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Cass. civile, sez. III, 17-03-1995, n. 3119: danno biologico, danno emergente e lucro cessante, valutazioni e poteri dell'organo giudicante in appello.

Pres. Giuliano A - Rel. Fancelli C - P.M. Amirante F (Conf.) - Toro Assicurazioni c. Macrì

RISARCIMENTO DEL DANNO - VALUTAZIONE E LIQUIDAZIONE - DANNO EMERGENTE E LUCRO CESSANTE - Spese per la produzione del reddito sostenute dal danneggiato nel corso della invalidità temporanea - Calcolo di dette spese ai fini della quantificazione del danno - Necessità.

In tema di risarcimento del danno da atto illecito, le spese normalmente sostenute dal danneggiato per la produzione del reddito e che non possono essere evitate nei periodi di invalidità temporanea (nella specie: spese per tenere aperto lo studio professionale) debbono essere calcolate ai fini della quantificazione del danno, incidendo esse sul guadagno netto.

RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE (DANNI MORALI) - Danno biologico - Sua ontologica diversità dal danno connesso alla diminuita capacità di lavoro e di guadagno - Autonoma liquidazione - Necessità.

Il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, è ontologicamente diverso da quello connesso alla diminuita capacità lavorativa e di guadagno delle persone e deve essere, pertanto, risarcito autonomamente.

RISARCIMENTO DEL DANNO - VALUTAZIONE E LIQUIDAZIONE - SVALUTAZIONE MONETARIA - Elevazione di alcune voci di danno nel giudizio di appello - Importi già ricevuti dal danneggiato - Rivalutazione delle somme ancora dovute - Criteri di determinazione.

In tema di risarcimento del danno extracontrattuale, il giudice d'appello che elevi alcune voci di danno non può rivalutare la somma globalmente dovuta e detrarne quanto già pagato dal debitore, ma deve detrarre la cifra versata dall'importo della somma dovuta al tempo del pagamento ed operare la rivalutazione monetaria sulla differenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1223 c.c., nonche' l'omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), censura i criteri di risarcimento seguiti dal giudice a quo nel liquidare al Macri' il danno alla capacita' lavorativa specifica e il danno biologico, posto che detto giudice ignorando le censure mosse alla sentenza di primo grado, si sarebbe affidato ad una consulenza tecnica affrettata e carente in relazione alla quale era stata inutilmente avanzata richiesta di rinnovo intesa ad approfondire l'indagine circa l'incidenza dell'invalidita' sulla capacita' lavorativa professionale dell'avv. Macri', di natura intellettuale e quindi tale da non subire gravi decurtazioni in correlazione alle menomazioni riscontrate.

Lamentava, quindi, che la Corte d'appello aveva omesso di prendere in considerazione la censura secondo cui il Tribunale aveva illegittimamente cumulato il danno patrimoniale con il danno alla salute (o biologico) pervenendo cosi', in sostanza, ad una duplicazione risarcitoria dello stesso danno.

Aggiungeva che erroneamente il giudice a quo aveva disatteso la consulenza di parte muovendo dal rilievo - del tutto illogico ad avviso della ricorrente - secondo cui le critiche in detta consulenza esposte non consentirebbero, dopo quattro anni dal sinistro, una valutazione migliore di quella fatta dal C.T.U. a breve distanza di tempo dall'evento.

Il motivo e' infondato in ogni suo aspetto. Il risarcimento del danno biologico, inteso come menomazione all'integrita' psicofisica del soggetto, costantemente presente in ogni fatto illecito che arrechi danno alla persona in se' e per se' considerata, non comporta una duplicazione della liquidazione di un elemento di danno in relazione a quello connesso all'attivita' lavorativa, prendendosi in questo secondo caso in considerazione le perdite e il mancato guadagno in dipendenza della menomata capacita' lavorativa e di guadagno del soggetto (cfr. Cass. nn. 5669/94, 357/93, 12911/92, 2840/92, 13292/91, 6366/90, 1954/90).

Non puo', dunque, esistere in linea di principio la lamentata duplicazione, trattandosi di danni ontologicamente diversi, l'uno quello patrimoniale, strettamente legato alla effettiva riduzione della capacita' di guadagno e l'altro, il biologico, associato alla menomazione degli attributi e dei requisiti biologici della persona, nella cui valutazione assume preminente rilievo la gravita' dell'inabilita' (V. Cass. n. 11616/92).

E non v'e' dubbio che nella specie il danno patrimoniale (presunto mancato guadagno) e' stato dai giudici di merito valutato in relazione alla capacita' lavorativa specifica dell'avv. Macri' quale libero professionista, tant'e' che la relativa liquidazione e' stata effettuata in relazione al reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali (mod. 740). Per il danno biologico, invece, si e' fatto ricorso al noto criterio della determinazione "a punto" che implica sostanzialmente una valutazione equitativa - sulla base di una media statistica risultante da analisi comparativa di vari campioni di decisioni giurisprudenziali - suscettibile di correzione in relazione alle accertate peculiarita' del caso concreto, come infatti e' avvenuto nel caso in questione.

