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Sent. 01/02/94 n.967 APPALTO PRIVATO Responsabilita' dell'appaltatore - Esclusione - Condizioni.

SOMMARIO

Piano regolatore generale

Occupazione abusiva o illegittima

Occupazione d'urgenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

LIMONGI EGIDIO e MARINUCCI FELICE, elettivamente domiciliati in Roma - Via Nicotera, 5, presso l'avvocato Camillo Cirillo e difesi dall'avvocato Franco Cianci per delega a margine del ricorso.

Ricorrente

contro

S.P.A. MILANO ASS.NI, in persona del suo V. Direttore pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma - Via Salaria, 237, presso l'avvocato Giorgio Rotati che la difende per delega in calce al controricorso.

Controricorrente

nonche' contro

QUINZI ROBERTO

Intimato

Per la cassazione della sentenza n. 97/89 della Corte di Appello di Campobasso in data 6.4.89 - 11.7.89. Udita la relazione della causa svolta in pubblica udienza del 3.3.93 dal Consigliere Paolini;

E' comparso l'avvocato Cianci difensore del ricorrente che ha chiesto non si tenga conto dei documenti prodotti dalla difesa della controparte; il P.M. si associa all'opposizione dell'avvocato Cianci; l'avvocato Cianci ha chiesto l'accoglimento del ricorso. Sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Di Salvo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Roberto Quinzi, con atto del 10 maggio 1981, cito' Egidio Limongi e Felice Marinucci dinanzi al Tribunale di Larino e, premesso che in data 1 luglio 1980 aveva commesso a costoro l'alaggio della propria imbarcazione da eseguirsi nel porto di Termoli, deducendo che nel corso dell'operazione, a causa del ribaltamento della gru utilizzata per l'effettuazione della stessa, la barca era precipitata in mare ed era stata gravemente danneggiata dalla gru cadutale addosso, chiese la condanna dei convenuti a risarcirgli il pregiudizio patrimoniale causatogli dal fatto in questione per la parte eccedente l'indennizzo gia' corrispostogli dalla "Milano Assicurazioni" S.p.a., presso la quale egli era stato assicurato contro i sinistri che avessero potuto colpire il natante.

Instauratosi il rapporto processuale con la costituzione del Limongi e del Marinucci nell'istituita vertenza intervenne la "Milano Assicurazioni" S.p.a., chiedendo, a' termini dell'art. 1916, comma 1, cod. civ., la condanna dei convenuti a rimborsarle l'indennita' associativa dovuta pagare a Roberto Quinzi.

Il tribunale, con sentenza del 2 dicembre 1986, accolse le domande fatte valere dall'attore e dall'interventrice e condanno' Egidio Limongi e Felice Marinucci, i quali avevano contestato l'esistenza di qualsiasi loro responsabilita' in ordine all'evento dannoso "ex adverso" denunciato e dedotto, in ogni caso, l'eccessivita' delle pretese, a pagare alle anzidette controparti, rispettivamente, L. 5.880.000 e L. 19.051.700, con interessi e rivalutazione monetaria, correlativamente disattendendo un'azione riconvenzionale con la quale i convenuti avevano rivendicato il ristoro dei danni patiti a seguito del sinistro in discussione.

Il gravame prodotto da Egidio Limongi e da Felice Marinucci avverso la decisione considerata venne respinto dalla Corte di Appello di Campobasso con sentenza dell'11 luglio 1989, data anche questa nel contraddittorio delle parti.

La Corte territoriale motivo' la resa pronuncia osservando, per quanto qui puo' rilevare, risultare provato che gli appellanti avevano gestito l'operazione di alaggio oggetto della vertenza, ravvisata inquadrabile in una ipotesi di appalto, con grande superficialita' ed imperizia, utilizzando per l'esecuzione del lavoro ad essi commesso attrezzatura non adeguata; che l'assunta prova per testimoni e l'espletata consulenza avevano portato alla acquisizione di emergenze suscettibili di dimostrare la non correlabilita' dell'evento dannoso in discorso a responsabilita' del committente Quinzi; che le spettanze risarcitorie attribuite dal primo giudice agli appellati si rivelavano correttamente liquidate sulla base della valutazione delle stesse fatta dal consulente e di elementi di giudizio tratta dalla deposizione di un teste, e che ortodossamente in relazione alle medesime era stata applicata la rivalutazione monetaria, versandosi nella fattispecie in tema di crediti di valore; che doveva escludersi la dedotta prescrizione delle ragioni vantate dalla "Milano Assicurazioni" S.p.a., per aver questa fatto valere, ex art. 1916 cod. civ., il diritto al risarcimento del danno spettante all'assicurato indennizzato, diritto da intendersi soggetto "all'ordinaria disciplina della prescrizione in materia di risarcimento del danno".

