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Danno biologico. Cass. civile, sez. III, 14-10-1993, n. 10153

Pres. Scala P - Rel. Ragosta L - P.M. Delli Priscoli M (Conf.) - Cifullo c. S.p.a. Veneta Assicurazioni

Risarcimento del danno - Patrimoniale e non patrimoniale (danni morali) - Danno Biologico - Danno alla vita di relazione - Distinzione - Risarcimento del danno alla salute - Liquidazione - Criteri.

Poiché il danno biologico, come danno alla salute, in sé, ha una portata più ampia di quello alla vita di relazione, che si risolve nella impossibilità o difficoltà di mantenere i rapporti sociali ad un livello normale, e tende ad assorbirlo, come per altri tipi di danno non ben definiti, quali il danno estetico e quello alla sfera sessuale, la domanda di risarcimento del danno alla salute, quando non sia limitata al pregiudizio della vita di relazione, impone al giudice di merito di considerare tutti i possibili profili del predetto danno e liquidarlo anche per la parte che non coincide con il pregiudizio della vita di relazione. Sent. 14/10/93 n.10153

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia.

Assume: a) che la sentenza impugnata appare inficiata da un vizio di motivazione, nel punto in cui si censura l'asserita duplicazione del risarcimento operate dal Tribunale fra danno da invalidita' permanente e danno biologico, che la Corte di merito ha ridotto la entita' dell'importo liquidato a titolo di danno biologico e, quindi, lo ha sommato a quello del danno da invalidita' permanente, pervenendo ad una cifra notevolmente inferiore a quella liquidata per gli stessi danni dal Tribunale, andando, in tal modo, ben oltre le richieste degli appellati, che avevano ritenuto corrette le valutazioni del Giudice di primo grado; b) che nella sentenza impugnata il reddito di essa ricorrente, ai fini della quantificazione del danno da invalidita' permanente, e' stato valutato in base all'art. 4 l. 39/77, pur in presenza della "copiosa documentazione" prodotta relativa alla capacita' di reddito della medesima, "totalmente... ignorata"; c) che del tutto carente di motivazione e' poi il punto della sentenza impugnata, in cui il danno biologico viene limitato al solo aspetto del danno alla vita di relazione.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 della Costituzione e 2043 c.c., deducendo che il danno biologico deriva da una risarcibilita' dal combinato disposto dei succitati articoli, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sua decisione n. 184/86; che il suddetto danno e' costituito da tutti gli effetti negativi conseguenti a fatto illecito, che incidono sul bene primario della salute, autonomamente valutato; che la Corte di merito ha immotivamente ed in spregio alle norme suindicate liquidato il danno biologico in "misura irrisoria" e nella sola ed esclusiva "specificazione del danno alla vita di relazione". In ordine a siffatte censure, premesso che in relazione alle doglianze dell'appellante Cipullo per avere il Tribunale erroneamente liquidato in "maniera ridotta" il danno da invalidita' permanente ed il danno biologico, la Corte di Appello ha liquidato, con il metodo tabellare, per il primo titolo di danno, l'importo di L. 22.797.274, rivalutato all'epoca della sentenza di primo grado in L. 31.332.573, e con il criterio equitativo, per il secondo titolo, l'importo di L. 5.000.000 ai valori correnti all'epoca della stessa sentenza, e per entrambi i suddetti titoli, complessivamente l'importo di L. 36.332.573, inferiore a quello di L. 49.600.000, liquidato dal Tribunale per gli stessi titoli (L. 16.000.000 per i danno di invalidita' permanente e L. 33.600.000 per il danno biologico), ed ha poi rigettato l'appello, cio' premesso si osserva che la determinazione del danno da invalidita' permanente risulta correttamente operata sulla base del triplo della pensione sociale all'epoca del sinistro (pari a L. 6.860.400), tenendo conto della eta' dell'infortunata alla stessa epoca (anni 55), della valutazione del c.t.u. dei postumi invalidanti permanenti riscontrati nella misura del 34%, dello scarto fra vita fisica e lavorativa, fissato nella congrua misura del 20%, nonche' della svalutazione monetaria, intervenuta fino alla data della sentenza del Tribunale, e desunta dagli indici Istat.

