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CORTE DI CASSAZIONE -- Sez. I -- n. 2315 del 1999 -- Pres. A. Rocchi -- Rel. G. Graziadei

Disconoscimento di paternita' del bambino nato da fecondazione artificiale eterologa con il consenso del marito

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Luciano Anselmi, con citazione del 13 febbraio 1986, ha chiesto al Tribunale di Cremona pronuncia di disconoscimento della sua qualita' di padre del minore Mattia, nato il 13 novembre 1985 dalla moglie Laura Pizzetti in costanza di matrimonio contratto con rito concordatario il 10 agosto 1980; ha dedotto che il concepimento del bambino non era ascrivibile a lui stesso, affetto da impotenza di generare, ma era stato provocato da inseminazione artificiale, cui si era sottoposta la moglie con seme di donatore sconosciuto.

Si e' opposta a tale pretesa la Pizzetti, sostenendo che l'azione trovava ostacolo nel consenso prestato dal marito a detta inseminazione, e comunque nel decorso di oltre un anno da quando il relativo intervento era stato praticato alla presenza del marito stesso; in via subordinata, nell'eventualita' dell'accoglimento della domanda, ha chiesto che l'Anselmi venisse condannato al ristoro dei danni morali e materiali arrecati con la sua incoerente condotta.

L'avv. Giovanni Bigodini, nominato curatore speciale del minore, ha fatto proprie le posizioni difensive della Pizzetti, e, in caso di pronuncia di disconoscimento, ha chiesto che si affermasse il diritto del minore medesimo di conoscere l'identita' del donatore del seme.

Alla causa e' stata riunito il giudizio promosso dalla Pizzetti, dinanzi allo stesso Tribunale, con citazione del 22 febbraio 1986, al fine di ottenere declaratoria di nullita' del matrimonio, per vizio del consenso rappresentato da errore sulle qualita' personali dell'Anselmi.

Il Tribunale, con sentenza resa nel febbraio 1994, ha accolto tanto la domanda di disconoscimento di paternita', ritenendola tempestiva e fondata sulla scorta delle previsioni dell'art. 235 primo comma n. 2 cod. civ., quanto la domanda di nullita' del matrimonio; ha inoltre respinto la pretesa risarcitoria della Pizzetti e dichiarato inammissibile l'ulteriore istanza del Curatore.

La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 10 maggio/14 giugno 1995, ha condiviso le statuizioni del Tribunale. A confutazione dei motivi di gravame formulati dalla Pizzetti, la Corte di Brescia ha fra l'altro osservato:

- che la disciplina dell'inseminazione artificiale eterologa va desunta dai principi della filiazione, non da quelli dell'adozione, integrando un atto procreativo in senso proprio, ancorche' disancorato da affettivo e fisiologico rapporto fra uomo e donna;- che la concertata decisione dei coniugi di ricorrere a tale pratica medico-chirurgica, per avere un figlio avvalendosi del seme messo a disposizione da un donatore anonimo, non e' assimilabile all'accordo diretto ad adottare un minore in stato d'abbandono, ne' quindi giustifica l'utilizzazione delle regole proprie dell'adozione cosiddetta legittimante;

- che la facolta' del marito, in condizione d'impotenza, di disconoscere come figlio il bambino generato dalla moglie con detto apporto esterno discende dalla puntuale riconducibilita' della vicenda nelle disposizioni dell'art. 235 primo comma n. 2 cod. civ., che sono al riguardo rimaste ferme dopo la riformulazione introdotta dall'art. 93 della legge 19 maggio 1975 n. 151, e che rispondono ad un'esigenza di prevalenza del favor veritatis sul favor legitimitatis;

- che il consenso del marito alla fecondazione artificiale della moglie (nella specie prestato) non costituisce fatto impeditivo del successivo disconoscimento, dato che sono indisponibili le azioni attinenti allo stato della persona, e che dunque il diritto di chiedere il disconoscimento stesso (del resto spettante anche alla madre ed al figlio) non puo' venir meno in relazione a pregressi comportamenti di tipo abdicativo;

- che il dovere del marito di tenere contegni coerenti, le irreversibili conseguenze prodotte dal suo iniziale assenso e l'irrinunciabile collegamento dell'atto procreativo con la responsabilita' di entrambi i coniugi non erano valorizzabili, come invece sostenuto dalla Pizzetti e dal Pubblico ministero, per intaccare il criterio dell'indisponibilita' delle azioni inerenti allo status della persona, mancando in proposito un aggancio nella vigente nominativa, e cosi' restavano sul piano di apprezzamenti morali, non decisivi, pure se diffusi e comuni anche all'etica laica;