Egidio Limongi e Felice Marinucci ricorrono, con sei motivi, per la cassazione della sentenza d'appello suindicata, per quanto consta non notificata.

La "Milano Assicurazioni" S.p.a., cui il ricorso e' stato notificato il 27 novembre 1989, resiste con controricorso del 16 dicembre 1989. Roberto Quinzi, al quale pure il ricorso e' stato notificato il 27 novembre 1989, viceversa, si e' astenuto da ogni attivita' difensiva nella presente sede.

Cosi' i ricorrenti, come la societa' controricorrente hanno depositato memorie; la seconda ha, altresi', versato in atti, il 17 febbraio 1993, documenti tesi a dimostrare la legittimazione a rappresentarla del soggetto stato in giudizio in suo nome nei pregressi stadi del processo. MOTIVI DELLA DECISIONE

1) - I dinanzi citati documenti prodotti dalla controricorrente il 17 febbraio 1993, in quanto non riguardanti l'ammissibilita' del ricorso o del controricorso, a' termini dell'art. 372, comma 2, cod. proc. civ., vanno ritenuti irricevibili.

2) - La "Milano Assicurazioni" S.p.a., avendo pagato al suo assicurato Roberto Quinzi l'indennita' al medesimo dovuta per il patito sinistro di cui in narrativa, esercitando il diritto di surrogazione riconosciutole dall'art. 1916 cod. civ., ha esperito un'azione tesa ad ottenere la condanna di Egidio Limongi e di Felice Marinucci, indicati responsabili del sinistro cennato, a rimborsarle quanto speso per il titolo in questione. La sentenza impugnata ha accolto la pretesa di cui trattasi ed ha condannato il Limongi ed il Marinucci a pagare alla societa' anzidetta, per la causale dedotta, L. 19.051.700, oltre accessori.

Egidio Limongi e Felice Marinucci, con il sesto motivo di ricorso, censurando la decisione negli esposti termini resa dalla corte territoriale, accampando essere la stessa viziata da violazione delle norme sulla rappresentanza legale, e, piu' specificamente, assumendo che "poiche' la regolare costituzione in giudizio di un soggetto e' rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo", dovrebbe ravvisarsi che "la Assicurazione di Milano ebbe a costituirsi in persona del Direttore Generale, Dott. Marcello Casabianchi, che, per legge, non ha la rappresentanza legale dell'istituto; ne' e' stato mai depositato in giudizio un atto eventualmente sostitutivo".

Il motivo, da esaminarsi con precedenza su tutti gli altri, perche' investendo problematica afferente alla regolarita' della costituzione del rapporto processuale, si configura come pregiudiziale rispetto agli stessi, non merita ingresso.

Ed invero, premesso che non viene fatta questione circa la legittimazione processuale della controricorrente nella presente sede, e che, percio', ben puo' essere omessa ogni indagine e pronuncia al riguardo (Cfr., in proposito, Cass. Sez. I civile, sent. n. 554 del 30.1.1989), e' da osservare che nelle cause in cui siano parti societa' od altre persone giuridiche non possono sollevarsi in cassazione questioni afferenti ad allegata mancanza di prova dei poteri di rappresentanza dei soggetti che abbiano agito in giudizio quali organi degli enti quando, nelle pregresse fasi di merito, i medesimi soggetti siano stati in giudizio nella veste di rappresentanti di dette parti nell'assenza di qualsiasi contestazione sul punto (Cfr., in tal senso, Cass. Sez. lav., sent. n. 7689 del 17.10.1987).

