Con l'ultimo viaggio del
"Toscana" attraversano l'Adriatico le spoglie dei martiri istriani
e la salma gloriosa di Nazario Sauro.
Sin dai primi giorni della
conferenza di Parigi, quando trapelò che Pola sarebbe stata
assegnata alla Jugoslavia, quasi trentamila abitanti della
città presentarono domanda di evacuazione.
"Porteremo via anche i morti",
gridò il popolo.
Un solo pensiero
ossessionò la mente di Pola, se la città fosse
ceduta, fuggire, l'ultimo giorno, ma fuggire da Tito. Nessuno
credette all'esodo di Pola. Non si poteva concepire che un popolo
legato alla terra potesse sradicarsi e lasciare ogni cosa. Gli
slavi pensarono fosse una macchinazione intimidatoria. Pola, come
Trieste, sino al giugno del 1945, aveva subito l'occupazione delle
truppe jugoslave e aveva dovuto sopportare le più amare
mortificazioni al suo sentimento nazionale. Instaurato il Governo
militare Alleato, la città visse le stesse vicende, gli
stessi dissidi, le stesse illusioni di Trieste. Epurazioni,
processi, lotte fra italiani. Più intransigente si
mostrò la faziosità, come avviene nelle piccole
città dove gli odi sono odi di rione, di strada, di
famiglie.
Edoardo Dorigo, presidente
dell'Unione antifascista, celebra il sacrificio dei martiri della
libertà ( di quale libertà?) ricordando "il passato
di dolore e di vergogna". Giorgio Dagri, presidente comunale di
zona, nell'assumere la sua carica, il 9 settembre 1945, parla di
una fazione dispotica che orientò la lotta verso la
più nera tirannide ed auspica ("ora che la belva fascista
è vinta e non può gettare tra noi il pomo della
discordia") il fraterno abbraccio. Non si capì che
più che altrove in quel lembo staccato d'Italia l'equivoco
del fascismo era capzioso e mortale e veniva sfruttato con
malafede dagli avversari. Troppo tardi i nuovi eponenti della vita
cittadina si accorsero della mistificazione degli slavi che,
paladini di democrazia, accusavano di essere fascisti reazionari e
contrari al governo del popolo, anche i nuovi esponenti quando
osavano sostenere che l'Istria e Pola dovevano rimanere
all'Italia. Antonio Budicin, noto comunista italiano, fu fatto
sparire dai progressisti per i sentimentoi non rispondenti alle
mire imperialiste jugoslave.
A Pola gli slavi avevano
conservato numerose organizzazioni politiche, create nel periodo
dell'occupazione e la stampa. Poco aiuto trovarono gli italiani
negli alleati, lenti ad agire e disposti a non mutare istituti per
evitare noie e disordini. E poco dal Governo di Roma. Si legge
nell'Arena di Pola che i primi di dicembre del 1945 si recò
a Pola colà il presidente della "Danta Alighieri", Umberto
Calosso. Ad una riunione uno domanda: "C'è chi pensa che
Pola è italiana e chi scrive sui muri che Pola è
jugoslava. Secondo il concetto della "Dante", Pola è
italiana o jugoslava?". Calosso risponde: "Questa è una
domanda un pò difficile. Io non sono di Pola". Nella sala
si grida: "Possiamo rispondere noi. Pola è
italiana".
La città era ormai
assediata. Gli jugoslavi avevano creato una cintura tutto intorno,
impedendo ogni contatto tra i cittadini e il contado. Molti in
preda ad un panico disperato abbandonarono case ed averi e
cercarono con ogni mezzo di rientrare entro i confini della patria
italiana. Ma i più, mossi da amore e dignità patria
decisero di rimanere sino all'ultima ora perchè un giorno
nessuno potesse dire che avevano disertato, sempre con la speranza
nel cuore che gli anglo-americani non avrebbero abbandonato quella
loro posizione avanzata e la città al controllo della
Russia. Li esortava con parole serene a non allarmarsi
soverchiamente il vescovo Radossi, stupenda tempra di
italiano.
Certamente per la difesa
dell'italianità più utile sarebbe stato che tutti
fossero rimasti ma i 40 giorni di occupazione slava avevano dato
agli istriani di Pola la misura di quanto li attendeva e il timore
che ogni resistenza civile sarebbe stata inesorabilmente stroncata
dalla fredda ferocia comunista.
