- In
aderenza a quella componente compensativa del rischio, immanente
nell’applicazione del beneficio introdotto dalla l. n. 257/92, la
rivalutazione contributiva non può essere negata, in virtù di
un’interpretazione conforme a Costituzione, al lavoratore certificato
come esposto dall’INAIL benché pensionato ante legem 257: perché egli
si è trovato nella stessa situazione di rischio (se non in una
situazione peggiore) del collega di lavoro dello stesso settore al quale
l’analogo beneficio dell’incremento della misura della pensione è
stato concesso per effetto dell’identica esposizione (subita nel
passato). Ne le due posizioni a confronto – di soggetti che hanno
maturato entrambi il diritto a pensione prima della legge 257/92 a
prescindere dalla stessa - possono essere differenziate sotto il
profilo del fattore temporale; per il fatto cioè che uno dei due si trovi
ancora in attività al momento dell’entrata in vigore della normativa.
- Si
è già visto infatti per un verso che il beneficio viene concesso anche a
chi non subisce alcun pregiudizio occupazionale per effetto dell’abolizione
dell’uso dell’amianto ed anche a chi non è occupato al momento della
legge (come ad es. il disoccupato o l’invalido); mentre, per
altro verso, l’esposizione che rileva nella struttura della norma è
quella che si è consumata nel passato.
- Del
tutto incongruo sarebbe infatti pensare di considerare come elemento
differenziale tra l’uno e l’altro soggetto una potenziale situazione
di esposizione attuale; perché ciò significherebbe anzitutto decretare
il fallimento del sistema di prevenzione introdotto con il d.lgs 277/91.
- Del
resto proprio secondo l’unanime giurisprudenza l’attualità
lavorativa non è requisito costitutivo del beneficio; tanto che lo
stesso beneficio si applica ai lavoratori già transitati in settori
diversi fin da prima della legge; ai lavoratori disoccupati ed agli
invalidi. Non si spiega
dunque come, in base a quale criterio, nell’ipotesi in cui il beneficio
serva a tutti questi lavoratori ai soli fini dell’incremento della
misura della pensione, il fattore tempo possa servire a
differenziare la situazione di chi è al lavoro o è disoccupato dopo la
legge da chi ha cessato il lavoro prima della legge.
- La
tesi secondo cui la legge presuppone un rapporto di lavoro in atto è
stata superata dalla stessa Cassazione allorché ha considerato che il
principio di eguaglianza impone l’estensione del beneficio anche ai
lavoratori disoccupati, a chi ha cambiato azienda, a chi è stato
licenziato ed ai pensionati per invalidità civile (v. espressamente
sentenza Cass. n.5746 del 19.4.2001, rel. Menichiello).
L’argomento secondo cui la norma
avrebbe come suo scopo esclusivo, diretto
ed indefettibile di assicurare il “conseguimento della pensione” ad
alcuni lavoratori - (sempre
quelli del settore amianto, per sopperire alla perdita del posto di lavoro
ed allontanarli dal rischio), per cui non si può applicare a chi ha già
la pensione- non resiste ad una semplice verifica logica e sistematica.
- Non
si tiene conto del fatto che il beneficio dell’art.13,comma 8° è stato
pensato per valere sempre, vale cioè sia per il conseguimento della
pensione, sia per la misura della pensione.
- Sotto
questo profilo cioè non si vuole tenere conto del modo in cui è stato
concepito e strutturato il beneficio dalla legge: rapportato al tempo
dell’ esposizione; al lavoratore spetta tanta rivalutazione contributiva
quanto è il tempo di esposizione!. Anche se la stessa contribuzione non
fosse sufficiente per far conseguire la pensione (da conseguire più in là);
anche se, per converso, essa fosse invece sovrabbondante rispetto al
traguardo rappresentato dal requisito contributivo minimo necessario per
il conseguimento della pensione, e quindi anche se esso serva solo ad
incrementare la pensione (da conseguire o già conseguita).
- Insomma
nessuna sterilizzazione e decurtazione è possibile; dice la legge: “l’intero
periodo lavorativo .. è moltiplicato
per il coefficiente di 1,5”; “ ai fini delle prestazioni
pensionistiche” (vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge a
questo proposito).
- Va
poi considerato che per negare il beneficio ai lavoratori pensionati si
neutralizza, si mutila, anche il valore normativo specifico, interno alla
stessa disposizione, che discende dall’espressione “ai fini delle
prestazioni pensionistiche”; un’espressione che con carattere di
ampiezza e di novità rispetto all’espressione “ai fini
del conseguimento delle prestazioni pensionistiche”,
utilizzata negli altri
commi della stessa norma (ed anche rispetto alla originaria stesura della
legge), consentirebbe invece
esplicitamente, de plano, la soluzione positiva del riconoscimento del
beneficio per i pensionati (per tutti i pensionati) nei limiti in cui il
beneficio possa esercitare effetti ai fini di incrementare le prestazioni
già conseguite.
- Non
meno infondato risulta poi l’ulteriore argomento che si è opposto alla
richiesta dei pensionati, allorché si è pure sostenuto che il beneficio
previdenziale non può essere riconosciuto ai pensionati esposti perché
nell’ipotesi in cui uno di essi avesse già raggiunto il massimo
contributivo…il beneficio non potrebbe essere operativo. L’obiezione
non è fondata nemmeno in diritto perché anche nei confronti del
pensionato che avesse già raggiunto il massimo della contribuzione
versata, il riconoscimento del beneficio legale sarebbe in grado di
portare ad un utile risultato permettendo la liquidazione di un
supplemento di pensione (cioè di una quota aggiuntiva che si somma
all’importo già determinato) ex art.7 l. 155/81 ( circ.Inps 259/94).
-
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Svolgimento del Processo e decisione del Giudice
-
-
- Svolgimento
del processo
-
- Con
il ricorso depositato in atti i ricorrenti indicati in epigrafe adivano
questo giudice contro l’INPS sostenendo di essere stati riconosciuti
dall’Inail quali lavoratori esposti all’amianto per aver lavorato
presso il datore di lavoro indicato in ricorso svolgendo le mansioni ivi
elencate; di essere attualmente pensionati con decorrenza anteriore
all’entrata in vigore della legge 257/92; di aver maturato il diritto
alla rivalutazione dei periodi contributivi ai sensi dell’art.13, comma
8 della legge 27/3/92 n.257 il quale prevede tale beneficio per i
“lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni...”.
