Aggiungi Guidaldiritto.it ai preferiti

Fai di Guida al Diritto la tua pagina predefinita cliccando qui.

CORTE DI CASSAZIONE -- Sez. I -- 14 gennaio 1999 n. 354 -- Pres. Corda -- Est. Carbone -- P.M. Gambardella (concl. conf.) -- Liani Giarda (avv. Spagnolo) c. Giarda.

(Cassa App. Milano 30 luglio 1996).

Adozione - Adozione di maggiori di eta' - Condizioni - Adozione di figlio del coniuge dell'adottante - Divario minimo di eta' di diciotto anni fra adottante e adottato - Inderogabilita' - Esclusione - Fattispecie in cui l'adozione riguardi il figlio da poco maggiorenne del coniuge dell'adottante, con il quale e' genitore di altri due figli minorenni - Ragionevole riduzione del divario minimo di eta' richiesto tra adottante e adottato, nell'ambito della imitatio naturae - Ammissibilita'.

(Cost., art. 30; l. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, art. 44).

(Omissis) - Con il primo motivo del proposto ricorso, si censura l'impugnata sentenza per violazione degli art. 291 e 297 c.c. Secondo la ricorrente la Corte d'appello di Milano nel decreto oggetto del presente ricorso ha respinto la richiesta di adozione, ancorandosi alle diverse finalita' dell'adozione speciale rispetto a quella ordinaria, ritenendo di non poter estendere all'adozione ordinaria le norme attualmente applicabili a quella speciale in virtu' di tale diversita', diversita' nel caso concreto non sussistente attesa la specifica situazione del caso de quo agitur. Secondo il decreto della Corte di Milano, in materia di adozione speciale, ove si va ad inserire un minore moralmente e materialmente abbandonato in una idonea e stabile famiglia, nella quale preferibilmente esistano gia' figli, tale interesse prevalente pone in secondo piano gli interessi personali e patrimoniali dei figli legittimi, anche se minorenni, degli adottanti. Al contrario si ritiene che, nel caso dell'adozione ordinaria, il legislatore non abbia riscontrato analogo interesse prevalente, in quanto l'adottando non solo e' maggiorenne, ma entrando anche in una seconda famiglia, assorbe una parte degli interessi morali e patrimoniali del figlio minore, legato soltanto alla famiglia dell'adottante. La questione, in astratto condivisibile, in concreto urta contro la situazione peculiare della fattispecie in cui i figli minorenni e maggiorenni sono fratelli tra di loro. Infatti, Angelo Giarda, vedovo e' coniuge, in seconde nozze, dell'adottante che e' anche madre degli ultimi due figli.

La complessa doglianza appare quindi fondata, tenendo bene presente la peculiarita' del caso in esame, che la rende ben diversa dalle fattispecie tipizzate, tenute presente dal giudice del merito. Infatti, l'adottando Enrico Maria Giarda, e' orfano di madre, mentre l'adottante e' l'attuale coniuge del padre, sicche' con l'adozione, l'adottando rimarrebbe giuridicamente legato al proprio padre, ma questo padre, coniuge dell'adottante e padre dei figli minori nati durante il secondo matrimonio, non solo e' lo stesso padre della "seconda famiglia", ma e' pure il suo unico genitore, che dopo la morte della prima moglie ha costituito un "nuovo" nucleo familiare nel quale si chiede che l'adottando si trovi in condizioni di parita' assoluta con tutti i membri della famiglia. Nel caso in esame, quindi, ricorre la particolarita' che la famiglia dell'adottando e' strettamente legata, anzi coincide con quella dell'adottante.

Il "diritto vivente" dell'adozione si conforma alle importanti modifiche intervenute ad opera delle decisioni dei giudici delle leggi, a partire dalla sentenza n. 557 del 19 maggio 1988, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 291 c.c., nella parte in cui non consentiva l'adozione di maggiorenni a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati, maggiorenni e consenzienti. In tal modo, la Corte ha esteso l'applicazione della disciplina dell'art. 297 c.c., che indica i soggetti tenuti a manifestare il proprio assenso per l'adozione di persone maggiorenni conferendole un contenuto generale. Nella stessa sentenza n. 557 del 1988, la Corte ha rilevato come sia necessario che la normativa non comporti delle limitazioni eccessive, e come tali irrazionali, rispetto allo scopo perseguito, si' da violare l'art. 3 cost.

