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Offese dei tifosi e divieto di accesso agli stadi. SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 7534, Sez. I penale, del 17 gennaio 2002, dep. 26 febbraio 2002.

La semplice offesa ai tifosi di una squadra di calcio avversaria non è sufficiente per poter disporre il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche. Tale divieto, infatti, può essere disposto soltanto confronti di chi commette atti di violenza o di istigazione alla violenza.

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 7534, Sez. I penale, del 17 gennaio 2002, dep. 26 febbraio 2002 - Pres. D'Urso; Rel. Gemelli.

Il Questore di Roma, con provvedimento in data 9-5-2001 emesso ai sensi dell'art. 6 Co. 1 L. n. 40 1/89, ha disposto il divieto di accesso ai luoghi indicati da detta norma e - per quanto interessa - ha prescritto a S.M. di presentarsi presso un comando di polizia in Roma ai sensi del secondo comma del citato art 6. Ciò in quanto il suddetto si era recato sugli spalti dello stadio " Olimpico " per prendere le " misure " per la realizzazione di una coreografia altamente offensiva ("Roma merda") poi effettivamente realizzata.

Su rituale richiesta del P.M., il G.I.P. del Tribunale di Roma ha convalidato la prescrizione del Questore con ordinanza del 23-5-2001, argomentando che " la scritta in questione appare non solo offensiva ma anche capace di scatenare azioni e reazioni violente nel contesto delle competizioni calcistiche... caratterizzate da violente contrapposizioni tra gruppi di tifosi ".

Ha proposto ricorso l'interessato deducendo l'inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'emissione del provvedimento amministrativo in quanto " la scritta offensiva "non può " costituire atto di induzione o inneggiamento o incitamento alla violenza nei confronti della tifoseria avversaria ".

Chiede, pertanto, l'annullamento dell'impugnata ordinanza.

Va premesso che la convalida del G.I.P. ha riguardato la prescrizione di cui al secondo comma dell'art. 6 citato: l'atto del questore col quale è stato imposto il divieto di cui si è fatto cenno è un atto amministrativo, escluso dal thema decidendum che attiene alla limitazione della libertà, costituzionalmente presidiata (art. 13 co. 3 della Costituzione), intaccata dalla suindicata imposizione (obbligo di presentazione).

Ciò precisato, va posto in rilievo che la legge antiviolenza in occasione di manifestazioni sportive (L. 19-10-2001 n. 377 di conversione del D.L. 20-8-2001 n. 336) all'art. 2-bis co. 2 contiene una norma d'interpretazione autentica del primo comma dell'art. 6 L. 401/89, la quale stabilisce che " per incitamento, inneggiamento e induzione alla violenza deve intendersi la specifica istigazione alla violenza in relazione a tutte le circostanze indicate nella prima parte del comma ".

Orbene, la specificità voluta dalla legge, all'evidente fine di una congrua valutazione dei comportamenti in questione per non limitare al di là del necessario il diritto di manifestare liberamente (art. 21 della Costituzione), significa che le offese e le indirette induzioni alla violenza in forma di provocazione - è proprio il caso in esame - restano fuori dall'ambito dell'applicazione della suindicata norma.

Conseguentemente, va annullata senza rinvio l'ordinanza impugnata nei termini di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio l'ordinanza di convalida della prescrizione imposta ai sensi dell'art. 6 Co. 2 L. 401/1989 dal Questore di Roma e per l'effetto ne dichiara l'inefficacia.

Pubblicata su "Il Mondo Giudiziario" dell'8 aprile 2002.