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Assegno di divorzio - Non e necessariamente escluso dalla nuova convivenza dell'ex coniuge.

Il fatto che la moglie divorziata conviva con un altro uomo non esclude il dovere dell'ex marito di versarle l'assegno di mantenimento (tanto più quando lei debba provvedere anche a due figli in tenera età avuti dall'attuale convivente), qualora manchi la prova che la nuova convivenza consenta alla ex moglie un tenore di vita analogo a quello che aveva in costanza di matrimonio. SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 15055, Sez. I civile, del 5 giugno 2000, dep. 22 novembre 2000 - Pres. Carnevale; Rel. Giuliani; P.M. Martone; Bertoli c. Ferri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 13-10-1989 Patricia Mabei Ferri chiedeva al tribunale di Bergamo che fosse dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 30-5-1973 con Francesco Edoardo Bertoli e che fosse posto a carico di quest'ultimo un assegno di divorzio di ammontare pari a lire 700.000 mensili.
Si costituiva in giudizio il Bertoli, il quale, non opponendosi alla domanda principale, contestava il diritto della ricorrente a vedersi riconoscere il predetto assegno.
Il giudice adito, in data 19-12-1991, pronunciava sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 4, nono comma, della legge n. 898 del 1970 e successive modifiche; quindi, con sentenza definitiva del 26-6/9-9-1995, respingeva la domanda di assegno proposta dalla Ferri.
Assumeva il Tribunale che quest'ultima, percependo uno stipendio di lire 1.500.000 mensili e non dovendo provvedere al mantenimento del figlio Davide il quale, divenuto maggiorenne, si era stabilito presso il padre, versasse in situazione molto simile a quella dell'ex coniuge che, con uno stipendio di lire 2.500.000 mensili, doveva provvedere al pagamento di un canone di locazione e all'intero mantenimento del figlio seco convivente.
Avverso detta sentenza proponeva appello la Ferri deducendo:
a) che l'istruttoria esperita in prime cure aveva dimostrato un notevole divario reddituale tra le parti;
b) che la propria situazione economica era ulteriormente aggravata dal fatto di dover provvedere al mantenimento di altri due figli in tenera età avuti dall'attuale convivente.
Resisteva nel grado il Bertoli, contrastando l'avversa richiesta di attribuzione di un assegno di divorzio e deducendo in particolare sia che l'appellante disponeva di mezzi adeguati sia che la stessa non godeva di un tenore di vita inferiore a quello goduto in costanza di matrimonio.
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 23-12-1998/27-1 - 1999, accoglieva l'appello e, in parziale riforma della decisione del primo giudice, poneva a carico del Bertoli l'obbligo di corrispondere all'ex coniuge. un assegno mensile di lire 200.000 a decorrere da1 giorno della domanda, assumendo:
a) che, pur non essendo desumibile dagli atti il possesso da parte del Bertoli di redditi superiori a quelli considerati dal Tribunale, questi ultimi esprimessero comunque un indubbio divario tra le rispettive capacità economiche;
b) che la situazione patrimoniale del Bertoli postulasse un introito mensile superiore a quello (di lire 2.500.000) apprezzato dal primo giudice, laddove era da escludere che il medesimo, assegnatario della casa familiare, fosse gravato da canoni di locazione;
c) che la Ferri, venuta meno la convivenza familiare, avesse dovuto far conto esclusivamente sul proprio stipendio, in tal modo sopportando un deterioramento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ovvero una situazione di sostanziale svantaggio idonea a fondare il diritto dell'istante a ricevere dall'ex coniuge un assegno di divorzio;
d) che neppure rilevasse l'attuale convivenza della medesima con altro soggetto, in mancanza di prova circa la continuità e la regolarità del contributo di questo alle necessità dell'appellante;
e) che la determinazione della misura dell'assegno, esclusa la possibilità di far ricorso alle ragioni del divorzio essendo stata la separazione pronunziata senza addebito alcuno, dovesse essere effettuata con preminente riferimento agli elementi relativi alle potenzialità reddituali delle parti, senza tuttavia tener conto dell'opzione per il part-time operata dall'appellante.