Nella fattispecie, alla stregua del principio enunciato, il delibato mezzo di ricorso deve essere tenuto per inammissibile perche' inteso a prospettare questioni circa la legittimazione processuale del rappresentante dell'attuale controricorrente nei precedenti stadi di merito, in tali stadi mai sollevate.

3) - Roberto Quinzi e la "Milano Assicurazioni" S.p.a. hanno azionato domande intese a far valere ragioni risarcitorie correlate al denunciato mancato corretto adempimento di Egidio Limongi e di Felice Marinucci all'obbligo convenzionalmente assunto da eseguire, in regime di appalto, l'alaggio dell'imbarcazione di cui e' causa, e, piu' specificamente, al danneggiamento dell'imbarcazione considerato dipeso dalla non ortodossa esecuzione dell'operazione appaltata. L'impugnata sentenza della Corte di Appello di Campobasso ha accolto le domande in discorso, da un lato, considerando, essenzialmente, risultare accertato, sulla base di una assunta prova per testimoni e di una espletata consulenza, avere eseguito gli attuali ricorrenti l'appalto di cui trattasi con superficialita' ed imperizia, nonche' utilizzando mezzi tecnici - gru - inadeguati alla bisogna, e cio' in violazione dell'obbligo, ad essi incombente, nella loro veste di appaltatori, di apprestare gli strumenti necessari per l'esecuzione del lavoro loro commesso, assumendo i relativi rischi ed escludendo indebite ingerenze del committente, ed essere correlabile al cosi' riscontrato inadempimento contrattuale il danno in contestazione; per un altro, rilevando doversi ritenere smentite dalle emergenze istruttorie acquisite, oltre che inverosimili, le allegazioni del Limongi e del Marinucci circa la riscontrabilita' di una responsabilita' del committente Quinzi nella causazione dell'evento dannoso in discorso, da correlarsi al celamento da parte dello stesso di dati riguardanti il peso dell'imbarcazione da alare, la cui conoscenza sarebbe stata indispensabile ai fini del buon esito dell'operazione appaltata.

Il Limongi ed il Marinucci, con il primo motivo di ricorso, deducono rivelarsi la decisione contestata inficiata da violazione dell'art. 1655 cod. civ., in relazione agli artt. 1658 e 1176 cod. civ., nonche' da mancanza, "contraddittorieta' ed illogicita'" di motivazione e da travisamento dei fatti: in buona sostanza, accampano che la corte territoriale avrebbe reso la sua pronuncia omettendo di tener conto degli assunti difensivi con i quali essi ricorrenti avevano sostenuto aver avuto riguardo la fattispecie ad ipotesi di C.D. "appalto a regia", eseguito, cioe', sotto la direzione del committente e nella mancanza nell'appaltatore di autonomia gestionale, e, per di piu', mostrando di ignorare completamente la circostanza, da loro prospettata, che il Quinzi, in violazione del dovere di comportarsi con buona fede, aveva taciuto il fatto che l'imbarcazione da alare era stata caricata di carburante e, percio', aveva un peso maggiore di quello prevedibile; adducono, altresi', avere il giudice del merito ancorato la sua pronuncia a dati congetturali irrazionali ed inventati e travisato, quindi, i fatti di causa.

Il cosi' articolato motivo e', sotto ogni profilo, destituito di fondamento.

A) - La Corte territoriale, dopo aver affermato, con declaratoria neppure messa in discussione, la riducibilita' del rapporto oggetto della vertenza nell'ambito della nozione dell'appalto, delineata negli artt. 1655 e ss. cod. civ., ha tratto da tale affermazione il corollario della attribuibilita' agli appaltatori della responsabilita' per il mancato buon esito del lavoro appaltato, ritenendo dover ricadere su di loro la mancata riuscita di questo in ragione dell'autonomia gestionale ad essi riservata. La statuizione considerata si rivela assolutamente corretta e conforme all'orientamento della giurisprudenza di questa Corte Suprema per il quale, in materia di appalto, anche nel caso in cui risulti contrattualmente riservato al committente il potere di ingerirsi nella direzione dei lavori appaltati, deve intendersi, di massima, mantenuto all'appaltatore in margine di autonomia che gli impone di attenersi, comunque, alle regole dell'arte e di assicurare alla controparte un risultato tecnico conforme alle di lei esigenze, sicche' la sua responsabilita' puo' restare esclusa solo quando egli abbia reso edotto l'appellante della erroneita' dell'incongruenza delle istituzioni esecutive eventualmente impartitegli e, cio' nonostante, abbia dovuto attenersi a dette istruzioni, per essergli state le stesse ribadite (Cfr., in merito, Cass. Sez. II civ., sent. n. 3092 del 31.3.1987, id, sent. n. 593 del 31.1.1989). Nella sentenza impugnata, pertanto, non e' dato ravvisare la dedotta violazione di norme di diritto.