- che l'attribuzione a1 marito del diritto di disconoscere come figlio il nato per inseminazione eterologa non implica dubbi sulla legittimita' costituzionale del predetto art. 235 cod. civ., ne' sotto l'aspetto dell'asserita violazione dell'uguaglianza dei coniugi, alla luce dell'abilitazione di entrambi al disconoscimento stesso, ne' sotto il profilo dell'addotta disparita' di trattamento del frutto dell'inseminazione rispetto al figlio concepito dalla moglie con adulterio, in ragione dell'oggettiva diversita' delle relative situazioni;

- che l'affermazione del Tribunale sulla tempestivita' dell'azione, essendo basata sul duplice rilievo della computabilita' del termine annuale di cui all'art. 244 cod. Civ. a far tempo dalla nascita e della sua osservanza nel caso concreto anche in ipotesi di decorso dal giorno dell'inseminazione, non era stata efficacemente inespugnata dalla Pizzetti, il cui gravame aveva contestato solo la prima di dette autonome rationes decidendi;

- che la non qualificabilita' come comportamento illecito della revoca da parte dell'Anselmi del consenso originariamente prestato all'inseminazione assistita di per se' elideva i presupposti della domanda di risarcimento del danno;

- che il quesito dell'idoneita' dell'iniziale consenso del marito a determinare il suo dovere di concorrente nel mantenimento del minore non era esaminabile, per la novita' in appello, tenendosi conto che le richieste patrimoniali a carico dell'Anselmi erano state basate in primo grado solo sulla deduzione di fatto illecito.

La Pizzetti, con ricorso notificato il 20 novembre 1995, ed il Curatore del minore, con ricorso notificato il 23 dicembre 1995, hanno chiesto la cassazione della sentenza d'appello, formulando quattro censure di contenuto sostanzialmente analogo.

L'Anselmi ha replicato al ricorso della moglie con controricorso. Con riferimento all'udienza di discussione fissata per il 18 settembre 1997 entrambi i coniugi hanno presentato memorie illustrative.

In detta data la decisione sui ricorsi e' stata rinviata, per l'opportunita' di attendere l'esito del giudizio incidentale sulla legittimita' costituzionale dell'art. 235 cod. civ., nella parte in cui accorda l'azione di disconoscimento della paternita' al marito che affetto da impotenza abbia dato il proprio consenso all'inseminazione eterologa della moglie; giudizio promosso dal Tribunale di Napoli (con ordinanza del 14 marzo 1997) per prospettato contrasto con gli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione.La Corte costituzionale, con sentenza n. 347 del 26 settembre 1998, ha dichiarato inammissibile l'indicata questione.

Per la pronuncia sui ricorsi e' stata quindi fissata l'odierna udienza.

La Pizzetti e l'Anselmi hanno depositato ulteriori memorie difensive.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..

Con i primi tre motivi di entrambi i ricorsi s'insiste nell'affermare che il consenso prestato dal marito, in condizione di impotentia generandi, per la "filiazione biochimica da datore sconosciuto", non e' revocabile, quantomeno a seguito del concepimento della moglie, e costituisce ostacolo al disconoscimento.

A sostegno di tale assunto si torna a considerare che l'art. 235 cod. civ., dettato per tutelare il marito a fronte di nascita ascrivibile alla relazione sessuale della moglie con un terzo, non puo' trovare applicazione nell'inseminazione artificiale, voluta e realizzata di comune accordo, trattandosi di una scelta non vietata, consentita dall'evoluzione della scienza accettabile anche moralmente, ed idonea alla costituzione di un cosciente rapporto di "filiazione civile", cui deve conferirsi cittadinanza e dignita' pari a quello di filiazione naturale.

L 'inapplicabilita' della citata norma, ad avviso dei ricorrenti, esige il riferimento in via analogica alle regole dell'adozione, le quali non ammettono che i coniugi istanti, dopo il provvedimento giudiziale che disponga l'adozione medesima, rivedano o mutino il proposito in precedenza espresso.

