella storia cristiana; non cessa quindi
di richiamare la sede romana al sobrio modello dello stesso Papa Gregorio Magno,
che giunse a rimproverare il Patriarca di Costantinopoli perché aveva accettato
dall'imperatore il titolo di "Patriarca ecumenico" (in verità, non per elevare
la sua giurisdizione, ma per sottolineare il fatto che Costantinopoli era la
capitale dell'impero), laddove, a suo dire (Libro V, Lettera XVIII),
nessuno degli apostoli o dei predecessori di San Gregorio nella sede romana
aveva mai vantato un rango universale...
Professione monastica
La professione monastica mantiene nella Chiesa Ortodossa
un carattere di benedizione sacramentale, uniforme e analoga per tutti gli
aspiranti alla vita "angelica."
Nella Chiesa cattolica romana sono stati introdotti nel periodo
medioevale alcuni elementi esterni al monachesimo, che si sono fatti strada
negli ordini religiosi (q.v.) fino ai giorni nostri. Per esempio, sotto
l'influsso di ordini cavallereschi (q.v.), la professione monastica assunse
alcuni elementi della cerimonia di vassallaggio: questi, pur esaltando alcuni
aspetti del monachesimo, tra cui l'obbedienza, alteravano in modo sottile la
tradizione monastica precedente.
Il cambiamento più notevole, influenzato dalla predicazione di
Bernardo di Chiaravalle e Francesco d'Assisi, si ebbe nel tardo medioevo negli
ordini religiosi femminili cattolici. All'enfasi sulla redenzione per mezzo
della Risurrezione, si sostituì l'ideale della partecipazione emotiva alla
Passione del Signore. Considerando Cristo come marito/amante mistico, il
monachesimo femminile si caricò di immagini sponsali, con tanto di assimilazione
del rito della tonsura alla cerimonia nuziale, con veli da sposa, anelli di
matrimonio, e così via. Tale variazione crea un'arbitraria frattura tra la vita
religiosa femminile e quella maschile, priva di dimensioni "sponsali"
istituzionali, a discapito di quest'ultima (la disparità numerica tra religiose
e religiosi cattolici romani ne è ancora oggi un risultato).
Purgatorio
In sintonia con i Padri della Chiesa, la teologia
ortodossa parla di uno stato intermedio dopo la morte, di beatitudine per i
giusti e di tormento per i peccatori: uno stato ancora privo (prima del Giudizio
Finale) di un carattere definitivo. Per coloro che sono morti con piccoli
peccati inconfessati, o che non hanno portato frutti di pentimento per i peccati
confessati in vita, si parla della purificazione di questi peccati o nella prova
della morte, o attraverso l'intercessione della Chiesa (con la preghiera e le
buone opere dei fedeli). Questa intercessione è in grado anche di dare una certa
misura di sollievo ai tormenti dei peccatori destinati al castigo eterno, come
testimoniano numerosi Padri e alcune preghiere pubbliche della Chiesa per i
defunti (per esempio, la terza delle preghiere in ginocchio della domenica di
Pentecoste, attribuite a San Basilio). Ogni perdono di peccati dopo la morte
viene unicamente dalla bontà di Dio, con la cooperazione delle preghiere degli
uomini, e senza bisogno di alcuna forma di "soddisfazione" o "pagamento".
La Chiesa cattolica romana era giunta, al tempo del concilio
unionista di Lione, a considerare lo stato intermedio dei defunti prima del
Giudizio Finale come definitivo e irreformabile. L'inutilità di pregare per i
beati già perfetti, o per i dannati senza speranza, giunse a fare ipotizzare un
"terzo stadio" di sofferenza limitata e purificatrice, dove anche i peccati già
perdonati devono ricevere "soddisfazione". La tradizione ortodossa vede questa
dottrina come qualcosa di essenzialmente estraneo alla fede apostolica,
aggravata dall'assenza di riferimenti espliciti, nelle Sacre scritture, a uno
stato che non sia quello della beatitudine dei giusti o del tormento dei
peccatori.
Il Purgatorio nasce dalla concezione di una punizione
ecclesiastica che deve necessariamente corrispondere a ogni peccato, in
questa vita o nella prossima, e dalla nozione giuridica di opere supererogatorie
(in eccesso rispetto al necessario per la salvezza), una dottrina sviluppatasi
nella scolastica del XIII secolo, e confermata da Papa Clemente VI nel 1343.
Questa dottrina per l'Ortodossia, non solo non è scritturale, ma addirittura in
chiaro contrasto con le parole di Cristo (i "servi inutili" di Lc 17,10 non
sembrano depositari di meriti sovrabbondanti). L'ideale di perfezione cristiana,
del resto, è per i fedeli ortodossi così alto, che la sua stessa
irraggiungibilità esclude a priori che si possa superarne la misura.
Infine, l'Ortodossia mantiene serie riserve sul contorno
legalistico che il Cattolicesimo romano ha costruito attorno al Purgatorio, così
come sulla pratica delle indulgenze (ovvero il trasferimento dei meriti
sovrabbondanti di Cristo e dei Santi per colmare i debiti dei peccatori), che ne
è il logico coronamento.
