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TESTI DELLE SENTENZE : INDICE

(1) E' nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente a oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente - tanto più nel caso di contratti stipulati dopo l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge 17 febbraio 1992 n. 154 che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi - giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria norma consuetudinaria e interviene anteriormente alla scadenza degli interessi.

(2) La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce uso normativo, ma uso negoziale, come tale inidoneo ad operare automaticamente con effetto integrativo del contratto.

(3) Il reato di usura, a seguito dell'introduzione nel codice penale dell'art. 644 ter, può configurarsi, quando gli interessi siano incassati ratealmente, come delitto a condotta frazionata (o a consumazione prolungata).


(4) Il testo del dgl di fine luglio di modifica del Testo Unico delle leggi in materia bancaria


(1)

- Sentenza 20 maggio 1998-16 marzo 1999 n.2374

LA BANCA NON PUO' CAPITALIZZARE OGNI TRE MESI

GLI INTERESSI SULLE SOMME PRESTATE AL CLIENTE

Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 20 maggio 1998-16 marzo 1999 n.2374

(Presidente Rocchi; Relatore Salmè; Pm - conforme - Gambardella; Ricorrente Behare; Controricorrente Banco di Napoli Spa)

 

LA MASSIMA

Obbligazioni in genere - Obbligazioni pecuniarie - Interessi - Anatocismo - Contratti di conto corrente bancario - Previsione relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi - Uso normativo - Configurabilità - Esclusione - Conseguenze - Nullità della previsione Fondamento. (Cc. Articoli 1283 e 1815; legge 154/1992, articolo 4)

E' nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente a oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente - tanto più nel caso di contratti stipulati dopo l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge 17 febbraio 1992 n. 154 che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi - giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria norma consuetudinaria e interviene anteriormente alla scadenza degli interessi.

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 5 luglio 1988 Sami Behare ha proposto opposizione avverso il decreto con il quale il presidente del tribunale di Milano gli ha ingiunto il pagamento di L. 22.143.185 in favore della filiale di Milano del Banco di Napoli, in relazione a uno scoperto di conto corrente di pari importo. L'opponente ha sostenuto che la revoca dell'apertura di credito gli era stata comunicata solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo, che non era dovuta la somma richiesta e che, comunque, era illegittima la richiesta di interessi in misura superiore a quella pattuita.

Con sentenza del 16 settembre 1991 il tribunale di Milano ha respinto l'opposizione e tale decisione è stata confermata dalla corte d'appello di Milano.

La corte territoriale, limitatamente a quanto in questa sede ancora rileva, ha rigettato l'eccezione di nullità della sentenza impugnata, fondata sulla pretesa mancanza di sottoscrizione del presidente, rilevando che in calce alla sentenza stessa, oltre alla firma dell'estensore, risultava apposta altra firma illeggibile che, in difetto di altri elementi, doveva essere attribuita al presidente. Quanto alla dedotta nullità della clausola del contratto di conto corrente relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti, la corte territoriale ha affermato che nei rapporti tra istituti di credito e clienti l'anatocismo è applicato secondo un uso normativo che autorizza la deroga a tutte le condizioni elencate nell'art. 1283 c.c.

Avverso la sentenza della corte d'appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi il Behare. Resiste con controricorso il Banco di Napoli. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

 

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo, deducendo la violazione dell'art.132 c.p.c., il ricorrente afferma che la sottoscrizione della sentenza, diversa da quella del giudice estensore, non sarebbe illeggibile, come sostenuto nella sentenza impugnata, perché, quanto meno, sarebbero individuabili le prime due lettere "M" e "G", che corrispondono alle iniziali del giudice a latere e sono incompatibili con il nome del presidente, di cui non è stato attestato l'impedimento.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha accertato che in calce alla sentenza di primo grado risultano apposte due firme: una del giudice estensore e un'altra illeggibile. La firma illeggibile, ha aggiunto la corte territoriale, in difetto di altri elementi, deve attribuirsi al presidente del collegio giudicante.

Il ricorrente contesta che la seconda sottoscrizione sia illeggibile, affermando che sono individuabili nel tratto grafico due lettere, ma l'affermazione non può condividersi, perché la sigla non consente di per sé, l'individuazione del sottoscrittore. Ora, premesso che l'accennata illeggibilità della sottoscrizione non comporta difetto di sottoscrizione, quando la stessa non impedisca, sia pure sulla base di ulteriori elementi risultanti dalla sentenza, l'individuazione del giudice ha l'ha pronunciata (Cass. N.943/95, 9446/1993, 5635/1990), deve ritenersi che nella specie l'attribuzione della sigla al presidente del collegio, alla quale è pervenuta la sentenza impugnata, sulla base di una presunzione, non può essere vinta dai rilievi formulati in questa sede del ricorrente, perché la valutazione di tali rilievi implicherebbe un accertamento di fatto estraneo all'ambito di questo giudizio di legittimità.

2.1 Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo l'erronea interpretazione dell'art.1283 c.c., lamenta che sia stata ritenuta legittima l'applicazione dell'anatocismo, nella forma della capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati a suo carico. Secondo il ricorrente, anche in presenza di usi contrari, gli interessi anatocistici non sarebbero "in ogni caso" dovuti per un periodo superiore ai sei mesi, perché l'art. 1283 c.c. è norma imperativa e non dispositiva. Comunque, la prassi bancaria della capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici non sarebbe basata su un uso normativo, ma su un semplice uso negoziale, mancando nel cliente la convinzione di adempiere a un obbligo giuridico ed essendo invece diffusa la convinzione che si tratti di una clausola vessatoria imposta dal cartello bancario.

2.2 il motivo è fondato.

Ha carattere logicamente preliminare il secondo profilo, in quanto se dovesse condividersi la tesi secondo cui l'uso bancario della capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente ha natura negoziale e non normativa, rimarrebbe assorbita la questione relativa ai limiti temporali di operatività dell'anatocismo.

L'art. 1283 c.c., in conformità con una tradizione legislativa risalente alla codificazione napoleonica, supera l'antico divieto, di origine cristiano-giustinianea, e ammette l'anatocismo a determinate condizioni. La disposizione, che pacificamente è ritenuta di carattere imperativo e di natura eccezionale, contiene due norme: con la prima si limita la possibilità che interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi alla sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre, con la seconda la produzione di ulteriori interessi è subordinata alla proposizione di una domanda giudiziale (che ne determina anche la decorrenza) ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi.

Le finalità della norma sono state identificate, da una parte, nella esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari, e, dall'altra, nell'intento di consentire al debitore di rendersi conto del rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell'inadempimento (onere della domanda giudiziale) e, comunque, di calcolare, al momento di sottoscrivere l'apposita convenzione, l'esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l'apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l'accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito.

Finalità, va anche detto, che lungi dall'apparire anacronistiche, per quanto riguarda gli intenti antiusurari, sono di grandissima attualità, perché la lotta all'usura ha trovato in tempi recenti nuove motivazioni e nuovi impulsi e ha portato all'approvazione della legge 7 marzo 1996, n.1°8, che ha radicalmente innovato la disciplina preesistente, rendendo più agevole l'applicazione delle sanzioni penali e civili (con la modifica del secondo comma dell'art.1815 c.c.), anche con l'introduzione di un meccanismo semplificato di accertamento della natura usuraria degli interessi, consistente nel mero superamento obiettivo di un tasso-soglia determinato dal Ministro del tesoro per ogni trimestre. Ora, pur rimanendo nei limiti del tasso-soglia, le conseguenze economiche sono diverse a seconda che sulla somma capitale si applichino gli interessi semplici o quelli composti. E' stato, infatti, osservato che una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del cinque per cento si raddoppia in venti anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in circa quattordici anni.

2.3. Nonostante l'evidente rilievo economico e sociale delle finalità perseguite dalla disciplina limitativa dell'anatocismo, la disposizione ammette tuttavia la possibilità di deroga da parte di usi contrari.