Avverso la predetta sentenza, propone ricorso per cassazione il Bertoli, deducendo quattro motivi di gravame, illustrati da memoria, ai quali resiste la Ferri con controricorso.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di impugnazione lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma sesto, ultima parte, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, in relazione all'ari. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., deducendo che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione su due presupposti, rispettivamente costituiti da un indubbio divario tra le capacità reddituali degli ex coniugi e dal peggioramento del tenore di vita dell'appellante a seguito del divorzio, laddove, quanto al primo, le condizioni economiche dei predetti, cessata la convivenza, sono risultate molto simili e, quanto al secondo, il tenore di vita della Ferri è attualmente addirittura superiore a quello goduto in costanza di matrimonio.
Con il secondo motivo di impugnazione, di cui si palesa l'opportunità di un esame congiunto rispetto al primo per evidenti ragioni di connessione, lamenta poi il ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma sesto, della legge n. 898 del 1970, come modificato dall'ari. 10 della legge n. 74 del 1987, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., deducendo che la Corte territoriale abbia omesso di prendere in considerazione la convivenza intrapresa dall'appellante con un'altra persona, dalla quale ha avuto due figli e che ha determinato mig1ioramento del suo tenore di vita, sul rilievo che l'appellato non abbia fornito prova alcuna delle caratteristiche di continuità e regolarità di siffatta convivenza, laddove risulterebbe provato che quest'ultima, iniziata nel lontano 1983 e protrattasi nel tempo sino ad oggi, abbia inciso sulla reale situazione della Ferri implicando per la medesima un'entrata caratterizzata da una sostanziale stabilità e da una relativa sicurezza.
I due motivi non sono fondati.
Conviene premettere come il giudice di merito, sulla base dell'incensurato apprezzamento di fatto circa il possesso, da parte del Bertoli, di un reddito annuo pari a lire 37.500.000 (frutto di uno stipendio mensile di lire 2.500.000 per quattordici mensilità, maggiorato di un premio di produzione equivalente ad un'ulteriore mensilità) ed il possesso, da parte della Ferri, di un reddito annuo pari a lire 19.500.000, abbia in primo luogo tratto il convincimento, espresso attraverso una motivazione immune da vizi logico-giuridici, che "tenore di vita della famiglia Bertoli potesse definirsi caratterizzato da una certa agiatezza ", dal momento che " .. il nucleo familiare era costituito di soli tre membri, poteva godere di una casa di proprietà e di entrate mensili aggirantisi, nella media dell'anno, a circa cinque milioni di lire ", onde " questi dati collocavano la famiglia Bertoli, quanto a potenzialità economiche, nettamente al di sopra delle famiglie operaie e in quel settore della piccola borghesia in grado di guardare con una certa tranquillità al proprio futuro, forte anche delle concrete possibilità di risparmio consentite dal reddito globalmente percepito ".
Lo stesso giudice ha quindi ritenuto che "disponibilità economiche che la Ferri era in grado di procurarsi col proprio lavoro (dipendente del Comune di Dalmirie) non fossero tali da consentirle la conservazione del tenore di vita di cui ella aveva goduto in costanza di matrimonio... ", nel senso esatta-mente che "venuta meno la convivenza familiare, la Ferri ha dovuto fare i conti esclusivamente sul proprio stipendio che nulla più poteva garantirle se non il soddisfacimento delle proprie primarie necessità della vita quotidiana. La necessità stessa, per la donna, di gestire oculatamente il non rilevante ammontare dello stipendio mensile ha senza dubbio comportato un peggioramento delle sue condizioni materiali di vita e un sacrificio di quegli agi e di quella tranquillità economica di cui aveva goduto in costanza di matrimonio ", onde la conclusione secondo cui " . . il comparativo e complessivo esame delle situazioni economiche e patrimoniali dei due ex coniugi, lungi dal deporre per una sostanziale parità di potenzialità reddituali, (disvela) invece una situazione di sostanziale svantaggio per l'appellante Ferri, come tale idonea a fondare il diritto della stessa a ricevere dall'ex marito un assegno che le consenta di godere di un tenore di vita quanto-meno comparabile con quello avuto in costanza di matrimonio ".