Quarto matrimonio
Il Cattolicesimo romano, accettando durante il Medioevo
una visione giuridica del matrimonio come contratto vincolante per la durata
della vita degli sposi, giunse a ritenere che la morte di un coniuge estingua il
vincolo matrimoniale: si arrivò così a permettere il matrimonio delle persone
rimaste vedove senza limite di numero di nozze successive.
Il diritto canonico ortodosso, invece, in stretta conformità con
gli antichi canoni e con i dettami dei Padri, proibisce in ogni caso (sia
a causa di vedovanza che di scioglimento di matrimoni precedenti) un quarto
matrimonio, e anche il permesso di un terzo matrimonio viene accordato con una
certa difficoltà. Questa particolare durezza dovrebbe far riflettere di fronte
all'accusa di lassismo matrimoniale che viene facilmente attribuita agli
ortodossi in un confronto con la prassi cattolico-romana.
Rasatura e tonsura del clero
Mentre nell'Alto Medioevo la Chiesa cattolica romana
impose gradualmente il costume del taglio della barba al proprio clero, nel
mondo ortodosso si è mantenuto il costume di lasciare crescere barba e capelli,
seguito in particolare dai monaci. Benché sia evidentemente un particolare
esteriore ed estetico, seppure di origine apostolica, questo aspetto del
monachesimo e del clero ortodosso costituisce un istintivo richiamo all'immagine
di Cristo e degli apostoli.
Ricezione dei convertiti
La Chiesa cattolica romana, per quanto riguarda il
conferimento di sacramenti e di Ordini sacri al di fuori della sua comunione, ha
aderito strettamente alla dottrina agostiniana dei sacramenti. Questa dottrina
vuole che un atto sacramentale conferito al di fuori dei limiti visibili della
Chiesa (anche la stessa consacrazione di un vescovo), rimanga valido, per
quanto illecito (ovvero giuridicamente irregolare), e al momento della
riconciliazione con la Chiesa debba essere riconosciuto come tale. La sola
condizione è che venga seguito secondo i dettami di un rito di provenienza
apostolica, con l'intenzione di fare "ciò che fa la Chiesa". Differenze
sostanziali di rito e di intenzione hanno portato Roma a negare la validità
sacramentale di sacramenti e ordini delle Chiese nate in seguito alla riforma,
soprattutto quella anglicana.
L'Ortodossia, d'altro canto, non si è mai sentita vincolata a
questa visione legalistica degli ordini e dei sacramenti: essa riconosce la
presenza della grazia sacramentale al suo interno, in quanto corrispondente con
la pienezza della fede: ciò non significa, come alcuni hanno potuto pensare, che
la Chiesa ortodossa presuma di negare la presenza della grazia al di fuori dei
suoi confini visibili; soltanto, essa non si pronuncia a riguardo.
Se un convertito proveniente da un'altra comunità cristiana
desidera entrare nella Chiesa ortodossa, questa si sente libera di accettarlo
reiterando i sacramenti in precedenza ricevuti dal convertito (posizione di
acrivìa, o severità), oppure "sanando" sacramenti ed eventuali Ordini sacri
come se questi fossero stati ricevuti all'interno dell'Ortodossia (posizione di
economia, o dispensazione). Quale che sia la forma adottata, la Chiesa
Ortodossa ritiene comunque che la pienezza di questi sacramenti inizi a
decorrere soltanto dal momento della ricezione nell'Ortodossia.
I cattolici romani, abituati a ricevere i convertiti secondo
"categorie" ben definite (coloro che hanno ricevuto un battesimo "valido",
coloro di cui sono "validi" anche gli Ordini, e così via) si sentono spesso
disorientati, e talvolta offesi, quando vedono che le singole Chiese ortodosse
(che talvolta hanno ordinamenti differenti, alcuni più severi, altri più
"economici") ricevono convertiti, magari provenienti dalla stessa Chiesa di
partenza, in modi differenti: chi viene "ribattezzato", chi "ricresimato", chi
"riordinato", chi accolto mediante una professione di fede o una rinuncia alle
eresie...
La posizione ortodossa è probabilmente meno "chiara", ma la
lezione da imparare è che la forma della ricezione di un convertito è di
importanza secondaria rispetto al suo accoglimento nella pienezza della fede
ortodossa.
Riunione dei cristiani
La Chiesa di Roma vede nella riunione visibile sotto la
giurisdizione universale del successore di Pietro la condizione indispensabile
per il recupero della pienezza di vita ecclesiale. Nei confronti delle chiese
orientali, essa è disposta ad accettare che queste mantengano il loro stato
dogmaticamente "sottosviluppato", a condizione della loro sottomissione alla
sede romana. Questa posizione giunge di fatto a sorvolare su notevoli differenze
di fede: la posizione ambigua nei confronti del filioque (q.v.),
contemporaneamente accettato o respinto a seconda del "rito", ne è una prova.
Da questo si capisce come mai il magistero cattolico romano
consideri tollerabile, e addirittura incoraggiabile, un certo grado di
comunicazione nelle cose sacre (partecipazione dei fedeli di una Chiesa ai
sacramenti dell'altra), anche se non si sia giunti a una riunificazione su temi
centrali della fede.
