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ANCORA UNA SENTENZA DI MERITO (Tribunale di Monza, Sentenza n. 507/99) CHE, RILEVANDO L’ABUSO BANCARIO DELLA CAPITALIZZAZIONE TRIMESTRALE, APRE GRANDI SPERANZE A TUTTI GLI UTENTI CHE ABBIANO UN’APERTURA DI CREDITO ED UN CONTO CORRENTE.

 (Sintesi elaborata dalla Delegazione Adusbef di Puglia)

Il Tribunale di Monza, Sezione II Civile, in persona del magistrato Dott. Piero CALABRO’ ritorna a confermare l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi (c.d. anatocismo trimestrale), normalmente prevista dall’art. 7 delle N.U.B. (norme bancarie uniformi) redatte dall’A.B.I. (nota associazione di categoria delle banche) e, quindi, presente nella (quasi) totalità dei contratti di conto corrente bancario e di apertura di credito.

Nonostante che per l’art. 1283 del codice civile sia in modo assoluto proibita la convenzione preventiva dell’anatocismo (semestrale), la Banca inserisce nel contratto originario di apertura di credito e di conto corrente l’accettazione di una pattuizione preventiva dell’interesse composto (o anatocismo) trimestrale.

E’ pacifico, per espressa previsione codicistica, che l’anatocismo, o l’interesse composto, o la produzione indefinita di interessi sugli interessi degli interessi è consentito esclusivamente nel caso in cui a tal fine sia stata presentata specifica domanda giudiziale oppure sia stata stipulata idonea convenzione posteriore di almeno sei mesi alla loro scadenza.

Nei noti contratti previsti dalle nostre banche la convenzione anatocistica è trimestrale (e non semestrale), stipulata dalle parti anteriormente alla scadenza stessa degli interessi ed è perciò nulla per violazione della norma imperativa dell’art.1283 c.c.

Tale convenzione anatocistica, preventiva e trimestrale, potrebbe essere consentita, in base al vigente art.1283 del codice civile, solo in presenza di un uso normativo (già formatosi alla data di ingresso del nostro codice) che espressamente preveda la preventiva pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti.

Non esiste però un uso normativo (cfr. art. 8 preleggi del codice civile), anteriore all’entrata in vigore del vigente codice civile, il cui contenuto consenta la pattuizione preventiva della capitalizzazione trimestrale degli interessi non ancora scaduti.

Successivamente all’entrata in vigore del codice civile, non potranno essersi formati validamente (in quanto contra legem) altri usi normativi rispetto a quelli già esistenti al momento di entrata in vigore del codice.

La pretesa consuetudine normativa di capitalizzazione trimestrale degli interessi non soltanto è inesistente al momento dell’entrata in vigore del codice del 1942, ma necessariamente non può neanche ritenersi validamente formata negli anni successivi.

Le prime N.U.B. (Norme Bancarie Uniformi) in tema di conto corrente (si tratta di un gruppo di 15 condizioni elaborate dall’ABI), adottate dal 1° gennaio 1952, prevedevano, per la prima volta (in Italia e nel mondo), la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.

Gli stessi usi, registrati dalle Camere di Commercio in sede provinciale in un momento antecedente o concomitante con quello della entrata in vigore delle "condizioni generali uniformi di banca" in tema di conto corrente, nulla prevedevano circa la chiusura e la capitalizzazione trimestrale dei conti debitori a favore delle banche.

L’inserzione nei contratti bancari di conto corrente, ed in altri, di una previsione di capitalizzazione trimestrale non costituisce, com’è a tutti noto, un uso normativo, ma al massimo potrebbe costituire una tendenza (dettata dall’imposizione di un contraente forte) verso la costituzione di un uso negoziale (cfr. art.1340 c.c.), la cui formazione peraltro non si sarebbe mai compiuta, considerato il contrasto di una clausola di tal fatta con il divieto imperativamente stabilito dalla legge.