Ora, con un orientamento giurisprudenziale che ha avuto inizio con la sentenza n.6631 del 1981 (secondo la quale "nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare e avere, l'anatocismo trova generale applicazione, in quanto sia le banche sia i clienti chiedono e riconoscono - nel vario atteggiarsi dei singoli rapporti attivi e passivi che possono in concreto realizzarsi - come legittima la pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario importo della somma versata, ma sugli interessi da questo prodotti e ciò anche a prescindere dai requisiti richiesti dall'art.1283 c.c."), questa Corte ha ripetutamente affermato l'esistenza di n uso normativo che consente di derogare, nei rapporti tra banche e clienti, secondo la stessa volontà del legislatore, ai limiti posti all'applicazione dell'anatocismo (v. in senso conforme Cass. N.5409/83, 4920/87, 3804/88, 2644/89, 7571/92, 9227/95, 3296/97, che si limitano a richiamare i precedenti, senza aggiungere proprie argomentazioni).

Ritiene tuttavia la Corte che il tradizionale orientamento debba essere rivisto, anche alla lice delle obiezioni sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, in quanto l'esistenza di un uso normativo idoneo a derogare ai limiti di ammissibilità dell'anatocismo previsti dalla legge appare più oggetto di una affermazione, basata su un incontrollabile dato di comune esperienza, che di una convincente dimostrazione.

2.4. Un primo rilievo, non estraneo, peraltro, allo stesso orientamento che viene ora sottoposto a revisione critica, deve essere fatto. Gli "usi contrari", ai quali il legislatore fa riferimento, sono i veri e propri usi normativi, di cui agli articoli 1, 4 e 8 delle disp. Pref. al c.c. che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, e cioè conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento (opinio iuris ac necessitatis).

Agli usi normativi, che costituiscono fonte di diritto obiettivo, come è noto, si contrappongono gli usi negoziali, disciplinati dall'art.1340 c.c., consistenti nella semplice reiterazione di comportamenti ad opera delle parti di un rapporto contrattuale, indipendentemente non solo dall'elemento psicologico, ma anche dalla ricorrenza del requisito della generalità. L'efficacia di detti usi è limitata alla creazione di un precetto del regolamento contrattuale, che si inserisce nel contratto salvo diversa volontà delle parti. Ancora diversi, infine, sono gli usi interpretativi (art.1368 c.c.), consistenti nelle pratiche generalmente seguite nel luogo in cui è concluso il contratto o ha sede l'impresa, che non hanno funzione di integrazione del regolamento contrattuale, ma costituiscono soltanto uno strumento di chiarimento e di interpretazione della volontà delle parti contraenti.

Consegue da quanto osservato che, in materia, non hanno, quindi, alcun rilievo in quanto tali (indipendentemente cioè dalla loro eventuale efficacia probatoria di un preesistente uso normativo conforme, di cui si tratterà oltre), le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'associazione di categoria (Associazione bancaria italiana - A.B.I.), che non hanno natura normativa, ma solo pattizia, nel senso che si tratta di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall'associazione alle banche associate (la cui validità, peraltro, in relazione alla disciplina comunitaria e interna della concorrenza, è stata di recente, per alcuni aspetti non secondari, messa in discussione dalle autorità amministrative di vigilanza). Come tali, quindi, le c.d. norme bancarie uniformi assumono rilevanza nel singolo rapporto contrattuale con il cliente in quanto siano richiamate nel contratto stesso, secondo la disciplina dettata dagli articoli 1341 e 1342 c.c.

2.5- L'indagine alla quale la Corte è chiamata non può, inoltre, essere limitata a rilevare se nei rapporti tra banca e cliente esista un generico uso favorevole all'applicazione dell'anatocismo, essendo evidente che la specifica e puntuale disciplina limitativa legale può essere sostituita, per volontà del legislatore, sono da una normativa consuetudinaria altrettanto specifica e puntuale e non da una generica prassi derogatoria, che, propria a causa della sua genericità, non potrebbe mai costituire fonte di diritto obiettivo. D'altra parte, se l'unico contenuto di una regola consuetudinaria fosse quello di ammettere l'anatocismo nei rapporti tra banca e cliente, si tratterebbe di una regola inutile, in quanto puramente ripetitiva della norma di legge, che, si ripete, non contiene un divieto assoluto, ma, all'opposto, afferma l'ammissibilità dell'anatocismo, sia pure nei limiti dalla stessa norma indicati.

Lo specifico oggetto di indagine è, pertanto, come esattamente propone il ricorrente, l'esistenza o non di una consuetudine in base alla quale nei rapporti tra banca e cliente, gli interessi a carico del cliente possano essere capitalizzati (e quindi possano produrre ulteriori interessi) ogni trimestre.

Ora, dall'orientamento giurisprudenziale richiamato, non emerge che questa Corte abbia in precedenza affermato l'esistenza di una norma consuetudinaria di questa precisa portata, essendosi limitata ad affermare, sulla base di un dato di comune esperienza, che l'anatocismo trova generale applicazione nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti.

Anzi, la dottrina formatasi nel vigore della disciplina anteriore all'entrata in vigore del nuovo codice, anche sulla base della giurisprudenza dell'epoca, affermava che gli usi normativi in materia commerciale, fatti salvi dall'art.1232 del c.c. del 1865, erano nel senso che i conti correnti venivano chiusi ad ogni semestre e che al momento della chiusura potevano essere capitalizzati gli interessi scaduti. Inoltre, anche tra i primi e più autorevoli commentatori dellart.1283 del codice vigente, si affermava che l'uso contrario richiamato da detta disposizione prevedeva che divenisse produttivo di interessi solo il saldo annuale o semestrale del conto corrente.

Non v'è alcun elemento, quindi, che autorizzi a ritenere esistente, prima del 1942, un uso normativo che autorizzava la capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente di un istituto di credito.

2.6. E', comunque, decisivo un ulteriore rilievo, puntualmente messo in evidenza da una parte della dottrina. La capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito del cliente è stata prevista in realtà per la prima volta dalle c.d. norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi predisposti dall'A.B.I. con effetto del 1 gennaio 1952. La clausola sei, dopo avere affermato che in via normale i rapporti di dare e avere sono regolati annualmente, portando in conto (e cioè capitalizzando) gli interessi al 31 dicembre di ogni anno, disponeva che i conti che risultino anche saltuariamente debitori dovevano essere regolati invece, in via normale, ogni trimestre e con la stessa cadenza gli interessi scaduti producevano ulteriori interessi, al tasso da determinarsi tenendo conto delle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito operanti sulla piazza.

Non è stata mai accertata, invece, dalla Commissione speciale permanente presso il Ministero dell'industria, ai sensi del d.l.g.vo del C.p.S. 27 gennaio 1947, n.152 (modificato con la legge 13 marzo 1950, n.115) l'esistenza di un uso normativo generale di contenuto corrispondente alla clausola di cui si è detto. Tale uso generale è stato oggetto di accertamento e pubblicazioni in raccolte di natura meramente privata.

Per quanto riguarda, inoltre, l'accertamento di usi locali da parte di alcune Camere di commercio provinciali, ai sensi del combinato disposto degli artt.34, 39-40 del r.d. 20 settembre 1934, n.2011 e dell'art.2, del D.Lg.vo luogoten. 21 settembre 1944, n.315, deve rilevarsi che si tratta di accertamenti avvenuti tutti in epoca successiva al 1952 e ciò esclude che, in concreto, possa essere attribuita alla indicata clausola delle c.d. norme bancarie uniformi in vigore dal 1952 una funzione probatoria di usi locali preesistenti. Peraltro, la presunzione derivante dall'inserimento nelle raccolte delle camere di commercio, di cui all'art.9 delle disp. Prel. al c.c. riguarda l'esistenza dell'uso e non anche la natura, normativa o negoziale. Anzi, in concreto, il rapporto temporale che è intercorso tra la predisposizione delle c.d. norme bancarie uniformi in tema di conti correnti di corrispondenza e le deliberazioni camerali con le quali sono stati accertati usi locali di contenuto corrispondente, può autorizzare la presunzione che l'accertamento dell'uso locale sia conseguenza del rilievo di prassi negoziali conformi alle condizioni generali predisposte dall'A.B.I., prassi alle quali mai potrebbe riconoscersi efficacia di fonti di diritto obiettivo, se non altro per l'evidente difetto dell'elemento soggettivo della consuetudine, potendo al massimo ritenersi che si possa trattare di clausole d'uso ai sensi dell'art. 1340 c.c. A conferma della fondatezza di tale presunzione può ricordarsi che nella raccolta degli usi bancari curata dalla Camera di commercio di Firenze, edizione 1960, l'uso relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente è espressamente definito come uso negoziale.