L'Ortodossia è di tutt'altro avviso. Riconoscendo la propria
fede come l'immutata continuità della fede apostolica, essa richiama le altre
confessioni cristiane, inclusa quella cattolica romana, al recupero della
pienezza delle proprie radici cristiane. Di fronte a loro si pone, in tutta
umiltà, come custode di una verità che ha saputo mantenere inalterata nei
secoli, per la grazia dello Spirito Santo, e non certamente per proprio merito.
Una unità visibile proclamata con un atto di sottomissione superficiale, dettato
da necessità del momento, e senza un totale accordo di espressione di fede, non
provocherebbe altro che maggiori lacerazioni e ostilità (come dimostrato dai
fallimenti dei concili unionisti medioevali di Lione e di Ferrara-Firenze).
Fino al momento di un accordo nell'integrità della fede
apostolica, l'Ortodossia ritiene che il ricorso generalizzato alla
communicatio in sacris non sia altro che una profanazione, che
strumentalizza la santità dei sacramenti per l'ottenimento di un fine "politico"
contingente.
Roma antica e moderna
Le particolarità del sistema statale dell'antico Impero
romano sembrano avere lasciato sull'attuale Chiesa di Roma una traccia ben più
che folcloristica.
Nella Roma pagana, lo Stato aveva un'enorme significato nella
vita e psicologia dei cittadini, la virtù del patriottismo era la principale, la
sottomissione alla disciplina dello stato era assoluta, e la "pax romana" era
l'ideale da esportare a tutti i popoli; era addirittura impensabile, in tale
contesto, di sottrarsi alla sovranità romana.
Lo sforzo per la creazione di un centro unico e sovranazionale
portò nell'Occidente cristiano allo sviluppo di una mentalità prevalentemente
giuridica. Di converso, lo scarso interesse che gli antichi romani avevano per
le questioni di verità dogmatica si riflette nella relativa indifferenza
dell'Occidente per i dibattiti teologici che per i primi secoli animarono
l'Oriente.
Tale mentalità, che esercitò comunque un ruolo complementare a
quella dell'Oriente cristiano nel primo millennio, si sarebbe fatta in seguito
più pesante per la persistenza di ruoli di assolutismo monarchico nella Sede
romana.
Rosario
La coroncina di grani utilizzata come supporto per la
preghiera è presente sia tra i cattolici che gli ortodossi, ma con grandi
differenze tra gli uni e gli altri. Queste differenze riguardano più la modalità
della preghiera associata alla coroncina che non l'oggetto stesso.
Il rosario ortodosso (che sarebbe forse tecnicamente più
appropriato chiamare "corda da preghiera") non ha una lunghezza fissa (i modelli
più comuni hanno 33, 50 o 100 "grani"), è generalmente fatto di lana annodata,
in rari casi di cuoio (non facendo rumore, è adatto per la preghiera mentale e
silenziosa), e non viene usato in forme di preghiera pubblica.
La tradizione del rosario nel cattolicesimo romano associa la
coroncina a una forma di concentrazione su immagini della vita di Cristo e di
Maria. Come avviene in molti metodi di meditazione (q.v.) cristiani occidentali,
con questo approccio si incoraggia attivamente l'uso dell'immaginazione, che i
Padri indicavano come una pericolosa fonte di errori e inganni: le distrazioni e
i pensieri vaganti vengono facilmente camuffati dalla nostra immaginazione sotto
la veste di "meditazioni" sugli eventi della storia sacra, così come se li
raffigura la persona che prega. I Santi Padri insegnano, piuttosto, a essere
sempre cauti con l'immaginazione, a cercare di controllarla, e non di
svilupparla.
La corda da preghiera ortodossa è differente dal rosario, sia
nella formulazione delle preghiere (è fondamentalmente associata alla cosiddetta
"preghiera del cuore", o preghiera di Gesù, che è una variante della preghiera
del pubblicano nel Vangelo di San Luca: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio,
abbi misericordia di me peccatore"), sia nel suo proposito, che è quello di
aiutare la persona che prega a focalizzarsi più attentamente sulle parole della
sua preghiera (attraverso il supporto fisico del gesto della mano che fa
scorrere i nodi), e a trattenere i suoi pensieri dalle distrazioni.
Sacramenti di iniziazione
Nella Chiesa ortodossa, i sacramenti dell'iniziazione
cristiana vengono amministrati come nella Chiesa dei primi secoli: battesimo,
cresima ed eucaristia vengono conferiti in quest'ordine, e tutti assieme, poiché
chiunque entra a far parte della Chiesa ha diritto di riceverne appieno tutti i
privilegi.
Il Cattolicesimo romano, riservando il conferimento della
cresima ai soli vescovi, sconvolse l'ordine dei sacramenti di iniziazione,
facendo della cresima un "rito di passaggio" della tarda infanzia o
dell'adolescenza (residui dell'antico uso dei sacramenti congiunti sono comunque
rimasti nelle unzioni battesimali), e situando la prima comunione in un'età di
uso della ragione, abbinata alla confessione dei peccati.
