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SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 8233, Sez. I civile, del 20 marzo 2000, dep. 16 giugno 2000 - Pres. Olia; Rel. Felicetti; P.M. Palmieri; Ceci c. Bastioni.

Nessun assegno di divorzio se si è negata al marito

Non spetta l'assegno di divorzio alla moglie che abbia ingiustificatamente sempre rifiutato i rapporti sessuali con il marito durante il matrimonio, perché in tal caso non si è formata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi e la colpa di ciò è da addebitarsi alla moglie

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Bastioni Maria Antonietta, con ricorso 28 dicembre 1991 al Tribunale di L'Aquila, premesso di avere contratto matrimonio concordatario con Ceci Domenico il 19 settembre 1991, deduceva l'inconsumazione del matrimonio e ne chiedeva la cessazione degli effetti civili ai sensi dell'art. 3, lett. f) della legge n. 898 del 1970, imponendosi a carico del marito un assegno di divorzio. Il Ceci non si opponeva alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma chiedeva il rigetto della domanda di un assegno di divorzio, non essendosi instaurata, per volontà della Bastioni, la comunione di vita fra i coniugi. Il Tribunale pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e attribuiva alla Bastioni un assegno divorzile di lire 200.000 mensili. Il Ceci impugnava la sentenza, deducendo che la brevità della durata del matrimonio costituiva motivo per negare il diritto della Bastioni all'assegno. Deduceva altresì che l'ex moglie non aveva dimostrato l'esistenza di ragioni obbiettive che le impedissero di procurarsi mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita. La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza depositata il 27 febbraio 1998, respingeva l'appello, affermando che il Tribunale, non avendo la Bastioni redditi propri, aveva giustamente affermato il diritto all'assegno, e che la brevità della durata del matrimonio influiva solo sulla misura dell'assegno. Avverso tale sentenza il Ceci ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato alla Bastioni il 13 gennaio 1999, formulando un unico, ma articolato motivo di gravame. La parte intimata non ha contraddetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso si denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dalla legge p~ 74 del 1987, nonché l'omesso esame di un punto decisivo della controversia.
Si deduce al riguardo che risulta accertato in fatto che il matrimonio durò solo tre mesi e non fu consumato per volontà della moglie. Si lamenta che ciò non ostante la Corte di appello abbia confermato la sentenza del Tribunale, che riconosceva alla ex moglie il diritto ad un assegno divorzile, stante la sua assoluta mancanza di redditi, potendo influire le su dette circostanze solo sulla misura dell'assegno. Ciò premesso, sotto un primo profilo si deduce che le ragioni del divorzio e la durata del matrimonio, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, possono anche condurre alla esclusione dell'assegno. In particolare si afferma che allorquando, come nel caso di specie, la comunione spirituale fra i coniugi non sia mai esistita e nessun apporto sia stato dato dal coniuge che richieda l'assegno alla conduzione della famiglia, l'assegno deve essere escluso, traducendosi altrimenti in una rendita priva di giustificazione.
Sotto altro profilo si lamenta altresì che la Corte di appello, ai fini della concessione dell'assegno, non abbia ritenuta necessaria la prova, da parte di chi richieda l'assegno, della sua impossibilità a procurarsi redditi adeguati per ragioni obbiettive, così violando il disposto dell'art. 5 sopra menzionato, che identifica i presupposti dell'assegno nella mancanza di redditi adeguati o nella impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive.

2. Il motivo è fondato in relazione al primo profilo, con assorbimento del secondo.
La Corte di appello, nel giudicare su una domanda di assegno di divorzio con riferimento a un matrimonio durato solo tre mesi e non consumato, lo ha liquidato, sia pure in misura minima, affermando il principio secondo il quale la condizione di assoluta mancanza di reddito e di sostanziale bisogno del coniuge richiedente è di per sé sufficiente ad attribuire a detto coniuge il diritto all'assegno, a norma dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987.
Tale principio è errato ed è contraddetto dall'orientamento interpretativo dell'art. 5 suddetto adottato da questa Corte sin dalla sentenza delle SS.UU. n. 11490 del 1990.
Secondo tale orientamento interpretativo, che questo collegio condivide, l'assegno di divorzio, nella disciplina introdotta dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua concessione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi a consentirgli di conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Peraltro, ove sussista detto presupposto che dovrà essere valutato anche con riferimento ai mezzi che possono essere acquisiti attraverso un'attività lavorativa confacente alla qualificazione lavorativa e posizione sociale del coniuge richiedente, ove in concreto espletabile - la liquidazione dell'assegno dovrà essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati in detto art. 5 (condizioni dei coniugi; ragioni della decisione; contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune; reddito di entrambi; durata del matrimonio), e tale valutazione, in particolare nel caso di convivenze brevissime in cui non si sia formata alcuna comunione materiale e spirituale fra i coniugi, e tenuto conto in relazione a ciò anche delle rispettive responsabilità, potrà condurre - secondo il prudente e motivato giudizio del giudice di merito - non solo al contenimento ma anche all'esclusione dell'assegno (in tal senso vedi anche Cass. 13 maggio 1998, n. 4809; 27 novembre 1992, n. 12682).
In particolare questa Corte nella sentenza n. 9439 del 1996, nel confermare che la valutazione ponderata dei su detti criteri enunciati dall'art. 5 può anche condurre a negare l'attribuzione dell'assegno, ha affermato che la brevissima durata della convivenza, la contrazione del vincolo per motivi apertamente utilitaristici e la mancata costituzione di una comunione spirituale e materiale fra i coniugi, possono condurre all'esclusione dell'assegno di divorzio.
Detti principi vanno riaffermati, dovendosi sottolineare che l'assegno di divorzio, nello spirito dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987, ha lo scopo di tutelare il coniuge economicamente più debole, ancorché il matrimonio abbia avuto breve durata, ed ancorché la comunione materiale e spirituale non si sia potuta costituire senza sua colpa, influendo in tal caso tali elementi unicamente sulla misura dell'assegno.
Esula viceversa dalla ratio della norma il riconoscimento di un assegno di divorzio ove il rapporto matrimoniale, per volontà e colpa del richiedente l'assegno, risulti solo formalmente istituito, e non abbia dato luogo alla formazione di alcuna comunione materiale e spirituale fra i coniugi, sfociando dopo breve tempo in una domanda di divorzio.
La sentenza va pertanto cassata in relazione al primo profilo del motivo, con assorbimento del secondo, e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma che farà applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, stabilendo sulla base di essi in ordine all'assegno di divorzio richiesto e statuendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.O.M.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma.