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L’undici settembre del 2001 è stato senz’altro uno dei giorni più bui della storia contemporanea.

L’immagine delle Twin Towers che spariscono nel nulla circondate da una nuvola di polvere rimarrà, probabilmente per sempre, negli occhi di milioni di persone, non solo americane, che, fino a quell’infausto giorno non avevano mai creduto di poter conoscere un piano di morte così terribile e perfetto se non per averlo visto nel copione di un improbabile film. E invece era realtà.

Ma la cosa più terribile è che quei seimila morti, le telefonate di addio di chi non aveva più speranze, i salti disperati mano nella mano giù dalle torri, i pianti, la disperazione, il fuoco, non sono stati altro che l’inizio di qualcosa di molto più grande che ci sta travolgendo e che rischia di cambiare, di sconvolgere, le nostre vite per sempre.

L’angoscia del popolo americano, la necessità per il Presidente Bush di mostrare che gli USA non sono sconfitti né domati, hanno portato ad una reazione contro il terrorismo islamico che può essere riassunta in una semplice e terribile parola: GUERRA.

Dopo quasi un mese di discussioni, ricerche e indagini, infatti, l’occhio accusatore del mondo intero si è puntato su un solo paese, l’Afghanistan, reo di ospitare e proteggere il presunto mandante della strage delle Twin Towers, il terrorista Bin Laden. Gli Stati Uniti dichiarano apertamente, ma senza presentare alcuna prova ai propri alleati, che lui è il loro nemico e, con lui, ogni paese del mondo che decida di aiutarlo avallandone così l’operato.

O con noi o contro di noi; questo è stato il motto del Presidente Bush, che si è apprestato all’attacco con il consenso di circa il 90% del suo popolo.

Il 7 Ottobre si è quindi segnata una nuova svolta negli eventi e sono cominciati i bombardamenti sui maggiori obiettivi militari talebani. Il governo americano ha assicurato che la guerra è e sarà contro i terroristi e non contro la popolazione ma ormai è notizia di tutti i giorni la presenza di civili tra le vittime.

E così, appena entrati nel ventunesimo secolo, dopo 50 anni trascorsi alla ricerca di una pace solida e duratura, ci ritroviamo nuovamente a mettere a repentaglio ciò che avevamo duramente conquistato.

Non si vuole con questo affermare che l’attuale condotta statunitense sia interamente da condannare. Non si può infatti pensare di tacere e di rimanere inermi di fronte alla crudeltà ed all’efferatezza di un popolo, quello dei terroristi islamici, che nascondendosi dietro la propria religione, uccide senza pietà dei poveri innocenti.

Tutto il mondo è insorto contro gli atti terroristici in questione; ogni governo occidentale ha offerto il proprio sostegno, anche militare, all’azione americana ritenuta da tutti una giusta risposta alla distruzione subita. Anche alcuni paesi orientali si sono mostrati solidali con le ragioni statunitensi arrivando addirittura a mettere a disposizione dell’esercito USA i propri aeroporti anche se con la condizione di non far partire da essi azioni offensive.

Tutto ciò succede però solo nelle sfere politiche di paesi come il Pakistan dove la popolazione, in gran maggioranza islamica, appoggia, almeno in parte, le ragioni della guerra santa talebana. E’ di questi giorni infatti la notizia che migliaia di persone cercano di varcare i confini Pakistani per combattere al fianco dei loro “fratelli” talebani.

Ancora peggiori sono le notizie che ci raccontano dell’ uccisione, in quelle regioni, di molti cristiani trucidati in nome di una guerra di religione che noi non stiamo combattendo.

Gli equilibri degli schieramenti sono quindi tuttora molto instabili e, dopo tre settimane di continui raid aerei senza grandi risultati, anche l’opinione pubblica americana sembra essere più titubante rispetto a poco tempo fa in merito al questa guerra “giusta”. Ma si può veramente mai parlare di guerra giusta? Davvero non c’era niente che si potesse fare per evitare di distruggere ancora altre vite ed altri mondi? Certamente dopo l’undici settembre tutto ciò che sta accadendo si è rivelato inevitabile, ma non si poteva porre prima rimedio a questa situazione? Gli avvenimenti di New York, per quanto terribili e assolutamente da condannare, hanno evidenziato la presenza di un sentimento antiamericano che non può essere sorto dal nulla e che ha le proprie profonde radici nella politica occidentale da sempre adottata in questi territori.

Il supporto incondizionato offerto ad Israele, le politiche di aiuti umanitari che più che sfamare hanno affamato, le restrizioni economiche adottate per strangolare regimi non graditi, sono fatti che non possono essere negati e che hanno corroso il sottile equilibrio che ancora manteneva la pace in questa parte del mondo.

Non si possono, con ciò, giustificare azioni di terrorismo che hanno portato la paura in tutto il mondo; siamo purtroppo entrati in un tunnel senza uscita nel quale dobbiamo aspettarci ancora molti bombardamenti e ancora altri atti terroristici non solo negli Stati uniti ma anche in altri paesi che appoggiano le azioni militari o partecipano ad esse.

Le previsioni parlano dunque di una guerra lunga e difficile nella quale nessuna delle parti si tirerà indietro prima di trovarsi definitivamente distrutta e sconfitta.

Tutti saremo, in qualche modo, colpiti da questo orrore e dovremo imparare a convivere con il pensiero che, anche se le nostre vite proseguiranno apparentemente normali, laggiù, in quella parte del mondo, qualcuno sta morendo.

Dovremo poi, quando tutto questo sarà finalmente concluso, riflettere se cambiare le nostre politiche di intervento per far sì che la morte e la distruzione a cui stiamo assistendo, non entrino più nelle nostre case.

Valentina Tomassi