Giova, peraltro, sottolineare ce, comunque, nella specie la banca controricorrente non ha invocato un uso normativo locale, ma un uso nazionale, che, in conformità con una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, sulla base dei puntuali rilievi, storici e giuridici, ora sinteticamente indicati, deve ritenersi inesistente.

2.7 Infine, non appare irrilevante anche quanto può desumersi dalla concreta esperienza giurisprudenziale e dalla dottrina più volte richiamata, circa l'elemento psicologico che si accompagna al generalizzato inserimento nei concreti regolamenti contrattuali di clausole (la cui validità, alla stregua dell'art.1283 c.c e in mancanza di un uso contrario, non potrebbe certo essere data per scontata) conformi alle condizioni generali predisposte dall'A.B.I. che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente, mentre gli interessi a carico della banca sono capitalizzati annualmente. Dalla comune esperienza, infatti, emerge che l'inserimento di tali clausole è acconsentito da parte dei clienti non in quanto ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio iuris ac necessitatis, se non altro per l'evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente.

Su questo aspetto soggettivo, peraltro, l'orientamento di questa Corte non aveva fatto alcuna specifica considerazione, essendosi limitata ad osservare che sia le banche che i clienti chiedono e riconoscono come "legittima" la pretesa degli interessi anatocistici. Ma tale osservazione non è rilevante, perché la legittimità della pretesa della corresponsione degli interessi anatocistici deriva direttamente dalla circostanza che il legislatore del '42 non ha ripetuto l'antico divieto ma, al contrario, ha ritenuto ammissibile l'anatocismo, sia pure nei limiti senati dall'art.1283 c.c. il punto da decidere era, invece, di vedere se tali limiti erano superabili, per l'esistenza di una norma di diritto obiettivo consuetudinario di contenuto diverso, mentre su tale aspetto il citato orientamento non esprime alcuna valutazione.

3. Sulla base dei rilievi formulati si deve, quindi, ritenere che la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi.

Un'ulteriore ragione di invalidità della clausola, quanto meno per i contratti bancari stipulati dopo l'entrata in vigore della legge, deriva inoltre dall'art.4 della legge 17 febbraio 1992, n.154 (trasfusa poi nel t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.l.g. 1 settembre 1993, n.385), che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi.

In accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Milano, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Milano.

 

LA GIURISPRUDENZA RICHIAMATA

Obbligazioni in genere - Obbligazioni pecuniarie - Interessi - Anatocismo - Uso normativo autorizzane la deroga alle condizioni previste dall'articolo 1283 del C.c. - Applicabilità alle relazioni tra istituti di credito e clienti. /C.C. articolo 1283; C.p.c. articolo 360 ).

I rapporti bancari regolati da usi normativi - dotati, cioè dei caratteri obiettivi della costanza, della generalità e della durata, nonché del carattere soggettivo della opinio iuris, che sono propri della norma giuridica consuetudinaria - in base ai quali la produzione degli interessi anatocistici prescinde del tutto dai presupposti fissati nell'articolo 1283 del C.c. Tali usi, essendo espressamente richiamati dalla menzionata norma, operano sul medesimo piano della stessa, onde hanno uguale natura delle regole stabilite direttamente dal legislatore, con la conseguenza che essi sono, come le norme di legge, soggetti al principio iura novit curia. Pertanto, di essi si può fare applicazione anche nel giudizio di legittimità e indipendentemente dalle allegazioni delle parti e dalle considerazioni in proposito svolte dal giudice di merito.

(Sezione I, sentenza 1 settembre 1995, n.9227 - Pres. Cantillo, Rel. Rordori; Pm (diff.) Tondi; Ric. Acoi Spa; Res. Amministrazione Tesoro di Stato).

Obbligazioni in genere - Obbligazioni pecuniarie - Interessi - Anatocismo - Uso normativo autorizzante la deroga all'articolo 1283 del C.c. - Conseguente applicabilità ai rapporti bancari - Applicabilità ai rapporti tra amministrazioni controllate e Ministero del Tesoro in caso di crediti garantiti ex articolo 2-bis della legge 95/1979 - Sussistenza - Fondamento. (C.c articoli 1283 e 1949, legge 3 aprile 1979 n.95 articolo 2-bis).

Ove il Ministero del Tesoro, in relazione alla garanzia prestata ex articolo 2-bis della legge 95/1979 su finanziamenti concessi ad amministrazioni straordinarie di imprese in crisi, agisca in surrogazione degli enti erogatori, deve aversi riguardo, ex articolo 1949 del C.c., alle posizioni delle parti del contratto di mutuo originario, onde, vertendosi in materia di rapporti bancari, è applicabile l'anatocismo, secondo un uso normativo che autorizza la deroga ai principi sanciti all'articolo 1283 del codice civile.

(Sezione I, sentenza 17 aprile 1997 n.3296 - Pres. Corda; Rel. Felicetti; Pm (parz. diff.) Morozzo Della Rocca; Ric. Ice Spa e altri; Res. Ministero del Tesoro.

 


 

(2)

Sentenza 30 marzo 1999, n. 3096

CORTE DI CASSAZIONE sezione III civile; sentenza 30 marzo 1999, n. 3096; Pres. IANNOTTA, est. AMATUCCI, P.M. GOLIA (concl. Parz. Diff.); Avenoso (Avv. VENTURA, INZITARI) c. Cassa di risparmio di Biella e Vercelli (Avv. GHIA, WEIGMANN). Cassa App. Torino 14 giugno 1996.

Contratti bancari - Interessi passivi - Capitalizzazione trimestrale - Uso negoziale - Integrazione del contratto - Esclusione (Cod. civ., art.1289, 1374).

La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce uso normativo, ma uso negoziale, come tale inidoneo ad operare automaticamente con effetto integrativo del contratto.

 

Svolgimento del processo -

1. - Girolamo Avenoso si oppone all’esecuzione promossa nei suoi confronti dalla Cassa di risparmio di Vercelli (poi Cassa di risparmio di Biella e Vercelli S.p.A. - Biverbanca) in forza di tre contratti di mutuo del 1978 e di un contratto di apertura di credito, assumendo, in relazione ai primi, che gli interessi erano stati conteggiati al tasso convenzionale anziché a quello legale ed assumendo, quanto al secondo, che non era fondata la pretesa dell banca di applicare l’anatocismo sugli interessi dovuti in conseguenza della risoluzione. La cassa resistette.

Con sentenza 21 luglio 1994, n. 245 (Foro it., 1995, I, 1662) IL Tribunale di Vercelli accolse parzialmente l’opposizione ritenendo che gli interessi sul capitale residuo concesso in mutuo andavano conteggiati al tasso legale maggiorata del due per cento ed escludendo l’applicazione dell’anatocismo sugli interessi dovuti in conseguenza della risoluzione del contratto di apertura di credito nell’assunto che il computo degli interessi sugli interessi integrasse un uso negoziale, come tale in contrasto col divieto di anatocismo di cui all’art.1283 c.c.

2. - La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Torino che, decidendo con sentenza n.819 pubblicata il 14 giugno 1996 (id., Rep. 1997, voce Contratti bancari, n. 38) sul gravame della Biverbanca cui aveva resistito l’Avenoso, ha rigettato l’opposizione sui rilievi che, in base al contenuto delle clausole dei contratti di mutuo, gli interessi andavano comunque calcolati al tasso convenzionale e che gli usi normativi, in quanto tali vincolati.

3. - Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Girolamo Avenoso sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso la Cassa di risparmio di Biella e Vercelli s.p.a. - Biverbanca. Entrambe le parti hano depositato memorie.