La diversa soluzione seguita dalla Corte di Brescia non sottrarrebbe l'art. 235 cod. civ. a sospetti d'illegittimita' costituzionale, per l'arbitraria disparita' di trattamento che si verificherebbe fra il figlio adulterino ed il figlio artificialmente concepito, con la condanna esclusivamente del secondo all'impossibilita' di accertare il padre naturale (dopo la perdita del padre "presunto"), nonche' fra i due coniugi, dato che soltanto la moglie rimarrebbe irretrattabilmente vincolata agli effetti di quanto in precedenza concordato con il marito, non potendo dismettere il proprio ruolo di madre.

Il quarto motivo, di natura subordinata, e' inerente ai riflessi economici del disconoscimento, ove consentito.

La tesi sviluppata in via principale dalla Pizzetti e dal Curatore e' fondata, sulla scorta e nei limiti delle osservazioni appresso svolte.

La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 347 del 26 settembre 1998, ha dichiarato inammissibile, perche' irrilevante, la questione sollevata dal Tribunale di Napoli, affermando che la norma denunciata, in quanto "riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino", non disciplina quella sostanzialmente diversa del figlio nato da fecondazione assistita.

Tale enunciato e' da condividersi, nel senso di negare che la normativa del disconoscimento di paternita' ex art. 235 cod. civ. sia direttamente riferibile al caso d'inseminazione artificiale oggetto della controversia.

Detto art. 235, nel testo iniziale, e' stato approvato in un'epoca in cui il fatto procreativo esigeva indefettibilmente il rapporto carnale fra uomo e donna, e, quindi, se si verificava nel corso del vincolo coniugale, ma senza la partecipazione del marito, era necessariamente imputabile all'adulterio della moglie, con violazione del dovere di fedelta'.

L'elencazione, in quell'originario testo, dei tassativi casi di attribuzione al marito dell'azione di disconoscimento si appalesa del tutto in linea con la situazione del tempo della formulazione della norma codicistica, sia quando si contemplano ipotesi di consistente sospetto di concepimento del figlio per comportamenti infedeli della moglie (con l'ammissione del marito ad ampia dimostrazione negativa della paternita'), quali l'adulterio e l'occultamento della gravidanza e della nascita, sia quando si contemplano ipotesi di presuntiva riferibilita' del concepimento medesimo a relazione extraconiugale, quali il difetto di coabitazione e la impotentia generandi o coeundi del marito.

Alla data della rifonda del diritto di famiglia, di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, era gia' stata "scoperta" ed era in atto la fecondazione dell'ovulo della donna in forma assistita, senza rapporto sessuale, con intervento chirurgico costituito dall'introduzione di seme maschile, nella duplice forma dell'inseminazione omologa od eterologa, a seconda che ci si avvalga dello sperma del marito o di un terzo donatore.

Nonostante la diffusione nuova pratica, prevalentemente utilizzata al fine di assicurare un figlio alla coppia sterile per impotenza del marito, nonostante il vivace dibattito insorto sulla liceita' di essa (anche sotto l'aspetto morale), e le sollecitazioni emerse nel corso dei lavori parlamentari (fra l'altro, con la proposta governativa di negare il disconoscimento della paternita' al marito consenziente), l'art. 93 della legge del 1975, nel riscrivere l'art. 235 cod. civ., non e' andato oltre una revisione terminologica ed un'opportuna unificazione delle ipotesi in cui sia mancata la coabitazione dei coniugi, mentre ha nella sostanza mantenuto ferma detta elencazione tassativa, continuando in particolare ad autorizzare il disconoscimento per impotenza del marito in entrambe le manifestazioni dell'impotenza stessa dinanzi ricordate.

In questa riformulazione "conservativa" non puo' essere colto l'intento del legislatore di non occuparsi esplicitamente della fecondazione artificiale (cosi' evitando di prendere posizione sul dibattito in corso) nel presupposto dell'applicabilita' ad essa de plano delle disposizioni sul disconoscimento della paternita'.

A tale risultato ermeneutico e' d'impedimento la circostanza che l'inseminazione artificiale non e' adulterio della moglie, esprimendo anzi un progetto di maternita' basato proprio sul rifiuto di ricorrere all'infedelta' coniugale per procreare; puo' trovare movente nell'incapacita' del marito, ma non necessariamente si correla alla stessa, essendo riferibile anche a ragioni diverse, quali l'eta' o le condizioni di salute del marito medesimo, con i connessi rischi di trasmissioni genetiche sfavorevoli.

