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Trieste tradita.

L'esodo da Pola

Bruno Coceani

7 marzo 1947

Con l'ultimo viaggio del "Toscana" attraversano l'Adriatico le spoglie dei martiri istriani e la salma gloriosa di Nazario Sauro.
Sin dai primi giorni della conferenza di Parigi, quando trapelò che Pola sarebbe stata assegnata alla Jugoslavia, quasi trentamila abitanti della città presentarono domanda di evacuazione.
"Porteremo via anche i morti", gridò il popolo.
 Un solo pensiero ossessionò la mente di Pola, se la città fosse ceduta, fuggire, l'ultimo giorno, ma fuggire da Tito. Nessuno credette all'esodo di Pola. Non si poteva concepire che un popolo legato alla terra potesse sradicarsi e lasciare ogni cosa. Gli slavi pensarono fosse una macchinazione intimidatoria. Pola, come Trieste, sino al giugno del 1945, aveva subito l'occupazione delle truppe jugoslave e aveva dovuto sopportare le più amare mortificazioni al suo sentimento nazionale. Instaurato il Governo militare Alleato, la città visse le stesse vicende, gli stessi dissidi, le stesse illusioni di Trieste. Epurazioni, processi, lotte fra italiani. Più intransigente si mostrò la faziosità, come avviene nelle piccole città dove gli odi sono odi di rione, di strada, di famiglie.
 Edoardo Dorigo, presidente dell'Unione antifascista, celebra il sacrificio dei martiri della libertà ( di quale libertà?) ricordando "il passato di dolore e di vergogna". Giorgio Dagri, presidente comunale di zona, nell'assumere la sua carica, il 9 settembre 1945, parla di una fazione dispotica che orientò la lotta verso la più nera tirannide ed auspica ("ora che la belva fascista è vinta e non può gettare tra noi il pomo della discordia") il fraterno abbraccio. Non si capì che più che altrove in quel lembo staccato d'Italia l'equivoco del fascismo era capzioso e mortale e veniva sfruttato con malafede dagli avversari. Troppo tardi i nuovi eponenti della vita cittadina si accorsero della mistificazione degli slavi che, paladini di democrazia, accusavano di essere fascisti reazionari e contrari al governo del popolo, anche i nuovi esponenti quando osavano sostenere che l'Istria e Pola dovevano rimanere all'Italia. Antonio Budicin, noto comunista italiano, fu fatto sparire dai progressisti per i sentimentoi non rispondenti alle mire imperialiste jugoslave.
 A Pola gli slavi avevano conservato numerose organizzazioni politiche, create nel periodo dell'occupazione e la stampa. Poco aiuto trovarono gli italiani negli alleati, lenti ad agire e disposti a non mutare istituti per evitare noie e disordini. E poco dal Governo di Roma. Si legge nell'Arena di Pola che i primi di dicembre del 1945 si recò a Pola colà il presidente della "Danta Alighieri", Umberto Calosso. Ad una riunione uno domanda: "C'è chi pensa che Pola è italiana e chi scrive sui muri che Pola è jugoslava. Secondo il concetto della "Dante", Pola è italiana o jugoslava?". Calosso risponde: "Questa è una domanda un pò difficile. Io non sono di Pola". Nella sala si grida: "Possiamo rispondere noi. Pola è italiana".
 La città era ormai assediata. Gli jugoslavi avevano creato una cintura tutto intorno, impedendo ogni contatto tra i cittadini e il contado. Molti in preda ad un panico disperato abbandonarono case ed averi e cercarono con ogni mezzo di rientrare entro i confini della patria italiana. Ma i più, mossi da amore e dignità patria decisero di rimanere sino all'ultima ora perchè un giorno nessuno potesse dire che avevano disertato, sempre con la speranza nel cuore che gli anglo-americani non avrebbero abbandonato quella loro posizione avanzata e la città al controllo della Russia. Li esortava con parole serene a non allarmarsi soverchiamente il vescovo Radossi, stupenda tempra di italiano.
 Certamente per la difesa dell'italianità più utile sarebbe stato che tutti fossero rimasti ma i 40 giorni di occupazione slava avevano dato agli istriani di Pola la misura di quanto li attendeva e il timore che ogni resistenza civile sarebbe stata inesorabilmente stroncata dalla fredda ferocia comunista.
 Il 23 dicembre (1946), in seguito agli sviluppi della situazione e al progettato ritiro delle truppe alleate, l'esodo fu ufficialmente aperto. Molti ricordano con commozione la vigilia di quel Natale nel duomo affollato. Quella notte fu bandito ogni vecchio dissenso e i polesani si abbracciarono, fratelli nella sventura. Si udivano queste voci: "Andremo, non importa dove. Soffriremo la nostalgia e la fame. Ma saremo in Italia". Superiore ad ogni altro sentimento, ad ogni considerazione utilitaria è in tutti l'amore per l'Italia. Piuttosto che genuflettersi davanti a Tito, Pola, tutta Pola, decise di affrontare l?avventura, i disagi, la miseria.
 L'sodo comincia. E' un esodo in massa, di borghesi e di lavoratori, l'esodo di un'intera città. Nessun'altra prova la gente di Pola poteva dare più alta della sua italianità che in questa tremenda decisione. 50 giorni fu il tempo assegnato dalle autorità alleate. "Bisogna vedere questa gente polesana - disse alla radio il sottosegretario Carignani del Ministero dell'Assistenza, dopo la sua visita a Pola - mentre incassa le sue masserizie e chiude le case piene di ricordi più santi, per comprendere la grandezza di questa forza indomabile della loro anima".
 A poco a poco Pola si vuota. I negozi sono smontati; gli uffici demoliti; sgomberati i cantieri e le fabbriche. Pola muore. Dai ponti delle navi col cuore gonfio e con gli occhi velati di lacrime, i profughi guardano per l'ultima volta la loro Arena, la terra che era stata data loro da Dio e che ora viene loro tolta dall'arbitrio degli uomini.
 "E' triste e doloroso per noi constatare, scrive Leonardo Benussi, segretario provinciale dei partigiani di Pola, che nessun ente partigiano ci sia stato vicino in questo grave momento della nostra odissea che è l'odissea della nazione italiana".
 L'esodo si svolge tranquillo tra lo stupore del mondo civile e la rabbia degli slavi, sgomenti.Il governo di Belgrado protesta. E' un plebiscito contro la schiavitù.
 Sono partiti i profughi alla volta di Venezia, e alla volta di Ancona. Partiti anche i vecchi ricoverati negli ospizi, i malati degli ospedali, i prigionieri delle carceri, i servi della gleba, quelli che avrebbero potuto optare per il regime comunista di Tito; partiti anche alcuni ricoverati nel manicomio ma che ragionano a sufficenza per distinguere tra l'Italia e la Jugoslavia rossa. Oggi lasciano Pola anche i suoi morti gloriosi.
Bruno Coceani
7 marzo 1947
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Parigi 10 febbraio 1947 
L'Italia firma il trattato di pace avallando la resa senza condizioni ed il ruolo di nazione vinta.
(ma non ci stanno raccontando da 50 anni che abbiamo vinto la guerra il 25 aprile 1945?)
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Pola 10 febbraio 1947