B) - L'assunto secondo il quale nel caso di discorso sarebbe ravvisabile una ipotesi di C.D. "appalto a regia", in cui la gestione dell'operazione appaltata sarebbe stata riservata esclusivamente al committente, con attribuzione all'assuntore di una funzione meramente esecutiva, per quanto risulta dagli atti, si rivela intesa a prospettare una tematica rimasta del tutto estranea al dibattito processuale svoltosi in sede di merito e, percio', va ritenuto inammissibile in base al principio giurisprudenziale consolidato per il quale non sono deducibili in cassazione, con i motivi di ricorso, questioni aventi come profili di fatto non sollevate nei pregressi stadi del processo.

C) - Il giudice del merito, con apprezzamento di fatto circa la concreta valenza delle prove acquisite a lui riservato in esclusiva, ha accertato risultare dimostrato dalle emergenze istruttorie in atti, e cioe' dagli elementi desumibili da una assunta prova per testimoni e da una espletata consulenza, da un lato, essere correlabile la cattiva riuscita dell'operazione di alaggio appaltata al deficiente apprestamento da parte dell'appaltatore dei mezzi tecnici necessari per la relativa esecuzione, e, percio', all'inadempimento dei Limongi e del Marinucci dell'obbligo di cui all'art. 1655 cod. civ., contrattualmente assunto, e, dall'altro, non aver inciso il comportamento del committente Quinzi nella causazione dell'evento dannoso in contestazione.

La motivazione posta a base dell'accertamento considerato risulta manifestamente basata sul richiamo a dati probatori precisi, puntualmente citati a supporto dell'espresso giudizio, e si articola in una linea argomentativa sufficiente e non contraddittoria. Nel contesto evidenziato, deve escludersi anche la ravvisabilita' del prospettato travisamento dei fatti.

D) - Giusta quanto piu' sopra precisato, la sentenza impugnata ha ritenuto imputabili agli attuali ricorrenti l'inadempimento contrattuale e il conseguente evento dannoso in contestazione, per un verso, sulla base di elementi in giudizio ricavati da una assunta prova per testimoni e da una espletata consulenza, e, per un altro, sulla scorta della considerazione dell'illogicita' della tesi difensiva prospettata dal Limongi e dal Marinucci per sostenere che il cattivo esito dell'operazione di alaggio in argomento sarebbe dipesa dal fatto che il Quinzi avrebbe fornito false informazioni circa il peso effettivo del suo natante da alare, cosi' inducendoli ad utilizzare per l'esecuzione del lavoro assunto una gru inadeguata allo scopo.

Le deduzioni del Limongi e del Marinucci volte ad allegare la non condividibilita' e la, presunta, irrazionalita' di tale ultima considerazione si appalesano inconsistenti. E invero, quando, come nella fattispecie, una sentenza appaia ancorata a due distinti ordini di argomentazioni autonome, ciascuno dei quali, di per se', sufficiente a sorreggerla, le censure mossa ad una soltanto delle linee argomentative resta immeritevole di ingresso, perche' inidonea a provocare la rimozione della pronuncia contestata, destinata, comunque, a restar ferma sulla base della parte della motivazione non censurata.

E) - Prima di concludere sull'esaminato profilo, giova osservare che i ricorrenti, con il mezzo in discorso, hanno denunciato pretesi vizi ci motivazione, a loro dire, ravvisabili nella sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Larino. Le censura di cui trattasi vanno tenute per senz'altro inammissibili, perche' il ricorso per cassazione deve investire, non gia' la sentenza di primo grado ma, soltanto la pronuncia d'appello, nella quale l'altra resta assorbita.