Peraltro, la tesi dell'implicita inclusione della fecondazione assistita nel caso dell'impotenza del marito e' contrastata dal rilievo che la norma a quest'ultima inerente, cioe' il n. 2 del primo comma dell'art. 235 cod. civ., comprende anche la sola impotenza al coito; la tesi medesima, in carenza di una disciplina che differenzi le due ipotesi d'inseminazione, approderebbe all'aberrante risultato, sicuramente non in linea con lo spirito della riforma del 1975, di permettere il disconoscimento pure del figlio nato con il seme del marito affetto da detto tipo d'impotenza (inseminazione omologa), e quindi di negare la condizione di figlio legittimo proprio a chi sia per scientifica certezza fiotto della coppia.

Acclaratosi che l'inseminazione, globalmente intesa, non rientra in via immediata e diretta nelle previsioni dell'art. 235 nuovo testo cod. civ., e cosi' esclusosi che il silenzio della riforma del 1975 sia fondato sulla sottintesa premessa dell'attitudine di quelle previsioni a ú disciplinare in modo completo il sopravvenuto ritrovato della medicina, resta da vedere se la fecondazione assistita di tipo eterologo, che usufruisce del seme altrui e che e' caratterizzata da censura (con pari rigore scientifico) della non imputabilita' del concepimento al marito, possa ricadere, ove effettuata (come pacificamente nella specie) con il preventivo, libero e valido consenso del marito, nell'ambito del disconoscimento per impotenza, sulla scorta di un'interpretazione estensiva o di un'applicazione analogica di detto n. 2 del primo comma dell'art. 235 cod civ. oltre i casi espressamente regolati.

Tale interpretazione od applicazione, come puntualmente avvertito dalla Corte Costituzionale con la menzionata sentenza del 1998, postula per non tradursi in un'arbitraria supplenza in compiti riservati al legislatore, la "omogeneita' di elementi essenziali e la identita' di ratio".

Detti presupposti, salvo il quesito della loro eventuale individuabilita' rispetto all'inseminazione eterologa che la moglie abbia praticato all'insaputa del marito, o contro la sua volonta', o con un suo consenso invalido (problematica estranea al tema della causa), non sono ravvisabili quando l'inseminazione stessa sia stata concordata dai coniugi con decisioni convergenti e consapevoli.

A questa affermazione inducono la natura dell'azione di disconoscimento, la consistenza degli interessi alla cui protezione essa e' rivolta, i precetti degli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione, ed i canoni generali dell'ordinamento sul dovere di lealta' nei rapporti intersoggettivi.

Sotto il primo di detti profili, va osservato che la domanda di disconoscimento, indirizzata a privare il figlio concepito durante i1 matrimonio della presuntiva condizione di frutto legittimo di entrambi i coniugi, per il tramite della dimostrazione di specifici fatti idonei ad evidenziarne la non rispondenza a realta', integra azione di accertamento di tipo costitutivo, in quanto configura esercizio del diritto potestativo di ottenere dal giudice una pronuncia che modifichi la situazione giuridica in atto, rimuovendo con effetti retroattivi uno status che sussiste e persiste fino a che la domanda stessa non sia proposta ed accolta. L'azione di accertamento costitutivo, in assenza di una diversa (ed eccezionale) previsione, non puo' spettare proprio al soggetto che abbia posto in essere o concorso a porre in essere, con atti o comportamenti non vietati dalla legge, la situazione giuridica per la cui modificazione e' apprestata.

Il principio e' espressione del criterio generale secondo cui l'azione e' strumento di tutela di posizioni soggettive (art. 24 della Costituzione), cioe' mezzo per reagire contro un'aggressione in corso o potenziale da altri commessa o minacciata; l'azione medesima, ove fosse attribuita per rimuovere o modificare giudizialmente un rapporto, al soggetto che lo ha liberamente determinato, si tradurrebbe in un'iniziativa contro lo stesso titolare, non conosciuta dall'ordinamento, e comunque estranea al diritto di difesa, quando non venga in discussione la validita' dell'atto volitivo.

La regola trova numerose esplicitazioni nel campo dei rapporti patrimoniali (basta ricordare le disposizioni degli artt. 1441, 1447 e 1453 cod. civ. in tema di annullamento, rescissione o risoluzione del contratto), ma deve considerarsi immanente anche nel settore dei diritti personali ed indisponibili, potendosi chiedere al giudice l'accertamento dell'esistenza dei diritti stessi e la rimozione degli effetti di atti di disposizione viziati, non il mutamento dell'assetto in precedenza provocato con atti o comportamenti permessi dall'ordinamento.