La Corte del merito, nel quantificare il danno in esame, ha considerato quale reddito della infortunata il triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale, ai sensi del 3^ comma art. 4 D.L. 857/76, conv. in L. 39/1977 e ha motivato il ricorso a tale parametro, con il rilievo della mancanza di prova circa il reddito della predetta negli anni 1982 e 1983.

Motivazione questa, che appare adeguata sul piano logico e giuridico e, quindi, preclusiva in questa sede di un riesame della documentazione prodotta dall'appellante, relativa al reddito da essa percepito negli anni precedenti - 1979, 1980 e 1981 - nonche' alle proposte di lavoro ad essa fatte, "precedenti e successive al sinistro", documentazione gia' esaminata dai Giudici del merito, ai quali soltanto spetta valutare le prove, e controllare l'attendibilita' e la concludenza ai fini della formazione del proprio convincimento.

Quanto alla liquidazione del danno biologico, poiche' la sola parte danneggiata proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale in relazione al detto danno, mentre in via incidentale, nulla lamentando al riguardo le parti appellate, la Corte di Appello non poteva procedere ad una nuova liquidazione di tale danno, in misura inferiore a quella determinata dai primi Giudici, potendo al piu' disattendere la pretesa risarcitoria dell'appellante per un importo maggiore rispetto a quello gia' riconosciuto.

Si osserva inoltre che il giudizio della Corte di Appello, secondo cui il Tribunale con il liquidare L. 16.000.000 - per il danno da invalidita' permanente e L. 33.600.000 - per il danno biologico, e complessivamente L. 49.600.000 -, avrebbe errato, avendo operato una "duplicazione del risarcimento dovuto per i postumi permanenti" non puo' essere condiviso sul riflesso che, in tema di risarcimento del danno per fatto illecito, lesivo della integrita' psico-fisica della persona, il danno alla salute (c.d. danno biologico), che ha per referente normativo l'art. 2043 c.c. collegato all'art. 32 Cost., ed e' comprensivo di tutti gli effetti negativi, conseguenti alla compromissione della detta integrita', ed incidenti sul bene primario della salute in se' considerato, quale diritto inviolabile dell'uomo alla pienezza della vita, ed alla esplicazione della propria personalita', morale, intellettuale e culturale, costituisce una figura autonoma di danno (Cass. 6366/90), che va tenuto distinto da quello patrimoniale attinente alla efficienza lavorativa ed alla capacita' di produzione di reddito, e dal danno non patrimoniale, ed in concreto va, quindi, risarcito indipendentemente dalla risarcibilita' di queste altre specie di danno.

Si osserva ancora che la Corte del merito, nel liquidare il danno biologico ha immotivamente affermato che tale danno va individuato, nella specie, nel solo danno alla vita di relazione. Ed invero, il danno biologico, come danno alla salute in se', ha una portata piu' ampia di quello alla vita di relazione, che si risolve nella impossibilita' o nella difficolta' di reintegrazione nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, e tende ad assorbirlo, cosi' come avviene per alcuni tipi di danno non ben definiti, quali il danno estetico ed il danno alla sfera sessuale (Cass. 4242/90).

Conseguentemente, nel caso in cui, come nella specie, la richiesta di risarcimento non sia stata limitata al solo danno alla vita di relazione, non puo' il Giudice del merito, di sua iniziativa, liquidare soltanto tale voce di danno, ma deve estendere la sua indagine a "tutto" il possibile danno alla salute e, se del caso, liquidarlo anche per la parte non coincidente con il detto pregiudizio alla vita di relazione. Il ricorso va, quindi, accolto per quanto di ragione e per l'effetto la sentenza impugnata cassata in relazione alle censure accolte.

La causa va rinviata per il nuovo esame al diverso Giudice indicato in dispositivo, al quale si ritiene opportuno demandare anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

La Corte

accoglie il ricorso per quanto di ragione;

cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte; rinvia la causa per il nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, che provvedera' anche per le spese del presente grado del giudizio.

Cosi' deciso il 7 dicembre 1992.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 14 OTT. 1993