4) - La sentenza impugnata ha condannato Egidio Limongi e Felice Marinucci a pagare a Roberto Quinzi ed alla "Milano Assicurazioni" S.p.a., rispettivamente, L. 5.880.000 e L. 19.051.700, in tali importi liquidando i risarcimenti dagli stessi rivendicati sulla base del richiamo ad emergenze desunte e da una espletata consulenza, e dalla posizione di un testimone. Il Limongi ed il Marinucci, con il secondo motivo di ricorso deducono essere la pronuncia della corte territoriale suo punto viziata da violazione dell'art. 115 C.P.C., nonche' da "contraddittorieta', omissione ed illogicita'" di motivazione: premessi alcuni cenni di critica alla decisione di primo grado confermata da quella in questa sede contestata, accampano avere il giudice del merito deciso senza utilizzazione di prove e di criteri coerenti di prova, e solo basandosi su una relazione di consulenza recante, secondo il loro assunto, conclusioni non attendibili. Il mezzo non puo' trovare accoglimento.

A) - Le critiche mosse alla sentenza di primo grado devono essere ritenute inammissibili per l'ordine di ragioni illustrato nel paragrafo precedente, sub E).

B) - La corte territoriale, per come fatto palese della motivazione della sentenza impugnata, piu' sopra ricostruita nei suoi tratti fondamentali, ha posto a fondamento della resa decisione le prove assunte, puntualmente attenendosi al disposto dell'art. 115 C.P.C., ed ha coerentemente enunciato le ragioni poste alla base della sua pronuncia.

In tale situazione - restano insindacabile in cassazione l'apprezzamento della concreta valenza del materiale probatorio compiuto dal giudice del merito, va esclusa la ravvisabilita' delle violazioni di norme di legge e dei vizio di motivazione prospettati con il mezzo in esame.

5) - La sentenza impugnata ha statuito dover essere assoggettate a rivalutazione monetaria, alle date delle domande, le somme come sopra attribuite, rispettivamente, a Roberto Quinzi ed alla "Milano Assicurazione" S.p.a.. Egidio Limongi e Felice Marinucci, con il terzo motivo di ricorso, assumono che la sentenza anzidetta, nella disposizione relativa alla attribuzione alle controparti della rivalutazione monetaria, si rivelerebbe viziata da violazione degli artt. 1124, commi 1 e 2, e 1218 cod. civ., per aver ritenuto sottratti al principio nominalistico i crediti in discorso, aventi il titolo, non gia' in una responsabilita' aquiliana, per fatto illecito, ma, in una responsabilita' contrattuale, e, quindi, a suo dire, di natura pecuniaria, nonche' per aver riconosciuto dovuto alle controparti, a mente dell'art. 1224, comma 2, cod. civ. il ristoro del danno eccedente la perdita patrimoniale compensata dagli interessi legali nella mancata dimostrazione della concreta sussistenza di tale pregiudizio.

Il motivo non ha pregio.

Il risarcimento del danno derivante da responsabilita' contrattuale, essendo inteso, al pari di quello correlato alla responsabilita' aquiliana a rimettere il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto dannoso, per una consolidata giurisprudenza di legittimita', dalla quale non vi e' ragione di discostarsi, si configura come oggetto di un tipico credito di valore, in quanto tale, all'operativita' del principio nominalistico sancito dall'art. 1277 cod. civ. (Cfr, in tal senso, Cass., Sez. II civ., sent. n. 4461 del 21.8.1985, id., Sez. Lav., sent. n. 198 del 17.1.1989). Conseguentemente, deve ritenersi che il giudice del merito abbia ortodossamente sancito la rivalutazione dei crediti contestati, e va esclusa la ravvisabilita' nella sentenza impugnata della violazione di legge denunciata con il mezzo considerato.