- A
fondamento della domanda i ricorrenti osservavano che l’art.13 della
legge 257/92 ha una disciplina composita e preveda una varietà di
benefici (“una diversificata gamma di benefici previdenziali; Corte
Cost.n.5/2000) distinti per natura, presupposti e destinatari; in
particolare richiamavano l’evoluzione legislativa che aveva subito la
specifica disposizione del comma 8° dell’art.13, che era stata ad un
certo punto novellata con un decreto legge ( il n.139 del 5.06.93) col
quale si faceva riferimento ad una categoria più ristretta di lavoratori “dipendenti
delle imprese che estraggono o utilizzano amianto come materia
prima….”; ricordavano a questo proposito, che come osservato dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 5/2000: “ In sede di conversione
del predetto provvedimento d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n.271
ha soppresso la locuzione ‘dipendenti dall’ imprese che estraggono o
lavorano l’amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione
o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse’, così
intendendo soddisfare – secondo quanto si evince dai lavori preparatori
– l’esigenza di attribuire centralità, ai fini dell’applicazione
del beneficio previdenziale all’assoggettamento
dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall’amianto, escludendo al tempo stesso,
ogni selezione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia
dell’attività produttiva del datore di lavoro”; che pertanto
non era possibile sostenere la limitazione del beneficio ai soli
lavoratori appartenenti al c. d. settore amianto ovvero ad astratte
categorie merceologiche, perché il beneficio era stato voluto per tutti i
lavoratori comunque esposti alla sostanza nociva per oltre dieci anni.
- Sulla
scorta di tali premesse, ampiamente illustrate in punto di fatto e di
diritto, la difesa dei ricorrenti chiedeva l’accoglimento delle
conclusioni precisate in epigrafe.
- Con
memoria ritualmente depositata si è costituito in giudizio l’INPS
sostenendo che per ottenere il beneficio previsto dall’art.13, comma 8
cit. non era sufficiente che i lavoratori avessero subito l’esposizione
per oltre dieci anni all’amianto essendo pure necessario non essere
pensionati al momento dell’entrata in vigore della legge, siccome il
beneficio in questione si rivolgerebbe ai soli lavoratori in attività al
fine di agevolarne l’esodo; che
pertanto l’Istituto aveva respinto le domande di accredito del beneficio
contributivo e di maggiorazione della pensione avanzate dai ricorrenti;
concludeva pertanto per il rigetto integrale del ricorso.
- La
causa è stata istruita con il deposito di documenti e dopo la discussione
effettuata dalle parti veniva pronunciata la decisione come da separato
dispositivo.
- A.
I lavoratori ricorrenti sono andati in pensione prima dell’entrata in
vigore della legge 257/92 ed essendo stati riconosciuti come esposti
all’amianto dall’Inail hanno richiesto il beneficio della
rivalutazione contributiva previsto dal comma 8 dell’art.13 della
legge.2571992: il quale recita
nel suo tenore testuale (sostituito dalla legge 4.8.1993 n.271) :
“Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è
moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente di 1,5”.
- Questo
giudice non condivide l’orientamento della giurisprudenza che nega il
beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori esposti
all’amianto pensionati prima della legge 257; lo stesso orientamento
assegna alla norma il fine esclusivo di incentivare all’esodo il
lavoratore appartenente del dimesso settore amianto; si tratta di una tesi
che risulta in contrasto: con il contenuto della disposizione risultante
dalla legge di modifica 4.8.1993 n.271; con la volontà del legislatore
resa palese dalla lettura dei lavori preparatori; con la concreta
quotidiana applicazione della norma in sede amministrativa; con
l’interpretazione che sulla ratio della disposizione ha dato la
giurisprudenza di merito, di legittimità ed
anche costituzionale; con il sistema normativo e le leggi anche
successive; e, non ultimo, con il sentimento di concreta giustizia che
deve animare ogni giudice nella ricerca dell’interpretazione della norma
maggiormente conforme alla Costituzione.
- B.
La sentenza della Corte
Costituzionale del 21.10.2002 n. 434.
- Sulla
spettanza del beneficio di cui all’art.13, comma 8° della 257/92 ai
lavoratori esposti all’amianto, già pensionati al momento di entrata in
vigore della stessa legge, si è pronunciata recentemente la Corte
Costituzionale con la sentenza n.434/2002.
- La
Corte ha respinto le censure di costituzionalità sollevate in relazione
agli artt.3,1, e 38 della Costituzione contro l’interpretazione
dell’art.13,comma 8 che nega il beneficio ai pensionati ed ha
riaffermato che questa disposizione ha la “principale funzione
di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle
lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di ottenere il
diritto alla pensione”.
- In
sostanza anche la Corte Cost. ha ricollegato il beneficio in questione
alla dismissione dell’amianto disposta con la stessa legge 257; ed ha
quindi sostenuto la tesi che esso abbia la funzione di sopperire alla
perdita del posto o alle difficoltà occupazionali per i lavoratori del
settore amianto e sia pertanto da riconoscere ai soli lavoratori in
attività di servizio a quella data, in determinate aziende, al fine di
agevolarne il prepensionamento.
- Le
sentenze di rigetto della Corte Costituzionale sono, ovviamente, non
vincolanti nei confronti del giudice ordinario, libero di procedere
all’interpretazione delle leggi in
vigore nell’ordinamento positivo e di optare per differenti soluzioni
ermeneutiche.
- Ritiene
questo giudice di dover disattendere la decisione della Corte escludendo
che agli argomenti utilizzati possa essere riconosciuta capacità
persuasiva.
- Va
infatti osservato che per individuare il fine del beneficio nei termini
sopra indicati la Corte Costituzionale ha utilizzato esclusivamente
pretesi argomenti di natura storica che appaiono di secondaria importanza
e, soprattutto, di valore neutro ai fini della soluzione della stessa
questione.
- Invece
di interpretare lo stesso disposto normativo oggetto della censura
(secondo i consueti canoni: letterale, logico, sistematico) nel
contenuto obiettivo risultante dalla specifica vicenda legislativa che -
con apposito emendamento introdotto alla Camera dei Deputati in sede di
conversione del decreto legge 169/93 - ha condotto all’attuale testo
normativo; alla Corte è parso sufficiente ricordare – per identificare
il fine della norma - che la legge 257/92 si ricollegherebbe alla
direttiva CEE 477/83 e che la prima stesura dell’art.13,comma 8° della
257/92 diede origine a dubbi interpretativi sotto il profilo della
identificazione del quantum della rivalutazione.
- Si
tratta di argomenti che non appaiono esaustivi ed insuperabili; né
soprattutto tali da poter prevalere sull’analisi del testo della
disposizione.
- Il
fatto che la legge 257/92 avrebbe un collegamento storico con la direttiva
comunitaria n. 477/1983 - che prescriveva l’adozione di una serie di
misure finalizzate all’eliminazione dei rischi derivanti
dall’utilizzazione dell’amianto – non è argomento dirimente per
identificare la ratio legis esclusivamente con la dismissione
dell’amianto.
