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SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Sospensione da cariche elettive per chi ha subito condanna non definitiva per reato in materia di stupefacenti

Gli artt. 58 I Co. lett. a), 59 I co. lett. a) e 59 IV co. D.Lgs. 267/2000, nella parte in cui - disponendo la sospensione obbligatoria da determinate cariche elettive a seguito di condanna non definitiva per uno dei reati indicati dall'art. 73 del T.U. in materia di disciplina degli stupefacenti - non prevedono l'eventuale riconoscimento della circostanza attenuante dell'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale o di quella della lieve entità del fatto addebitato, non violano gli artt. 3 e 51 Cost. per irragionevole limitazione dell'accesso alle cariche elettive, perché rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le fattispecie di reato che fanno venir meno un requisito essenziale per continuare a ricoprire un ufficio pubblico elettivo

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE n. 25 dell'11 febbraio 2002, dep. 15 febbraio 2002 (Pres. Ruperto; Rei. Capotosti), nel giudizio di legittimità promosso dai Tribunale di Roma - La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 co. 1 lett. a), co. 4-bis lett. a) e co. 4-ter L. 19-3-1990 n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), ora sostituiti dall'art. 58 I co. lett. a) e dall'art. 59 I co. lett. a) e IV co. D.Lgs. 18-8-2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).

In diritto - 1.- La questione di legittimità Costituzionale, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, concerne l'art. 15, Commi 1 lettera a), 4-bis lettera a) e 4-ter della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale) e successive integrazioni e modificazioni, nella parte in cui dispone la sospensione obbligatoria da determinate cariche elettive, a seguito di condanna non definitiva per uno dei reati indicati nell'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), senza prevedere l'ipotesi dell'eventuale riconoscimento della circostanza attenuante dell'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, o anche quella della lieve entità del fatto addebitato, di cui al comma 5 del medesimo articolo.

Le norme impugnate sarebbero infatti in contrasto, secondo il giudice rimettente, con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, in quanto sarebbe contraddittoria ed irragionevole la scelta legislativa di considerare, ai fini dell'applicazione della decadenza e della sospensione automatiche da certe cariche elettive, anche le condanne ad una pena diminuita per effetto della concessione della circostanza attenuante dell'azione commessa per motivi di particolare valore morale e sociale, oltre che del riconoscimento della lieve entità del fatto addebitato.

2.- In via preliminare occorre rilevare che l'art. 15 della legge n. 55 del 1990 risulta formalmente abrogato, tra gli altri, dall'art. 274, comma 1 lettera p), del sopravvenuto D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), ma il suo contenuto precettivo è stato integralmente riprodotto dal combinato disposto degli artt. 58, comma i lettera a), e 59, comma 1 lettera a), e comma 4, cosicché la questione di legittimità costituzionale sollevata deve intendersi trasferita sulle predette disposizioni del testo unico, mediante le quali le norme denunciate continuano tuttora a vivere nell'ordinamento (sentenze n. 376 del 2000 e n. 454 del 1998).

3. - La prospettata questione di legittimità costituzionale si incentra essenzialmente sul profilo della irragionevolezza delle norme censurate, che, secondo l'ordinanza di rimessione, non prendono in considerazione la circostanza della lieve entità del fatto addebitato e soprattutto non " escludono la decadenza per cariche elettive anche nel caso di condanna per reati attenuati dalla circostanza dell'avere, il reo, agito per motivi di particolare valore morale e sociale ", nonostante che l'attenuante in questione possa essere espressione, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione riferita dal giudice a quo, di sentimenti " di spiccata nobiltà ed elevatezza ". In altri termini, la Corte non è chiamata, in questo giudizio, a valutare le specifiche ipotesi delittuose, previste dalla citata lettera a), sotto il profilo dell'adeguatezza o della proporzione tra ciascuna di esse e la misura cautelare disposta dal comma 4-bis, ma soltanto a giudicare se sia irragionevole che la predetta " condotta ", così come qualificata dal giudice rimettente, sia ritenuta " indice di sicura indegnità morale ", considerando che, secondo lo stesso giudice, " il parametro della ragionevolezza deve essere, nel caso in esame, calibrato sia sulle caratteristiche e sulla gravità di altri reati ", ai quali la legge ricollega lo stesso provvedimento cautelare della sospensione, " sia sullo scopo perseguito dal legislatore " con le norme in oggetto.