Tanto premesso, si osserva che le specifiche censure dedotte dal ricorrente non colgono nel segno.
Così, per quanto attiene, in primo luogo, alla pretesa " similitudine " delle rispettive condizioni economiche nelle quali gli ex coniugi si sarebbero trovati una volta cessata la convivenza, è da notare:
a) che il divario delle predette condizioni al momento della pronuncia di divorzio non è effettivamente, di per sé solo, presupposto sufficiente per l'attribuzione dell'assegno, il quale non è diretto ad assicurare la possibilità di partecipare agli eventuali miglioramenti della situazione dell'ex coniuge successivi alla cessazione della convivenza (Cass. 20 dicembre 1995, n. 13017; Cass. 10 giugno 1997, n. 5194; Cass. 20 marzo 1998, n. 2955), laddove, però, il giudice può tener conto della condizione reddituale della figlia, riferita a tale ultimo momento, come elemento induttivo per desumere in via presuntiva il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. 21 agosto 1997, n. 7799) e per apprezzare, di conseguenza, l'eventuale deterioramento delle condizioni economiche del coniuge richiedente verificatosi in dipendenza del divorzio;
b) che la stessa autosufficienza della Ferri, cui il ricorrente evidentemente allude là dove afferma che il reddito netto da lavoro dipendente di questa (pari appunto a lire 19.500.000 annue, corrispondenti a lire
1.500.000 mensili per tredici mensilità) " non può definirsi esiguo ", è del tutto insignificante ai fini che qui interessano, nel senso esattamente che il presupposto per concedere l'assegno di divorzio è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto, il quale può anche essere (come nella specie) economicamente autosufficiente, rilevando l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima. devono essere ripristinate in modo da ristabilire un certo equilibrio (Cass. 29 ottobre
1996, n. 9439; Cass. 9 luglio 1997, n. 6207; Cass.
21 agosto 1997, n. 7799; Cass. 8 ottobre 1997, n.
9758);
c) che il Bertoli, secondo l'incensurato apprezzamento della Corte territoriale (avendolo del resto riconosciuto egli stesso), non è più gravato da "alcun spesa per pigioni" in seguito all'assegnazione della casa familiare in suo favore ed al recupero quindi della piena disponibilità dell'abitazione;
d) che la Ferri, di nuovo secondo l'incensurato (ed incensurabile, nei termini meglio specificati più avanti, con riguardo al terzo motivo di impugnazione) apprezzamento del giudice di merito, non deve sostenere le spese per il mantenimento del figlio Davide, convivente con il padre ma che peraltro " . ..ora venticinquenne, appare ormai indirizzato -stando ai non contestati documenti prodotti dall'appellante - verso il mondo del lavoro e dunque verso l'indipendenza economica ", laddove, però, " ha avuto due figli " dall'attuale convivente e, di conseguenza, " ha precisi obblighi giuridici di mantenimento " nei confronti di questi;
e) che la (pacifica) circostanza relativa all'instaurazione da parte della Ferri, successivamente alla separazione, di una convivenza con altro uomo, del tutto correttamente non è stata presa in considerazione dal giudice di merito, nel senso esattamente che quest'ultimo, pur avendo espresso un convincimento suscettibile di censura là dove, in spregio all'obiettiva durata del legame e, soprattutto, alla nascita di due figli, ha reputato non dimostrate le caratteristiche di continuità e di regolarità che conferiscono grado di certezza alla famiglia di fatto spiegando rilievo sulla sussistenza del diritto all'assegno di divorzio e sulla sua quantificazione (Cass. 5 giugno 1997, n. 5024; Cass. 4 aprile 1998, n. 3503), ha tuttavia, con incensurato apprezzamento, ritenuto del pari indimostrato l'assunto " circa il migliorato tenore di vita dell'appellante " non avendo il Bertoli, cui incombeva tale onere trattandosi difatti idonei a eliminare o limitare il suo obbligo, fornito prova alcuna in ordine all'effettiva portata delle entrate derivanti alla Ferri a motivo di un simile legame, ovvero in ordine alla capacità di detta unione di incidere sulla reale e concreta situazione economica della donna (Cass. 22 aprile 1993, n. 4761; Cass. 5024/97, cit.; Cass. 3503198, cit.).