- A
tale proposito va considerato che proprio la direttiva 477 non prescrive
la cessazione dell’uso dell’amianto; che proprio la l. 257/92 non
è legge di attuazione della direttiva CEE 477/1983; che proprio la
direttiva n. 477/1983 era già stata attuata un anno prima con il d.lgs
277/1991 il quale non prescrive nemmeno l’eliminazione dell’uso
dell’amianto ma punta sulla prevenzione del rischio e sulla tutela
della salute dei lavoratori .
- Anche
in altri Paesi Europei che hanno recepito prima dell’Italia quella
direttiva a tutti oggi non vige il divieto di uso di amianto ma sono
prescritte solo misure di salvaguardia.
- In
ogni caso, non si vede come una direttiva comunitaria - che mira a
proteggere i lavoratori dal rischio di una sostanza nociva – possa
rendere inconciliabile, sul
piano logico giuridico, l’accoglimento della tesi sul carattere
compensativo del beneficio; tanto più se si riflette che proprio nelle
premesse della Direttiva CEE 83/477 si riconosceva che “riducendo il
tempo di esposizione a amianto, diminuirà il rischio di malattie ad
esso connesse”; ed ancor di più se si considera la tardività, di circa
9 anni, con cui è stata recepita la stessa direttiva ed il fatto che lo
Stato italiano sia stato condannato per questo inadempimento in sede
comunitaria (il che evidentemente valorizza la prospettiva risarcitoria:
perché quanto prima si fosse mosso lo Stato tanto prima si sarebbero
create le condizioni giuridiche e storiche necessarie ad evitare che i
lavoratori fossero lasciati esposti all’azione nociva della sostanza
senza adeguate misure di protezione e ad impedire che l’amianto potesse
influire in maniera drammatica sulla vita di migliaia di lavoratori).
- L’argomento
storico desunto dal richiamo della direttiva 477 non appare perciò di
rilievo alcuno ai fini della identificazione della ratio del beneficio,
potendo giustificare anche, ed ancor di più, l’ipotesi risarcitoria:
come peraltro dimostrano tutte le sentenze della Cassazione e della Corte
Costituzionale che partendo dalla rievocazione delle stesse premesse
storiche erano pervenute a riconoscere una finalità indennitaria e
compensativa a fondamento del beneficio.
- 2.
Altra premessa storica che secondo la Corte influirebbe
nell’identificazione della ratio della norma sarebbe la vicenda
legislativa che ha portato alla modifica del testo dell’art.13, 8 co.
- A
questo proposito però la Corte Costituzionale si limita ad osservare che
il testo originario dell’art. 13 diede luogo ad incertezze
interpretative con riferimento all’identificazione del quantum
(periodo di tempo) oggetto della rivalutazione contributiva
(solo la frazione eccedente il decennio ovvero tutto il periodo di
esposizione purchè superiore al decennio); sicchè il d.l. n. 169/93, convertito
con modifiche nella l. 271/93, eliminò questo dubbio e si stabilì
che “ai fini della prestazioni pensionistiche” oggetto della
rivalutazione fosse “l’intero periodo lavorativo soggetto
all’assicurazione contro le malattie professionali”.
- Anche
sotto questo aspetto però può ripetersi, come sopra, che la necessità
di eliminare il dubbio (mera occasio legis del d.l.169/93),
relativo all’identificazione del periodo di rivalutazione,
risulta, in sé e per sé, argomento neutro rispetto alla identificazione
della ratio della normativa; e che in ogni caso questa considerazione non
poteva prevalere ed assorbire quella, ben più pregnante a fini esegetici,
della valutazione del testo normativo risultante dall’intervento di
modifica effettuato dal Parlamento sul decreto legge in sede di
conversione.
- 3.
E’ su questo aspetto che l’analisi della Corte Costituzionale appare
carente: occorreva prestare attenzione – come la Corte aveva fatto in
altre occasioni - al prodotto dell’operazione legislativa di modifica
della normativa con l’eliminazione da parte del Parlamento di quella
parte di essa che delimitava la platea dei destinatari in relazione
all’appartenenza dell’impresa al c.d. settore amianto. Su questo
aspetto determinante della vicenda la nuova sentenza della Corte Cost. non
da invece alcuna spiegazione; e si limita invece ad evidenziare con
evidente petizione di principio “il carattere approssimativo della
normativa rispetto ai fini perseguiti” (dunque assegnati alla norma
in via assiomatica).
- Sul
punto fanno però fede i lavori parlamentari che hanno portato alla
modifica in sede di conversione del decreto legge 139/93 ( vedi resoconto
della seduta della Camera dei Deputati 12-14.7.1993); i quali dimostrano
come gli emendamenti, appositamente introdotti dalla Camera ed illustrati
dal relatore (on. Morgando), fossero intesi – senza alcuna esitazione -
a “far sì che per tutti i lavoratori che siano stati
esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero
periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato
per il coefficiente di 1,5”. Di più risulta dai lavori preparatori
che tutti i deputati intervenuti nel dibattito hanno attribuito lo
stesso significato alla norma, richiamando il grave rischio alla salute
che hanno corso i lavoratori; rammaricandosi piuttosto del limite di dieci
anni; ricordando che la sostanza non ha limite di soglia; richiamando
tutte le malattie asbesto correlate; ripromettendosi di intervenire in
favore di altre lavorazioni usuranti; senza
mai sostenere che il beneficio fosse esclusivamente limitato ai soli
lavoratori in difficoltà occupazionali ovvero appartenenti
a specifiche areee mercelogiche.
- Dunque
per individuare il fine della norma assumeva un peso determinante
considerare (più dell’occasione storica) che l’intervento normativo
effettuato fin dal 1993 con la l. 271 risultò ben più esteso di
quello richiesto per l’eliminazione del dubbio relativo
all’identificazione del periodo della rivalutazione.
- La
norma è stata infatti deliberatamente mutata nella sostanza sotto
due profili essenziali: a) eliminando, in maniera motivata ed a seguito di
nutrito dibattito parlamentare, il riferimento alle imprese del c.d.
settore amianto (ossia “all’imprese che estraggono amianto o
utilizzano amianto come materia prima” inserito nel decreto legge ed
eliminato di proposito nella legge di conversione); b) allargando
l’operatività del beneficio “al
fine delle prestazione pensionistiche” col venir meno del termine
conseguimento.