Quanto al chiesto rinnovo della C.T.U., e' sufficiente osservare che il relativo provvedimento rientra ex art. 196 c.p.c. nella facolta' discrezionale del giudice di merito, il quale, secondo costante giurisprudenza, non e' tenuto a motivare il provvedimento di rigetto dell'istanza di rinnovazione ogni qualvolta riconosca - come nella specie - esaurienti i risultati gia' conseguiti (v. Cass. nn. 710/87, 6483/87, 2293/84).

Non censurabile sotto il profilo logico appare la motivazione del giudice a quo che ha disatteso le critiche del consulente di parte definendole "del tutto astratte" in quanto effettuate dopo quattro anni dal sinistro e non fondate sull'esame diretto del periziando. Invero, a prescindere dal dato temporale, non puo' fondatamente darsi credito ad una diversa valutazione delle conseguenza dannose quando sia stata effettuata senza constatare personalmente i danni sofferti dall'infortunato.

Con il secondo motivo la ricorrente societa' assicuratrice, denunciando, sotto altro profilo la violazione degli artt. 1223 e segg. c.c. e il vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver proceduto alla rivalutazione monetaria del dovuto senza tener conto del fatto che dopo la sentenza di primo grado erano state corrisposte al Macri' tutte le somme ivi liquidate. la doglianza e' sostanzialmente fondata.

E' pacifico che a fronte della sentenza del Tribunale notificata in via esecutiva il 6.3.1987 per un credito di complessive L. 313.577.000 oltre interessi legali sono state al Macri' pagate dalla Toro Assicurazioni nell'aprile 1987 comprensive L. 333.058.000 (v. note depositate dal Macri' il 24.6.1987 con allegata documentazione). La Corte d'appello ha aumentato alcuni degli indennizzi liquidati dal Tribunale e, previa rivalutazione del tutto sin dalla data della decisione, ha attribuito al Macri' la complessiva somma di L. 445.565.000 oltre interessi, "detraendo dalla stessa somma per tali titoli gia eventualmente corrisposte...".

Cosi' facendo, il giudice a quo ha erroneamente liquidato a favore del danneggiato rivalutazione ed interessi in misura superiore alle sue spettanze in quanto relativi a somme in massima parte gia' pagate.

La Corte territoriale avrebbe dovuto, in conformita' a consolidata giurisprudenza (v. Cass. nn. 2074/89 e n. 1623/80), detrarre la cifra versata dall'importo della somma complessivamente dovuta al tempo del pagamento e calcolare quindi rivalutazione ed interessi sul residuo a decorrere dalla data di detto pagamento.

Il giudice di rinvio al quale verra' rimessa la presente causa dovra', in definitiva, rifare i calcoli del dovuto secondo tale criterio.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamenta ancora la violazione degli artt. 1223 e segg. c.c., censura la sentenza impugnata per aver attribuito al Macri' la somma di L. 8.000.000 a titolo di danno emergente per aver dovuto sopportare le spese di mantenimento dello studio legale senza potervi lavorare.

A giudizio della ricorrente il Macri', a cui era stato liquidato per i 260 giorni di invalidita' temporanea un risarcimento di L. 49.000.000 a titolo di mancato guadagno, non aveva diritto anche al rimborso delle spese di studio, in quanto il reddito del professionista deve essere calcolato non al lordo ma al netto delle spese inerenti all'esercizio professionale, altrimenti in costanza di infortunio verrebbe a locupletare un guadagno superiore al normale.

Il rilievo e' privo di fondamento.

Il lucro cessante (mancato guadagno) va sempre determinato al netto, ma cio' non toglie che le spese che si incontrano pure non lavorando (a causa dell'invalidita' temporanea) e che non possono essere altrimenti evitate (come quelle nella specie per mantenere aperto lo studio), debbono essere necessariamente calcolate al fine della quantificazione del danno, incidendo esse in definitiva proprio su quel guadagno netto la cui debenza la ricorrente non contesta. In conclusione il ricorso va rigettato in relazione al primo e al terzo motivo, mentre va accolto in relazione al secondo.

Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua, con rinvio della causa per il nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Roma che si atterra' ai principi di diritto sopra richiamati.

Al giudice di rinvio e' demandata anche la regolamentazione delle spese processuali di questa fase del giudizio.

P.Q.M

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Roma che provvedera' anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Cosi' deciso in Roma l'11 ottobre 1994.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 17 MAR. 1995