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Sentenza della Cassazione Civile n. 9732 del 07/10/1997 Sez. Lav.

Lavoro (controversie individuali di) - Sentenza - Crediti di lavoro e danni da svalutazione - diritto a prestazione previdenziale derivante da legge di interpretazione autentica - maturazione in data antecedente all'entrata in vigore di tale legge - Rivalutazione e interessi a decorrere dalla data di maturazione del credito - spettanza - Inimputabilità del ritardo del pagamento al debitore - irrilevanza - fattispecie relativa a disposizione interpretativa riguardante l'applicabilità di norme ostative del cumulo di indennità pensionistiche dipendenti dall'aumento del costo della vita a pensioni integrative automaticamente ridotte in conseguenza dell'aumento della pensione dell'assicurazione generale.

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
La Corte Suprema di Cassazione
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da INPS, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via della Frezza con gli avvocati Andrea Barbuto, Carlo De Angelis e Gabriella Pescosolido, che lo rappresentano e lo difendono, giusta delega in atti;

RICORRENTE

CONTRO

DE ROSA ANNA elettivamente domiciliata in Roma Via della Spezia 127-b, presso lo studio dell'avvocato Antonio Sisto (studio Dinacci), rappresentata e difesa dagli avvocati Niccolo Calanducci e Giuseppe Peritore, giusta delega in atti;

Controriccorrente

avverso la sentenza n. 3951-95 del Tribunale di Brescia, depositata il 19.01.1996 R.G. N. 5886-95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15-04-1997 dal Relatore Consigliere Dott. Maura La Terza;
udito l'avvocato Barbaria per delega De Angelis;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Leo ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza n. 704 del 1994 il pretore del lavoro di Brescia accoglieva la domanda proposta da De Rosa Anna per ottenere la rivalutazione monetaria e gli interessi sul capitale rivalutato in relazione alla ricostituzione della pensione ai sensi dell'art. 4 comma 9 bis del DL. 30.12.1985 n. 787 convertito nella L. 28.02.1986 n. 45, avendo in precedenza l'INPS omesso di corrispondere sulla pensione la quota aggiuntiva di cui al terzo comma dell'art. 10 della legge 3 giugno 1975 n. 160, che ai sensi dell'art. 19 della legge 21.12.1978 n. 843 era dovuta una sola volta; la decorrenza degli interessi legali veniva fissata dal pretore a partire dal centoventunesimo giorno successivo alla domanda amministrativa e non dalla decorrenza dei singoli ratei. Sull'appello principale dell'INPS e di quello incidentale della pensionata, la statuizione veniva riformata dal Tribunale di Brescia, con sentenza del 19 gennaio 1996, solo in ordine alla decorrenza degli interessi, che veniva fissata alla data di scadenza di ogni singolo rateo, in accoglimento dell'appello incidentale. Riteneva il Tribunale che il testo dell'art. 9 bis del DL. 787-85 esprime con chiarezza il carattere interpretativo e non innovativo della norma, di talché l'art. 19 della legge 843-78, escludente la erogazione della quota aggiuntiva di cui all'art. 10 L. 160-75, non doveva essere applicato, fin dall'inizio ai trattamenti integrativi per i quali in virtù di legge o regolamento, fosse già prevista la riduzione automatica del trattamento in relazione alla attribuzione delle stesse quote fisse sulla pensione A.G.O.; pertanto L'INPS avrebbe dovuto corrispondere le quote fisse fin dalla originaria decorrenza della pensione, a prescindere dalla proposizione o meno della domanda amministrativa; infatti aveva provveduto d'ufficio all'integrale pagamento del dovuto, attribuendo anche gli interessi legali, così implicitamente riconoscendo il carattere moratorio del ritardo; l'INPS doveva quindi considerarsi in mora a decorrere dalla scadenza di ciascun rateo di pensione, che era stato pagato in misura parziale, e quindi doveva essere condannato, in conformità al dettato della sentenza della Corte Costituzionale 156-91, al pagamento di rivalutazione e interessi sul capitale rivalutato con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei di pensione (non essendo ancora in vigore, ratione temporis, l'art. 16 della L. 412-91 sul divieto di cumulo di rivalutazione e interessi).
Avverso tale sentenza propone ricorso l'INPS affidato ad un unico motivo.
Resiste la pensionata con controricorso.