Motivi della decisione - 1 Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.1362 e 1363 c.c., il ricorrente si duole:

a) che la corte d’appello abbia applicato i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss.cc. benché le espressioni usate dalle parti fossero di chiara ed univoca significazione, sicché non v’era bisogno di interpretare alcunché;

che dei menzionati criteri interpretativi abbia fatto erronea applicazione in quanto, per il caso di inadempimento, il riferimento delle parti al "tasso vigente" d’interesse non poteva concernere quello convenzionale, ma evidentemente si riferiva a quello legale.

1.1 - La censura è infondata sotto il primo profilo ed inammissibile sotto il secondo. L’esigenza di interpretare il contratto, che comunque si pone per il giudice ogni qual volta una parte fondi sullo stesso una pretesa, era nella specie resa evidente dal fatto stesso che si controverteva in giudizio su quale fosse il significato della locuzione "tasso vigente" e, dunque, sull’effettivo contenuto della volontà negoziale.

Mentre l’assunto che il risultato dell’interpretazione del contratto sia stato erroneo si risolve, in difetto di precisazioni sulle ragion i per le quali il giudice avrebbe violato un determinato criterio ermeneutico posto da una specifica norma, nella inammissibile richiesta alla corte di legittimità di sindacare il merito della decisione adottata.

2. - Col secondo motivo di ricorso la sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt.1364, 1368 2’ comma, 1374 e 2687 (ma, recte, 2697), 1’ comma, c.c. laddove ha ritenuto che l’anatocismo trimestrale applicato dalla banca allo scoperto relativo al contratto di apertura di credito costituisse un uso normativo.

Il ricorrente nega che fossero stati provati gli imprescindibili requisiti dell’uso normativo, costituiti dalla costanza della pratica e dalla convinzione della sua cogenza (opinio iuris seu necessitatis) e rileva che nel contratto di apertura di credito era previsto un tasso convenzionale del 22,75% senza alcun cenno all’anatocismo.

2.1 - Benché fra le norme la cui violazione è formalmente denunciata non si annoveri l’art.1283 c.c. - al quale, peraltro, si fa ampio riferimento nella memoria illustrativa e che è l’unica disposizione del Codice civile che ha riguardo all’anatocismo - la corte è tuttavia chiamata a decidere se l’applicazione di interessi anatocistici da parte delle banche sullo scoperto di conto corrente bancario costituisca un uso normativo, al quale pacificamente si riferisce l’art.1283 c.c. laddove stabilisce ha "in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dl giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".

La corte d’appello s’è limitata ad affermare che "la giurisprudenza della Suprema corte (v. sent. N.4920 del 1987, id., 1988, I, 2352, n. 7571 del 1992, id., Rep. 1992, voce Interessi, n.16) è costante nell’affermare che gli usi che regolano l’anatocismo nei contratti bancari sono veri e propri usi normativi, che vincolano coloro che contrattano con gli istituti di credito. Tale affermazione, che conferma peraltro il comune convincimento che normalmente è dato riscontrare nella clientela delle banche, esime da ogni ulteriore argomentazione e nostra la fondatezza anche del secondo motivo di impugnazione".

In realtà, le due menzionate sentenze (cui adde, Cass.6631/81, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6; 5409(83, id., Rep. 1996, voce cit., n.10); si inseriscono in un filone giurisprudenziale secondo il quale nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, l’anatocismo costituisce, per effetto del comportamento della generalità dei consociati e dell’elemento soggettivo della opinio iuris, un uso normativo ai sensi dell’art. 8 disp. prel. c.c., la cui applicazione deve considerarsi legittima anche in mancanza dei presupposti di cui all’art. 1283 c.c. Con la menzionata sentenza 4920/87, cit., si è in particolare affermato che gli usi normativi, cioè le regole consuetudinarie - al contrario di quanto avviene per gli usi negoziali, i quali esprimono il contenuto effettivo della volontà dei contraenti e possono quindi ritenersi inclusi nel contratto ai sensi dell’art. 1340 c.c. solo quando alla prassi corrente corrisponda il reale intento delle parti - non richiedono di essere ricevuti nelle forme contrattuali e, salvo clausola negoziale contraria, operano direttamente con effetto integrativo delle volontà dei contraenti, secondo la previsione dell’art.1374 c.c.

2.2 - Tale orientamento è stato di recente sottoposto a profonda revisione critica da questa corte di legittimità che, con sentenza 1116 marzo 1999, n. 2374, ha affermato che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente non costituisce un uso normativo, ma un mero uso negoziale, con la conseguente nullità della relativa pattuizione siccome anteriore alla scadenza, in contrasto con la norma imperativa di cui all’art,1283 c.c.

Si è in particolare escluso - con argomentazioni che vanno qui ribadite e pienamente condivise - che le c.d. norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, predisposte dall’Abi (per la prima volta, con effetto dal 1’ gennaio 1952), nella parte in cui dispongono che i conti che risultino anche saltuariamente debitori siano regolati ogni trimestre e che, con la stessa cadenza, gli interessi scaduti producano ulteriori interessi, attestino l’esistenza di una vera e propria consuetudine (mai accertata, invece, dalla commissione speciale permanente presso il ministero dell’industria, ai sensi del d. leg. C.p.s. 27 gennaio 1947 n.152, modificato con la l. 13 marzo 1950 n.115). E si è rilevato che, poiché gli accertamenti di conformi usi locali da parte di alcune camere di commercio provinciali (ai sensi del combinato disposto degli artt. 34, 39, 40 r.d. 20 settembre 1934 n.2011 e 2 d. leg. lgt. 21 settembre 1944 n.315) sono tutti successivi al 1952, va per un verso escluso che la relativa clausola delle norme bancarie uniformi svolga una funzione probatoria di usi locali preesistenti, e va, per altro verso, presunto piuttosto che l’accertamento dell’uso locale sia conseguenza del rilievo di prassi negoziali conformi alle condizioni generali predisposte dall’ABI. Prassi cui non può riconoscersi efficacia di fonti di diritto obiettivo "se non altro per l’evidente difetto dell’elemento soggettivo della consuetudine".

Dalla comune esperienza emerge, infatti, che l’inserimento di clausole prevedenti la capitalizzazione degli interessi ogni tre mesi a carico del cliente (ed ogni anno a carico della banca) è acconsentito da parte dei clienti non in quanto siano ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti, "ma i n quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell’associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis, se non altro per l’evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente".

Con la medesima sentenza si è anche rilevato che, in epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice civile del 1942, "gli usi normativi in materia commerciale, fatti salvi dall’art.1232 c.c. del 1865, erano nel senso che i conti correnti venivano chiusi ad ogni semestre e che al momento della chiusura potevano essere capitalizzati gli interessi scaduti": e che, "inoltre, anche tra i primi e più autorevoli commentatori del Codice vigente si affermava che l’uso contrario richiamato da detta disposizione prevedeva che divenisse produttivo di interessi solo il saldo annuale o semestrale del conto corrente":

2.3 - Va comunque riaffermato che la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’Abi nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento della opinio iuris ac necessitatis.

Deve conseguentemente escludersi che, nella specie, si sia verificata l’integrazione automatica del contratto, ai sensi dell’art.1374 c.c., nel senso preteso dalla banca.

 

3 - Rigettato il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo, la sentenza va pertanto cassata con rinvio ad una diversa sezione della Corte d’appello di Torino.


 (3)

Cassazione, sez. I, 19-22 ottobre 1998 D'Agata e altri.

Presidente Sacchetti, estensore Canzio

Il reato di usura, a seguito dell'introduzione nel codice penale dell'art. 644 ter, può configurarsi, quando gli interessi siano incassati ratealmente, come delitto a condotta frazionata (o a consumazione prolungata).

 

(Omissis)

 

IV. Sui delitti di usura.

La difesa dei ricorrenti, escluso il Cristofani, con autonomi e però comuni motivi di gravame, si duole altresì che sia stata ad essi indiscriminatamente ascritta, in qualità di partecipi dell'associazione criminosa, la responsabilità - a titolo di concorso con il D'Agata - per i singoli delitti-fine di usurai, in riferimento ad un'attività, quella di collettori di interessi a vantaggi usurari, realizzati in un tempo successivo alla pattuizione: da un lato, le dichiarazioni accusatorie delle persone offese sarebbero intrinsecamente e logicamente inattendibili; dall'altro, la condotta addebitata sarebbe estranea alla consumazione del reato di usura.