L'indisponibilita' dei diritti inerenti alla persona, in altre parole, rende insensibili le azioni previste a loro tutela a fronte di scelte abdicative non consentite, non di scelte legittime, di contenuto tale da elidere i presupposti e le basi logiche dell'insorgenza delle azioni stesse.

In relazione al secondo profilo, quello riguardante gli interessi protetti, va rilevato che l'azione di disconoscimento della paternita' compete al marito, alla madre ed al figlio, cioe' ai tre protagonisti della vicenda procreativa ricadente nella presunzione di legittimita' ancorata al dato temporale del concepimento durante il matrimonio; non spetta a terzi, e nemmeno al pubblico ministero.

Tale ristretto ambito di titolarita' dell'azione, coordinato con la tassativita' dei casi in cui e' esercitabile e con i brevi termini di decadenza all'uopo stabiliti (art. 244 cod. civ.), indica che la preferenza e prevalenza della realta' sulla presunzione non sono incondizionate, non rispondono ad un'esigenza pubblicistica, ma mirano a difendere esclusivamente le posizioni di quei soggetti, ai quali soltanto e' demandata la valutazione comparativa delle due situazioni in conflitto e la decisione di optare per l'una o l'altra, facendo emergere la verita', ovvero mantenendo la fictio iuris della paternita' presunta.

Il marito, concordando ed attuando con la moglie la fecondazione eterologa, effettua e consuma detta valutazione e detta opzione. Un successivo ripensamento, a prescindere da apprezzamenti di ordine etico, difetta della ratio su cui si fonda l'azione di disconoscimento, purche' rinnega una scelta gia' espressa con l'assunzione di una paternita' presunta nonostante la piena contezza della sua non rispondenza alla paternita' biologica.

Detto ripensamento, del resto, ove ammissibile, sfuggirebbe a limitazioni, e dunque tradirebbe le finalita' per le quali il disconoscimento e' contemplato, perche' assegnerebbe al marito un quid pluris rispetto all'alternativa sopra evidenziata, vale a dire l'anomala licenza di rivedere la propria anteriore decisione, anche se siano rimasti fermi tutti i dati a suo tempo noti ed apprezzati, ovvero siano sopravvenute circostanze non certo meritevoli di tutela in pregiudizio del bambino gia' nato (quali il dissidio con il coniuge, il superamento dell'impotenza, o l'insoddisfazione per il frutto dell 'inseminazione).

Se il parametro della predominanza del favor veritatis dovesse avere forza tale da permettere al marito un contegno "ondivago", con l'esercizio dell'azione di disconoscimento anche dopo una meditata (e probabilmente sofferta) decisione di aderire all'intento della moglie di praticare la fecondazione assistita, si dovrebbe pervenire, in via generale, ad ammettere la rivedibilita' di ogni scelta, solo perche' divergente dalla realta', consentendo ad esempio pure la possibilita' del marito, vittorioso nel giudizio di disconoscimento, di rivendicare successivamente la qualita' di padre del minore in precedenza disconosciuto, deducendo e dimostrando fatti contrari a quelli anteriormente allegati; l'illogicita' di tale risultato conferma che l'azione di disconoscimento non puo' competere solo perche' vi sia una verita' difforme dalla presunzione legale, richiedendosi la concorrente presenza delle specifiche circostanze fattuali delineate dall'art. 235 cod. civ. e delle esigenze e finalita' in funzione delle quali le circostanze stesse si appalesano giustificative della rimozione dello status determinato da quella presunzione.

Il '`bene-verita'", quindi, in tema di disconoscimento, ha una priorita' non assoluta, ma relativa, in quanto puo' prevalere per effetto di una valutazione preferenziale effettuata dagli interessati, dovendo invece definitivamente cedere il passo al "bene-presunzione" dopo un'opzione di segno opposto (situazione del resto contemplata nella "vicina" materia del riconoscimento del figlio naturale ai sensi dell'art. 250 cod. civ.).

Le citate disposizioni costituzionali eliminano poi, in senso negativo, ogni residuo dubbio sulla possibilita' di estendere od applicare in via analogica l'art. 235 cod. civ. alla fattispecie in esame.

