La sentenza non fa altro che riaffermare il principio della teoria condizionalistica orientata sotto il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche: il metodo individualizzante
che basa l'accertamento del rapporto di causalità su accadimenti singoli e concreti, non importa se unici o riproducibili in futuro; da questo punto di vista, il Giudice si comporterebbe come lo "STORICO", il quale nel ricostruire le vicende si limita ad individuare connessioni tra eventi ben
determinati e circoscritti, senza preoccuparsi di rinvenire leggi universali in cui sussumere il rapporto tra i singoli accadimenti. In questo contesto, la prova del rapporto di causalità tra un antecedente e un conseguente è fornita dallo stesso accadimento dei fatti, dalla stessa successione temporale che lega il secondo al primo:
"post hoc propter hoc!". Il metodo generalizzante invece è ancorato a leggi generali che individuano rapporti di successione
regolare tra l'azione criminosa e l'evento considerati non già come accadimenti singoli ed unici, ma come accadimenti "ripetibili": è la Teoria Condizionalistica sotto la sussuzione di leggi scientifiche. Ora nessun problema sorge se la legge su cui si basa il Giudice è una legge scientifica certa. Ma cosa succede nel caso in cui
ad un evento segue il verificarsi di un altro evento soltanto in una certa percentuale di casi? Tali leggi sono tanto più dotate di validità scientifica, quanto più siano suscettibili di trovare applicazione in un numero sufficientemente alto di casi e di ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili.
Quindi è sufficiente, ai fini della configurabilità di un nesso causale, far ricorso a leggi statistiche, proprio come ribadisce la sentenza su esaminata.
(Infatti la sentenza era stata emessa in seguito alla morte di un lavoratore per asbestosi in cui si è ritenuto che l'esposizione alle polveri di amianto per quattro anni successivi alla contrazione della malattia, durante i quali il datore di lavoro non aveva in alcun modo provveduto a ridurre l'incidenza delle polveri, avesse aggravato la malattia e fosse pertanto in rapporto causale con l'evento; allo stesso modo va deciso un caso in cui,
nella zona dov'era sita una fabbrica di alluminio che emetteva fumi all'esterno, aveva provocato negli abitanti della zona manifestazioni cutanee morbose a carattere epidemiologico (c.d. macchie blu), lamentando anche danni alle bestie e alle colture (caso tratto da Trib. Rovereto, 17 gennaio 1969, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 1021 con nota Nobile e riportato sul Mantovani Diritto Penale Parte Generale Terza Edizione Zanichelli Editore pg. 195).
In questa ottica può essere giudicato il caso delle leucemie provocate ai miliari italiani nei territori della ex-Jugoslavia. La teoria condizionalistica, che è la teoria recepita dall'art. 40 c.p., presta il fianco a delle obiezioni critiche che sono difficili da non considerare: infatti la teoria dell'eliminazione mentale, "condicio sine qua non", non spiega perché, in assenza
di un'azione, l'evento non si sarebbe verificato. Il ricorso al sistema dell'eliminazione mentale presuppone, invece, che il soggetto sappia in anticipo se, in genere, sussistano rapporti di derivazione tra antecedenti e conseguenti di un certo tipo. Si può, ad esempio, senza difficoltà affermare che, in mancanza di un colpo di pistola al cuore, la vittima non sarebbe morta perché esiste la legge empirica capace di spiegare che una pallottola sparata
nel cuore di una persona produce la morte della stessa. Ma QUID nel caso delle leucemie dei soldati nei paesi dell'Ex-Jugoslavia?
Il ricorso all'utilizzo della Teoria Condizionalistica sotto la sussunzione di leggi scientifiche, anche statistiche, è quella che sembra meglio da utilizzare in questo caso.
Facciamo un esempio: sappiamo che la forma di leucemia che ha colpito gli italiani all'estero, è una forma fulminante che colpisce giovani di età compresa tra i 18 e i 40 anni con rara frequenza. Le forme tumorali umane sono di moltissimi tipi e tutte colpiscono l'uomo in forme percentuali che variano a seconda dell'età, colpendo
i vari organi del corpo con una incidenza pari al 5% (il dato bisogna prenderlo con beneficio d'inventario in quanto non sta a me divulgare dati che non mi competono) per una forma tumorale quale il cancro allo stomaco, il 5% circa al fegato e così via....
Possibile che tutte le forme tumorali insorte nei giovani soldati mandati in Bosnia prima e in Kosovo dopo, siano di un solo tipo e cioè del medesimo tipo di leucemia? Chi può dire che in futuro, a causa della medesima esposizione, non si avranno altri casi di tumore, magari di diverso tipo,
che necessitano, per insorgere, di tempi più lunghi?
E' di intuitiva evidenza come non si possa pretendere che, in sede di accertamento giudiziale, si privilegino - in quanto tendenzialmente dotate di maggiore certezza - le sole leggi causali-universali. Contro una simile limitazione depone, invero, la stessa realtà del processo penale: il fatto oggetto di imputazione è di regola riconducibile ad una serie numerosa di antecedenti, i quali a loro volta rimandano ad
altrettante leggi causali, la cui conoscenza non di rado è poco accessibile non solo al giudice ma anche a cerchie più ristrette di competenti. Sicché, se si vuol evitare di rendere aleatorio il perseguimento degli scopi preventivi e repressivi del diritto penale, è giuocoforza ammettere che alle
esigenze tipiche del processo corrisponde anche un accertamento basato su leggi statistiche.
Ma una spiegazione statistica del nesso causale deve, per risultare davvero attendibile, obbedire a precise condizioni: perché l'evento risulti attribuibile all'agente, in questo caso all'uranio impoverito, si deve essere in grado di asserire che, in mancanza del comportamento dell'agente, l'evento stesso con un altro grado di probabilità, non si sarebbe verificato. Ciò non equivale
a pretendere di fissare una volta per tutte un grado minimo di probabilità per attribuire ad un antecedente la sussistenza del rapporto causale con un fatto conseguente: la percentuale di probabilità, variando necessariamente da caso
a caso, potrà essere determinata soltanto tenendo conto delle peculiarità dei fenomeni di volta in volta considerati.
E' stata istituita una Commissione dell'O.N.U. atta a raccogliere dati da utilizzare in eventuali processi nei confronti dei responsabili dell'accaduto e già le prime ricerche hanno dato dei risultati incoraggianti per le famiglie delle vittime che ora chiedono giustizia.
L'organo giudicante dovrà attenersi a quanto la sua coscienza gli detterà al momento di emettere la sentenza perché nessuno di noi non potrà mai dire con certezza che l'esposizione dei militari in questione all'uranio impoverito abbia provocato il cancro.
E forse, come è accaduto in passato, ci dimenticheremo presto dell'accaduto, ritornandoci solo nelle fasi salienti, magari tra 10 anni, tra certezze e smentite, tra l'affermarsi dei poteri delle autorità che vogliono coprire ovvero nascondere la verità e chi invece pretende giustizia e vuole che la verità stessa venga fuori.
Posso concludere dicendo che è prematuro asserire se veramente esistono delle responsabilità penali; certo è che l'esposizione all'uranio impoverito non fa bene............
Dr. Alessandro Ludovici