Anche le riferite doglianze sono destituite di fondamento.

1. - Ed invero, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, quel giudice si è fatto carico, innanzi tutto, del problema della credibilità delle parti lese, che ha risolto positivamente, valutandone la personalità in funzione della credibilità soggettiva anche sotto il profilo dell'interesse contrastante con quelli degli imputati ed evidenziando, con riferimento alle obiettive emergenze probatorie, come la parola di ciascuna di esse trovi ulteriori e davvero imponenti riscontri fattuali (intercettazioni telefoniche e ambientali, propalazioni accusatorie del Cristofani, sequestro di documentazione contabile).

Al riguardo, deve senz'altro rilevarsi che la esattezza delle suddette valutazioni non può formare oggetto di contestazione in questa sede, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l'esame degli elementi fattuali e l'apprezzamento fattone dal giudice di merito al afine di pervenire al proprio convincimento, una volta acclarato che l'utilizzazione delle fonti di prova ' stata condotta nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza della persona offesa dal reato e sorretta da adeguata e logica motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

2. - Non coglie nel segno neppure la contestazione mossa dai ricorrenti sotto il profilo dell'estraneità dell'attività di riscossione degli interessi usurari alla fattispecie criminosa realmente rilevante.

Ritiene il Collegio che la quaestio iuris, riguardante, a ben vedere, la natura del reato di usura e l'identificazione del momento consumativo di esso, meriti certamente di essere approfondita alla luce della radicale riforma del quadro normativo delineato con la riforma di cui alla L.7marzo 1996, n.108.

I caratteristici connotati di sinallagmaticità propri del momento iniziale della determinazione convenzionale di interessi o compensi usurari - in termini di promessa o, alternativamente, di dazione - non sembra siano in grado di esaurire in sé la condotta tipica della fattispecie criminosa di cui all'art.644 c.p., così degradandosi per la periodica, talora prolungata per numerosi anni corresponsione da parte della vittima dei medesimi interessi o vantaggi ad un post factum penalmente irrilevante.

S'intende dire che il tradizionale insegnamento giurisprudenziale, secondo cui il reato di usura è "reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti", nel senso che esso si consuma nel momento della stipula del patto usurario pur perdurandone le conseguenze nel tempo - in caso di promessa seguita da dazione - senza il compimento di un'ulteriore attività da parte dell'agente (CASS., SEZ. ii, 7 marzo 1997, Caioli; Cass. 7 marzo 1997, Riggiola, rv. 208374; Cass. 27 maggio 1992, Di Puccio, rv.192854; Cass. 24 aprile 1990. Di Rocco, rv. 186750; Cass. 18 febbraio 1988, Mascioli, rv. 178860: Cass. 8 novembre 1984, Rossi, rv.167813; Cass. 25 ottobre 1984, Perna, rv. 167798; e numerose altre conformi), apare incompatibile con il rilievo oggi assegnato alla "ultima riscossione" degli interessi usurari pattuiti dall'art. 644 ter c.p., introdotto dall'art.11 l. n. 108 del 1996, in tema di prescrizione del reato.

Sembra logicamente più convincente e condivisibile, alla stregua dell'odierno assetto normativo dell'istituto, la prevalente opinione dottrinale, secondo cui, qualora alla promessa segua - come abitualmente avviene mediante la rateizzazione nel tempo degli interessi usurari convenuti - la dazione effettiva, questa fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo "sostanziale" del reato: una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria della "permanenza" - eventuale - del reato, ma configurabile secondo il duplice ed alternativo schema (proposto, ad esempio, da giurisprudenza e dottrina maggioritarie per l'ipotesi della corruzione: ex plurimis, Cass., sez. VI, 10 luglio 1995 Caliciuri) della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti c.d. a "condotta frazionata o a consumazione prolungata" (quale, ad esempio, la truffa inerente al conseguimento di prestazioni ed erogazioni periodiche da parte della pubblica amministrazione)...

Certo è che sarebbe davvero distonico, rispetto al consueto atteggiarsi - nella realtà sociale ed economica - del fenomeno usurario, sostenere l'estraneità alla struttura della fattispecie criminosa di quella modalità di realizzazione dell'illecito - la dazione degli interessi -, nella quale indubbiamente s'identifica la completa esecuzione del delitto e il massimo approfondimento della concreta e progressiva lesione dell'interesse protetto.

Rileva peraltro il Collegio, nell'esame dei fatti di usura contestati agli odierni ricorrenti, che il giudice di merito, pur avvertendo la novità dei profili interpretativi in tema di momento consumativo del reato e, dunque, di individuazione del termine ultimo per la partecipazione ad esso degli eventuali concorrenti, ai fini dell'addebito di responsabilità per la comprovata qualità dei ricorrenti di collettori degli interessi usurari, ne ha desunto il consapevole e volontario contributo concorsuale anche da altri e consistenti elementi fattuali.

Non vi è alcun dubbio che, attesa l'autonomia del reato di associazione rispetto alla realizzazione del programma criminoso, il ruolo di partecipo da taluno rivestito nell'ambito della struttura organizzativa non è di per sé solo sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile criterio di semplificazione dell'accertamento della responsabilità concorsuale, quel medesimo soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, sia pure riferibile all'organizzazione malavitosa e inserito nel quadro del programma criminoso: dei delitti-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato.

Nella fattispecie in esame il giudice di merito ha tuttavia correttamente evidenziato gli elementi fattuali da cui inferire la piena consapevolezza del singolo socio dell'associazione in ordine alla concreta realizzazione dell'attività programmata di usure e di estorsioni, cioè quelle circostanze di fatto obiettivamente idonee a configurare l'ipotesi concorsuale nei singoli reati-fine rispettivamente addebitati ai ricorrenti in qualità di compartecipi delle singole attività delittuose, oltre quella di mero partecipe dell'associazione.

In particolare, si è argomentato che proprio la precisa divisione dei compiti all'interno dell'associazione postulava la presenza necessaria del D'Agata e quella eventuale di altri associati al momento della stipula del patto usurario, mentre altri associati aerano incaricati di curare, di volta in volta, l'esecuzione delle operazioni di riscossione degli interessi usurari, e che, una volta raggiunta la prova rigorosa dell'attiva partecipazione da parte dell'associato a quest'ultima fase esecutiva, pure successiva alla stipula del patto usurario, poteva ben dirsi provato il concorso dello stesso nel reato di usura, pertinente al programma criminoso del sodalizio e consumato secondo modalità previamente concordate fra i partecipi. (Omissis).


 LE MODIFICHE AL T.U. BANCARIO

 

Pubblichiamo il decreto legislativo del 4.8.99, n.342 pubblicato sulla G.U. n.233 del 4.10.99 contenente modifiche al d.l.g. 1.9.93, n.385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia

Art.1

Comitato interministeriale per il credito e il risparmio: composizione

  1. Nel comma 1 dell'art. 2 T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia approvato con d.l.g.1-9-93, n.385, di seguito denominato T.U.", le parole: "dal ministro del bilancio e della programmazione economica" sono soppresse.

Art.2

Raccolta del risparmio da parte di società cooperative.

  1. Dopo la lettera c) del comma 4 dell'art.11 T.U. è inserita la seguente:

"c-bis) alle società cooperative per la raccolta effettuata mediante l'emissione di obbligazioni".

2.Dopo la lettera f) del comma 4 dell'art.11 T.U. è aggiunta la seguente

"g) alle società per la cartolarizzazione dei crediti previste dalla legge 30 aprile 1999, n.130, per la raccolta effettuata ai sensi della medesima legge".

3.Nel primo periodo del comma 4-bis dell'art.11 T.U. dopo le parole: "nelle lettere" sono inserite le parole: "c-bis) ".

4. Nel comma 5 dell'at.11 T.U. dopo le parole "lettere c) ", sono inserite le parole "c-bis) ".

Art.3

Autorizzazione dell'attività bancaria

Dopo il comma 2 dell'art.14 T.U. è inserito il seguente:

"2-bis. La Banca d'Italia disciplina la procedura di autorizzazione e le ipotesi di decadenza dalla stessa quando la banca autorizzata non abbia iniziato l'esercizio dell'attività".