MARIA PASQUINELLI

Maria Pasquinelli, fiorentina, insegnante a Spalato, dopo l'occupazione "ustascia" si trasferisce a Trieste dove diventa membro attivo della Decima, continuamente in movimento, su incarico di Borghese tiene i contatti con i Partigiani italiani tentando un accordo per salvare l'Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia ( i partigiani italiani, su ordine di Togliatti, combattono invece per i comunisti titini); è presente alla cerimonia di smobilitazione della Decima a Milano. Il 10 febbraio 1947, a Pola, in segno di protesta e per attirare l'attenzione degli italiani che si disinteressano di quello che succede sul confine orientale, uccide con 2 colpi di pistola il generale inglese de Winton che organizza l'esodo degli abitanti prima di consegnare quelle terre ai comunisti titini. Processata e condannata a morte dalle forze di occupazione alleate viene poi graziata (sconterà 18 anni in un carcere fiorentino). Il partito comunista italiano, titolare del Ministero di Grazia e Giustizia fino al 31 maggio 1947, si era mobilitato contro gli esuli dell'Istria : "Chi fugge da un paradiso comunista è un fascista". L'esodo avveniva con trasporti della nave Toscana da Pola a Venezia. Qui i comunisti accoglievano con tentativi di "linciaggio" gli Istriani che scendevano dalla nave protetti dalle truppe angloamericane. Al grido di"fascista", i comunisti, tentarono di distruggere la bara di Nazario Sauro, l'ultimo trasporto fu dirottato a Trieste (Territtorio amministrato dagli Alleati) dove furono abbandonate le masserizie e gli esuli avviati in Italia nei vari campi di concentramento .

 

 

 

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