Infatti, mentre la presenza del coniuge non osta all'adozione, sempre che questi presti il suo assenso (art. 297, primo comma, c.c.), la circostanza che vi siano figli legittimi o legittimati, benche' maggiorenni e consenzienti, finora impediva che si potesse procedere alla adozione medesima. La differente valutazione legislativa dell'assenso di persone (rispettivamente coniuge e figli), tutte facenti parte della famiglia legittima dell'adottante, ed egualmente interessate, sia sotto l'aspetto morale che sotto quello matrimoniale, anche in relazione al favor sempre dimostrato dal legislatore verso l'istituto, e' apparsa chiaramente incongrua ed in contrasto con l'art. 12 della convenzione europea sull'adozione dei minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva in Italia con legge di ratifica 22 maggio 1974 n. 357, che all'art. 12 stabilisce che nessuna legge potra' impedire a chicchessia di adottare, per il solo fatto di avere o di poter avere un figlio legittimo.

Secondo i giudici della costituzionalita' delle leggi, non sussiste un motivo razionale per ritenere sufficientemente tutelata la posizione del coniuge attraverso la previsione del suo assenso, e per non disporre analogamente, in una situazione sostanzialmente identica, rispetto ai discendenti legittimi o legittimati.

Tali puntualizzazioni vanno prese in considerazione nel particolare caso dell'adozione di Enrico Maria Giarda. L'adottante ha chiesto l'adozione al fine di assicurare legami piu' stabili tra l'adottando ed i figli, nati in seconde nozze, nello specifico interesse di questi ultimi oltre che dell'adottando. Jacopo e Nicole, anche se l'adozione costituisce un rapporto personale tra adottato ed adottante, beneficeranno dei riflessi morali, sociali ed affettivi dell'intervenuto vincolo personale tra la loro madre e gli altri figli del loro stesso padre, in quanto i rapporti derivanti dall'adozione sono da porsi ad ogni effetto sullo stesso piano delle relazioni della famiglia biologica ove hanno importanza preminente solo i vincoli personali ed affettivi.

La soluzione dei giudici a quo ha optato per una irrazionale salvaguardia della famiglia legittima dell'adottante, tenuto presente lo scopo perseguito con l'adozione ed in virtu' della assoluta mancanza di compressione dei diritti dei minori, oltre che dello stridente ed evidente contrasto con una lettura costituzionalizzata della normativa. Nel caso di specie, nelle medesime condizioni di fatto, emerge in maniera lampante la disparita' di trattamento per ragioni di eta' in relazione alle due ipotesi di adozione tra entrambi i figli del primo matrimonio di Angelo Giarda: Enrico Maria nato nel 1975 e divenuto maggiorenne all'epoca della domanda e Fabio Maria nato nel 1977 che all'epoca della proposizione del ricorso risultava essere minorenne.

In tale situazione la ricorrente avrebbe potuto adottare Fabio Maria -- ancora minorenne all'epoca di presentazione del ricorso per adozione di Enrico Maria -- grazie all'art. 44, primo comma, lett. b) e quinto comma della l. 583 n. 184 cosi' come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 1990, ma consapevole dell'ingiusta disparita' che si sarebbe venuta a creare tra i due fratelli, ancorche', entrambi figli della defunta prima moglie del marito, non ha ritenuto di poter adottare l'uno senza l'altro e si e' riservata di richiedere l'adozione di Fabio Maria, che al momento della proposizione del ricorso in primo grado era ancora minorenne, non appena si potra' avere la certezza che entrambi i figli potranno beneficiare dello stesso provvedimento: non si vede, infatti, alcun ragionevole motivo per cui l'ordinamento non debba assicurare la stessa tutela a due fratelli che hanno perduto la madre, mentre l'altro genitore e' il coniuge della ricorrente che intende adottarli.

