GLOBALIZZAZIONE: SOGNO O REALTA’?

 

 

Sconfiggere la fame nel mondo: Questo è l’obiettivo primo di quella che ormai è conosciuta in tutto il mondo come GLOBALIZZAZIONE; questo è anche il motivo fondamentale di riunione delle più grandi potenze del nostro pianeta: il tanto discusso G8.

Certamente l’obiettivo dichiarato da questi “potenti” è tra i più nobili: ma allora perché tante contestazioni e tante lotte, non solo verbali, intorno a questo evento? Perché il “popolo di Seattle” si muove inferocito contro quelli che si vogliono i benefattori della terra?

In realtà si tratta di qualcosa di molto più complesso di quanto non sembri ad un primo sguardo.

Le operazioni di salvataggio di paesi meno fortunati non sono iniziate in concomitanza con le riunioni del G8 ma si susseguono ormai da lungo tempo. Organismi internazionali come il FMI, la Banca Mondiale, il WTO, già da dopo la seconda guerra mondiale, ma più marcatamente a partire dagli anni ’70, si sono occupati di prestare ingenti somme di denaro ai paesi in difficoltà fornendo anche delle équipes di esperti di finanza con l’intento, almeno formale, di risanare l’economia distrutta dei territori bisognosi.

Non si vuole in questa sede dubitare dei principi umanitari che sono proclamati alla base di queste operazioni, ma si deve constatare che gli effetti sono stati tutt’altro che positivi nella maggioranza dei casi.

In molti paesi del terzo mondo la privatizzazione delle poche aziende statali abbastanza floride da garantire degli utili, proposta dal FMI per permettere  di saldare il debito estero di questi paesi, ha realizzato unicamente una ingente uscita di capitali dallo stato perché gli unici investitori con la possibilità di effettuare tali operazioni erano imprenditori stranieri attratti dal “prezzo d’occasione” che spesso era loro proposto e dalla mano d’opera a basso costo che notoriamente è facile trovare in queste zone. In questo modo il denaro ricavato è restituito ai paesi ricchi che avevano precedentemente concesso i prestiti, lasciando l’ipotetico paese del terzo mondo ulteriormente impoverito dalla perdita delle proprie industrie migliori.

Il FMI e il WTO hanno inoltre imposto a coloro che hanno ricevuto prestiti, dei piani di risanamento che non si preoccupavano della situazione specifica del luogo ma si basavano esclusivamente su leggi economiche e finanziarie che potevano certamente risanare il deficit nelle casse dello Stato ma che non tenevano conto delle ripercussioni che questo poteva avere sulla risorsa più importante del paese : LA GENTE.

Riportare in pari il bilancio di un paese, significa principalmente ridurre le spese ritenute superflue. Per questo si sono verificati in molti paesi licenziamenti di massa degli impiegati statali causando una forte crescita del tasso di disoccupazione ed un incremento preoccupante della povertà che ha portato a sua volta, in alcuni casi, ad un aumento della criminalità e soprattutto della produzione e del traffico di droga.

Un altro taglio alle spese piuttosto frequente nei piani di risanamento del FMI riguarda i settori della sanità e dell’istruzione ed anche in questo caso, sebbene il bilancio statale abbia sicuramente tratto beneficio da queste iniziative, le ripercussioni negative sulla popolazione sono state spesso drammatiche. Si è verificato, infatti, in alcuni di questi paesi, un crollo dell’alfabetizzazione e, ancora peggio, un peggioramento dell’assistenza sanitaria culminato, in alcuni casi, addirittura nella chiusura di interi ospedali per mancanza di fondi.

Tutto questo in paesi poveri ma con una cultura comunque di tipo occidentale. E cosa è successo in quei paesi, soprattutto africani e asiatici, in cui sopravvivono la cultura, le usanze, le abitudini di antiche popolazioni?   Anche questi paesi, ovviamente, sono stati aiutati dai nostri organismi sopranazionali. Anche qui però si è partiti da un’idea esclusivamente economica calpestando non solo le abitudini, ma anche la cultura di popoli meno forti di noi che non hanno potuto difendere le proprie credenze contro la nostra cultura “scientifica”, l’unica ritenuta degna di questo nome solo perché più diffusa e più potente.

Così le popolazioni che vivevano dei frutti delle foreste si sono viste privare della loro fonte di sostentamento a favore di interessi che, ancora una volta, sono puramente economici.

Niente più ombra per ripararsi dal sole, rami per coprire le proprie capanne, frutti per nutrirsi ma solo legname per permettere ai commercianti, spesso stranieri, di arricchirsi.

Assistiamo sempre più spesso ad un intenso sfruttamento dei paesi che andiamo ad aiutare e che invece deprediamo di quanto più importante essi abbiano. Stravolgiamo le loro abitudini pensando che le nostre siano migliori senza soffermarci a pensare se effettivamente ciò che vogliono è essere trasformati in un nuovo occidente. Non chiederanno forse di essere aiutati a vivere un’esistenza più dignitosa mantenendo però intatta la loro cultura?

Tutto questo rivendicano le persone che si riuniscono per protestare contro le riunioni del G8, dando voce a milioni di altri che non possono esprimere la propria opinione in un incontro in cui si decide anche delle loro vite. E’ proprio questo uno dei maggiori limiti di questa organizzazione: si parla di fame, di povertà, di disperazione, di paesi del terzo mondo ma questi non sono poi invitati ad intervenire, non trovano un posto in riunioni che decidono per loro senza dare loro la possibilità di spiegarci di cosa hanno bisogno.

Coloro che protestano contro l’opera del G8, del WTO, del FMI sono la voce di popolazioni che altrimenti rimarrebbero silenziose in attesa degli eventi.

Questo naturalmente non giustifica gli atti di vandalismo e, molto peggio, gli attentati, le bombe, le armi, la violenza gratuita che purtroppo sempre si scatena all’interno di proteste che vogliono intendersi pacifiche; le riunioni del G8 sono solo il pretesto per alcuni scalmanati che, con la scusa dell’evento, mettono in mostra tutta la loro aggressività.

Il vero “popolo di Seattle” è, e deve essere, solo quello che fa sentire la propria presenza in maniera ordinata pacifica e civile e che, per prima, condanna coloro che, con un uso indiscriminato della forza e della violenza vanificano l’impegno di chi crede veramente nella possibilità di migliorare il mondo.

 

Valentina Tomassi