Per quanto, poi, attiene al preteso miglioramento del tenore di vita di quest'ultima rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio, giova osservare:
1) che la Corte territoriale ha dato conto in modo convincente, secondo quanto sopra riportato, vuoi del tenore di vita della famiglia Bertoli in costanza di matrimonio, appunto, vuoi del peggioramento delle condizioni economiche della Ferri " venuta meno la convivenza familiare ";
2) che, in particolare, la circostanza relativa alla dimora della Ferri in una villa sita in Osio Sopra non risulta essere stata neppure dedotta in sede di merito;
3) che la circostanza relativa alla possibilità, per la medesima, di " permettersi l'aiuto di personale retribuito per accudire i due figli minori ", è stata sufficientemente e ragionevolmente apprezzata dal giudice di appello, là dove ha ritenuto che " . . .questo fatto, lungi dal provare un elevato tenore di vita della donna, appare piuttosto funzionale a consentire alla stessa il mantenimento di un'occupazione lavorativa che le assicuri livelli minimi di indipendenza economica ";
4) che analogamente è a dirsi riguardo alla circostanza relativa all'opzione mostrata dalla Ferri per il part-time, la quale risulta del pari apprezzata dalla Corte di merito (anche se con opposta angolatura e cioè al fine di escludere, secondo quanto invece preteso dall'appellante, che le entrate della stessa si siano in tal modo ridotte) con motivazione immune da vizi logico-giuridici, avendo detto giudice affermato che " .. trattasi di scelta esclusivamente personale, dettata da esigenze di pianificazione della vita familiare... legata a esigenze peraltro contingenti ".
Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione edell'art. 5, comma sesto, della legge n. 898 del
1970, come modificato dall'art. 10 della legge n.
74 del 1987, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5,
c.p.c., deducendo:
a) che la Corte territoriale, in sede di individuazione delle ragioni della decisione, non ha valutato il comportamento dei coniugi anteriore e successivo all'atto di separazione, prendendo in considerazione la pregressa relazione extraconiugale della Ferri che ha portato all'irreparabile frattura della comunione materiale e spirituale della famiglia, ma si è arrestata alla constatazione del fatto che la separazione era stata pronunciata senza addebito alcuno;
b) Che la stessa Corte non ha dato giustificazione~ sia pure implicita, della mancata considerazione dei criteri legislativi (così, le condizioni dei coniugi ed il contributo personale ed economico dato da ciascuno di essi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, a parte poi quello, sopra accennato, costituito dalle ragioni della decisione) dettati ai fini della determinazione della concreta misura dell'assegno di divorzio, avendo invece attribuito rilievo esclusivo agli elementi relativi alle potenzialità reddituali delle parti;
c) che l'enunciato del giudice di merito circa la posizione del figlio Davide, tuttora non autonomo economicamente, si palesa inesatto, non avendo detto giudice preso in esame le contestazioni sollevate dall'appellato all'udienza dell'8-4-1998 e nella comparsa conclusionale sulla rilevanza dei documenti prodotti dalla controparte;
d) che la Corte territoriale ha omesso di considerare che, in sede di separazione i coniugi avevano concordemente precisato le conclusioni senza alcuna richiesta di assegno da parte della Ferri, laddove, nella relativa sentenza, non fatta oggetto di gravame sul punto, si legge che la Ferri è economicamente autosufficiente e quest'ultima non ha né dedotto né provato alcun cambiamento delle condizioni economiche delle parti dopo tale sentenza.
Il motivo non è fondato.