L'Ortodossia non può che deplorare questo sistema di mutilazione
della vita cristiana. Il sistema "latino" priva i bambini appena battezzati
della loro qualifica di membri della Chiesa a tutti gli effetti,
subordina la grazia di Dio data nei sacramenti a una facoltà di "capire"
razionalmente la loro efficacia, e riserva arbitrariamente la pienezza della
vita cristiana a un'età in cui la prima formazione alla fede è già da tempo
superata, e lo sviluppo personale è più esposto a traumi e conflitti.
Saluto di pace
Nella nuova messa postconciliare, i fedeli cattolici
romani vengono abitualmente invitati dal celebrante a scambiarsi un segno di
pace. Nel rito eucaristico (Liturgie di San Giovanni Crisostomo e di San
Basilio) comunemente usato dagli ortodossi, così come nell'antica messa
tridentina, il saluto di pace viene scambiato solo tra coloro che servono
all'altare. Inoltre, il saluto di pace nel rito eucaristico ortodosso è situato
subito prima della recitazione del Credo (preceduto dall'annuncio "amiamoci gli
uni gli altri, affinché in unità di spirito possiamo professare la nostra
fede"). Nel rito latino, antico e moderno, il saluto si trova invece dopo il
Padre Nostro e prima della comunione.
L'Ortodossia mantiene di preferenza il costume del saluto di
pace riservato ai celebranti, perché questo gesto è un segno di piena
comunione, e in senso stretto non andrebbe scambiato con i non ortodossi.
Per gli ortodossi l'odierno uso cattolico romano, generalizzato a tutti i
partecipanti alla messa, ha finito per indebolire il senso di un segno di
comunione tra i fedeli.
Scioglimento e annullamento del
matrimonio
Nei casi in cui la Chiesa ortodossa permette le seconde
nozze, essa considera il legame matrimoniale precedente come sciolto, sulla base
del potere di sciogliere e legare dato da Cristo alla sua Chiesa.
La Chiesa romana, d'altro canto, insistendo sull'indissolubilità
del vincolo matrimoniale, ritiene che la Chiesa non abbia il potere di
scioglierlo, e si trova così costretta ad annullarlo (o per meglio
dire, a dichiarare che il matrimonio non ha mai in realtà avuto effetto), nei
casi in cui un legame affettivo tra i coniugi ha di fatto cessato di esistere.
Per giungere a sostenere che un matrimonio non ha mai realmente
avuto luogo, laddove manchino dati di evidenza certa, la teologia romana deve
per lo più fare ricorso ai cosiddetti vizi del consenso (riserve mentali al
momento della celebrazione del matrimonio), che prevengono l'effettiva
realizzazione del legame matrimoniale, o ad altri concetti di difficile
valutazione, quali l'immaturità emotiva al consenso.
l'Ortodossia ritiene il ricorso ai vizi del consenso come un
espediente privo di qualsiasi solidità giuridica (perché una riserva mentale
attiene quasi esclusivamente alla sfera dell'intenzione, che è una delle qualità
umane più difficili, se non impossibili, da dimostrare), un tentativo di coprire
un divorzio senza chiamarlo con questo nome. Realisticamente, il ricorso
all'immaturità emotiva può essere visto come un sentiero spalancato per
annullare in pratica qualsiasi matrimonio tra coniugi giovani.
Il concetto stesso della possibile nullità del matrimonio rende
impossibile essere sicuri che una qualsiasi coppia cattolica romana abbia avuto
un matrimonio sacramentale, o sapere se in un rito nuziale cattolico romano
venga davvero creato un vincolo matrimoniale valido.
Pertanto, l'idea dell'annullamento è vista dagli ortodossi come
qualcosa di più di una destrezza di mano con cui il diritto canonico cerca di
coniugare un approccio pastorale con un rigore di principi (cosa che in sé
sarebbe accettabile all'Ortodossia): il vero problema è che il concetto di
nullità mina alle radici la teologia sacramentale.
Scolastica
Il sistema teologico della scolastica, originatosi nel
Medioevo latino e rimasto tuttora il motivo conduttore della speculazione
teologica cattolico-romana, mira soprattutto a formulare le ragioni della fede
cristiana di fronte a qualsiasi obiezione o interrogativo.
Una delle obiezioni metodologiche mosse dagli ortodossi è che un
sistema che pretenda di dare tutte le risposte scivola presto nel razionalismo,
e la dimostrabilità della verità si sostituisce come criterio alla verità
stessa.
Sedi apostoliche
Il "ministero petrino" del Cattolicesimo romano, e la
stessa definizione di Roma come "Sede Apostolica", si fondano sulla successione
dei Papi di Roma sulla sede dell'Apostolo Pietro.
Occorre forse prestare maggiore attenzione alla distinzione tra
apostoli e vescovi: anche se nella comprensione ortodossa, così come in quella
cattolica romana, non c'è dubbio che i vescovi siano i successori degli
apostoli, la teologia ortodossa offre una distinzione più netta dei due ruoli.