6) - Egidio Limongi e Felice Marinucci, con il quarto mezzo di ricorso, deducono che la Corte territoriale, nel rendere l'impugnata pronuncia, recante accoglimento delle pretese risarcitorie "ex adverso" azionate, sarebbe incorsa in violazione degli artt. 1916, 1667 e 2952 cod. civ., per non aver riconosciuto che le ragioni vantate dalle controparti sarebbero rimaste caducate per la decorrenza del termine decadenziale di cui all'art. 1667, comma 2, cod. civ., per non essere stato denunciato il danno entro i sessanta giorni del relativo accadimento, e che le ragioni stesse si sarebbero, altresi', estinte per non essere state fatte valere nel termine prescrizionale di due anni contemplato dal terzo comma della disposizione legislativa citata; accampa, da ultimo, una generica ed imprecisata violazione dell'art. 2952 cod. civ.. Il motivo e', sotto ogni aspetto, destituito di fondamento.

A) - La deduzione dell'intervenuta caducazione per decadenza delle ragioni vantate da Roberto Quinzi e dalla "Milano Assicurazioni" S.p.a., per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dal ricorso, non ha costituito materia del dibattito processuale svoltosi fra le parti in sede di merito, e segnatamente in appello. Di conseguenza, il mezzo in esame va tenuto per inammissibile in quanto teso a prospettare la cennata eccezione di decadenza, in base al principio per il quale non possono essere sollevate in cassazione, con i motivi di ricorso, questioni, attinenti anche a profili di fatto della vertenza, non dedotte in discussione nel precedente stadio del processo concluso dalla pronuncia della sentenza impugnata.

B) - Le critiche mosse al giudice del merito per aver escluso l'operativita' nella fattispecie della prescrizione biennale di cui all'art. 1677, comma 3, cod. civ. si rivelano patentemente pretestuose in presenza di azioni risarcitorie esperite nel 1981 per danni risalenti, secondo quanto documentato nella stessa narrativa del ricorso, soltanto al 1980, e, quindi, ben prima della scadenza del termine prescrizionale previsto nella norma dinanzi citata. C) - Il richiamo alla prescrizione prevista nell'art. 2952 cod. civ., d'altronde, appare del tutto fuori luogo, riguardando la norma considerata la prescrizione dei corrispettivi diritto delle parti del contratto di assicurazione aventi il titolo in tale contratto, e cioe' di diritti diversi da quelli azionati nella presente sede nei confronti degli attuali ricorrenti.

7) - La sentenza impugnata ha condannato Egidio Limongi e Felice Marinucci nelle spese processuali. Il Marinucci ed il Limongi, con il quinto motivo di ricorso, accampano che nella statuizione in argomento la decisione contestata si rivelerebbe resa in violazione degli artt. 90 e 91 cod. proc. civ., per aver addossato interamente ad essi ricorrenti l'onere delle spese di giudizio in una situazione in cui le domande delle controparti risultano aver ottenuto solo parziale accoglimento, e, quindi, di soccombenza reciproca.

Il motivo e' infondato.

La pronuncia in questione, invero, recando condanna nelle spese di parti rimaste, comunque, soccombenti, non risulta esorbitare dall'ambito di insindacabile discrezionalita' riservato al giudice del merito in ordine al regolamento delle spese processuali.

8) - I ricorrenti, nella memoria depositata a' sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. e poi ancora nelle difese articolate nella discussione svolta a mente dall'art. 379 del codice di rito, hanno criticato la sentenza impugnata anche sotto profili diversi da quelli investiti dai piu' sopra delibati motivi di ricorso. Le cosi' formulate censure vanno tenute tutte per inammissibili, perche', attesa la funzione meramente illustrativa delle memorie e delle difese di cui alle norme cennate, deve escludersi che con le stesse siano prospettabili mezzi di impugnazione diversi da quelli sviluppati nel ricorso.

9) - Conclusivamente, il ricorso, nella riscontrata infondatezza di tutti i suoi motivi, deve essere rigettato.

10) - Fra i ricorrenti e la controricorrente le spese della presente fase seguono la soccombenza e, percio', nella liquidazione di cui al dispositivo, vengono poste a carico dei primi, in solido. Roberto Quinzi non ha partecipato concretamente al giudizio di legittimita' e, pertanto, non deve provvedersi su sue spese.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, che liquida il L. 139.800, oltre L. 2.000.000 di onorari.

Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 1993. DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 1 FEB. 1994