Per quanto attiene alla censura sub a), si osserva come, in realtà, la doglianza, secondo quanto traspare dalla stessa prospettazione del ricorrente, investa la mancata considerazione di una sola circostanza e, precisamente, della " pregressa relazione extraconiugale " della Ferri, intrecciata già prima della comparizione dei coniugi, in data 5-12-1993, davanti al Presidente del Tribunale di Bergamo per la separazione.
Orbene, ai fini del riconoscimento e della determinazione quantitativa dell'assegno di divorzio, il criterio di riferimento alle " ragioni della decisione ", nel caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio in base a pregressa separazione dei coniugi, se per un verso deve essere inteso nel senso della necessità di una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in una prospettiva comprendente l'intero periodo della vita coniugale e, quindi, nel quadro di una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale e alla ricostituzione del consorzio familiare (Cass. 5 novembre 1992, n. 11978, onde in una chiave siffatta deve essere letta la sentenza di questa Corte n. 5447 del 19 ottobre 1981, citata dal ricorrente, là dove afferma che il giudice, quando il divorzio sia chiesto sulla base della separazione personale, non può arrestarsi alla mera constatazione " che nessun addebito sia stato accertato in sede di giudizio ", ivi specificandosi chiaramente che l'indagine in parola deve avere riguardo soprattutto alle cause della irreversibilità della disgregazione della comunione materiale e spirituale della famiglia, che costituisce il più diretto presupposto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che, a questi fini, rileva non tanto che uno dei coniugi abbia compiuto fatti che hanno dato inizio alla predetta disgregazione, quanto, piuttosto, che alcuno di essi abbia compiuto fatti che impediscono la ricostituzione del vincolo), per altro verso deve essere inteso nel senso che il comportamento dei coniugi anteriore alla separazione, quale è esattamente quello dedotto nella specie dal ricorrente, resta pur sempre superato ed assorbiti dalla valutazione effettuata al riguardo dal giudice della separazione (Cass. lì giugno 1980, n. 3712; Cass. 2 giugno 1981, n. 3549; nonché, già Cass. 9 luglio 1974, n. 2008; Cass. 13 marzo 1976, n. 904; Cass. 4 giugno 1976, n. 2018; Cass. 14 febbraio 1977, n. 660).
Per quel che concerne, poi, la censura sub b), è sufficiente notare che la Corte territoriale, esclusa la possibilità di far ricorso alle " ragioni del divorzio ", ha quindi attribuito " preminente" rilievo agli elementi relativi alle potenzialità reddituali delle parti, laddove il giudice, purché ne dia sufficiente giustificazione (come nella specie, avendo la medesima Corte, per un verso, analiticamente indicato i parametri dettati dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970 per la determinazione della misura dell'assegno di divorzio e, per altro verso, espressamente fatto richiamo ai suddetti elementi " già esposti "), non è tenuto ad utilizzare tutti i vari criteri di legge ma può anzi attribuire particolare riìevanza ad uno o più di essi, ritenendolo prevalente su ogni altro (Cass. 29 ottobre 1996, n. 9439).
Circa, ancora, la censura sub c), si osserva che del tutto correttamente la Corte di merito ha ritenuto " non contestati " i documenti prodotti dall'appellante, traendone quindi la ragionevole (e, in quanto tale, incensurabile) conclusione che il figlio Davide, ora venticinquenne, " appare ormai indirizzato... verso il mondo del lavoro e dunque verso l'indipendenza economica ", atteso che le contestazioni sollevate dall'appellato " nella comparsa conclusionale " si palesano del tutto irrilevanti siccome intempestive, mentre, all'udienza dell'8-4-1998, lo stesso appellato si è limitato a contestare solo (e del tutto) genericamente " la rilevanza della documentazione ex adverso prodotta all'udienza del 1-1-1998 ".