Tali disposizioni, attinenti alla protezione dei diritti inviolabili della persona, ed in particolare del minore, nella societa' e nel nucleo familiare in cui si trovi collocato per scelta altrui, sono le linee guida che devono orientare, come considerato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 347 del 1998, non solo il legislatore ordinario, ove colmi la lacuna attualmente esistente nell'ordinamento in materia di fecondazione assistita, ma anche l'interprete, in sede di "ricerca nel complessivo sistema normativo dell'esegesi idonea ad assicurare il rispetto della dignita' della persona umana".

L'attribuzione dell'azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia a suo tempo prestato assenso alla fecondazione artificiale della moglie con seme altrui, priverebbe il bambino, nato anche per effetto di tale assenso, di una delle due figure genitoriali, e del connesso apporto affettivo ed assistenziale, trasformandolo per atto del giudice in "figlio di nessun padre", stante l'insuperabile impossibilita' di ricercare ed accertare la reale paternita' a fronte del programmato impiego di seme di provenienza ignota.

La nascita di tale figlio senza padre puo' essere subita dall'ordinamento, ove discenda da vicende di vita non controllabili e non piu' emendabili.

La norma che permettesse detta condizione, per mezzo di una statuizione giudiziale resa proprio su istanza del soggetto che abbia determinato o concorso a determinare la nascita con il personale impegno di svolgere il ruolo di padre, eluderebbe i menzionati cardini dell'assetto costituzionale ed il principio di solidarieta' cui gli stessi rispondono.

Il frutto dell'inseminazione, infatti, verrebbe a perdere il diritto di essere assistito, mantenuto e curato, da parte di chi si sia liberamente e coscientemente obbligato ad accoglierlo quale padre "di diritto", in ossequio ad un parametro di prevalenza del favor veritatis, che e' privo, come si e' detto, di valore assoluto, e non puo' comunque compromettere posizioni dotate di tutela prioritaria.

Il sacrificio del favor veritatis, a fronte di libere determinazioni dell'adulto che incidano sullo status del minore, e' del resto regola portante dell'adozione legittimante, ove la decisione degli adottanti di acquisire una veste genitoriale "legale", non coincidente con la maternita' e la paternita' effettive, e' irrevocabile; la diversita' del relativo istituto, esattamente sottolineata dalla Corte di Brescia, non preclude di cogliere nella disciplina dell'adozione la conferma della presenza nell'ordinamento di un canone d'irreversibilita' degli effetti degli atti determinativi dello status della persona rispetto allo stesso soggetto che li abbia compiuti (con volonta' non affetta da vizi).

Infine, va considerato che buona fede, correttezza e lealta' nei rapporti giuridici rispondono a doveri generali, non circoscritti agli atti o contratti per i quali sono richiamate da specifiche disposizioni di legge, questi doveri, nella particolare materia dei rapporti di famiglia, assumono il significato della solidarieta' e del reciproco affidamento.

L'ammissione del disconoscimento della paternita', rispetto al frutto dell'inseminazione artificiale eterologa voluta da entrambi i coniugi entrerebbe in evidente conflitto con quei doveri, e comunque porterebbe a ravvisare nell'art. 235 cod. civ. una plateale deroga, perche', come si e' rilevato, determinerebbe l'esperibilita' della relativa azione indipendentemente dalla ragione del ripensamento, e quindi anche per motivi pretestuosi e non degni di tutela.

Conclusivamente, si deve affermare che il marito, dopo aver validamente concordato o comunque manifestato il sproprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto, non ha azione per il disconoscimento della paternita' del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione.

Il principio impone, con l'accoglimento dei ricorsi nella tesi con essi sviluppata in via principale, e con l'assorbimento delle deduzioni subordinate attinenti alla protezione economica del minore (ove disconoscibile come figlio), l'annullamento della pronuncia impugnata, ed anche una conforme statuizione nel merito, ai sensi dell'art. 384 primo comma (nuovo testo) cod. proc. civ., non occorrendo indagini su fatti ulteriori rispetto a quelli accertati nelle precorse fasi processuali.

La natura, la novita' e la complessita' della problematica affrontata rendono equa la totale compensazione fra le parti delle spese dell'intero giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte riunisce i ricorsi proposti da Laura Pizzetti e dall'avv. Giovanni Benedini in qualita' di curatore speciale del minore Mattia Anselmi; li accoglie, per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata, e, pronunciando nel merito, respinge la domanda di disconoscimento avanzata da Luciano Anselmi; compensa le spese dell'intero giudizio.