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Responsabilitą dell'ente ospedaliero per attivitą del medico dipendente. Sent. 27/07/98 n.7336

La responsabilitą dell'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico fra l'ente gestore ed il privato che ha richiesto ed usufruito del servizio, ha natura contrattuale di tipo professionale. Ne consegue che la responsabilitą diretta dell'ente e quella del medico, inserito organicamente nell'organizzazione del servizio, sono disciplinate, in via analogica, dalle norme che regolano la responsabilitą professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale, senza che possa trovare applicazione, nei confronti del medico, la normativa prevista dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, con riguardo alla responsabilitą degli impiegati civili dello Stato per gli atti compiuti in violazione dei diritti dei cittadini.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno riuniti. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso del Mollo, proposta dalla controricorrente Argenzio, secondo cui detto ricorso sarebbe inammissibile perche' il difensore, che ha certificato l'autenticita' della sottoscrizione della procura (avv. Luigi Russo), rilasciata a norma dell'art. 365 c.p.c., non e' iscritto nell'apposito albo per il patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.

Infatti va, anzitutto, rilevato che la firma in calce alla procura rilasciata sull'originale del ricorso risulta autenticata anche dall'avv. Basilio Perugini, cassazionista, a cui favore e' stato rilasciato il mandato, come emerge anche dalla copia dell'atto di ricorso notificato all'Argenzio, per cui, al piu', residuerebbe la sola questione se tale autenticazione sia stata tempestiva e cioe' sia avvenuta prima della notifica dell'atto di ricorso alle controparti.

Sennonche' la questione puo' ritenersi risolta in radice poiche', secondo il recente orientamento delle s.u. (6.5.1996,n. 4191) la mancata certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della firma del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per Cassazione (e quindi a maggior ragione l'analoga omissione riguardante la Copia notificata) costituisce una mera irregolarita', che non comporta la nullita' del mandato ad litem, poiche' tale nullita' non e' comminata dalla legge ne' la predetta formalita' incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto - individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, - salvo che la controparte non contesti, con valide specifiche ragioni e prove, l'autografia della firma non autenticata.

2.1. Passando all'esame del ricorso principale, va rilevato che con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell'art. 28 Cost. in quanto, perche' possa riscontrarsi una responsabilita' diretta del medico, inserito in una pubblica struttura sanitaria, nei confronti del terzo paziente che si assume danneggiato, occorre che sussista un rapporto di pubblico impiego, caratterizzato dalla dipendenza e non un qualsivoglia vincolo, mentre nella specie esso Mollo era solo un gettonato, per cui era un soggetto esterno alla struttura, che, come tale rispondeva solo nei confronti dell'altro contraente.

2.2. Il motivo e' infondato.

In conformita' a giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass. 11.4.1995, n. 4152; Cass 27.5.1993, n. 5939; Cass. 1.2.1991, n. 977) la responsabilita' dell'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato), tra l'ente gestore ed il privato che ha richiesto ed usufruito del servizio, ha natura contrattuale di tipo professionale.

Ne consegue che la responsabilita' diretta dell'ente e quella del medico, inserito organicamente nell'organizzazione del servizio, sono disciplinate in via analogica dalle norme che regolano la responsabilita' di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale, senza che possa trovare applicazione nei confronti del medico la normativa prevista dagli artt. 22 e 23 del d.p.r. 10.1.1957 n. 3, con riguardo alla responsabilita' degli impiegati civili dello Stato per atti compiuti

in violazione dei diritti dei cittadini. Cio' che conta, ai fini del sorgere di detta responsabilita' sia dell'ente che del medico e' la natura subordinata dell'attivita' di quest'ultimo in favore del primo, la quale deriva non dalla natura precaria o stabile della sua attivita' ne' dal fatto che essa sia retribuita o meno, ne' dalle modalita' di detta retribuzione, che quindi puo' essere, come nella fattispecie anche "a gettone", ma dall'inserimento di detta attivita' nella struttura organizzativa e funzionale dell'ente che la utilizza (Cass. 5.5.1980, n. 2957).

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'insufficiente motivazione circa la sua responsabilita', in quanto la sentenza impugnata non avrebbe rilevato che dalla cartella clinica emergeva che il Birk, all'atto del ricovero, presentava deficit neuromotorio e sensitivo agli arti inferiori e cioe' che gia' il quel momento era in stato di "paraparesi", che quindi non era insorto successivamente, come puo' desumersi anche dalla consulenza d'ufficio.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell'art. 2236 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che la prestazione del Mollo non presentava alcuna particolare difficolta' tecnica, per cui ha ritenuto che la sua responsabilita' sussistesse sulla base della sola colpa, non essendo necessario il dolo o la colpa grave.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell'art. 1176 c.c., oltre che l'insufficiente e contraddittoria motivazione, non ravvisandosi nel suo comportamento alcuna imperizia e negligenza.

Infatti la stessa Corte di appello riconosce che il Birk fu preso in cura sia dal Mollo che dal Luongo (quest'ultimo aiuto del reparto), che il Mollo si limito' a praticare le terapie prescritte in quell'occasione dal primario Bimonte e dall'aiuto, per cui non si puo' ravvisare nel suo comportamento neppure la colpa lieve. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione della norma contenuta nell'art. 2236 c.c., nonche' l'insufficiente e contraddittoria motivazione.