Gli apostoli, inviati da Cristo ad annunciare il Vangelo a tutte le nazioni,
avevano un ruolo missionario (non a caso la Chiesa ortodossa definisce i
Santi missionari ed evangelizzatori di intere nazioni come "uguali agli
apostoli"): i vescovi, invece, assegnati a sedi stabili, avevano un ruolo
residenziale. Solo uno degli apostoli è considerato vescovo a tutti gli
effetti: si tratta di Giacomo, che incidentalmente fu l'unico degli apostoli a
non andare in missione, rimanendo a custodire la comunità di Gerusalemme. Se gli
apostoli fondatori di sedi storiche sono messi in cima alle tavole della
successione apostolica, lo sono solo in qualità di iniziatori di particolari
linee episcopali, e non perché certi privilegi "apostolici" devono essere
tramandati ai vescovi di tali sedi. San Pietro, per esempio, è in cima alle
liste di successione apostolica di due sedi: Antiochia e Roma.
Nella teologia cattolica romana (per comprensibili motivi,
dovuti alla ricerca di una continuità di privilegi apostolici della sede romana)
la distinzione tra apostoli e vescovi è più sfumata.
Segno della croce
Uno dei primi comportamenti che differenziano
l'espressione devozionale di ortodossi e cattolici è il modo di farsi il segno
della croce. Il cattolico di rito latino si segna tenendo la palma della mano
aperta, e toccando la fronte, il petto (solitamente all'altezza del cuore), e le
spalle, prima la sinistra e poi la destra. L'ortodosso si segna
unendo pollice, indice e medio e ripiegando l'anulare e l'indice sul palmo, e
toccando la fronte, il ventre (all'altezza dell'ombelico, o della cintola), e le
spalle, prima la destra e poi la sinistra. Nell'antico rito russo,
il pollice viene unito alle dita ripiegate anziché alle dita estese.
Il modo ortodosso di segnarsi è carico di un ricco simbolismo.
Questo viene spiegato talora in modi differenti, ma genericamente si attribuisce
all'unione delle tre dita il senso di una professione di fede trinitaria (tre
persone in un unico Dio), e alle altre due dita un significato cristologico (due
nature nella persona di Cristo). L'estensione del segno della croce al ventre è
immagine di centralità e ricorda la nascita verginale di Gesù Cristo. Il
segnarsi dalla spalla destra alla sinistra richiama la seconda venuta di Cristo
dalla destra del Padre, o il predominio della luce (tradizionalmente associata
al lato destro) sulle tenebre.
Il segno della croce "latino", più semplificato, venne
considerato fin dal suo apparire una modifica del costume apostolico. Ancora per
un certo tempo dopo lo scisma, la stessa sede romana continuò a deprecare la
pratica di segnarsi a mano aperta, e da sinistra a destra.
Chi ha modo di osservare i fedeli cattolici e ortodossi durante
le funzioni di culto, noterà che questi ultimi impiegano il segno della croce
con molta più frequenza e spontaneità dei primi, talvolta segnandosi più volte
di fila, o accompagnando il segno della croce con inchini e prosternazioni. Pur
esistendo complesse tradizioni monastiche sull'uso appropriato del segno della
croce in varie circostanze, di fatto, esiste nel culto ortodosso una libertà
molto più ampia nell'uso del segno della croce, e può capitare che fedeli
diversi si segnino in momenti diversi.
Senso del mistero
L'Ortodossia e il Cattolicesimo romano hanno attitudini
piuttosto differenti riguardo ai gesti sacri. Nella celebrazione dei misteri
("mistero" è la parola di origine greca con la quale si designano abitualmente i
sacramenti), questa diversità è abbastanza evidente nel momento solenne della
consacrazione eucaristica.
Mentre il mondo latino, sempre attento alla definizione e
all'esposizione dell'ineffabile, accompagna la consacrazione delle Sacre specie
con gesti di ostentazione (elevazione dell'ostia, suono di campane), la
tradizione ortodossa preferisce l'adorazione silenziosa, quasi rifuggendo come
una tentazione il bisogno di definire il mistero in termini umani.
La bramosia di etichettare il mistero, che lo espone a ogni
sorta di razionalizzazione umana, risulta particolarmente sgradita alla
coscienza ortodossa.
Sviluppo dogmatico
La Chiesa ortodossa pensa che nella rivelazione non
esista progresso: i Santi Apostoli avrebbero ricevuto tutta la rivelazione, e
tutta la comprensione della rivelazione, nella discesa dello Spirito Santo a
Pentecoste. Pertanto, i dogmi emanati per combattere gli eretici non
rappresentano per l'Ortodossia uno sviluppo nella rivelazione, né nella
comprensione della rivelazione, ma solo l'espressione di una mediazione
culturale funzionale alla lotta all'eresia (ripetizioni di ciò che è sempre
stato creduto, e che è stato messo in questione, sfidato o deformato dalla
mentalità di questo mondo).
La Chiesa cattolica romana, invece, pensa che la rivelazione
possa venire compresa in una crescita temporale, e che pertanto possano darsi
dogmi che non solo esprimono una correzione di idee eretiche, ma che
rappresentano una maggiore comprensione del deposito rivelato (ne sono un
esempio i dogmi dell'Immacolata concezione e dell'Infallibilità papale).
Se l'Ortodossia pensa che vi possa essere crescita nella Chiesa,
questa deve essere crescita nella santità, e non nella verità.