Art.4

Ammissione a socio di banca popolare.

  1. Nel comma 5 dell'art.30 T.U. le parole "di accoglimento o" sono soppresse.

Art.5

Ammissione a socio di banca di credito cooperativo

  1. Il comma 5 dell'art.34 T.U. è abrogato.
  2. Il comma 6 dell'art.34 T.U. è sostituito dal seguente: " 6. Si applica l'art.30, comma 5.".

Art.6

Credito fondiario: estinzione anticipata

  1. Il comma 1 dell'art.40 T.U. è sostituito dal seguente:

" 1 - I debitori hanno facoltà di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito, corrispondendo alla banca esclusivamente un compenso onnicomprensivo per l'estinzione contrattualmente stabilito. I contratti indicano le modalità di calcolo del compenso, secondo i criteri stabiliti dal Cicr al solo fine di garantire la trasparenza delle condizioni. ".

2. La disposizione del secondo periodo del comma 1 dell'art. 40 T.U., come modificato dal presente decreto, non si applica ai contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo.

Art.7

Garanzie relative al credito agrario e peschereccio

  1. L'art.44 T.U. è sostituito dal seguente:

" Art.44- (Garanzie) -

1. I finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio, anche a breve termine, possono essere assistiti dal privilegio previsto dall'art.46.

2. I finanziamenti a breve e medio termine di credito agrario e di credito peschereccio sono assistiti da privilegio legale sui seguenti beni mobili dell'impresa finanziata:

a) frutti prendenti, prodotti finiti e in corso di lavorazione;

b) bestiame, merci, scorte, materie prime, macchine, attrezzi e altri beni, comunque acquistati con il finanziamento concesso;

c) crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita de beni indicati nelle lettere a) e b).

3. Il privilegio legale si colloca nel grado immediatamente successivo ai crediti per le imposte sui redditi immobiliari di cui al numero 2) dell'art.2778 del codice civile.

4. In caso di inadempimento, il giudice del luogo in cui si trovano i beni sottoposti ai privilegi, di cui ai commi 1 e 2 può, su istanza della banca creditrice, assunte sommarie informazioni, disporne l'apprensione e la vendita.Quest'ultima è effettuata ai sensi dell'art. 1515 del codice civile.

5. Ove i finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio siano garantiti da ipoteca su immobili, si applica la disciplina prevista dalla sezione I del presente capo per le operazioni di credito fondiario".

Art.8

Finanziamenti alle imprese: costituzione di privilegi

1. Il comma 1 dell'art.46 T.U. è sostituito dal seguente:

" 1. La concessione di finanziamenti a medio e lungo termine da parte di banche alle imprese può essere garantita da privilegio speciale su beni mobili, comunque destinati all'esercizio dell'impresa, non iscritti nei pubblici registri. Il privilegio può avere a oggetto:

a) impianti e opere esistenti e futuri, concessioni e beni strumentali;

b) materie prime, prodotti in corso di lavorazione, scorte, prodotti finiti, frutti, bestiame e merci;

  1. c) beni comunque acquistati con il finanziamento concesso;
  2. d) crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni indicati nelle lettere precedenti. ".

2. Il comma 3 dell'art. 46 T.U. è sostituito dal seguente:

" 3. L'opponibilità a terzi del privilegio sui beni è subordinata alla trascrizione, nel registro indicato nell'art.1524, secondo comma, del codice civile, dell'atto dal quale il privilegio risulta. La trascrizione deve effettuarsi presso i competenti uffici del luogo ove ha sede l'impresa finanziata e presso quelli del luogo ove ha sede o risiede il soggetto che ha concesso il privilegio.".

3. Dopo il comma 5 dell'art. 46 T.U. è aggiunto il seguente:

"6. Gli onorari notarili sono ridotti alla metà".

Art.9

Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici.

  1. L'art. 47 T.U. è sostituito dal seguente:

"Art. 47 (Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici).

1) Tutte le banche possono erogare finanziamenti o prestare servizi previsti dalle vigenti leggi di agevolazione, purché essi siano regolati da contratto con l'amministrazione pubblica competente e rientrino tra le attività che le banche possono svolgere in via ordinaria. Ai finanziamenti si applicano integralmente le disposizioni delle leggi di agevolazione, ivi comprese quelle relative alle misure fiscali e tariffarie e ai privilegi di procedura.

2) L'assegnazione e la gestione di fondi pubblici di agevolazione creditizia previsti dalle leggi vigenti e la prestazione di servizi a essi inerenti, sono disciplinate da contratti stipulati tra l'amministrazione pubblica competente e le banche da questa prescelte. I contratti indicano criteri e modalità idonei a superare il conflitto di interessi tra la gestione dei fondi e l'attività svolta per proprio conto dalle banche; a tal fine possono essere istituiti organi distinti preposti all'assunzione delle deliberazioni in materia agevolativa e separate contabilità. I contratti determinano altresì i compensi e i rimborsi spettanti alle banche.

3) I contratti indicati nel comma 2 possono prevedere che la banca alla quale è attribuita la gestione di un fondo pubblico di agevolazione è tenuta a stipulare a sua volta contratti con altre banche per disciplinare la concessione, a valere sul fondo, di contributi relativi a finanziamenti da queste erogati. Questi ultimi contratti sono approvati dall'amministrazione pubblica competente.".

2. La stipulazione dei contratti, prevista dall'art.47, comma 2, come modificato dal presente decreto legislativo, per la prestazione di servizi inerenti alla gestione di fondi pubblici di agevolazione creditizia e attualmente assegnati sulla base di provvedimenti normativi, deve avvenire entro il 1° luglio 2000.

Art.10

Credito su pegno

  1. L'art.48 T.U. è sostituito dal seguente:

"Art.48 (Credito su pegno).

1-Le banche possono intraprendere l'esercizio del credito su pegno di cose mobili disciplinato dalla legge 10 maggio 1938, n.745, e dal regio decreto 25 maggio 1939, n.1279, dotandosi delle necessarie strutture e dandone comunicazione alla Banca d' Italia.".

2. La disposizione del comma 1 non si applica alle banche che, all'atto della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono già abilitati all'esercizio dell'attività di credito su pegno.

Art.11

Sostituzione della rubrica dell'art.52 T.U.

  1. La rubrica dell'art.52 T.U. è sostituita dalla seguente:

"Comunicazioni del collegio sindacale e dei soggetti incaricati del controllo dei conti".

Art.12

Cessione di rapporti giuridici

  1. La rubrica dell'art. 58 T.U. è sostituita dalla seguente:
  2. "Cessione di rapporti giuridici".

  3. Il comma 3 dell'art. 58 T.U. è sostituito dal seguente:
  4. "3. I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti".

  5. Dopo il coma 6 dell'art. 58 T.U. è aggiunto il seguente:

"7. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle cessioni in favore dei soggetti, diversi dalle banche, inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata ai sensi dell'art.65 e in favore degli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'art.107.".

Art.13

Requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale delle società finanziarie capogruppo

1. Nel comma 1 dell'art.63 T.U. le parole: "capo III" sono sostituite dalle parole "capi III e IV".

Art.14

Vigilanza ispettiva

  1. Il comma 3 dell'art.68T.U. è sostituito dal seguente:
  2. "3.La Banca d'Italia, su richiesta delle autorità competenti di altri stati comunitari o extracomunitari, può effettuare ispezioni presso le società con sede legale in Italia ricomprese nella vigilanza su base consolidata di competenza delle autorità richiedenti. La Banca d'Italia può consentire che la verifica sia effettuata dalle autorità che hanno fatto la richiesta ovvero da un revisore o da un esperto. ".

    ART. 15

    Requisiti di onorabilità degli organi dell'amministrazione straordinaria

    1. Dopo il comma 5 dell'art. 71 T.U. è aggiunto il seguente:

    "6. Agli organi della procedura si applicano i requisiti di onorabilità stabiliti ai sensi dell'art. 26".