- Una
piana lettura di questo specifico intervento dovrebbe portare a
riconoscere che:
- a)
eliminando il riferimento alla tipologia dell’impresa ed allargando il
beneficio a tutti i lavoratori delle ” circa 3000 applicazioni
dell’amianto” ( v. intervento alla Camera dell’on. A. Muzio;
atti cit.) lo scopo dell’attribuzione non può essere più ricostruito
in termini di incentivazione all’esodo per i lavoratori del settore
amianto ( o quantomeno non più in questi termini esclusivi) .
- La
norma si radica ora su un unico testuale elemento: l’esposizione
ultradecennale di qualsiasi lavoratore al rischio amianto (al
rischio cioè di contrarre malattie
professionali) quale che sia l’attività lavorativa
svolta ed il settore d’intervento; quale che sia la situazione
occupazionale dell’avente diritto al momento dell’entrata in vigore
della legge: occupato nel settore, occupato in altro settore, disoccupato,
invalido (e per identità di ratio pensionato).
- Per
attribuire il beneficio in base a questa norma l’interprete indaga solo
se il lavoratore sia stato esposto oppure no all’amianto; non se
abbia perso il posto di lavoro o se rischiava di perderlo; come
dimostra la concreta applicazione della norma in sede giudiziaria ed
amministrativa, ed ora anche
la legge 179/2002 (v. avanti).
- b)
Sotto l’altro profilo, l’eliminazione del termine “conseguimento”
ha assicurato il massimo della latitudine all’applicazione di questo
beneficio; esso opera infatti non solo ai fini del conseguimento della
pensione ma anche ai fini dell’incremento della pensione (come dimostra
la concreta applicazione della norma in sede amministrativa) ; e se vale
ad incrementare la pensione, già maturata in diritto, del lavoratore in
attività nel 92, può valere allo stesso identico fine di incrementare la
pensione già conseguita dal lavoratore nel 92.
- Insomma
dalla nuova soluzione normativa scelta dal Parlamento deriva che tutto
il periodo di esposizione sia soggetto alla rivalutazione e che il
beneficio operi sempre ed in ogni direzione: serve a far conseguire la
pensione, serve al fine di incrementarla, e serve anche al solo fine di
accrescere la posizione contributiva ( e quindi anche quando non serve
ai fini del pensionamento).
- E’
dunque non si capisce come si possa assegnare alla norma il fine esclusivo
di far “ottenere il diritto alla pensione” se la stessa norma
venga poi applicata al caso in cui il lavoratore non possa conseguire la
pensione e all’altro caso in cui il lavoratore abbia già acquisito il
diritto alla pensione; perché nel primo caso il lavoratore dovrà
rimanere al lavoro se vuole acquistare il diritto a pensione; mentre
nel secondo caso il lavoratore potrà utilizzare il beneficio al solo
fine di incremento della misura della pensione.
- Si
vorrà almeno in questi casi riconoscere che la norma obbedisce anche a
fini diversi dal conseguimento della pensione?
- Sotto
questo aspetto non si giustifica dunque perché la Corte Costituzionale
abbia sostenuto da una parte che il venir meno del termine conseguimento
all’interno della disposizione non eserciti alcun rilievo (e cioè la
formula legis sia sostanzialmente equivalente a quella originaria),
sicché l’espressione deve essere letta “come riferentesi alle
prestazioni pensionistiche da conseguire”; e dall’altra parte abbia
considerato ammissibile che il beneficio influisca anche ai fini della
misura della pensione e non del solo conseguimento (risultato che senza
quella eliminazione non si sarebbe potuto produrre).
- Sul
punto è palese la contraddizione; per la Corte il beneficio serve per
agevolare l’esodo e far “ottenere il diritto alla pensione”;
ma se il diritto a pensione è stato già conseguito esso serve per
incrementare la misura; e se non influisce ne sul diritto ne sulla misura,
il beneficio serve lo stesso a meri fini di incremento della
posizione contributiva.
- 4.
Occorre considerare che la lettura della vicenda legislativa e dei lavori
parlamentari nei termini esposti, come espressione della ratio
compensativa del beneficio, era stata accolta – prima della sentenza
434/2002 della Corte Cost. - da tutta la giurisprudenza (di merito,
legittimità, costituzionale) in maniera unanime, tanto da poter essere
considerato oramai un punto fermo nella contrastata interpretazione
della normativa a partire dalla sentenza n.5/2000 della Corte Cost.
- La
sentenza 434 della Corte Costituzionale ha invece disatteso anzitutto se
stessa; ed in particolare le due precedenti sentenze rese
sull’argomento: la sentenza del 12.1.2000 n.5 in materia di
determinatezza della fattispecie; e la sentenza del 22 aprile 2002, n. 127
in materia di lavoratori addetti alla Ferrovie dello Stato; e
quest’ultima sentenza pur essendo
stata pronunciata solo pochi mesi prima della sentenza 434/2002 sullo
identico aspetto soggettivo della disposizione.
- Proprio
all’interno della sentenza n. 127/2002 la Corte Costituzionale si era
soffermata sul significato e sulla portata della precedente sentenza n. 5
del 2000; ed aveva ribadito,
come nella prima sentenza, “ che la norma censurata ¾
nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione in
legge del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione «dipendenti
dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia
prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure
fallimentari o fallite o dismesse» ¾
conferisce essenziale rilievo, ai fini dell’applicazione del
beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori alla
assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa
derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del
datore di lavoro».
- Sicchè
la stessa Corte Costituzionale osservava che “ Coerentemente
con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende
normative che hanno preceduto l’approvazione del testo attuale
del comma 8 dell’art. 13, lo scopo della disposizione
medesima è stato rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori
esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10
anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di
lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene».
- Anche
in questa seconda sentenza, relativa ai lavoratori delle Ferrovie, non vi
è nessun riferimento all’incentivo all’esodo dei lavoratori
del settore amianto al fine di ricostruire la ratio della disposizione; e
nonostante che l’oggetto del giudizio riguardasse l’aspetto soggettivo
della disposizione, ossia proprio l’identificazione dei lavoratori
beneficiari della rivalutazione contributiva - come per i lavoratori
pensionati.
- Solo
che per la Corte Costituzionale dell’aprile 2002, per sapere se i
lavoratori della ferrovie fossero o meno destinatari del beneficio, la
ratio della norma doveva essere individuata esclusivamente nella “nozione
di rischio morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione
obbligatoria gestita dall’INAIL” (concetto
che ha come ulteriore portato costituzionale il criterio di
parità di tutela a parità di rischio; v. Corte Cost.’74/206; Corte
Cost.114/1977); mentre nella sentenza dell’ottobre 2002 sui
pensionati il criterio del rischio morbigeno risulta scomparso; non vi si
fa nemmeno un cenno; e la ratio del beneficio diventa quella
dell’agevolazione all’esodo .