È opportuno ricordare che l'idea stessa di sviluppo dogmatico è
tardiva, ed è stata introdotta ufficialmente solo nel diciannovesimo secolo, con
il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana del Cardinale John
Henry Newman: un'opera che paragona la dottrina della chiesa a un albero, che da
un seme iniziale cresce attraverso stadi di perfezionamento successivo fino alla
piena maturità. In tal modo, anche i nuovi dogmi ottocenteschi potrebbero essere
visti come "semi" da sempre presenti nella Tradizione cristiana, in attesa del
tempo di germogliare. L'ovvia obiezione a una simile concezione della dottrina
cristiana è che in tal modo si aprono le porte pressoché a qualsiasi
innovazione dottrinale, per quanto dissonante dalla fede dei padri.
L'impressione che ne deriva è che lo "sviluppo dogmatico" sia un tentativo di
giustificare le nuove dottrine del cattolicesimo romano nell'incapacità di
mostrare una loro continuità dalla fede apostolica.
Teologia
La comprensione cattolica romana della teologia è che si
tratti di una vera scienza, che usa come principi le verità sicure e fondate
della Rivelazione divina, e trae da queste nuova conoscenza (conclusioni
teologiche) con un metodo strettamente scientifico.
La comprensione ortodossa della teologia è che questa comprenda
la partecipazione attiva e cosciente nella percezione delle realtà del mondo
divino: in altre parole, la realizzazione di una conoscenza spirituale. Essere
un teologo nel senso pieno, pertanto, presuppone l'ottenimento di uno stato di
tranquillità (esichìa) e mancanza di passioni (apatìa), che
accompagnano la preghiera pura e non distratta, e pertanto richiede doni
conferiti a pochissime persone.
La tradizione ortodossa definisce ufficialmente "teologi"
soltanto tre santi: Giovanni l'Apostolo ed Evangelista, Gregorio di Nazianzo, e
Simeone il Nuovo Teologo.
Titoli papali
Dal rifiuto delle definizioni del Concilio Vaticano I sul
primato papale, si comprende come l'Ortodossia non si senta di accettare alcun
tipo di definizione che voglia indicare nel papa di Roma un capo supremo della
Chiesa.
Già il termine "pontefice" (un prestito dal paganesimo, sul
quale Tertulliano ironizzava) è visto come una forzatura, mentre l'espressione
Vicario di Cristo (un termine originariamente impiegato dai re carolingi,
e in seguito avocato ai papi), è vista come assolutamente inconcepibile (a ben
vedere, fa pensare a una "vacanza", o carenza, dell'autorità di Cristo sulla
Chiesa, ed è un vero e proprio insulto nei confronti delle parole di Cristo
sulla sua presenza costante nella Chiesa).
Transustanziazione
Pur avendo sempre insistito sulla realtà della
trasformazione eucaristica del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo,
l'Ortodossia non ha mai voluto spiegare la maniera del cambiamento. Nella
preghiera eucaristica, viene usato il verbo greco metabàllo (un termine
che si traduce, in modo neutrale, con 'cambiare' o 'trasformare').
La scolastica romana medioevale, adottando la filosofia
aristotelica e la sua distinzione tra 'sostanza' (ciò che fa essere una cosa) e
'accidenti' (le modalità di manifestazione della cosa stessa), introdusse e rese
vincolante il termine di transustanziazione (ovvero, cambiamento della
sostanza del pane e del vino con quella del Corpo e Sangue di Cristo, mentre gli
accidenti visibili del pane e del vino restano quelli che erano). La
terminologia, che anche secondo gli ortodossi è un modo legittimo di spiegazione
del mistero eucaristico, costringe comunque all'accettazione della filosofia
aristotelica che ne sta alla base.
Benché il termine 'transustanziazione' sia usato nella Chiesa
ortodossa (per esempio, nel Concilio di Gerusalemme del 1672, e tuttora in
catechismi e opere teologiche), il suo uso è sempre subordinato al fatto che
esso sia soltanto una delle molte modalità di descrizione del mistero
eucaristico.
Uniatismo sugli altari
Se le tristi e complicate vicende dell'uniatismo (che
sarebbe troppo lungo elencare qui) rappresentano una pagina buia per ogni
tentativo di riconciliazione tra ortodossi e cattolici romani, ci si può
chiedere a che pro vengano offerti esempi di santità che sembrano essere un
aperto incoraggiamento all'incomprensione.
Tipico esempio è il vescovo uniata Josaphat Kuntsevich,
canonizzato da Papa Pio IX il 29 Giugno 1867, ed esaltato da Papa Pio XI nel
1923 nell'enciclica Ecclesiam Dei come ieromartire, esempio di vita santa
e aiuto nell'unificazione di tutti i cristiani. Ancora di recente Papa Giovanni
Paolo II lo ha definito "Apostolo dell'unità".
La sua morte "da martire" ebbe luogo a Vitebsk il 12 Novembre
1623, dove si era recato assieme a un gruppo di suoi sostenitori per distruggere
le tende dove gli ortodossi tenevano in segreto le loro funzioni. Dopo che uno
dei suoi diaconi assalì un prete ortodosso, la folla inferocita si levò contro
il vescovo, che guidava personalmente il pogrom, e lo uccise a colpi di sassi e
bastoni. Il suo corpo fu chiuso in un sacco e gettato nel fiume Diva.