3.1. - Impostata in questi termini, la questione non è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente ribadito che le norme dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990 e successive modificazioni perseguono finalità di salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata e dalle sue infiltrazioni (sentenze n. 132 del 2001, n. 141 del 1996, n. 118 e n. 295 del 1994), coinvolgendo così esigenze ed interessi dell'intera comunità nazionale connessi a " valori costituzionali di rilevanza primaria " (sentenza n. 218 deI 1993). 1 delitti per i quali l'art. 15 citato prevede - dopo la condanna definitiva - la decadenza o anche - in caso di condanna non definitiva - la sospensione obbligatoria dalla carica elettiva sono appunto qualificati, secondo la giurisprudenza costituzionale, non tanto dalla loro gravità in relazione al " valore " del bene offeso o all'entità della pena comminata, ma piuttosto dal fatto di essere considerati tutti dal legislatore come manifestazione di delinquenza di tipo mafioso o di altre gravi forme di pericolosità sociale, non irragionevolmente ritenendoli il legislatore stesso, nell'ambito delle proprie, insindacabili scelte di politica criminale, parimenti forniti di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici da parte delle organizzazioni criminali. Si giustifica in questo modo una disciplina molto rigorosa ispirata alla comune ratio di prevenire e combattere tali gravi pericoli allo scopo appunto di salvaguardare " interessi fondamentali dello Stato "(sentenze n. 206 del 1999 e n. 184 del 1994). Questa disciplina è stata dunque formulata dal legislatore in modo unitario, pur prendendo in considerazione diverse figure di reato, proprio per realizzare un efficace strumento - secondo la precisazione contenuta nel titolo della legge - di " prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale ", attraverso l'individuazione, sulla base di criteri omogenei, di una serie di reati la cui commissione è appunto valutata - di per sé stessa e senza distinzione alcuna - come indice di oggettiva pericolosità. In considerazione delle finalità che le norme in esame intendono perseguire e del ruolo ricoperto dai soggetti interessati, non appare dunque illogico che il legislatore, ai fini dell'applicazione della decadenza e della sospensione obbligatorie dalla carica elettiva, abbia dato esclusivo rilievo alla identificazione delle fattispecie di reato in questione, senza avere riguardo a valutazioni di stretta competenza del giudice del merito, che possano incidere sull'entità della pena. E non appare quindi arbitraria, per queste stesse ragioni, neppure la scelta legislativa di non tenere conto delle eventuali circostanze del reato.

D'altra parte, le disposizioni legislative denunciate sono state formulate nei tèrmini indicati anche per evitare possibili censure di ingiustificata diversità di trattamento o i situazioni di incertezza nell'applicazione della misura interdittiva o sospensiva, derivanti anche da soluzioni giurisprudenziali divergenti, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la pari capacità elettorale passiva dei cittadini, proclamata dall'art. 51 della Costituzione (sentenze n. 364 del 1996 e n. 280 del 1992).

Nel caso in esame, poi, trattandosi di sospensione, che è una misura sicuramente cautelare, non è comunque -prospettabile, ad avviso della Corte, un'esigenza di proporzionalità rispetto al reato commesso, ma piuttosto rispetto alla possibile lesione dell'interesse pubblico causata dalla permanenza dell'eletto nell'organo elettivo: non si pone quindi un problema di " adeguatezza " della misura rispetto alla gravità del fatto, ma piuttosto rispetto all'esigenza cautelare (sentenza n. 206 del 1999). Sotto questo ultimo profilo non si può tuttavia negare al legislatore, nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalità, la facoltà di effettuare il necessario bilanciamento degli interessi coinvolti, identificando ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza cautelare su cui si basa la sospensione è apprezzata in via generale ed astratta, anziché essere rimessa alla valutazione in concreto dell'amministrazione interessata, così come è apprezzato in via generale ed astratta l'ambito di applicazione della misura cautelare in relazione ai soggetti e al nesso tra la condanna non definitiva e le funzioni elettive svolte. E l'apprezzamento del legislatore si fonda essenzialmente sul sospetto di inquinamento o, quanto meno, di perdita dell'immagine degli apparati pubblici, che può derivare dalla permanenza in carica del consigliere eletto, che abbia riportato una condanna, anche se non definitiva, per i delitti indicati. In ogni caso, nelle ipotesi legislative di decadenza ed anche di sospensione obbligatoria dalla carica elettiva previste dalle norme denunciate non si tratta affatto di " irrogare una sanzione graduabile in relazione alla diversa gravità dei reati, bensì di constatare che è venuto meno un requisito essenziale per continuare a ricoprire l'ufficio pubblico elettivo " (sentenza n. 295 del 1994), nell'ambito di quel potere di fissazione dei " requisiti " di eleggibilità, che l'art. 51, primo comma, della Costituzione riserva appunto al legislatore. Oltre tutto, la misura cautelare in oggetto, proprio perché finalizzata a proteggere l'interesse pubblico nelle more dell'accertamento giudiziale definitivo, è contenuta in limiti di durata che non appaiono irragionevoli, prevedendo il comma 4-bis del citato art. 15 che la sospensione cessa di diritto di produrre effetti, decorsi rispettivamente diciotto o dodici mesi, a seconda che si tratti di sentenza di condanna di primo grado o d'appello. In definitiva, i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice a qua appaiono, anche alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, infondati. Da un lato, infatti, non sussiste la violazione dell'art. 51 della Costituzione, poiché la condanna per uno dei reati in questione è configurabile come il venir meno di un requisito soggettivo - stabilito dal legislatore -per la permanenza nella carica elettiva; dall'altro lato, non sussiste neppure la violazione del canone di ragionevolezza sia in riferimento alle finalità che le norme censurate perseguono, sia nel raffronto con le altre figure di reato prese unitariamente in considerazione dalle stesse norme.