Il 23 dicembre (1946), in
seguito agli sviluppi della situazione e al progettato ritiro
delle truppe alleate, l'esodo fu ufficialmente aperto. Molti
ricordano con commozione la vigilia di quel Natale nel duomo
affollato. Quella notte fu bandito ogni vecchio dissenso e i
polesani si abbracciarono, fratelli nella sventura. Si udivano
queste voci: "Andremo, non importa dove. Soffriremo la nostalgia e
la fame. Ma saremo in Italia". Superiore ad ogni altro sentimento,
ad ogni considerazione utilitaria è in tutti l'amore per
l'Italia. Piuttosto che genuflettersi davanti a Tito, Pola, tutta
Pola, decise di affrontare l?avventura, i disagi, la
miseria.
L'sodo comincia. E' un
esodo in massa, di borghesi e di lavoratori, l'esodo di un'intera
città. Nessun'altra prova la gente di Pola poteva dare
più alta della sua italianità che in questa tremenda
decisione. 50 giorni fu il tempo assegnato dalle autorità
alleate. "Bisogna vedere questa gente polesana - disse alla radio
il sottosegretario Carignani del Ministero dell'Assistenza, dopo
la sua visita a Pola - mentre incassa le sue masserizie e chiude
le case piene di ricordi più santi, per comprendere la
grandezza di questa forza indomabile della loro anima".
A poco a poco Pola si
vuota. I negozi sono smontati; gli uffici demoliti; sgomberati i
cantieri e le fabbriche. Pola muore. Dai ponti delle navi col
cuore gonfio e con gli occhi velati di lacrime, i profughi
guardano per l'ultima volta la loro Arena, la terra che era stata
data loro da Dio e che ora viene loro tolta dall'arbitrio degli
uomini.
"E' triste e doloroso per
noi constatare, scrive Leonardo Benussi, segretario provinciale
dei partigiani di Pola, che nessun ente partigiano ci sia stato
vicino in questo grave momento della nostra odissea che è
l'odissea della nazione italiana".
L'esodo si svolge
tranquillo tra lo stupore del mondo civile e la rabbia degli
slavi, sgomenti.Il governo di Belgrado protesta. E' un plebiscito
contro la schiavitù.
Sono partiti i profughi
alla volta di Venezia, e alla volta di Ancona. Partiti anche i
vecchi ricoverati negli ospizi, i malati degli ospedali, i
prigionieri delle carceri, i servi della gleba, quelli che
avrebbero potuto optare per il regime comunista di Tito; partiti
anche alcuni ricoverati nel manicomio ma che ragionano a
sufficenza per distinguere tra l'Italia e la Jugoslavia rossa.
Oggi lasciano Pola anche i suoi morti gloriosi.
Bruno Coceani
7 marzo 1947
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Parigi 10 febbraio
1947
L'Italia firma il trattato di
pace avallando la resa senza condizioni ed il ruolo di nazione
vinta.
(ma non ci stanno raccontando da
50 anni che abbiamo vinto la guerra il 25 aprile 1945?)
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Pola 10 febbraio
1947
MARIA PASQUINELLI
Maria Pasquinelli, fiorentina,
insegnante a Spalato, dopo l'occupazione "ustascia" si trasferisce a
Trieste dove diventa membro attivo della Decima, continuamente in
movimento, su incarico di Borghese tiene i contatti con i Partigiani
italiani tentando un accordo per salvare l'Istria, la Dalmazia e la
Venezia Giulia ( i partigiani italiani, su ordine di Togliatti,
combattono invece per i comunisti titini); è presente alla
cerimoniadi
smobilitazione della Decima a
Milano. Il 10 febbraio 1947, a Pola, in segno di protesta e per
attirare l'attenzione degli italiani che si disinteressano di quello
che succede sul confine orientale, uccide con 2 colpi di pistola il
generale inglese de Winton che organizza l'esodo degli abitanti prima
di consegnare quelle terre ai comunisti titini. Processata e
condannata a morte dalle forze di occupazione alleate viene poi
graziata (sconterà 18 anni in un carcere fiorentino). Il
partito comunista italiano, titolare del Ministero di Grazia e
Giustizia fino al 31 maggio 1947, si era mobilitato contro gli esuli
dell'Istria : "Chi fugge da un
paradiso comunista è un fascista". L'esodo avveniva con trasporti della nave
Toscana da Pola a Venezia. Qui i comunisti accoglievano
con tentativi di "linciaggio" gli Istriani che scendevano dalla nave
protetti dalle truppe angloamericane. Al grido di"fascista", i
comunisti, tentarono di distruggere la bara di Nazario Sauro,
l'ultimo trasporto fu dirottato a Trieste (Territtorio amministrato
dagli Alleati) dove furono abbandonate le masserizie e gli esuli
avviati in Italia nei vari campi di concentramento .