- Nella
medesima sentenza 127/2002 i presupposti per ricomprendere nel beneficio
previdenziale i lavoratori delle Ferrovie dello Stato sono stati
individuati dalla Corte Cost. negli stessi comuni presupposti valevoli per
la generalità dei lavoratori: “ attinenti, segnatamente, all’esposizione
ultradecennale all’amianto, alla soggezione all’assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione
all’amianto e al rischio morbigeno”; e senza che sia
stato minimamente richiesto che gli stessi ferrovieri abbiano
sofferto crisi occupazionale.
- 5.
Va poi considerato che nella sentenza n.434 del 31 ottobre 2002 sui
pensionati la Corte Costituzionale sostiene di non aver mai riconosciuto
il carattere compensativo del beneficio: “Né è vero che questa
Corte, nella sentenza n. 5 del 2000, abbia affermato il carattere
risarcitorio del beneficio in esame escludendo che esso abbia invece la
principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo
di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di
ottenere il diritto alla pensione”.
- Su
questo rilievo è sufficiente richiamare le parole
della stessa Corte Costituzionale dell’11 aprile 2002 n. 127 ;
allorché, proprio a proposito dell’ambito di applicazione soggettivo
della norma, osservava come esistano “plurimi elementi esegetici, i
quali portano a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale,
tutti i lavoratori esposti all’amianto, in presenza, beninteso,
dei presupposti fissati dalla disposizione stessa, secondo quanto
evidenziato dalla già ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000.
Presupposti richiesti proprio perché la legge n. 271 del 1993
ha voluto tener conto della capacità dell’amianto di produrre danni
sull’organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da
attribuire il beneficio della maggiorazione dell’anzianità
contributiva in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta .”
- Va
ribadito: “in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta”; perché ciò vale, ovviamente, non
tanto per ricostruire una sorta di verità filologica, quanto per
evidenziare come ai lavoratori delle Ferrovie
il beneficio sia stato riconosciuto in quanto lavoratori
assoggettati al medesimo rischio morbigeno da amianto (e non già
perché riconosciuti lavoratori coinvolti nel processo di dismissione
dell’amianto); e per dirla con le stesse parole della Corte Cost. in
considerazione dell’ “obiettiva pericolosità che indubbiamente
non manca anche nell’ambito del servizio ferroviario”;
obiettiva pericolosità che invece non è stata minimamente considerata
nella sentenza sui pensionati, nonostante essi fossero già certificati
dall’Inail come esposti al rischio.
- 6.
Del resto che quello sopraindicato fosse il reale contenuto delle sentenze
rese nella materia dalla Corte Cost. non era stato affermato solo da
qualche distratto e superficiale giudice di merito; bensì dopo la
sentenza n. 5/2000 della Corte Cost. da tutta la giurisprudenza di
legittimità, all’unanimità.
- A
partire da Cass.4913/2001 che, proprio a proposito dell’avvenuta
modifica della norma e dell’allargamento del beneficio oltre il settore
amianto, evidenziava come nel corso del dibattito parlamentare si “segui
una soluzione che, tenendo conto della capacità di produrre danni in
relazione al tempo di esposizione, consente una maggiorazione
dell’anzianità contributiva per tutti i dipendenti che siano
stati esposti all’amianto per più di dieci anni”. Sicchè
individuava la ratio dell’attribuzione del beneficio in chiave di
“attuazione dei principi di solidarietà di cui è
espressione l’art.38 Cost. – in funzione compensativa dell’obiettiva
pericolosità dell’attività lavorativa spiegata”.
- E di
analogo tenore sono state le tesi espresse da Cassazione 2926/2002;
10979/2002; 10114/2002; 7048/2002.
- Quest’ultima
sentenza in particolare nota :“ questa Corte ha avuto modo di
chiarire, attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla
pronuncia 12 gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale,
dichiarativa della non fondatezza delle questioni di costituzionalità
della norma in oggetto, sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 Cost.,
che la eliminazione, ad opera della legge di conversione n. 271 del 1993,
del riferimento - contenuto sia nel testo originario del comma 8 dell'art.
13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169 del 1993 - ai
"dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto
come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a
procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia significativa
dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che
possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva
del datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità
all'avvenuta ultradecennale adibizione del
lavoratore
ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'amianto”.
- Tant’è
che la stessa Cass. 7048/2002 conclude esplicitamente :
- “Destinatari
della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano
perso - o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di
conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì,
come si è detto, i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva
dell'Impresa datrice di lavoro, che abbiano subito una esposizione
"qualificata" all'amianto”.
- 7.
In relazione a tali precedenti giurisprudenziali la tesi sostenuta da
ultimo dalla Corte Costituzionale deve essere quindi considerata come un
cambiamento di rotta, tanto
più immotivato perché fondato su argomenti non esaustivi (l’argomento
storico) che anche il resto della giurisprudenza, per giungere ad una
ratio diversa, aveva condiviso integrandolo però con la considerazione
dei lavori preparatori e sopratutto del testo della norma modificata dal
Parlamento, che dovrebbe essere il punto di partenza di ogni operazione
interpretativa.
- C.
La legge 179/2002 su certificazioni Inail e direttive ministeriali.
- Va
ora aggiunto che nell’interpretazione di una norma conta anche il quadro
sistematico, e dunque non solo le norme precedenti ma anche quelle ad essa
successive, quando sono tali da contribuire alla ricostruzione del reale
valore normativo della disposizione. Il complesso dell’ordinamento nel
cui ambito la norma si colloca deve essere tenuto presente e lo sforzo
dell’interprete deve essere diretto ad evitare antinomie e
contraddizioni al fine di realizzare il massimo possibile di giustizia in
conformità alla Costituzione (ovvero di evitare eclatanti ingiustizie).
- Sulla
questione che si giudica influisce ora l’art. 18 comma 8° della legge
31.07.2002 n. 179 (in vigore da prima della sentenza 434/02 della Corte
Cost.) il quale, ai fini del
beneficio di cui si tratta, ha riconosciuto la validità delle
“certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL sulla
base degli atti di indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del
Lavoro”.
- Va
ora chiarito che gli atti di indirizzo ministeriali cui si riferisce la
norma riguardano le più disparate imprese e settori di attività; nessuno
di essi , per quanto se ne sa, attiene al c.d. settore amianto; ad es. a
Ravenna gli stessi atti di indirizzo hanno riguardato i lavoratori del
polo chimico e gli addetti ai lavori di facchinaggio della Compagnia
Portuale: lavoratori che dopo la legge 257/92 non hanno mai rischiato
il posto di lavoro; che dopo l’abolizione dell’uso dell’amianto
hanno continuato a produrre prodotti chimici ed a scaricare sacchi e merci
presso il porto di Ravenna; che non avevano bisogno di essere agevolati ad
alcun esodo.
