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Sent. 14/08/97 n.7618. Responsabilità dell'avvocato per l'opera prestata.

Le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. Avuto riguardo, più in particolare all'attività professionale dell'avvocato, l'inadempimento del professionista non può essere desunto, senz'altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma cod. civ., il quale deve essere commisurato alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività, dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie. La responsabilità dell'avvocato, pertanto, può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 cod. civ., solo nel caso di dolo o colpa grave. L'accertamento relativo al se la prestazione professionale in concreto eseguita implichi - o meno - la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, è rimesso al giudice di merito ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., dei ricorsi principale e incidentale in quanto proposti contro la stessa sentenza. A fondamento dell'impugnazione il ricorrente principale avv. Luigi Becchi deduce:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., nonche' dei principi sulla responsabilita' professionale - Insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

La scelta di non inviare altra disdetta dopo quella del 6.12.1983 - adottata di comune accodo con il cliente, abile imprenditore e conoscitore delle questioni di locazione - fu determinata dalla convinzione che il recesso dal rapporto di locazione a suo tempo inoltrato sarebbe stato comunque utilizzabile nella azione successiva. Il punto decisivo della causa e' questo, perche' se detta convinzione, valutata ex ante, fosse stata ragionevole, nessuna colpa vi sarebbe per il legale e infatti tale convinzione fu ritenuta fondata dal Pretore di Siena nella sua sentenza del 1987; mentre per ragioni formalistiche - non conformi alla giurisprudenza di legittimita' - il Tribunale riformo' tale sentenza. ma la causa della disdetta non va ravvisata nel recesso da un determinato contratto - pur se nella fattispecie faceva riferimento a norme transitorie - bensi' nella volonta' di recedere del rapporto, ribadita con la notifica del ricorso giudiziario. Contraddittoriamente i giudici di appello, dopo aver scusato il professionista, lo hanno ritenuto colpevole, ma se non vi e' colpa per aver scelto una strada controvertibile, non puo' esservi colpa per non aver adottato le cautele volte a garantire il cliente da qualsiasi soluzione.

2. Violazione, in particolare, della norma di cui all'art. 2236 c.c. - Omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della causa (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

In ogni caso il professionista avrebbe dovuto rispondere soltanto per colpa grave ex art. 2236 c.c. trattandosi di materia opinabile; infatti anche la sentenza del 1984 del Pretore di Siena, che ha ritenuto il contratto del 1979 novativo di quello del 1974, e' opinabile e non ovvia perche' tale contratto non rispettava la nuova normativa (la durata era di un anno e il termine per riavere l'immobile alla scadenza era ridotto rispetto a quello legale) sembrava piuttosto voluto a procrastinare transitoriamente il vecchio contratto; inoltre per la Cassazione il contratto stipulabile ex art. 67 legge 392/78 normalmente non e' novativo; circa l'utilizzabilita' della disdetta del 6.12.1983 vi e' contrasto di giudicati e cio' basta per configurare il problema tecnico di speciale difficolta' di cui all'art. 2236 c.c., perche' se vi e' contrasto significa che il professionista deve indovinare quale soluzione il suo giudice dara' al caso. Il criterio della diligenza media x art. 1176 c.c., applicato dalla corte di merito, era erroneo, dovendosi invece applicare l'art. 2236 c.c. e anche percio' la sentenza impugnata e' viziata.

3. Violazione dell'art. 1227 c.c. e dei principi generali in tema di responsabilita' professionale - Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

La sentenza del Tribunale di Siena che aveva probabilita' di essere cassata, non fu impugnata inspiegabilmente dal Caroni che ora pretende di fondare su di essa la sua domanda risarcitoria.

La Corte di Appello ha omesso ogni esame su questo punto decisivo, mentre l'art. 1227, secondo comma, c.c. impone al creditore di fare il possibile per evitare i danni; prima di promuovere un giudizio contro il legale, di fronte al contrasto di giudicato di primo e secondo grado, il danneggiato doveva essere certo dell'esito sfavorevole della causa; i tempi lunghi della Cassazione e del successivo rinvio sarebbero comunque ricaduti sul conduttore ex art. 1591 c.c..

4. Con ricorso incidentale condizionato, il Caroni deduce. A) Violazione dell'art. 1176 c.c. con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c.

La responsabilita' del professionista doveva essere rapportata anche alla circostanza che egli stesso, nel primo ricorso dinanzi al Pretore, poneva a fondamento di esso il contratto di locazione del settembre 1974, che peraltro non allegava al ricorso a cui invece allegava il contratto di acquisto del 1982 da cui emergeva il successivo contratto di affitto del 1979. Percio' chiedere l'applicazione di una disciplina diversa da quella esistente in fatto e in diritto significa distorcere artatamente la fattispecie al fine di danneggiare il cliente, in quanto non si interpreta alcunche' di giuridico, ma si inventa qualcosa di inesistente; e allora non vi e' soltanto colpa, ma anche colpa grave o addirittura dolo. B). Violazione dell'art. 1176 c.c. nella prospettiva della mancata applicazione dell'art. 29 legge 392/78 con rifermento all'art. 360 n. 3 c.p.c.