Poco prima della sua morte, il vescovo Kuntsevich aveva ordinato
la riesumazione di ortodossi morti e ne aveva fatto dare ai cani i resti; in
tutta la sua diocesi di Polotsky, a Mogilyov e Orsha, aveva saccheggiato e
terrorizzato gli ortodossi, chiudendo e bruciando le loro chiese, vantandosi di
atti quali annegamenti, decapitazioni e profanazioni di luoghi sacri.
Numerose voci si levarono da parte delle stesse autorità: tra i
documenti spicca la lettera datata 12 Marzo 1622, un anno e mezzo prima della
sua morte, inviatagli dal cattolico (latino) Leo Sapiega, cancelliere del
Granducato di Lituania, rappresentante del Re di Polonia: una durissima condanna
della sua oppressione del popolo ortodosso.
Per quanto anche la Chiesa ortodossa abbia canonizzato dei santi
che nella loro vita avevano scelto deliberatamente di lasciare la comunione
romana (tra di loro, Massimo il Greco e Alexis Toth), nessuno di questi si può
avvicinare alla efferata crudeltà del vescovo Kuntsevich: anzi, almeno nel caso
di Padre Alexis Toth, la conversione all'Ortodossia fu largamente provocata
dall'atteggiamento vessatorio delle autorità romane.
Unicità della Liturgia
In conformità alla prassi di tutta la cristianità del
primo millennio, le chiese ortodosse hanno un singolo altare eucaristico, e vi
si celebra la Divina Liturgia non più di una volta al giorno, sempre alla
presenza di altri fedeli oltre al sacerdote (è esclusa a priori qualsiasi
celebrazione strettamente solitaria). Questo costume è coerente con la
concezione che i primi cristiani avevano della Chiesa: i laici e il clero
radunati attorno al proprio vescovo, e formanti un unico corpo nel mistero
eucaristico. Questa unicità della Chiesa si combina perfettamente con l'unicità
della Liturgia.
In Occidente, nel movimento monastico cluniacense (XI secolo),
si iniziò a separare atto liturgico e comunità dei credenti, nella convinzione
che il sacrificio eucaristico potesse essere di maggiore aiuto se celebrato con
più frequenza, a suffragio di quante più persone possibile (particolarmente i
defunti). Iniziarono così i fenomeni degli altari secondari, eretti in navate e
cappelle laterali delle chiese, perché un maggiore numero di sacerdoti potesse
celebrare l'eucaristia. Ebbero altresì inizio le cosiddette "Messe private",
celebrate dal sacerdote senza concorso di fedeli, a volte come esercizio
devozionale, talora come "Messe di suffragio".
La tradizione ortodossa ritiene che questa concezione
"quantitativa" dell'eucaristia ne abbia svilito e snaturato lo spirito;
nonostante l'Ortodossia apprezzi i tentativi di ritornare all'antica tradizione
compiuti dal movimento liturgico cattolico di questo secolo, essa continua a
vedere nei recenti insegnamenti cattolico-romani in materia la medesima
impostazione.
Unità e uniformità
Una vera unità nella fede può accomodare numerose forme
diverse di esprimere detta fede: su questo punto generale, Ortodossia e
Cattolicesimo romano coincidono.
Esistono numerose difformità nel culto ortodosso, derivate per
lo più da usi locali: queste comprendono, per esempio, l'inclusione o
l'omissione di certe formule di preghiera all'interno di una data funzione (o
l'inversione dell'ordine di alcune preghiere), diversità di titoli clericali e
gerarchici, cambiamenti nel posizionamento di icone o di arredi sacri
all'interno della chiesa, differenze di pratiche devozionali e di forme di
digiuno o ascesi.
Non si trova mai, tuttavia, un bi-polarismo simile a quello
della Chiesa Cattolica Romana nel suo tentativo di armonizzare riti orientali e
occidentali: un esempio è la ricezione della comunione da parte dei bambini
piccoli, vista come "svantaggio" tra i cattolici occidentali e come "vantaggio"
presso i cattolici orientali.
Unzione degli infermi
Il sacramento dell'Unzione degli infermi, basato su Gc 5,
14-15, e sulla pratica della Chiesa nei tempi apostolici, fu ristretto, nel
mondo cattolico romano dal XII al XX secolo, ai casi di morte imminente,
prendendo il nome di "estrema unzione", e divenendo una sorta di sacramento dei
morenti.
La Chiesa ortodossa, mantenendo l'amministrazione di questo
sacramento a tutti gli infermi, di corpo come di spirito, non lo ha mai
riservato ai soli morenti. Pur amministrando l'Olio santo anche ai malati
terminali, essa non lo considera una parte necessaria dei riti per i morenti
(che includono la confessione, il viatico e le preghiere per la dipartita
dell'anima).
Validità dei sacramenti
Nella concezione cattolica romana, si presume che i
Misteri vengano compiuti dal clero, lecitamente o illecitamente, ma in un
modo "valido"; gli ortodossi affermano invece che i Misteri vengono serviti
dal clero, e di conseguenza la questione della validità perde di senso al di
fuori del contesto del servizio ministeriale nella pienezza della Chiesa
apostolica.