- Tutt’altro:
la ratio di questa recente norma ( che riconosce per legge la validità di
un’atto amministrativo) è esattamente opposta a quella che si suppone a
fondamento della legge 257; l’art.18,8 della l.31.07.2002 n. 179 è
stato infatti emanato per far cessare le opposizioni e le controversie che
le imprese avevano intentato sotto vari aspetti contro questi
provvedimenti ministeriali, impugnandoli davanti al Tar Lazio e al
Consiglio di Stato, al
fine di impedire ai lavoratori di lasciare il posto di lavoro; alla
base di questo provvedimento di legge non vi è dunque alcuna “difficoltà
di mantenere il posto di lavoro o di trovarne altro”. Al
contrario i lavoratori volevano abbandonare il posto, mentre le
imprese volevano tenerli al lavoro e hanno promosso addirittura
delle cause per cercare di trattenerli quanto più a lungo possibile al
lavoro.
- Proprio
per impedire che si realizzasse questo risultato il legislatore è
intervenuto; per affermare che gli stessi lavoratori pur non subendo
alcuna difficoltà occupazionale avevano comunque diritto alla
rivalutazione contributiva per l’amianto; e che le certificazioni
loro rilasciate dall’INAIL avevano validità.
- Dunque
dopo la legge del 271/1993, ed a maggior ragione dopo la legge 179/2002,
affermare che la norma abbia ancora la principale o esclusiva
funzione di permettere ai lavoratori pregiudicati dal processo di
dismissione dell’amianto di ottenere il diritto a pensione,
significa negare il principio di realtà.
- Oggi
la stragrande maggioranza dei lavoratori a cui il beneficio è stato
accordato sia in base alla legge 271/1993, sia in base agli atti
di indirizzo ministeriali (ed alla legge 179/2002) sono lavoratori
che non appartengono al settore amianto (sono lavoratori della chimica,
delle centrali elettriche, delle ferrovie, dei cantieri navali, delle
compagnie portuali, ecc.); per cui continuare ad opporsi alle istanze dei
pensionati sostenendo che il beneficio abbia la esclusiva finalità di
alleviare le ricadute e le difficoltà occupazionali derivanti in quel
settore dalla cessazione dell’amianto appare non solo sommamente
ingiusto, ma soprattutto privo di qualsivoglia collegamento con la realtà.
- E’
evidente dunque che in questa materia si usano due criteri di giudizio
differenti (due pesi e due misure). Ai lavoratori in attività si dice che
la legge non ha lo scopo di tutelare il posto di lavoro ma di concedere un
beneficio che ha di mira il rischio morbigeno; ai lavoratori pensionati si
dice invece il contrario e
cioè che la legge non ha funzione compensativa del rischio morbigeno bensì
di tutelare la perdita del posto e siccome essi non possono correre questo
rischio il beneficio a loro non spetta.
- D.
Necessità di riconoscere almeno la complessità della funzione sottesa al
beneficio.
- 1.
Da quanto fin qui esposto discende quindi la necessità di affermare,
quantomeno, che la ratio della legge non sia sempre una e una soltanto (
come si suppone in molte
pronunce adoperando una semplificatoria reductio ad unum pur in presenza
delle più disparate situazioni); diventa cioè ineludibile riconoscere
che la stessa legge contenga una disciplina complessa ed ammetta finalità
composite; che comprenda, accanto ad una finalità di incentivazione
all’esodo, una “funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta.” (Corte Cost.127/2002)
- Si
dovrebbe riconoscere quindi che la legge non è tutta rivolta a coloro che
perdono il posto (Cass.7048/2002); che a molti lavoratori il beneficio
viene concesso in un’ottica solidale e di compensazione del rischio (
Cass.4931/2001).
- Solo
così si può spiegare il riconoscimento del beneficio alla stragrande
maggioranza dei lavoratori che non avevano difficoltà occupazionali; ai
lavoratori che non sono in grado di raggiungere lo scopo dell’ accesso
a pensione (con 15 anni di contribuzione, periodo minimo garantito
dalla norma); ai lavoratori che beneficiano della rivalutazione a soli
fini di incremento della misura della pensione.
- Diversamente
si potrà continuare a sostenere l’esclusiva finalità di incentivo
all’esodo del beneficio ma eludendo la legge 271/1993, la legge
179/2002, la sentenza della Corte Cost. sui ferrovieri; e si potrà
continuare a sostenere che l’eliminazione dell’espressione
conseguimento non ha alcun valore, contrariamente a quanto dimostra la
costante applicazione amministrativa del beneficio previdenziale ai casi
di semplice maggiorazione della misura della pensione; e si potrà pure
affermare “il carattere approssimativo della normativa rispetto ai
fini perseguiti” e sostenere persino che al legislatore del
’92 e del ’93 “non
erano del tutto noti allo stato delle conoscenze scientifiche le
circostanze in cui l’amianto poteva essere
morbigeno e i tempi di insorgenza delle diverse patologie”;
quando secondo unanimi e risalenti conoscenze di
carattere medico e scientifico e secondo univoche prescrizioni normative (
v. dpr. 303/56, tu.1124/65 , direttiva Cee 477/83, dlgs 277/91) tutti
sanno che non esistono limiti al di sotto dei quali possa ritenersi
innocua l’esposizione ad amianto; essendo il rischio morbigeno
rappresentato dall’esposizione in sè, anche a basse dosi (
testualmente la direttiva CEE 477/83); mentre sul punto
dell’epoca della diffusione di queste conoscenze la giurisprudenza
pullula di ricostruzioni storiche minuziose e documentate (per tutte
Cassazione IV Sez. penale,11.5.1998) da cui risulta che già nel 1930
erano noti i rischi di contrazione dell’asbestosi ( la cui assicurazione
è stata resa obbligatoria già nel 1943 con la legge n.455);
mentre “l’associazione
amianto–mesotelioma è stata unanimemente riconosciuta fin dal 1965”
(Cass. cit.).
- Ma
se questo è il quadro – tecnico-giuridico, scientifico e storico -
in cui occorre inscrivere la tesi di chi nega questo beneficio ai
pensionati, allora esso non
può essere condiviso da questo giudice alla luce dei principi
costituzionali di legalità, uguaglianza e razionalità.
- Tutto
ciò stride anzitutto ad un elementare senso etico e di giustizia perché
imporrebbe a questo giudice di dover affermare che il beneficio in
questione sia rivolto all’unico fine
di favorire l’esodo di lavoratori in crisi occupazionale, quando
nelle migliaia di casi in cui esso è stato accordato - in via giudiziaria
ed in via amministrativa – in questa città di Ravenna, nemmeno uno
di essi riguardava lavoratori del c.d. settore amianto
- 2.