Atteso che l'unico contratto di affitto che disciplinava l fattispecie era quello del maggio 1979, il legale doveva inviare la disdetta ex art. 29 legge 392/78, ogni diverso richiamo normativo essendo inapplicabile, ne' il professionista puo' alterare la fattispecie reale se non con grave responsabilita' in caso di danno; tutta la giurisprudenza invocata dall'avv. Becchi non aveva ragione d'essere, egli dovendo soltanto attenersi al vero contratto vigente tra le parti.

5. I tre motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente per la loro connessione e interdipendenza, sono infondati.

Come e' noto, le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attivita' professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e no di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. In particolare, nell'esercizio della sua attivita' di prestazione d'opera processionale, l'avvocato assume, in genere, verso il cliente un'obbligazione di mezzi e non di risultato: cioe' egli si fa carico non gia' dell'obbligo di realizzare il risultato (peraltro incerto e aleatorio) che questi desidera, bensi' dell'obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata.

5.1. Pertanto, l'inadempimento del professionista (avvocato) non puo', quindi, essere desunto senz'altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attivita' professionale e, in particolare, al dovere di diligenza.

Quest'ultimo, peraltro, - trovando applicazione in subiecta materia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c., in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia - deve essere commisurato alla natura dell'attivita' esercitata, sicche' la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attivita' processionale in favore del cliente e' quella media, cioe' la diligenza posta nell'esercizio della propria attivita' dal professionisti di preparazione professionale e di attenzione media (Cass. 3.3.1995 n. 2466, 18.5.1988 n. 3463).

5.2. Percio', la responsabilita' del professionista, di regola, e' disciplinata dai principi comuni sulla responsabilita' contrattuale e puo' trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo. A meno chela prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta': in tal caso la responsabilita' del professionisti e' attenuata, configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente esclusione nell'ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve (Cass. 11.4.1995 n. 4152; 18.10.1994 n. 8470).

L'accertamento se la prestazione processionale in concreto eseguita implichi o meno al soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta' (cioe' se la perizia richiesta trascenda o non i limiti della preparazione e dell'abilita' professionale del professionista medio), comportando di regola l'apprezzamento di elementi di fatto e l'applicazione di nozioni tecniche, e' rimesso al giudice del merito e il relativo giudizio e' incensurabile in sede di legittimita', sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto.

5.3. Nel caso specifico, a tali principi i giudici di merito si sono attenuti allorche' - lungi dall'affermare, come si adombra in ricorso, la responsabilita' del professionista sulla base dell'erronea scelta difensiva da cui era derivato per il cliente l'esito negativo del giudizio - da un lato, hanno fondato la loro pronuncia sull'accertamento della colpa in cui il medesimo professionista era incorso per non aver adottato quella cautela che il caso concreto richiedeva, vale a dire l'invio di altra disdetta essendo discutibile se quella precedente per recesso fosse efficace, venendo cosi' meno al dovere di diligenza; e dall'altro, hanno ritenuto che la prestazione che il professionista era chiamato ad eseguire no involgeva la soluzione di problemi di particolare difficolta'.

L'apprezzamento e l'accertamento anzidetti, oltre ad essere del tutto conformi ami principi di diritto venti richiamati in tema di responsabilita' professionale, sono sorretti da motivazione adeguata e corretta, per cui si sottraggono alle censure ad essi mosse dal ricorrente.

Per dimostrare l'esattezza dell'accertamento e valutazione della colpa professionale, con esclusione quindi dei denunciati vizi motivazionali, e' sufficiente rilevare che l'impugnata sentenza ha posto l'attenzione su quello che avrebbe dovuto essere il comportamento del legale, sottolineando come la fattispecie concreta richiedeva l'adozione di specifica cautela, dal professionista non adottata, e cioe' l'invio della dichiarazione di disdetta per finta locazione, necessaria per garantire il cliente dalla soluzione negativa di questioni controverse.

E tale giudizio sulla colpa professionale, correttamente ed adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimita', essendo stato ancorato ad un accertamento di fatto in merito all'eccezione della mancata adozione della richiesta cautela, non contestata e che avrebbe determinato sicuramente il buon esito della vicenda.

Ne' vale ad escludere la responsabilita' del professionista l'eventuale concorso di colpa del Caroni per non aver impugnato con ricorso per cassazione la decisione sfavorevole del Tribunale di Siena, perche' e' giurisprudenza costante di questo Supremo Collegi che non rientra tra i doveri di correttezza, di cui all'art. 1227 c.c., quello di intraprendere una azione giudiziaria con accollo dei costi e dei rischi relativi (Cass. 21.4.1993 n. 4672; 26.1.1980 n. 643).

5.4. La corte fiorentina da dato, quindi, adeguata ragione del suo convincimento con il ritenere la colpa dell'avv. Becchi in conseguenza dei fatti predetti nei quali ha ravvisato la sussistenza della mancanza di diligenza professionale.

La motivazione dei giudici di merito e', altresi', ineccepibile sotto il profilo della coerenza logica e in perfetta armonia con i principi di carattere generale sopra esposti.

I punti sui quali il ricorrente si duole si rivelano, in definitiva, esenti da censura, trattandosi di apprezzamenti di fatto non sindacabili in questa sede di legittimita', in quanto immuni da vizi logici e giuridici.

In conclusione il ricorso principale va rigettato.

6. Il ricorso incidentale, essendo stato espressamente proposto in forma condizionata all'accoglimento del ricorso principale, resta assorbito.

7. Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M

La Corte di Cassazione, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

Cosi' deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 marzo 1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 14 AGO. 1997