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Gli invalidi civili che già fruiscono della relativa pensione (o mensile) ne ottengono automaticamente la trasformazione in pensione sociale al compimento del 65esimo anno di età, alle stesse condizioni reddituali stabilite per il trattamento in corso di erogazione, senza che sia possibile alcuna autonoma valutazione, da parte dell'INPS, dei requisiti ammissione e, in particolare, delle condizioni economiche dell'invalidità

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 13570, Sez. lavoro, del 12 giugno 2001, dep. 2 novembre 2001 -

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14 ottobre 1998 il Tribunale di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda proposta da S.A. nei confronti dell'INPS per ottenere l'accertamento del diritto alla corresponsione della pensione sociale maturata per effetto della sostituzione ex lege (art. 19 legge n. 118/1971) della pensione di invalidità civile, in quanto l'istituto previdenziale aveva ritenuto detta pensione sociale incompatibile con la percezione di una rendita INAIL alla stregua dell'art. 26, comma 3 n. 1, della legge n. 153/1969.

Il Tribunale ha osservato che l'art. 19 della legge n. 118/1971, nel sancire l'ammissione degli invalidi che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età al godimento della pensione sociale in sostituzione della pensione o dell'assegno di invalidità, ha inteso garantire all'assistito la continuità del beneficio da costui percepito, mantenendone inalterata la consistenza monetaria originaria, senza che sia possibile alcuna delibazione dei requisiti di ammissione da parte dell'INPS. La norma, in sostanza, opera una trasformazione incidente sulla funzionalità di un vincolo obbligatorio che vede un mutamento del solo soggetto passivo tenuto all'adempimento, così stabilendo una genesi e un fondamento della pensione sociale cosiddetta "sostitutiva" che sono autonomi rispetto a quelli normalmente riconosciuti dall'ordinamento alla stessa misura protettiva quando questa sia semplicemente chiesta ex art. 26 della legge n. 153/1969 da un soggetto non dotato della pregressa radicata titolarità di uno dei benefici assistenziali previsti dalla legge n. 118/1971.

L'INPS ricorre per la cassazione di questa sentenza con un motivo. Resiste la parte privata con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo l'INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 19 legge n. 118/1971, dell'art. 26, terzo comma, legge n. 153/1969 (tutti in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) e sostiene che, fermi restando i limiti di reddito differenziati previsti dalla legge per le prestazioni di invalidità civile e per la pensione (o l'assegno) sociale, la rendita INAIL, nonostante il suo carattere risarcitorio, deve essere computata ai fini della determinazione del reddito il cui superamento esclude il diritto alla seconda delle anzidette prestazioni, pure nel caso di trasformazione della pensione di inabilità nella pensione sociale perché, diversamente, l'attribuzione della prestazione assistenziale sostitutiva dell'invalidità civile si tradurrebbe in un ingiustificato vantaggio per coloro ai quali la stessa venisse accordata pur usufruendo già di mezzi quanto meno minimi di sussistenza.

L'art. 19 della legge n. 118/1971 va, dunque, necessariamente coordinato con l'art. 26 della legge n. 153/1969, a meno che non si voglia svilire la natura e lo scopo dell'istituto e trasformare illegittimamente la pensione sociale in prestazione comunque dovuta a prescindere da ogni valutazione circa le capacità di sostentamento dell'interessato.

Il ricorso non è fondato.

Il Collegio ritiene, invero, di aderire al prevalente orientamento elaborato in materia da questa Corte e che afferma la necessità di applicare rigorosamente l'art. 19 della legge 30 marzo 1971 n. 118, interpretato nel senso che gli invalidi civili, i quali già fruiscano della relativa pensione (o assegno mensile), ne ottengono automaticamente la trasformazione in pensione sociale al compimento del sessantacinquesimo anno di età, alle stesse condizioni reddituali stabilite per il trattamento in corso di erogazione, senza che sia possibile alcuna autonoma valutazione, da parte dell'INPS, dei requisiti di ammissione e, in particolare, delle condizioni economiche dell'invalido (v. Cass. sez. lav. 22 ottobre 1997 n. 10397; 21 ottobre 1994 n. 8668; 27 febbraio 1990 n. 1530; in senso contrario, Cass. 3 febbraio 1998 n. 1082).