Gli elementi dell’uso normativo sono due: l’uno, esteriore, costituito da un mero fatto, consistente nella ripetizione uniforme e costante di un dato comportamento, l’altro psicologico, costituito dalla generale opinione di osservare, così operando, una norma giuridica - opinio iuris ac necessitatis.

Le norme bancarie uniformi, predisposte da un’associazione di categoria pianificata alla tutela degli interessi esclusivi delle banche (A.B.I.), non hanno forza normativa (cfr. Cass. 26 ottobre 1968, n.3572; Cass. 14 dicembre 1971, n.3638).

Infine, chi invoca l’operatività dell’uso deve fornire la prova della sua esistenza e del suo contenuto (Cass. 6 dicembre 1972, n.3533), non essendo il giudice tenuto a ricorrere a fonti estranee alla sua scienza ufficiale, né tanto meno ad indagini personali involgenti l’esercizio di attività istruttorie non richieste dalle parti (vedi Cass. 17 maggio 1976, n. 1742).

La generalità dei clienti delle banche è convinta, non certo di osservare una norma giuridica, ma di sottoscrivere un contratto predisposto dal contraente forte, fitto di clausole vessatorie dannose al contraente debole che, però, ha necessità di sottostare al sistema bancario ( conformi in tal senso: TRIBUNALE di VERCELLI, Sentenza del 21 luglio 1994; PRETURA di ROMA Sentenza dell’11 novembre 1996; TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO, Sentenza del 15 giugno 1998 e TRIBUNALE di MONZA Sentenza del 21 febbraio 1999).

La banca, abusando della dipendenza economica dell’utenza, in violazione dall’art.9 legge n.192/98, impone di fatto condizioni vessatorie che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, violando l’art. 1469 bis c.c., introdotto dalla direttiva comunitaria n. 13/93 del 5 aprile 1993.

Solo nell’abuso della posizione dominante può giustificarsi il significativo squilibrio che si ha nella previsione dell’anatocismo trimestrale in favore della banca e di quello annuale per l’utenza.

A ragione osserva, tra l’altro, il Tribunale di Monza, secondo cui: "…la previsione di un sistema di capitalizzazione degli interessi fortemente sperequato (trimestrale per quelli da versarsi alla banca; annuale per quelli dovuti al cliente) si ponga in contrasto con il comma primo dell’art. 1469 bis Codice civile che qualifica come vessatorie le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".

Inoltre, rileva il Dott. CALABRO’ nella nota sentenza che: "… la previsione da parte dell’ABI, di norme uniformi che impongano la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, si pone in palese contrasto con l’art. 85 del Trattato CEE, che vieta, tra l’altro, gli accordi tra imprese e tutte le pratiche concordate in particolare consistenti nel fissare direttamente o indirettamente condizioni di transazione e li sanziona di nullità di pieno diritto.

E’ poi pacifico che il saggio degli interessi anatocistici, in mancanza di usi contrari ovvero di convenzione scritta posteriore alla loro scadenza, è quello legale, qualunque natura abbiano gli interessi primari sui quali si applicano (cfr. Cass. 10 settembre 1990, n. 9311, ecc..).

Infine, ed è questa una vittoria riportata da ADUSBEF con l’Avv. Antonio TANZA (che ha rappresentato il Consumatore, in veste di delegato ADUSBEF per la Regione Puglia), appare nulla la clausola contrattuale secondo cui il meccanismo della capitalizzazione ai danni dell’utente continua ad operare anche dopo la cessazione del rapporto (ad es. revoca), e fino alla data di estinzione del debito (così TRIBUNALE di LECCE, Sentenza dell’8 ottobre 1997).