    ART. 16

    Gestione provvisoria

    1. L'art. 76 T.U. è sostituito dal seguente:

    "Art. 76 (Gestione provvisoria).

    1. La Banca d'Italia, fatto salvo quanto stabilito negli articoli precedenti, può disporre, nei casi indicati nell'art. 70, comma 1, e qualora concorrano ragioni di assoluta urgenza, che uno o più commissari assumano la gestione provvisoria della banca con i poteri degli organi amministrativi. Le funzioni degli organi di amministrazione e di controllo sono frattanto sospese. Possono essere nominati commissari anche funzionari della Banca d'Italia. I commissari, nell'esercizio delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali.

    2. La gestione provvisoria non può avere una durata superiore a due mesi. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 71, commi 2, 3, 4 e 6; 72, commi 3, 4, 7 e 9; 73, commi 1 e 2; 74 e 75, comma 1.

    3. Qualora durante la gestione provvisoria intervenga lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo a norma dell'art. 70, comma 1, i commissari indicati nel comma 1 assumono le attribuzioni del commissario provvisorio previsto dall'art. 71, comma 5.

    4. Al termine della gestione provvisoria gli organi subentranti prendono in consegna l'azienda dai commissari indicati nel comma 1 secondo le modalità previste dall'art. 73 comma 1".

    ART. 17

    Accertamento del passivo: Rettifica di citazione

    1. Nei commi 2 e 6 dell'art. 86 T.U. le parole: "dlgs di recepimento della direttiva 93/22/Cee" sono sostituite dalle parole "decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58".

    ART. 18

    Liquidazione dell'attivo: coordinamento con la modifica dell'art. 58 T.U.

    1. Nel comma 2 dell'art. 90 T.U, dopo le parole: "non sia una banca" sono aggiunte le parole: "o uno degli altri soggetti previsti dal comma 7 del medesimo articolo".

    ART. 19

    Restituzioni e riparti

    1. Il comma 1 dell'art. 91 T.U. è sostituito dal seguente:

    "1. I commissari procedono alle restituzioni dei beni nonché degli strumenti finanziari relativi ai servizi di cui al dlgs 24/2/1998, n. 58, e, secondo l'ordine stabilito dall'art. 111 della legge fallimentare, alla ripartizione dell'attivo liquidato. Le indennità e i rimborsi spettanti agli organi della procedura di amministrazione straordinaria e ai commissari della gestione provvisoria che abbiano preceduto la liquidazione coatta amministrativa sono equiparate alle spese indicate nell'art. 111, comma primo, numero 1), della legge fallimentare.".

    2. Nel comma 2 dell'art. 91 T.U. le parole "dlgs di recepimento della direttiva 93/22/Cee" sono sostituite dalle parole: "dlgs 24/2/1998, n. 58".

    ART. 20

    Elenco generale:- coordinamento con dlgs 26.8.98, n. 319

    1. Nel comma 1 dell'art. 106 T.U. le parole: "dal ministro del tesoro, che si avvale dell'Uic" sono sostituite dalle parole "dall'Uic".

    2. Il comma 5 dell'art. 106 T.U. è sostituito dal seguente:

    " 5. L'Uic indica le modalità di iscrizione nell'elenco e dà comunicazione delle iscrizioni alla Banca d'Italia e alla Consob".

    3. Il comma 6 dell'art. 106 T.U. è sostituito dal. seguente:

    " 6. Al fine di verificare il rispetto dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco, l'Uic può chiedere agli intermediari finanziari dati, notizie, atti e documenti e, se necessario, può effettuare verifiche presso la sede degli intermediari stessi, anche con la collaborazione di altre autorità. ".

    ART. 21

    Elenco speciale

    1. Dopo il comma 6 dell'art. 107 T.U. è aggiunto il seguente:

    " 7. Agli intermediari iscritti nell'elenco previsto dal comma 1 che esercitano l'attività di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma si applicano le disposizioni dell'art. 47".

    ART. 22

    Cancellazione dall'elenco generale: coordinamento con dlgs n. 319/98

    1. Il comma 1 dell'art. 111 T.U. è sostituito dal seguente:

    " 1. Il ministro dei tesoro, su proposta dell'Uic, dispone la cancellazione dall'elenco generale:

    a) per il mancato rispetto delle disposizioni dell'art. 106, comma 2;

    b) qualora venga meno una delle condizioni indicate nell'art. 106, comma 3, lettere a), b) e c) qualora risultino gravi violazioni di norme di legge o delle disposizioni emanate ai sensi del presente decreto legislativo.".

    2. Il primo periodo del comma 2 dell'art. 111 T.U. è soppresso.

    ART. 23

    Pubblicità delle condizioni contrattuali

    1. Nella lettera a) del comma 3 dell'art. 116 T.u. le parole: "sentite la Banca d'Italia e la Consob" sono soppresse.

    ART. 24

    Comunicazioni periodiche alla clientela

    1. Nel comma 3 dell'art. 119 T.u. dopo le parole: "gli estratti conto" sono inserite le parole "e le altre comunicazioni periodiche alla clientela".

    2. Il comma 4 dell'art. 119 T.u. è sostituito dal seguente:

    " 4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre 90 giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni ".

    ART. 25

    Modalità di calcolo degli interessi

    1. La rubrica dell'art. 120 T.u. è sostituita dalla seguente: " Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi ".

  3. Dopo il comma 1 dell'art. 120 T.u. è aggiunto il seguente:

" 2. Il Cicr stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori".

3. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente.

ART. 26

Regole generali in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali

1. Nell'art.. 127 T.u., dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

"3. Le deliberazioni dì competenza del Cicr previste nel presente titolo sono assunte su proposta della Banca d'Italia; la proposta è formulata sentito l'Uic per i soggetti operanti nel settore finanziario, iscritti solo nell'elenco generale previsto dall'art, 106.".

ART. 27

Controlli in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali

1. L'art. 128 T.u. è sostituito dal seguente:

" Art. 128 (Controlli)

1. Al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del presente titolo, la Banca d'Italia può acquisire informazioni, atti e documenti ed eseguire ispezioni presso le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'art. 107.

2. Nei confronti degli intermediari finanziari iscritti nel solo elenco generale previsto dall'art.106 e nei confronti dei soggetti indicati nell'art. 155, comma 5, i controlli previsti dal comma 1 sono effettuati dall'Uic che, a tal fine, può chiedere la collaborazione di altre autorità.

3. Con riguardo ai soggetti indicati nell'art. 121, comma 2, lettera c), i controlli previsti dal comma 1 sono demandati al ministro dell'industria del commercio e dell'artigianato al quale compete, inoltre, l'irrogazione delle sanzioni previste dagli artt. 144, commi 3 e 4, e 145, comma 3.

4. Con riguardo ai soggetti individuati ai sensi dell'art. 115, comma 2, il Cicr indica le autorità competenti a effettuare i controlli previsti dal comma 1 e a irrogare le sanzioni previste dagli artt. 144, commi 3 e 4, e 145 comma 3.

5. In caso di ripetute violazioni delle disposizioni concernenti gli obblighi di pubblicità. il ministro del tesoro, su proposta della Banca d'Italia o dell'Uic o delle altre autorità indicate dal Cicr ai sensi del comma 4, nell'ambito delle rispettive competenze, può disporre la sospensione dell'attività, anche di singole sedi secondarie per un periodo non superiore a 30 giorni.".

ART. 28

Abusiva attività finanziaria

1. L'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 132 T.u. è soppresso.

ART. 29

Abusivismo bancario e finanziario: denunzia al pubblico ministero

1. Dopo l'art. 132 T.u. è inserito il seguente:

"Art. 132-bis (Denunzia al pubblico ministero) 1. Se vi è fondato sospetto che una società svolga attività di raccolta del risparmio, attività bancaria o attività finanziaria in violazione degli artt. 130, 131 e 132, la Banca d'Italia o l'Uic possono denunziare i fatti al pubblico ministero ai fini dell'adozione dei provvedimenti previsti dall'art. 2409 Codice civile.".

