Licenziamento in tronco per spaccio di stupefacenti.
Costituisce giusta causa di licenziamento la condanna per spaccio di sostanze stupefacenti irrogata nei confronti del lavoratore, ancorché non vi sia un danno patrimoniale per il datore di lavoro e sis tratti di comportamento estraneo all'esecuzione della prestazione lavorativa, giacché il grado di disvalore sociale a tale reato incide notevolmente sul rapporto di lavoro in corso, soprattutto quanto quest'ultimo, per le sue caratteristiche, disvalore sociale connesso a tale reato incide notevolmente sul rapporto di lavoro in corso, soprattutto quando quest'ultimo, per le sue caratteristiche. Richieda un peculiare margine di fiducia e di affidamento.
Con ricorso ex art. 414 cod. proc. Civile al Pretore di Pesaro - Giudice del Lavoro il sig. Isidoro Pizzitola impugnava il provvedimento di licenziamento per giusta causa irrogatogli in data 7 maggio 1996 dall'ENEL s.p.a. - alle cui dipendenze prestava servizio - e ne chiedeva l'annullamento con conseguente reintegra del posto di lavoro e condanna all'Ente al risarcimento del danno. Il ricorrente, a sostegno di tale domanda, esponeva che: a) in data 13 luglio 1995 era stato arrestato in flagranza di reato per detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti; b) lo stesso 13 luglio 1995 era stato sospeso dal lavoro; c) in data 30 ottobre 2000 1995 la misura della custodia cautelare in carcere era stata sostituita con gli arresti domiciliari con la possibilità di poter svolgere attività lavorativa. A partire dal 31 ottobre 1995 l'Ente lo riammetteva in servizio. D) con sentenza del 19 marzo 1996 era stato condannato dal G.I.P. di Pesaro alla pena di anni tre e otto mesi di reclusione e di L. 24.000.000 di multa; e) con lettera del 10 aprile 1996 l'Ente gli aveva contestato ex. art. 35 C.C.N.L. che "la sua condotta, oltreché illecita sul piano dell'ordinamento generale, non poteva non assumere particolare rilievo anche sotto il profilo disciplinare dal momento che proiettava un effetto negativo sull'immagine dell'azienda e si configurava e si configurava comunque tale da far venire meno radicalmente la fiducia dell'Ente nei suoi confronti; f) con lettera del 7 maggio 1996 l'Ente gli aveva irrogato il licenziamento in tronco ex primo comma, sub g, dell'art. 35 C.C.N.L.; g) tale provvedimento disciplinare era illegittimo per sussistenza della giusta causa, tardività dell'intimazione del licenziamento, mancanza di motivazione nel cennato provvedimento e, gradatamente, per il mancato passaggio in giudica della sentenza penale di condanna. Si costituiva in giudizio l'ENEL s.p.a., impugnando estensivamente la domanda attorea e chiedendone il rigetto, e l'adito Giudice del Lavoro respingeva integralmente il ricorso del Pizzitola e lo condannava alle spese di giudizio. A seguito di appello della parte soccombente, il Tribunale di Pesaro - quale giudice del lavoro di secondo grado - rigettava l'appello e condannava l'appellante alle spese di giudizio. Per quanto rileva ai fini del presente giudizio il Giudice di appello ha rimarcato che: A) "l'intima connessione tra le abitudini private del Pizzitola e la qualità della prestazione lavorativa svolta, proprio con riferimento al grado particolarmente elevato di allarme sociale che suscita il crimine commesso, sia in se che per la carica criminogena che tale comportamento assume, non solo mina l'affidamento del datore di lavoro in ordine al corretto e decoroso svolgimento della prestazione lavorativa del ricorrente ma provoca degli oggetti riflessi negativi nell'ambiente di lavoro in vista della presumibile e giustificata ritrosia e resistenza dei colleghi nell'ambiente di lavoro in vista della presumibile e giustificata ritrosia e resistenza dei colleghi di lavoro a collaborare con l'appellante.