Infatti, se il rapporto contrattuale é cessato (revoca dell’affidamento), la causa non esiste, o per difetto originario oppure per difetto funzionale (ad es. risoluzione): il persistere della capitalizzazione (già di per sé illegittima) dopo tale cessazione, anziché espressione di una apprezzabile funzione economico-sociale, sarebbe mero anatocismo, non consentito per gli usi contrattuali, ed in particolare non legittimato dall’art.7, comma 4, delle norme A.B.I. (o da altre pattuizioni analoghe), che costituisce convenzione anteriore, e non posteriore (cfr. art.1283 c.c.), alla scadenza degli interessi primari.

Inoltre, l’interesse di mora applicato su un rapporto revocato costituisce un illegittimo anatocismo, quanto meno nella parte del credito costituito da interessi.

Si attende, ora, una pronuncia della Suprema Corte che, invertendo rotta, faccia cessare questo evidente abuso bancario, sconosciuto alle altre nazioni dell’unione europea.

Marzo 1999

 


 

IL REATO DI USURA, A SEGUITO DELLA NUOVA LEGGE 108/1996, SI CONFIGURA COME DELITTO A CONDOTTA FRAZIONATA O A CONSUMAZIONE PROLUNGATA, QUALORA GLI INTERESSI SIANO INCASSATI RATEALMENTE: LO HA STABILITO LA CASSAZIONE (SENTENZA N.1077 DEL 19-22.10.98). NON E' PIU' LECITO CHE LE BANCHE,CONTINUINO AD INCASSARE RATE DI MUTUO, CON TASSI DI INTERESSI SUPERIORI AI TASSI SOGLIA.

La sentenza n.1077, prima sezione di Cassazione, emessa il 19-22 ottobre 1998, pres. Sacchetti, est. Canzio, apre grandi speranze per  tutti i cittadini (oltre 500 mila)  che  avevano stipulato mutui per acquistare casa, ad altissimi tassi di interesse.

La Suprema Corte ha affermato che deve essere  accolto  il Prevalente orientamento dottrinale, recepito già da alcuni Tribunali, secondo il quale il reato di usura si realizza con  la dazione effettiva  degli interessi, in quanto questa fa  parte a pieno  titolo  del fatto lesivo penalmente rilevante e  segna  il momento consumativo del reato.

Tale affermazione è giustificata con il rilievo che, rispetto al consueto atteggiarsi nella realtà  sociale ed  economica del fenomeno usurario, sarebbe distonico sostenere  l'estraneità  alla struttura  della  fattispecie criminosa di questa modalità di realizzazione  dell'illecito, la dazione degli interessi e nella quale si identifica la completa esecuzione del delitto e il massimo approfondimento  della concreta e progressiva  lesione dell'interesse protetto. La sentenza è ancor più importante perché chiarisce,  una volta  per tutte, che con  la  nuova  disciplina introdotta con la legge 108/1996, il reato di usura non può configurarsi come reato istantaneo ad "effetti permanenti", bensì come reato a "condotta frazionata" o a "consumazione prolungata".

La  nuova  qualificazione del reato fatta  dalla Cassazione trova  il suo fondamento normativo nella nuova  disciplina  della prescrizione, prevista  dall'art. 644 codice penale, secondo cui  il reato si prescrive a partire dall'ultima riscossione, e trova conforto  nell'insegnamento  tradizionale ed unanime sia della Cassazione che della dottrina: quando una disciplina viene abrogata  e sostituita da nuove  norme, com'è accaduto  per  la fattispecie  criminosa dell'usura, la giurisprudenza che si era formata sul vecchio testo normativo diventa inutilizzabile.

Adusbef, che ha promosso centinaia di cause in sede  civile, denunciando alcune  banche (San Paolo di  Torino, ecc.)  in  sede penale per le richieste usurarie anche superiori al 40 per  cento del capitale residuo, per la risoluzione anticipata del contratto, continuerà la sua battaglia contro usi ed abusi delle banche.

Adusbef ricorda che i tassi soglia vigenti per tipologie  di prestiti, oltre i quali si consuma il reato di usura ed ai  quali le  banche sono obbligate a ricondurre i conteggi, sono:  8,7  per cento  per  i mutui; 17,52 per i prestiti personali, 14,94  per  le aperture di credito in conto corrente superiori a 10 milioni.