Diritto

L'INPS censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1282 c.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cpc per aver attribuito, oltre gli interessi già erogati da esso istituto, anche la rivalutazione monetaria sulla riliquidazione della pensione operata d'ufficio a seguito dell'entrata in vigore della L. 45-86, nonostante la mancanza di una norma previdenziale esplicita in tal senso.
Ed infatti in detta materia non potrebbero riconoscersi neppure gli interessi corrispettivi prima dell'emissione del titolo di spesa che rende esigibile la prestazione secondo la speciale normativa di cui all'art. 17 DPR 16 (NDR: così nel testo).12.1979 n. 696, ma solo gli interessi moratori dalla reiezione della domanda amministrativa, ovvero dal decorso dei centoventi giorni dalla data di presentazione della medesima ex artt. 46 e 47 DPR 639-70 e art. 7 della L. 533-73.
Nello stesso senso si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 156-91 ove si è affermato che rivalutazione e interessi competono con decorrenza dal momento in cui si sono verificate le condizioni legali di responsabilità dell'istituto per il ritardo nell'adempimento e non già dalla data di maturazione del diritto come sancito per i crediti di lavoro come sancito dall'art. 929 cpc.
Quindi la scadenza del termine per l'adempimento da parte dell'INPS non può coincidere con la data in cui si verificano i presupposti per l'erogazione della pensione, ma si fissa dal 120esimo giorno successivo alla presentazione della domanda; nella specie, però, nessuna domanda era stata proposta dal pensionato e la pensione era stata riliquidata d'ufficio, quindi era errata la statuizione della sentenza impugnata sulla fissazione dello spatium deliberandi di 120 giorni; il Tribunale era ricorso alla applicazione analogica del tutto arbitraria in quanto la norma era stata dettata per tutt'altra ipotesi, mentre, trattandosi di liquidazione operata d'ufficio, non vi era costituzione in mora e quindi non poteva spettare la rivalutazione monetaria.
Il ricorso non merita accoglimento.
L'INPS non contesta che la nuova legge, ossia l'art. 4 comma 9 bis della legge n. 45 del 1986, recando norma di interpretazione autentica, abbia valore retroattivo, ed infatti ha proceduto d'ufficio alla ricostituzione della pensione, corrispondendo su di essa le quote fisse che nella liquidazione originaria non erano state incluse.
L'INPS si duole solamente del riconoscimento della rivalutazione monetaria sulle differenze di pensione erogate in ritardo e la censura non trova fondamento in nessuna delle argomentazioni del ricorso.
In primo luogo il richiamo alla giurisprudenza che riteneva necessaria, per la decorrenza degli interessi, l'emissione del titolo di spesa ex art. 17 DPR 16 (NDR: così nel testo).12.1979 n. 696, è superato dalla sentenza della Corte Costituzionale 156-91. Inoltre non è vero che il Tribunale abbia riconosciuto la rivalutazione dal 121esimo giorno successivo alla domanda amministrativa, perché questa è stata invece riconosciuta dalla decorrenza dei singoli ratei, proprio per il fatto che nessuna domanda amministrativa era stata proposta, ma la pensione era stata riliquidata d'ufficio, come si rendeva necessario dopo l'entrata in vigore del citato art. 4 comma 9 bis della legge n. 45 del 1986.
Non vi è dubbio che le differenze di pensione spettavano dalle singole date di scadenza di ciascun rateo, perché in ciascun rateo dovevano essere computate le quote fisse.
Se tale è la decorrenza delle differenze pensionistiche, la stessa decorrenza deve essere riconosciuta per la rivalutazione monetaria.
Ed infatti la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 85 del 1994, chiarendo e precisando la portata della precedente sentenza n. 156-91 ha affermato che: " secondo l'art. 442 cpc., nel testo risultante dalla sentenza n. 156-91 (applicabile fino all'entrata in vigore della nuova disciplina prevista dall'art. 16 comma 6 della legge n. 412 del 1991), dalla data del provvedimento (non satisfattivo) dell'istituto previdenziale sulla domanda di prestazione, oppure dal giorno in cui è spirato il termine previsto dalla legge per provvedere, gli interessi legali spettano all'avente diritto in aggiunta alla rivalutazione della somma dovuta".
Invero nei casi in cui, a seguito del mutamento normativo, ad opera di una legge o a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale, occorre riliquidare d'ufficio la prestazione già riconosciuta integrando opportunamente l'ammontare dei ratei nel frattempo maturati, si verifica la mora ex re dalla data di maturazione del relativo credito; la mora infatti non può perfezionarsi ex lege con il provvedimento di reiezione, come previsto dall'art. 47 del DPR 639-70 perché nella specie un tale provvedimento non esiste; né può perfezionarsi nei centoventi giorni con il decorso dei centoventi giorni dalla domanda, ex art. 7 legge 533-73, perché questa nella specie non è richiesta né prevista in quanto assolutamente superflua, dal momento che il pensionato non dovrebbe chiedere null'altro che quanto già previsto dalla legge.

La Corte Costituzionale pertanto, con la citata sentenza n. 85 del 1994, approfondendo ulteriormente quanto già espresso dalla precedente sentenza n. 156-91, spettano dalla data del provvedimento non satisfattivo emesso dall'Ente Previdenziale.
La riliquidazione spetta dunque di diritto dalle date di scadenza dei singoli ratei e quindi dalla stesse date decorre la rivalutazione monetaria.
Ne si può obbiettare che in questo caso la liquidazione originaria della prestazione, che non comprendeva le quote fisse, era integralmente corretta alla luce della normativa allora vigente e che quindi nessuna responsabilità per il ritardo potrebbe ravvisarsi in capo all'INPS, in quanto la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 1994 ha ritenuto altresì che:" la responsabilità per ritardato pagamento di prestazioni previdenziali, analogamente alla responsabilità ex art. 429 c.p.c., è indipendente dall'imputabilità del ritardo a colpa del debitore".
Nello stesso senso si erano pronunciate, ancor prima della Corte Costituzionale, le Sez. Un. Di questa Corte con la sentenza del 30 luglio del 1993 n. 8478.
Ancora nello stesso senso si è pronunciata la Corte di Legittimità con la sentenza n. 9085 del 27 marzo 1996, in caso del tutto analogo di rivalutazione monetaria sulla riliquidazione di pensione operata d'ufficio in conseguenza della inclusione delle quote fisse ex lege 45-86.
Il ricorso va quindi rigettato.
Tuttavia la mancata imputabilità all'INPS del ritardo nella riliquidazione, considerato anche il gran numero di posizioni su cui provvedere, consiglia la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma il 15 aprile 1997.

  • Codice civile 1942, art. 1224.
  • Codice civile 1942, art. 1282.
  • Codice di procedura civile, art. 429.
  • Codice procedura civile, art. 442.
  • L.S. 30.04.1970 n. 639 art. 46.
  • L.S. 30.04.1970 n. 639 art. 47.
  • L.S. 18.12.1979 n. 696 art. 17.
  • L.S. 11.08.1973 n. 533 art. 7
  • L.S. 28.02.1986 n. 45 art. 4
  • L.S. 30.12.1991 n. 412 art. 16.