Del resto proprio la Corte Cost. nella sentenza n.434/2002
lascia spazi che devono essere valorizzati dall’interprete - ad es.
laddove parla di “ principale funzione” del beneficio in esame,
senza escludere che la norma possa rivestire anche
funzioni ulteriori; e quando evidenzia nodi che devono essere
risolti dall’interprete allorché a proposito dell’allargamento della
platea dei destinatari parla di “carattere approssimativo della
normativa rispetto ai fini perseguiti”.
- Appare
dunque possibile, senza violare alcun dogma; ed in conformità alla
Corte Cost. 127/2002; ed anche senza contraddire la Corte
Costituzionale 434/02; ammettere quantomeno che - per effetto delle
sovrapposizioni normative, della successiva legislazione, della concreta
applicazione in sede amministrativa - la norma non abbia un solo fine ed
un’unica ratio.
- Ed
è in aderenza a quella componente compensativa del rischio, immanente
nell’applicazione di questo beneficio, che la rivalutazione contributiva
non può essere negata, in virtù di un’interpretazione conforme a
Costituzione, al lavoratore certificato come esposto dall’INAIL benchè
pensionato ante legem 257: perchè egli
si è trovato nella stessa situazione di rischio (se non in una
situazione peggiore) del collega di lavoro dello stesso settore al quale
l’analogo beneficio dell’incremento della misura della pensione è
stato concesso per effetto dell’identica esposizione (subita nel
passato).
- Ne
le due posizioni a confronto – di soggetti che hanno
maturato entrambi il diritto a pensione prima della legge 257/92 a
prescindere dalla stessa - possono essere differenziate sotto il
profilo del fattore temporale; per il fatto cioè che uno dei due si trovi
ancora in attività al momento dell’entrata in vigore della normativa.
- Si
è già visto infatti per un verso che il beneficio viene concesso anche a
chi non subisce alcun pregiudizio occupazionale per effetto dell’abolizione
dell’uso dell’amianto ed anche a chi non è occupato al momento della
legge (come ad es. il disoccupato o l’invalido); mentre, per
altro verso, l’esposizione che rileva nella struttura della norma è
quella che si è consumata nel passato.
- Del
tutto incongruo sarebbe infatti pensare di considerare come elemento
differenziale tra l’uno e l’altro soggetto una potenziale situazione
di esposizione attuale; perché ciò significherebbe anzitutto decretare
il fallimento del sistema di prevenzione introdotto con il d.lgs 277/91.
- Del
resto proprio secondo l’unanime giurisprudenza l’attualità
lavorativa non è requisito costitutivo del beneficio; tanto che lo
stesso beneficio si applica ai lavoratori già transitati in settori
diversi fin da prima della legge; ai lavoratori disoccupati ed agli
invalidi. Non si spiega
dunque come, in base a quale criterio, nell’ipotesi in cui il beneficio
serva a tutti questi lavoratori ai soli fini dell’incremento della
misura della pensione, il fattore tempo possa servire a
differenziare la situazione di chi è al lavoro o è disoccupato dopo la
legge da chi ha cessato il lavoro prima della legge.
- E.
Gli altri argomenti utilizzati dalla giurisprudenza per negare il
beneficio contributivo ai pensionati.
- Per
maggiore chiarezza anche sistematica va ribadito che questo giudice non
condivide nemmeno gli altri argomenti adottati dalla giurisprudenza
ordinaria per negare il beneficio ex art.13,comma 8 ai pensionati
ante legem 257/92. Queste sentenze solo apparentemente si fondano su una
varietà di argomenti di carattere letterale, logico e sistematico; esse
discendono in realtà dalla stessa unica (infondata) premessa originaria :
quella secondo cui il fine esclusivo della norma sarebbe di rivolgersi al
solo lavoratore del settore amianto in crisi occupazionale
per fargli conseguire la pensione.
- Si
tratta, come si è visto, di una premessa contraria alla voluntas legis
perché elude una parte del contenuto della legge quale risulta dalla
modifica che è intervenuta nel corpo della disposizione attraverso la
legge 271/93, con l’espresso scopo di non limitare l’applicazione
della norma a singole categorie di imprese e di estendere il beneficio
della rivalutazione contributiva a tutti i lavoratori.
- Lo
aveva già detto la Corte Costituzionale con la sentenza n.5/2000 e
lo dice ora anche la Cassazione
4913/2001 (ma solo quando si occupa di lavoratori non pensionati):
“ la legge del 4.8.1993 n271 di conversione del decreto legge
193/93 non resse quindi al confronto parlamentare sicchè venne
eliminato il riferimento ai lavoratori di “imprese che estraggono o
utilizzano amianto come materia prima” e si seguì una soluzione che
tenendo conto della capacità di produrre danni sull’organismo in
relazione al tempo di esposizione consente una maggiorazione
dell’anzianità contributiva per tutti i dipendenti che siano esposti
all’amianto per più di dieci anni”.
- Caduta
questa prima fondamentale ed assorbente premessa,non rimane infatti nulla degli argomenti che si frapponevano alla
legittima richiesta dei pensionati ante legem 257/92 di ricevere il
beneficio previsto dalla legge.
- 1.Per
ciò che attiene all’argomento letterale la stessa Cassazione ( v.
sent.5764/2001) ammette che il termine “lavoratori esposti” si addice
ad alcuni pensionati (a quelli di invalidità), mentre non si addice ad
altri pensionati (a quelli di anzianità e di vecchiaia); e non certo
quindi per motivi letterali.
- 2.
L’ulteriore argomento - secondo cui lo scopo della legge è quello di allontanare
i lavoratori dal rischio (“anche in relazione a fatti di esposizione
consumati nel passato”; sic ), è semplicemente insostenibile perché la
legge 257/92 è successiva all’introduzione di un imponente sistema di
prevenzione introdotto dal d.lgs. 277/91 e comunque presuppone
l’assoggettamento ad un rischio già consumato nel passato con
un’esposizione ultradeccennale.
- 3.
La tesi secondo cui la legge presuppone un rapporto di lavoro in atto è
stata superata dalla stessa Cassazione allorché ha considerato che il principio
di eguaglianza impone l’estensione del beneficio anche ai lavoratori
disoccupati, a chi ha cambiato azienda, a chi è stato licenziato ed ai
pensionati per invalidità civile (v. espressamente sentenza Cass. n.5746
del 19.4.2001, rel. Menichiello).
- 4.