ART. 30

Abuso di denominazione bancaria: depenalizzazione

1. Nel comma 3 dell'art. 133 T.u. la parola: "multa" è sostituita dalle parole: "sanzione amministrativa pecuniaria" e la parola: "pena" è sostituita dalla parola: "sanzione".

ART. 31

Aggiotaggio bancario: rettifica di citazione

1.Nel coma 1 dell'art. 138 T.u. le parole: "l'art. 5 della legge 17/5/1991, n. 157" sono sostituite dalle parole: "l'art. 181 del dlgs 24/2/1998, n. 58".

ART. 32

Comunicazioni relative alle partecipazioni al capitale di banche di società appartenenti a un gruppo bancario e di intermediari finanziari: adeguamento dell'importo delle sanzioni

Il comma 1 dell'art. 140 T.u. è sostituito dal seguente:

" 1. L'omissione delle comunicazioni previste dagli artt. 20, commi 1, 3, primo periodo e 4, 21, commi 1, 2, 3 e 4, 63 e 110 commi 1, 2 e 3, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 10 milioni a lire 100 milioni".

ART. 33

Sanzioni amministrative pecuniarie: estensione dell'ambito soggettivo di applicazione

1. Dopo il comma 4 dell'art. 144 T.u. è aggiunto il seguente:

"5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste per i dipendenti dai commi 1, 3 e 4 si applicano anche a coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l'inserimento nell'organizzazione della banca, anche in forma diversa da rapporto di lavoro subordinato".

ART. 34

Procedura sanzionatoria

1. L'Art. 145 T.u. è sostituito dal seguente:

" Art.145 (Procedura sanzionatoria)

1 Per le violazioni previste nel presente titolo cui è applicabile una sanzione amministrativa, la Banca d'Italia o l'Uic, nell'ambito delle rispettive competenze, contestati gli addebiti alle persone e alla banca, alla società o all'ente interessati e valutate le deduzioni presentate entro 30 giorni, tenuto conto del complesso delle informazioni raccolte, propongono al ministro del tesoro l'applicazione delle sanzioni.

2) Il ministro del tesoro, sulla base della proposta della Banca d'Italia o dell'Uic, provvede ad applicare le sanzioni con decreto motivato.

3) Il decreto di applicazione delle sanzioni previste dall'art. 144, commi 3 e 4, è pubblicato per estratto, entro il termine di 30 giorni dalla data della notificazione, a cura e spese della banca, della società o dell'ente al quale appartengono i responsabili delle violazioni, su almeno due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico. Il decreto di applicazione delle altre sanzioni previste nel presente titolo, emanato su proposta della Banca d'Italia, è pubblicato per estratto sul bollettino previsto dall'art.8.

4) Contro il decreto del ministro del tesoro è ammessa opposizione alla Corte di appello di Roma. L'opposizione deve essere notificata all'autorità che ha proposto il provvedimento nel termine di 30 giorni dalla data di comunicazione del decreto impugnato e deve essere depositata presso la cancelleria della Corte di appello entro 30 giorni dalla notifica. L'autorità che ha proposto il provvedimento trasmette alla Corte d'appello gli atti ai quali l'opposizione si riferisce, con le sue osservazioni.

5) L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento. La Corte d'appello, se ricorrono gravi motivi, può disporre la sospensione con decreto motivato.

6) La Corte d'appello, su istanza delle parti, fissa i termini per la presentazione di memorie e documenti, nonché per consentire l'audizione anche personale delle parti.

7) La Corte d'appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato.

8) Copia del decreto è trasmessa, a cura della cancelleria della Corte d'appello, all'autorità che ha proposto il provvedimento, anche ai fini della pubblicazione, per estratto, nel bollettino previsto dall'art.8.

9) Alla riscossione delle sanzioni previste dal presente titolo si provvede mediante ruolo secondo i termini e le modalità previsti dal d.p.r. 23/9/1973, n.602, come modificato dal dlgs 26/2/1999, n.46.

10) Le banche, le società o gli enti ai quali appartengono i responsabili delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal primo periodo del comma 3 e sono tenuti a esercitare il regresso verso i responsabili.

11) Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente titolo non si applicano le disposizioni contenute nell'art.16 della legge 24/11/1981, n.689 ".

ART. 35

Soggetti operanti nel settore finanziario

1. Il comma 4 dell'art.155 T.u. è sostituito dal seguente:

" 4. I consorzi di garanzia collettiva fidi, di primo e di secondo grado, anche costituiti sotto forma di società cooperativa o consortile, ed esercenti le attività indicate nell'art.29, comma 1, della legge 5/10/1991, n.317, sono iscritti in un'apposita sezione dell'elenco previsto dall'art.106, comma 1. A essi non si applicano il titolo V del presente dlgs e gli artt.2, 3 e 4 del dl 3/5/1991, n.143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5/7/1991, n.197. L'iscrizione nella sezione non abilita a effettuare le altre operazioni riservate agli intermediari finanziari.".

2. Dopo il comma 4 dell'art. 155 T.u. sono aggiunti i seguenti commi:

" 5. I soggetti che esercitano professionalmente l'attività di cambiavalute, consistente nella negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta, sono iscritti in un'apposita sezione dell'elenco previsto dall'art.106, comma 1. A tali soggetti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 106, comma 6, 108 e 109, con esclusivo riferimento ai requisiti di onorabilità, e 111. L'iscrizione nella sezione non abilita a effettuare le altre operazioni riservate agli intermediari finanziari.

Il ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Uic, emana disposizioni applicative del presente comma individuando, in particolare, le attività che possono essere esercitate congiuntamente con quella di cambiavalute. Il ministro del tesoro detta altresì norme transitorie dirette a disciplinare le abilitazioni già concesse ai cambiavalute ai sensi dell'art.4, comma 2, del dl 3/5/1991, n.143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5/7/1991, n.197.

6. I soggetti diversi dalle banche, già operanti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, i quali, senza fine di lucro, raccolgono tradizionalmente in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti, possono continuare a svolgere la propria attività, in considerazione del carattere marginale della stessa, nel rispetto delle modalità operative e dei limiti quantitativi determinati dal Cicr. ".

ART. 36

Modifica di disposizioni legislative

1. Dopo il comma 3 dell'art.156 T.u. sono aggiunti i seguenti:

"4. L'art. 213 r.d. 6/5/1940, n.635, è sostituito dal seguente:

"Art.213 - Gli oggetti non riscattati entro 30 giorni dalla scadenza del prestito sono venduti all'asta pubblica secondo le norme contenute negli artt.529 e seguenti del codice di procedura civile, ovvero con altro procedimento proposto dall'agente e approvato dall'autorità di pubblica sicurezza.".

5. Il comma 3 dell'art.4 del d.p.r. 31/3/1988, n.148, è sostituito dal seguente:

" 3. Le banche e gli altri intermediari finanziari effettuano le operazioni valutarie e in cambi nel rispetto delle norme che li disciplinano.".

6.L'art. 58 della legge 23/12/1998, n.448, è sostituito dal seguente:

"Art. 58 (Obbligazioni delle società cooperative). 1. Le società cooperative emittenti obbligazioni " ai sensi dell'art.11 del dlgs 1/9/1993, n.385, sono sottoposte alle disposizioni degli artt.2411 e seguenti del cc e, ove ne ricorrano i presupposti, all'obbligo di certificazione secondo le modalità previste dall'art.15, comma 2, della legge 31/1/1992, n.59, nonché a quanto previsto dagli artt. 114 e115 del dlgs 24/2/1998, n.58, in quanto compatibili con la legislazione cooperativa.".

7.Nel comma 1 dell'art. 3 della legge 26/11/1993, n.489, le parole: "sentita la Banca d'Italia" sono soppresse".

ART. 37

Norme abrogate

Dopo il comma 3 dell'art. 161 T.u. è inserito il seguente:

" 3-bis. Sono abrogati i commi 4,5 e 6 dell'art.4 del d.p.r. 31/3/1988, n.148; tuttavia essi continuano a essere applicati fino all'attuazione dell'art.155, comma 5, del presente decreto legislativo.".

ART. 38

Termini per le norme di attuazione

I provvedimenti attuativi delle disposizioni contenute nel presente decreto legislativo sono emanati entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.

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