Infatti gli stessi C.T.U. rilevano che, per la mancanza delle attrezzature necessarie presso il I policlinico, in quella sede si potevano praticare solo interventi di pronto soccorso, che furono effettivamente praticati, in attesa del trasferimento in altra sede. 3.2. I detti motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Va preliminarmente rilevato che in materia di responsabilita' professionale del medico chirurgo, il quale cagioni un danno al paziente, sussiste la stessa solo se egli versi in dolo o colpa, a norma dell'art. 2236 c.c., se il medico e' chiamato a risolvere un caso di particolare complessita'. Anche in questo caso, tuttavia, tale limitazione non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso (Cass. 18.11.1997, n. 11440).

Al di fuori delle ipotesi della particolare complessita' del caso, il professionista risponde anche per colpa lieve quando per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione provochi un danno nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica (Cass. 12.8.1995, n. 8845).

Infatti il medico chirurgo nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attivita' professionale e' tenuto ad una diligenza che non e' solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176, c. 1, ma e' quella specifica del debitore qualificato, come indicato dall'art. 1176 , c. 20, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica. Poiche' si tratta di responsabilita' di natura contrattuale, incombe al debitore della prestazione la prova che l'inadempimento e' stato incolpevole e, quindi, incombe al professionista, che invoca il piu' ristretto grado di colpa di cui all'art. 2236 c.c. (e cioe' un'attenuazione della normale responsabilita' di cui all'art. 1218 c.c.), provare che la prestazione implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta' e che nella fattispecie non vi e' stato dolo o colpa grave (Cass. 3.12.1974, n. 3957; contra Cass, 30.5.1996, n. 5005).

Se, invece, l'intervento richiesto era di facile o routinaria esecuzione, incombe al professionista l'onere di provare, al fine di andare esente da responsabilita', che l'insuccesso dell'operazione non e' dipeso da un difetto di diligenza propria.

Il richiamo alla diligenza ha, in questi casi, la funzione di ricondurre la responsabilita' contrattuale alla violazione di obblighi specifici derivanti da regole disciplinari precise. In altri termini sta a significare applicazione di regole tecniche all'esecuzione dell'obbligo, e quindi diventa un criterio oggettivo e generale e non soggettivo.

Cio' comporta, come e' stato rilevato dalla dottrina, che la diligenza assume nella fattispecie un duplice significato: parametro di imputazione del mancato adempimento e criterio di determinazione del contenuto dell'obbligazione.

Nella diligenza e' quindi compresa anche la perizia da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione.

Comunemente si dice che trattasi di una diligentia in abstracto, ma cio' solo per escludere che trattasi di diligentia quam suis, e cioe' della diligenza che normalmente adotta quel determinato debitore.

Per il resto il grado di diligenza, per quanto in termini astratti ed oggettivi, va valutato in relazione alle circostanze concrete e tra queste, quanto alla responsabilita' professionale del medico, rientrano anche le dotazioni della struttura ospedaliera in cui lo stesso opera.

In relazione a dette strutture tecniche va valutata la diligenza e quindi la perizia che al medico devono richiedersi, delle quali e' anche espressione la scelta di effettuare in sede solo gli interventi che possono essere ivi effettuati, disponendo per il resto il trasferimento del paziente in altra sede, ove cio' sia tecnicamente possibile e non esponga il paziente stesso a piu' gravi inconvenienti.

3.3. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto, sulla base di accertamento di fatti, sostenuto da motivazione esente da censure rilevabili in questa sede di legittimita'.

La sentenza, infatti, dopo aver accertato che l'intervento cui era chiamato il Mollo non era di particolare difficolta', ma rientrava tra quelli universalmente applicati, ha ritenuto che nella fattispecie non ricorresse l'ipotesi di cui all'art. 2236 c.c., bensi' la violazione del dovere di diligenza di cui all'art. 1176 c.c..

Infatti il giudice di appello ha accertato che l'affezione del Birkrichiedeva l'osservanza di schemi terapeutici gia' predisposti dagli organismi sanitari di medicina subacquea ed iperbarica. Nella fattispecie, sulla base della consulenza, i giudici di appello hanno ritenuto che la terapia piu' adatta era l'applicazione della tabella di Van der Aue, che, tuttavia, non poteva essere applicata in quella sede, essendo necessaria una camera iperbarica pluriposto, mentre in quella sede vi era solo una camera monoposto. Questa particolare circostanza comportava che l'atteggiamento terapeutico corretto era l'applicazione della terapia prevista nelle tabelle n. 5 e 6 di Workman e Goodman, come cura di emergenza, ed il successivo trasferimento del paziente nel piu' vicino centro iperbarico dotato di camera pluriposto, facendo ricorso alla procedura che in casi del genere viene normalmente attivata dalla Prefettura competente per territorio, con trasporto tramite elicottero. La sentenza impugnata ha osservato che i consulenti di ufficio hanno fornito un elenco di centri civili e militari, esistenti all'epoca con camere iperbariche pluriposto.