L’argomento secondo cui la norma avrebbe come suo scopo esclusivo,
diretto ed indefettibile di assicurare il “conseguimento della
pensione” ad alcuni lavoratori
- ( sempre quelli del settore amianto, per sopperire alla perdita
del posto di lavoro ed allontanarli dal rischio), per cui non si può
applicare a chi ha già la pensione- non resiste ad una semplice verifica
logica e sistematica.
- Lo
stesso argomento non tiene anzitutto conto del fatto che la rivalutazione
contributiva riconosciuta dalla norma non è da sola in grado di
assicurare il raggiungimento di questo scopo essenziale, in vista del
quale si dice sarebbe stata esclusivamente voluta (non per niente i
prepensionamenti sono regolati a parte nella stessa legge).
- Il
conseguimento della pensione potrebbe non essere in concreto
raggiunto con la concessione del beneficio; ad es. se un soggetto ha
lavorato solo poco più di dieci anni nel settore amianto non va in
pensione con poco più di 15 anni di contributi (quanto ne assicura il
meccanismo di rivalutazione previsto dalla norma); questo lavoratore dovrà
invece continuare a lavorare, pur potendo usufruire della
maggiorazione ex art13,comma 8 che gli verrà comunque accreditata sulla
propria posizione contributiva.
- Inoltre
non si tiene conto del fatto che il beneficio dell’art.13,comma 8° è
stato pensato per valere sempre, vale cioè sia per il conseguimento della
pensione, sia per la misura della pensione.
- Sotto
questo profilo cioè non si vuole tenere conto del modo in cui è stato
concepito e strutturato il beneficio dalla legge: rapportato al tempo
dell’ esposizione; al lavoratore spetta tanta rivalutazione contributiva
quanto è il tempo di esposizione!. Anche se la stessa contribuzione non
fosse sufficiente per far conseguire la pensione (da conseguire più in là);
anche se, per converso, essa fosse invece sovrabbondante rispetto al
traguardo rappresentato dal requisito contributivo minimo necessario per
il conseguimento della pensione, e quindi anche se esso serva solo ad
incrementare la pensione (da conseguire o già conseguita).
- Insomma
nessuna sterilizzazione e decurtazione è possibile; dice la legge: “l’intero
periodo lavorativo .. è moltiplicato
per il coefficiente di 1,5”; “ ai fini delle prestazioni
pensionistiche” ( vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge a
questo proposito).
- Va
poi considerato che per negare il beneficio ai lavoratori pensionati si
neutralizza, si mutila, anche il valore normativo specifico, interno alla
stessa disposizione, che discende dall’espressione “ai fini delle
prestazioni pensionistiche”; un’espressione che con carattere di
ampiezza e di novità rispetto all’espressione “ai fini
del conseguimento delle prestazioni pensionistiche”,
utilizzata negli altri
commi della stessa norma (ed anche rispetto alla originaria stesura della
legge), consentirebbe invece
esplicitamente, de plano, la soluzione positiva del riconoscimento
del beneficio per i pensionati (per tutti i pensionati) nei limiti in cui
il beneficio possa esercitare effetti ai fini di incrementare le
prestazioni già conseguite.
- 5.
Non meno infondato risulta poi l’ulteriore argomento che si è opposto
alla richiesta dei pensionati, allorché si è pure sostenuto che il
beneficio previdenziale non può essere riconosciuto ai pensionati esposti
perché nell’ipotesi in cui uno di essi avesse già raggiunto il massimo
contributivo…il beneficio non potrebbe essere operativo!
- Ma a
parte il fatto che una situazione simile potrebbe essere in concreto
riscontrata anche rispetto ad un lavoratore in attività che continui a
lavorare pur avendo già raggiunto il massimo contributivo (non c’è
nessun divieto in tal senso), occorre in ogni caso obiettare che il
legislatore ha previsto come beneficio di tutti gli esposti una
rivalutazione contributiva; ed è il legislatore che decide secondo la
propria discrezionalità; per cui in concreto il beneficio è destinato ad
operare nei limiti consentiti dal sistema all’interno del quale esso si
colloca.
- L’obiezione
non è poi fondata nemmeno in diritto perché anche nei confronti del
pensionato che avesse già raggiunto il massimo della contribuzione
versata, il riconoscimento del beneficio legale sarebbe in grado di
portare ad un utile risultato permettendo la liquidazione di un
supplemento di pensione ( cioè di una quota aggiuntiva che si somma
all’importo già determinato) ex art.7 l.155/81 ( circ.Inps 259/94).
- Inoltre
lo stesso argomento appare comunque incongruo, perché non si può
utilizzare come termine di comparazione ai fini dell’applicazione di un
beneficio contributivo la situazione di chi versa in una condizione di
assoluto favore ( avendo già raggiunto il massimo di contribuzione ), per
negare il beneficio anche a chi è messo peggio e potrebbe trarre una
concreta utilità dallo stesso riconoscimento.
- Si
ripete che il legislatore ha accordato a tutti gli esposti ultradecennali
un beneficio di natura contributiva, il risultato che può scaturire da
questo beneficio varia a seconda delle condizioni personali dei singoli
destinatari e dei limiti di operatività del sistema in cui è destinato
ad operare (non solo per i pensionati ma per tutti i destinatari, anche
per i lavoratori in attività).
- F.
Va dunque riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla rivalutazione
contributiva nei limiti del periodo di esposizione certificato dall’Inail.
- Le
spese del giudizio si compensano dato il contrasto che divide la
giurisprudenza sulla spettanza di questo beneficio ai pensionati; va posta
invece a carico dell’Inps quella parte delle spese processuali che
riguarda i lavoratori ricorrenti (Magrini Romano) che al momento della
legge 257/92 fossero titolari di pensione o di assegno di invalidità dato
che per essi è invece consolidato l’orientamento della giurisprudenza,
anche di legittimità, favorevole all’attribuzione del beneficio
(Cass.13786/2001).
- P.Q.M.
-
- Visto
l’art. 429 c.p.c. e
definitivamente pronunciando sulla domanda ogni diversa domanda, eccezione
od istanza disattesa, così decide:
- Dichiara
che i ricorrenti hanno diritto alla maggiorazione ex art. 13, 8° comma L.
257/92 per i periodi di esposizione all’amianto come da certificazioni
in atti.
- Dispone
che l’INPS provveda all’accredito di legge.
- Condanna
l’INPS alla rifusione parziale delle spese di lite liquidate in
complessivi Euro 1200 di cui 1000 per onorari, oltre IVA e CPA, come per
legge.
- Ravenna,
26.03.2003
- Il
Giudice del
Lavoro
- dott.
Roberto RIVERSO
- Depositato
in Cancelleria il 20.4.2003
-
-