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SENTENZA DEIIA CORTE DI CASSAZIONE n. 14671, Sez. lavoro, del 3 ottobre 2000, dep. 13 novembre 2000 - Pres. lanniruberto; Rel Sciarelli; P.M. Bonajuto; Glaxo Wellcome s.p.a. c. Villardita

Diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro Il comportamento del lavoratore che faccia pervenire a più persone, sia all'interno che all'esterno della società di cui è dipendente, una denuncia-querela contenente pesanti critiche nei confronti di alcuni dirigenti, sfociano anche in espressioni ingiuriose e diffamatorie, non costituisce giusta causa di licenziamento qualora il lavoratore, pur esagerando nelle sue affermazioni, abbia tuttavia cercato di provocare dei mutamenti all'interno di un'azienda in crisi ed abbia quindi agito nell'interesse sia personale, in quanto lavoratore, sia dell'azienda, né abbia incrinato la fiducia della società datrice di lavoro nei suoi confronti .

Svolgimento del processo.


SENTENZA DEIIA CORTE DI CASSAZIONE n. 14671, Sez. lavoro, del 3 ottobre 2000, dep. 13 novembre 2000 - Pres. lanniruberto; Rel Sciarelli; P.M. Bonajuto; Glaxo Wellcome s.p.a. c. Villardita

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Beatrice Villardita, con ricorso al Pretore di Verona del 4-10-1996, esponeva di essere stata dipendente, con qualifica di impiegata, della Glaxo Wellcome s.p.a.; che, in data 11-8-1996, la società le aveva contestato, ai sensi dell'ari. 7 Stat. lav., di avere trasmesso a più persone, sia all'interno che all'esterno dell'azienda, copia di una denunciaquerela da lei presentata, a carico di Sciaccheri Giammarco e di Cavicchini Giovanni Battista, in data 4-8-1996, nella quale erano contenuti giudizi e valutazioni denigratori e offensivi nei confronti della dirigenza aziendale; che, presentate, in data 15-8-1996, le proprie giustificazioni, essa ricorrente, pochi giorni dopo, aveva ricevuto lettera di licenziamento per giusta causa; chiedeva dichiararsi l'illegittimità del licenziamento intimatole per giusta causa il 19-9-1996 e la condanna di detta società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.

La società chiedeva il rigetto della domanda, che, però, il Pretore accoglieva.

La società, con ricorso del 31-7-1997, proponeva appello, del quale la lavoratrice chiedeva il rigetto.

il Tribunale di Verona, con sentenza depositata il 2~2-l998 confermava la sentenza impugnata;

La Glaxo Wellcome s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione illustrato da memoria..

La lavoratrice ha depositato controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, disattesa l'eccezione di improcedibilità del ricorso, avanzata con l'affermazione che non sarebbe stata dimostrata la sussistenza dei poteri di rappresentanza della società da parte del dott. Francesco Ferri, il quale ha sottoscritto la procura a margine del ricorso per cassazione.

E' stata depositata, infatti, dalla società, in data 26 aprile 1999, procura al Ferri per atto del notaio Peloso del 16 ottobre 1996 (quindi, anteriore alla proposizione e alla notifica del ricorso per cassazione) con la quale si conferivano al Ferri poteri sostanziali e processuali di rappresentanza della società, quali quelli di " definire, modificare e formalizzare tutti gli elementi dei rapporti di lavoro con operai, impiegati e quadri, ivi compresi, a titolo esemplificativo e non tassativo, riassunzione ed il licenziamento " e, per quel che maggiormente interessa la fattispecie ", di rappresentare la società " nelle controversie di lavoro sia davanti all'autorità giudiziaria, sia in sede stragiudiziale " con potere di " nominare e revocare avvocati, procuratori e difensori ".

Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, con esso la società lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2105, 2119, 1175 e 1375 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Si deduce che il Tribunale, pur riconoscendo la portata offensiva e diffamatoria, nei confronti della dirigenza aziendale, di alcune affermazioni contenute nella denuncia-querela presentata dalla Villardita, ha tuttavia escluso la sussistenza della giusta causa di licenziamento in considerazione del " tenore non particolarmente grave e intollerabile delle espressioni ingiuriose " (pag. 6) e della limitata diffusione del documento, fatto pervenire ad una ristretta cerchia di persone. Che la contestazione aveva fatto riferimento, in particolare (pag. 6), alle seguenti affermazioni della denuncia-querela: " ci sono dirigenti e quadri aziendali che lasciano molto a desiderare sotto il profilo professionale. Tra di essi ci sono persone con un livello di cultura molto basso e con un quoziente di intelligenza che sarebbe interessante misurare... questa strana gestione del personale deontologicamente non corretta porta molti incapaci al vertice ed è causa, quindi, di crisi aziendali che sfociano nella cassa integrazione... quel dirigente (dott. R.F.) che non si è accorto che con qualche modifica organizzativa si poteva risparmiare un milione al giorno e con qualche altra modifica... si potevano risparmiare 600-800 milioni l'anno, ora è diventato Direttore Generale ".
Che il contenuto della suddetta denunzia era stato trasmesso a più persone; all'interno dell'azienda: al dott. Leoni, Presidente della società, nonché al sig. Correzzola, diretto superiore della Villardita; all'esterno: a R.P. Sukes e S.P. Lance, Chief Executive ed Executive Director della società Glaxo Wellcome p.l.c.., con sede a Londra (società capogruppo).

La società ricorrente afferma, in particolare, l'erroneità della sentenza del Tribunale, in quanto la divulgazione di accuse idonee a ledere l'onore e la reputazione del datore di lavoro esorbita dal legittimo esercizio del diritto di critica, contrastando con l'elemento fiduciario necessario per la prosecuzione del rapporto (si cita Cass. n. 1173 del 1986). In particolare, si evidenzia che il Direttore Generale della società era stato tacciato di incapacità. Che il comportamento contestato non può essere giustificato con l'esercizio del diritto di ricorrere all'autorità giudiziaria per la tutela dei propri interessi. Che il numero dei destinatari, ancorché limitato, sarebbe tale, comunque, da consentire il concretarsi del reato di diffamazione " cioè di una figura tipica di aggressione dell'altrui onore e reputazione ". Che il comportamento della Villardita (pag. 11) avrebbe incrinato la fiducia che i vertici aziendali potevano avere nei confronti della medesima. Che il diritto di critica, spettante al lavoratore, non gli consente di ledere, sul piano morale, l'immagine del proprio datore di lavoro (si cita Cass. n. 7884 del 1997).