Spiace rilevare un atteggiamento protervo ed arrogante dell'Abi che, invece di applicare la legge con una autentica interpretazione, come autorevolmente proposto dalla Cassazione, continua a difendere rendite oramai anacronistiche, come la capitalizzazione trimestrale sui prestiti e la commissione di massimo scoperto, anch'essi dichiarati illegali da precedenti pronunce di Cassazione.

Roma, 25.2.1999


 

COMMENTO ALLA SENTENZA N° 47/1999 DEL GIUDICE DI PACE ADRIANO SIMONETTI

SULLE CLAUSOLE ABUSIVE NEI CONTRATTI

( Foro competente).

 

Le Assicurazioni Generali, una delle più grandi compagnie  di assicurazioni operanti in Italia, ha la sua sede legale a Trieste, ma stipula i contratti per coprire la responsabilità civile degli assicurati, la  Rc auto obbligatoria, anche nella lontana Trapani.

Nel contratto di assicurazione delle Generali, scritto in caratteri minuscoli, è previsto che in caso  di controversia, il foro  competente  (cioè il Tribunale  che  dovrà  pronunciarsi), è quello di Trieste, che dista circa 2.000 chilometri da Trapani.

L'assicurato  delle  Generali di Trapani che leso  nei  suoi diritti, intende  rivalersi giudiziariamente contro la  compagnia per  una  controversia di poche centinaia di migliaia  di  lire, è costretto  ad andare nella città di Trieste, pagare un avvocato, impegnarsi in una onerosa trasferta di migliaia di  chilometri, sperare  in  un giudizio positivo che non gli  ristorerà  mai le spese affrontate per sostenere il  giudizio: l'utente lascerà perdere, perché la spesa non vale l'impresa.

Proprio per evitare che le Assicurazioni Generali od altri "contraenti forti" di un rapporto  contrattuale (assicurazioni, banche, Telecom, Tim, Omnitel, ENEL, Italgas, Acea, ecc.), potessero abusare della  loro posizione, anche  scegliendo il foro competente per dirimere le controversie giudiziarie, il parlamento europeo  ha  approvato una direttiva (93/13 del 5 aprile 1993), intesa a proteggere gli acquirenti di beni o di  servizi  dagli abusi  di potere del venditore, con particolare riguardo a quelli derivanti "dai contratti di adesione", rispetto ai quali il consumatore non ha potuto esercitare alcuna influenza.

Nonostante  tale precisa direttiva, diventata legge dello  Stato (n.52/96), i contraenti forti continuano a dettare il loro  potere contrattuale, chiedendo ai giudici  di  poter   continuare ad esercitare le loro disinvolte pratiche: anche il Consorzio Intercomunale  Acqua, Gas e Pubblici Servizi (CONSIAG)  di Prato, pretendeva di chiamare in giudizio presso il "foro competente" di Prato, un proprio utente, la signora B. S. di Sesto Fiorentino, per presunte inadempienze contrattuali.

Ma il giudice di pace in Prato, Adriano Simonetti,  con  una lineare sentenza, la n.47/99, emessa il 28 gennaio 1999,ha respinto le  pretese della Consiag, perché il suo  regolamento,  prevedendo una  deroga al foro del consumatore-utente, appare  senz'altro  in contrasto  con  l'art. 1469  bis  (e seguenti), che considera vessatorie  le  clausole  che stabiliscono, come sede del  foro competente sulle controversie, "località diverse  da  quella  di residenza o domicilio elettivo del consumatore".

La sentenza di Prato che fissa come "foro esclusivo" per  le controversie, quello  del  consumatore, restituisce  un  minimo  di civiltà a rapporti giuridici ideati contro i diritti degli utenti.

Roma, 9.2.1999



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