A supporto della distinzione fra le due situazioni, confluenti entrambe nella pensione sociale, significativi elementi sono dal riferito orientamento individuati, oltre che nelle specifiche, differenti discipline legali dei benefici apprestati per gli invalidi civili e della pensione sociale, nella diversità dei presupposti e requisiti stabiliti dal legislatore, trattar dosi di prestazioni che attingono la loro causa erogatoria da situazioni tra loro non assimilabili, nonché nella circostanza che la trasformazione dei primi nella seconda, disposta in ragione soltanto del compimento della prevista età anagrafica, non ne trasforma altresì la peculiare natura e i requisiti di carattere reddituale cui la relativa attribuzione è dalla legge subordinata.

Requisiti, questi ultimi, individuati nell'art. 14 septies D.L. 30 dicembre 1979 n. 663 convertito nella legge 29 febbraio 1980 n. 33 norma che impone di prendere in considerazione, per le prestazioni da erogare invalidi civili, il solo reddito calcolato " agli effetti dell'IRPEF ", con esclusione, quindi, dei redditi esenti o comunque non computabili a tali effetti, come sono appunto le rendite vitalizie erogate dall'INAIL, il cui carattere risarcitorio e non reddituale è stato riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (vedi sent. 11 luglio 1989 n. 387).

D'altro canto, come correttamente rileva il giudice a quo, le stesse espressioni usate dal legislatore nell'art. 19, primo comma, della legge n. 118 del 1971 (" In sostituzione della pensione o dell'assegno... i mutilati e invalidi civili.., sono ammessi al godimento della pensione sociale... ") evidenziano che, nonostante la diversità dei trattamenti pensionistici in esame, lo scopo della norma è quello di evitare in concreto una diversa entità di essi nei confronti di una stessa persona, per il solo fatto del compimento di una certa età anagrafica e che, in definitiva, l'ammissione degli invalidi al godimento della pensione sociale risponde non già ad una esigenza di riesame della posizione pensionistica di invalidità civile, ma all'opportunità di stabilire una diversa imputazione di spesa, distribuendo il relativo onere finanziario, prima a totale carico del Ministero dell'Interno, tra la detta Amministrazione e l'INPS.

Non avrebbe senso altrimenti - giustificandosi solo nella prospettiva di ritenere che il fenomeno giuridico descritto nella disposizione citata è unicamente quello della variazione del soggetto passivo tenuto all'adempimento - la previsione del secondo comma dello stesso art. 19, laddove è stabilito che la differenza economica tra l'importo della pensione sociale e quello della pensione di inabilità è corrisposto con onere a carico del Ministero dell'Interno.

Non è, infine, priva di significato la circostanza che gli stessi enti interessati (Ministero del lavoro e INPS) abbiano espresso l'avviso (vedi circolare INPS n. 1016/99) che per gli invalidi civili ultrasessantacinquenni la titolarità della prestazione sostitutiva di quella di invalidità continua a trovare esclusivo fondamento nello status di invalido civile, mentre l'INPS funge da mero ente erogatore del beneficio, per l'attribuzione del quale i soli redditi da prendere in considerazione sono solamente quelli assoggettati ad IRPEF, con esclusione, in particolare, delle rendite erogate dall'INAIL.

In conclusione deve affermarsi che l'ammissione degli invalidi civili, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, alla pensione sociale erogata dall'INPS in sostituzione della pensione di inabilità (o dell'assegno mensile) erogati dal Ministero dell'Interno ha carattere automatico e prescinde pertanto dall'accertamento, da parte del detto Istituto, della rivalutazione della posizione patrimoniale dell'assistito, costituendo la titolarità di uno dei ricordati benefici sufficiente presupposto per il conseguimento della prima, alle condizioni di maggior favore già accertate, anche per quanto riguarda l'esclusione della rendita INAIL dall'ammontare del reddito massimo compatibile.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Ravvisa la Corte nella difformità delle soluzioni date dalla propria giurisprudenza alla questione controversa la sussistenza di giusti motivi (art. 92, secondo comma, c.p.c.) per compensare le spese tra le parti del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Pubblicata su "Il Mondo Giudiziario" del 3 dicembre 2001