Per quanto attiene, infine, alla censura sub d), basterà notare che, ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio, il regime patrimoniale concordato o deciso in sede di separazione è privo di significato, nel senso esattamente:
1) che siffatta determinazione, prescindendo tale assegno (il quale presuppone necessariamente lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) dal regime del mantenimento operante nel quadro della separazione, deve avvenire in base a criteri propri ed autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento del coniuge separato (Cass. 28 ottobre 1994, n. 8912);
2) che, stante la diversa finalità dell'assegno di divorzio rispetto al contributo di mantenimento assegnato al coniuge in sede di separazione, è quindi irrilevante, all'atto della cessazione degli effetti civili del matrimonio, la dichiarazione di autosufficienza economica o la rinuncia al contributo economico resa in quella sede (Cass. 1301711995, cit.).
Con il quarto motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma sesto, della legge n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., deducendo come la Corte di merito abbia posto l'obbligo di corrispondere l'assegno di divorzio con decorrenza dal giorno della domanda, omettendo di fornire alcuna motivazione, laddove:
a) la data di decorrenza dell'assegno potrebbe semmai coincidere con quella del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (pronunziata il 19-12-1991 e notificata il 5-3-1992, ovvero decorso il termine di trenta giorni da tale notificazione e precisamente il 5-4-1992), se non fosse che, a quella data, nessuno squilibrio economico sussisteva tra i coniugi;
b) al giorno della domanda, non vi era quindi certamente quello squilibrio patrimoniale tra i coniugi che ha condotto la Corte territoriale al riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio in favore dell'appellante;
c) l'assegno de quo, se mai dovuto, non potrebbe quindi che farsi decorrere dalla sentenza della medesima Corte.
Il motivo non è fondato.
Il giudice del merito, infatti, nell'emettere la sentenza che dispone, ove ne ricorrano le condizioni, la somministrazione dell'assegno di divorzio, può fissarne la decorrenza, ai sensi dell'art. 4, comma decimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come novellato dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, dalla data della domanda introduttiva, anziché dalla data del passaggio in giudicato della pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass. 10 luglio 1987, n. 6016; Cass. 26 febbraio 1988, n. 2039): in questo senso, l'efficacia costitutiva che, in virtù del principio secondo cui detto assegno trova la propria fonte nel nuovo status delle parti, siffatta pronuncia riveste rispetto all'emolumento che uno degli ex coniugi debba all'altro per le esigenze proprie di quest'ultimo, è temperata in ragione della modifica apportata all'art. 4 sopra citato dall'art. 8 del pari richiamato, a seguito della quale la fissazione dell'assegno in parola dal momento della domanda non costituisce per il giudice un obbligo, bensì semplicemente una facoltà discrezionale in relazione alle circostanze del caso concreto (Cass. 29 maggio 1993, n. 6049; Cass. li ottobre 1994, n. 8288; Cass. 3 febbraio 1995, n. 1331; Cass. 15 giugno 1995, n. 6737; Cass. 15 gennaio 1998, n. 317), il cui esercizio:
a) non è subordinato ad un'apposita domanda di parte quanto alla riferita decorrenza (Cass. 8288194, cit.; Cass. 1331/95, cit.);
b) non è neppure subordinato, a mo' di necessario requisito, alla pronuncia di sentenza non definitiva, dal momento che il principio enunciato nell'art. 4, comma decimo, già menzionato, ha una portata generale ed è quindi applicabile non soltanto nell'ipotesi ivi espressamente prevista (Cass. 8288194, cit.);
c) non richiede, infine, una specifica motivazione, sottraendosi, per la sua stessa ampia discrezionalità, al sindacato di legittimità della Suprema Corte, dal momento che la disposta retroattività dell'assegno di divorzio significa che il giudice ha inteso avvalersi del potere riconosciutogli dalla legge, implicitamente ritenendo l'opportunità di non conservare, per tutta la durata del giudizio, il regime della separazione (Cass. 6049/93, cit.).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
La sorte delle spese del giudizio di cassazione segue il dettato dell'art. 385, primo comma, c.p.c., liquidandosi dette spese in lire 1.033.600 di cui lire 1.000.000 per onorario.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in lire 1.033.600, di cui lire 1.000.000 per onorario.