La tutela di entrambi i fratelli, orfani della madre, appare meritevole di tutela a prescindere dal requisito dell'eta', ed e' indispensabile equiparare il diritto degli orfani provenienti dalla stessa famiglia, perche' figli dello stesso padre a potersi inserire in un nucleo familiare idoneo e stabile. Invece se si raffrontano le discipline applicabili risulta che il figlio minorenne di un coniuge puo' essere adottato dall'altro coniuge, anche quando non sussistano i presupposti dell'adozione ed anche in presenza di figli legittimi. Invece, nelle medesime condizioni di fatto, il figlio maggiorenne dell'altro coniuge non puo' essere adottato dalla stessa persona, dando luogo ad un'ingiustificata, irragionevole disparita'.

Nella sentenza n. 44 del 1990 la stessa Corte costituzionale ha ritenuto, invece, fondata con riferimento all'art. 30, primo e terzo comma, cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 44, quinto comma, l. 4 maggio 1983 n. 184 (disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del primo comma, non consente al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unita' familiare, l'intervallo di eta' di diciotto anni. Quello che conta, secondo i giudici della legittimita' delle leggi, e' il valore complessivamente riconosciuto all'unita' della famiglia anche se in relazione alla particolare specie di adozione prevista sub b), dal primo comma dell'art. 44, con cui il coniuge adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge, e' ispirata all'unita' familiare. Senza lo strumento dell'adozione cosi' impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata nel matrimonio, la prole, figlia di primo letto e rimasta orfana della madre, se non adottata dal nuovo coniuge resterebbe estranea all'altro coniuge, ed inoltre vivrebbe il disagio sociale della manifesta diversita' di origine con possibili disarmonie nella formazione psicologica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44, primo comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario descritto, agevola una piu' compiuta unione della coppia e della prole.

La ratio di queste considerazioni non muta se uno dei due fratelli da adottare sia divenuto da poco maggiorenne e se il divario di eta' tra adottando e adottante resti pur sempre nell'ambito dell'imitatio naturae. Infatti, il non raggiunto divario d'eta' dei diciotto anni tra il coniuge adottante e il minore adottando, non puo' essere considerato in ogni caso inderogabile, perche' altrimenti la realizzazione del valore costituzionale dell'unita' della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affinche' la norma impugnata non risulti in contrasto con l'art. 30, primo e terzo comma, Costituzione, limitatamente all'ipotesi di cui alla lett. b) dell'art. 44, primo comrna, l. n. 184 del 1983, il giudice competente, previo attento esame delle circostanze del caso, al fine di corrispondere all'indicato preminente valore etico-sociale scolpito in Costituzione, puo' accordare una ragionevole riduzione del termine di diciotto anni.

L'esigenza, oggi molto piu' diffusa che in passato, di favorire le adozioni da parte del coniuge del genitore va pienamente riconosciuta, rispondendo a situazioni che si verificano sempre piu' spesso, anche in forza del diffondersi del divorzio. Mentre prima poteva verificarsi solo nell'ipotesi del coniuge superstite con figli piccoli che contraeva un nuovo matrimonio, come nel caso di specie, con il divorzio sempre piu' si fa sentire l'esigenza di rinsaldare la formazione di nuove famiglie, gia' dotate di figli per lo piu' minori, nati da un precedente matrimonio. Per cui anche in mancanza di un rapporto parentale tra la vecchia famiglia ed il nuovo coniuge esiste tuttavia una situazione di forte convivenza, accresciuta dall'arrivo di nuova prole frutto del secondo matrimonio, e la presenza qualificata del nuovo coniuge puo' dispiegare un rapporto valido e proficuo anche con i figli nati dal primo matrimonio e non ancora autosufficienti, senza distinguere tra maggiorenni e minorenni.

Alla stregua delle esposte considerazioni, il primo motivo del ricorso merita accoglimento con conseguente assorbimento degli altri due. La decisione va pertanto cassata e le parti rimesse innanzi alla Corte d'appello di Milano. (Omissis)