Dall'esame della cartella clinica e dagli accertamenti effettuati dai consulenti d'ufficio ha ritenuto il giudice di appello che il Mollo non ha adottato ne' detta terapia d'urgenza ne' ha richiesto il trasferimento del paziente in centro piu' idoneo, con il sistema predetto, dando prova di incompleta ed inadeguata preparazione professionale media.

Ne consegue, che le doglianze mosse dal ricorrente si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze processuali, che non puo' essere oggetto di censure in questa sede di sindacato di legittimita'.

Per quanto attiene, in particolare, alla doglianza mossa nel quarto motivo di ricorso, con la quale si adombra che il responsabile della terapia applicata e del mancato immediato trasferimento non sarebbe stato esso Mollo, ma l'aiuto o il primario ospedaliero, va rilevato che detta censura risulta inammissibile, poiche' attiene ad un fatto nuovo introdotto per la prima volta in questa sede di legittimita' (a parte il rilievo che il giudice di merito ha ritenuto, con accertamento in fatto incensurabile in questa sede, che il responsabile della terapia adottata fosse il Mollo sulla base delle risultanze della cartella clinica e degli accertamenti risultanti dalla consulenza).

5. Egualmente va rigettato il ricorso dell'Universita' degli Studi di Napoli.

Con l'unico motivo di detto ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 2236 c.c. ed ai principi in materia di nesso causale, nonche' il vizio motivazionale, sotto due profili. Anzitutto la sentenza impugnata non avrebbe valutato se nella fattispecie la prestazione richiesta al Mollo implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta', valutando solo all'esito la responsabilita'- del professionista. Inoltre, con motivazione contraddittoria, avrebbe ritenuto la responsabilita' del Mollo per non aver disposto il trasferimento ad altro ospedale attrezzato, pur avendo ritenuto, per rigettare la domanda proposta contro l'Argenzio, che i tentativi effettuati da quest'ultima erano risultati inutili, poiche' non vi erano posti disponibili presso altre strutture. Da cio' deduce la ricorrente che il fatto che il Mollo non avesse richiesto il trasferimento del Birk e' irrilevante, poiche' detto trasferimento non si sarebbe potuto operare in concreto.

Sennonche' in sede di appello l'universita' aveva dedotto, come emerge dallo stesso ricorso di detta ricorrente, soltanto che il Tribunale non aveva tenuto conto che la struttura del Policlinico non era dotata di apparecchiature idonee al trattamento necessario, dal quale fatto avrebbe dovuto conseguire la mancanza di responsabilita' del Mollo e, quindi, dell'Universita'.

Osserva questa Corte che nel giudizio di Cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarita' formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio e, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti.

Piu' in particolare va specificato che l'obbligazione solidale determina la costituzione non gia' di un unico rapporto obbligatorio con pluralita' di soggetti dal lato attivo o dal lato passivo, bensi' di tanti rapporti obbligatori, tra loro distinti, quanti sono i condebitori o in concreditori in solido. Ne deriva che, qualora il creditore convenga in giudizio tutti i condebitori in solido, esistono nell'unico processo, piu' cause tra loro distinte, ciascuna avente quali parti il creditore ed il condebitore in solido, cioe' esistono piu' cause scindibili. In quest'ipotesi, stante la scindibilita' delle cause, proposto appello da tutti i condebitori in solido, deducendo ciascuno di costoro motivi specifici diversi da quelli dedotti dagli altri, i motivi dedotti da un condebitore non si comunicano agli altri. Pertanto, rigettato l'appello di uno dei condebitori, questi non puo' avvalersi, opponendola al creditore, della riforma della sentenza di primo grado pronunciata in accoglimento di uno o piu' motivi di gravame dedotti da altro condebitore, e qualora siano rigettati gli appelli di tutti i condebitori, ciascuno di questi non puo' dedurre quali motivi di ricorso per Cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti dagli altri condebitori, poiche', in sede di legittimita', tali questioni sarebbero nuove rispetto a lui e, quindi, sono per lui precluse (Cass 14.12.1978, n. 5953; Cass. 25.9.1974, n. 2522).

Ne consegue che, avendo la ricorrente in sede di appello fondato le sue censure in merito alla ritenuta responsabilita' del Mollo su profili di diritto ed elementi di fatto, diversi da quelli prospettati in sede di legittimita', per quanto avanzati da altri appellanti, le censure mosse in questa sede sono nuove rispetto a detta ricorrente, per cui ne consegue il rigetto del ricorso.

Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Nessuna statuizione va emessa per le spese di questo giudizi di legittimita'

Intatti il Birk non si e' costituito. Quanto all'Argenzio ed al suo Assicuratore (R.A.S.), va rilevato che la sentenza impugnata aveva rigettato la domanda nei confronti dell'Argenzio e che la stessa sentenza e' passata in giudicato sul punto, in quanto con i ricorsi in esame non si e' mossa alcuna censura avverso detto capo della sentenza.

P.Q.M

Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi,

Nulla per le spese.

Cosi' deciso in Roma 19.2.1988.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 27 LUG. 1998