Queste diverse concezioni hanno portato a equivoci, con accuse
spesso ingiustificate alla Chiesa ortodossa, sulla questione della ricezione dei
convertiti (q.v.)
Esisteva una direttiva ufficiale e legittima (per quanto non
proprio universale e piuttosto tardiva), descritta nel manuali a uso del clero,
per ricevere i convertiti attraverso la rinuncia alle eresie e la confessione, e
senza la ripetizione dei riti del Battesimo e della Cresima amministrati in modo
formalmente adeguato in chiese non ortodosse. Questa pratica fu seguita
soprattutto nella Chiesa russa, non senza un influsso teologico latino, e con lo
scopo principale di favorire il ritorno all'Ortodossia degli uniati.
In circostanze moderne, questo grado di economia (che è un modo
misericordioso di ricevere i convertiti), può essere facilmente confuso
con un effettivo riconoscimento di sacramenti e misteri al di fuori della Chiesa
Ortodossa; può facilmente lasciar credere che gli ortodossi sottoscrivano
concetti come quello delle "Chiese sorelle" (q.v.), o quello della "validità
automatica" dei riti conferiti al di fuori della Chiesa.
La grazia degli atti sacramentali compiuti al di fuori della
Chiesa non può essere mai riconosciuta per sé (tant'è vero che gli ortodossi
sono comunque tenuti, in ogni caso, a non accostarsi ai sacramenti delle chiese
non ortodosse, e che è unicamente nel caso di ricezioni di convertiti che si
pone la questione della ripetizione, o non ripetizione, di sacramenti ricevuti
in precedenza). L'Ortodossia non specula sulla eventuale presenza della
grazia al di fuori dei limiti visibili della Chiesa: l'unica grazia che può
essere decisamente, e ufficialmente, riconosciuta come presente e attiva nella
vita dei cristiani non ortodossi (e peraltro anche dei non cristiani), è quella
grazia che li conduce alla pienezza della Chiesa.
Venerazione delle icone
Mentre non è inconsueto vedere cattolici romani pregare
per lungo tempo di fronte a immagini sacre, si può facilmente notare come i
fedeli ortodossi assumano un atteggiamento di maggiore dialogo e interazione con
le icone: nella tradizione ortodossa è d'uso, entrando in una chiesa o in una
casa, segnarsi di fronte alle icone, baciandole e accendendo di fronte a loro
candele e lampade.
In stretta conformità con i decreti del settimo Concilio
Ecumenico (Nicea, 787), il cui Sinodico fa parte integrante del culto
ortodosso, la venerazione delle immagini sacre è parte integrante della vita di
fede, pubblica e privata, dei cristiani ortodossi, che nella loro iconografia
hanno un segno di straordinaria continuità con la fede apostolica.
Questo forte senso di compenetrazione con le immagini sacre è
andato sempre più affievolendosi in Occidente, con una progressiva decadenza
verso un'arte naturalistica indulgente al razionalismo e al sentimentalismo, e
all'uso dell'immagine come "supporto meditativo".
Gli ortodossi, di fronte agli innumerevoli "sviluppi" dell'arte
religiosa cattolico-romana, che in gran parte hanno contribuito a neutralizzare
la sinfonia tra arte sacra e devozione cristiana, non possono fare altro che
vedervi i segni di un autentico allontanamento dalla verità e dalla pienezza di
fede.
Vetrate istoriate
Per quanto si possa dire che gli ortodossi non badino a
spese per decorare con ricchezza e solennità l'interno delle loro chiese, non si
è sviluppata tra loro l'arte delle vetrate colorate che ha reso famose le grandi
cattedrali gotiche del medioevo (e che da queste è passata anche al
protestantesimo). Ciò ha avuto ragioni storiche: la tipica architettura
bizantina e slava non ha mai permesso un grande spazio per le finestre, e
sovraccaricare di colori le poche aperture esistenti avrebbe sottratto
illuminazione all'interno. Tuttavia, anche con le più ampie aperture permesse
dalle moderne tecnologie, si è preferito comunque mantenere un colore uniforme e
soffuso per le vetrate, senza decorazioni particolari (un tipico caso è la
cattedrale di San Demetrio a Salonicco, in Grecia). Certamente, non si può
parlare di avversione all'iconografia (dopo tutto, le icone sono definite
"finestre" sul cielo), ma bisogna piuttosto considerare questa apparente carenza
in relazione con le altre immagini all'interno delle chiese. Nelle cattedrali
gotiche, le vetrate colorate arricchivano quello che sarebbe altrimenti stato un
ambiente spartano; in una chiesa ortodossa, esse creerebbero probabilmente
contrasto e confusione con l'iconografia parietale (affreschi e mosaici),
limitandone l'illuminazione e proiettandovi sopra fasci di luce eterogenea e
innaturale. Inoltre, diventerebbero un falso surrogato delle icone interne. La
finestra ideale di una chiesa ortodossa deve donare un senso di luce celeste e
traslucida (per questo erano sapientemente usati nell'antichità l'onice e
l'alabastro), che esalta il valore dell'iconografia interna.
CONCLUSIONE