Il motivo è infondato.
Lo stesso ricorso per cassazione (pagg. 7 e 8) dà atto che vi era stata una crisi aziendale e il conseguente ricorso alla cassa integrazione.
La trasmissione della denunzia-quereìa ai vertici societari corrispose a quel momento. Trova, dunque, conferma, nella stessa circostanza indicata in ricorso, quanto affermato dal Tribunale e, cioè, che il comportamento dell'attrice era ispirato dal desiderio di tutelare i propri interessi e dalla situazione di disagio della donna all'interno dell'azienda.
Nella denuncia querela si faceva un chiaro riferimento alle frequenti crisi aziendali ed è, invece, un dato di fatto l'interesse del lavoratore al buon andamento dell'azienda in cui lavora, da cui discende la sua sicurezza del posto e della retribuzione.
Dal brano riportato della denuncia-querela emerge chiaramente il convincimento della parte attrice che la crisi della società fosse dovuta ad una erronea condotta della gestione da parte della direzione.
Sulla spinta di detto convincimento la dipendente trasmise copia della denuncia-querela ai vertici del management.
In ordine all'esercizio del diritto di critica non occorre che il convincimento dell'esponente debba necessariamente risultare esatto, bensì si richiede, soltanto, che esso sia espresso in modo corretto e, ancorché critico, sia esposto in maniera tale da conciliare l'esigenza di esprimere appieno il proprio pensiero con l'esigenza di non travalicare, senza necessità, i limiti imposti dal rispetto per la personalità altrui.
Orbene, il Tribunale, nella fattispecie, pur rilevando che l'attrice, nella denuncia-querela, era andata oltre i limiti di un corretto esercizio del diritto di critica, ha rilevato, altresì, che, tenuto conto della necessità di tutela dei propri diritti, detta esorbitanza non appariva tale da giustificare il più grave provvedimento disciplinare, cioè la sanzione espulsiva.
In altre parole il Tribunale, cui spettava giudicare se la sanzione era proporzionata o no al comportamento tenuto dall'attrice, ha sostanzialmente ritenuto che la sanzione irrogata fosse eccessiva e, quindi, sproporzionata rispetto alla mancanza, peraltro indubbiamente esistente.
A questa Corte compete, soltanto, di sindacare se l'espresso giudizio di sproporzione tra la sanzione e la mancanza della lavoratrice sia stato sufficientemente e logicamente motivato.
Orbene, si ricava da quanto più sopra esposto che il Tribunale ha esposto un motivato giudizio di sproporzione tra il comportamento della lavoratrice e la sanzione conseguente irrogatale, pervenendo alla conclusione che, stante la situazione che aveva determinato detto comportamento da parte della lavoratrice, mirato alla " tutela dei suoi diritti " (cfr. sentenza del Tribunale), il comportamento medesimo, ancorché non consentito, non appariva tale da meritare la massima sanzione, cioè quella di carattere espulsivo.
Per quanto attiene alla circostanza che la denuncia sia stata comunicata a più persone, emerge dallo stesso ricorso che essa, in realtà, fu comunicata a quattro persone, di cui due erano superiori dell'attrice e due erano dirigenti della Società capo-gruppo, per cui la trasmissione del documento si spiega con l'intendimento di dover informare dei fatti chi poteva incidere sulla gestione dell'azienda e, cioè, dal proposito di conseguite una linea aziendale consona alla tutela della propria posizione lavorativa e dei propri diritti.
Con logica motivazione i giudici di merito hanno, di conseguenza, escluso che il comportamento in esame fosse tale da incrinare obiettivamente la fiducia della società datrice di lavoro e, per essa, della sua dirigenza nel suo complesso verso l'attrice, non essendo consequenziale al comportamento stesso il giustificato timore che l'attrice medesima, in futuro, potesse venir meno ai suoi doveri.
il motivo va, dunque, rigettato.
Col secondo motivo, si deduce la violazione e applicazione dell'art. 3 della L. n. 604/66 e
Gli artt. 2105, 1175, 1375 c£. (art. 360 n. 3 c.p.c.); omessa, insufficiente e contraddittoria motiva su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Si afferma che, comunque, il comportamento della Villardita avrebbe costituito, quanto meno, un giustificato motivo soggettivo di licenziamento ex art. 3 della L. n. 604/66. Che il comportamento della lavoratrice avrebbe costituito un notevole inadempimento e una violazione dell'obbligo di correttezza, imposto anche dalla contrattazione collettiva (art. 48), e di quello di fedeltà.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale, in base, sostanzialmente, agli stessi argomenti con i quali l'a escluso una giusta causa di licenziamento, ha escluso, altresì, la ricorrenza di un giustificato motivo soggettivo, " di portata tale da giustificare il licenziamento della dipendente ".
La motivazione appare logica e sufficiente, nonché conforme a diritto: gli Stessi argomenti che hanno portato ad escludere la sussistenza di una giusta causa di portata tale da giustificare il licenziamento, militano per escludere la sussistenza di elementi idonei a configurare un giustificato motivo soggettivo che portasse al medesimo risultato: infatti, alla stregua del contesto in cui è avvenuta la comunicazione della denuncia-querela, da parte dell'attrice, ai propri superiori e al management della società capo-gruppo, l'intento offensivo e denigratorio appare sfocato e ridotto dal proposito, indipendentemente dalla sua fondatezza, di provocare un cambio della linea aziendale con la scelta di altra più conforme agli interessi della società e, quindi, anche dei lavoratori.
In particolare, come si è già detto, il Tribunale ha ragionevolmente escluso che il comportamento dell'attrice fosse tale da far temere che la stessa potesse venir meno, in futuro, ai propri doveri.
il ricorso va, dunque, rigettato.
Ragioni di giustizia inducono a compensare fra le parti le stesse di questo giudizio di cassazione.


P.O.M.

Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.