Aggiungi Guidaldiritto.it ai preferiti

Fai di Guida al Diritto la tua pagina predefinita cliccando qui.

Cass. penale, sez. I, 12-03-1997 (11-02-1997), n. 2390: Esercizio abusivo di una professione. Dentista e odontotecnico. Art. 348 c.p.. Impugnazioni e argomentazioni valide per la decisione del giudice di secondo grado.

Pres. La Cava P - Rel. Bardovagni P - P.M. (Diff.) Iadecola G - Imp. De Luca

IMPUGNAZIONI (COD. PROC. PEN. 1988) - APPELLO - COGNIZIONE DEL GIUDICE D'APPELLO - CAPI DELLA SENTENZA E PUNTI DELLA DECISIONE - Nozione - Conseguenze.

Ai fini della individuazione dell'ambito di cognizione attribuito al giudice di secondo grado - limitato, in forza del primo comma dell'art.597 cod. proc. pen., "ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti" - per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione, perché queste riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento. Ne deriva che il giudice dell'impugnazione può, in ordine alla parte della sentenza autonomamente considerabile che riguarda una specifica questione decisa in primo grado, pervenire allo stesso risultato cui è giunto il primo giudice anche sulla sola base di considerazioni ed argomenti diversi da quelli considerati dal primo giudice, o di dati di fatto non contestati e risultanti dagli atti, anche se non valutati in primo grado, senza con ciò violare il principio dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - DELITTI - DEI PRIVATI - ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE - Professioni sanitarie - Odontotecnico che abbia rapporti diretti con il cliente - Sussistenza del reato - Fattispecie: ritenuta responsabilità, a titolo di concorso, anche del medico dentista titolare dell'ambulatorio.

Commette reato di abusivo esercizio della professione di dentista l'odontotecnico che svolga attività, riservata al medico, di visita e diretto intervento sul paziente. Infatti, in virtù dell'art.11 R.D. 31 maggio 1928 n. 1334 - norma extrapenale integratrice del precetto penale contenuto nell'art. 348 cod. pen. che punisce l'abusivo esercizio di una professione - è escluso ogni rapporto diretto fra paziente ed odontotecnico, essendo quest'ultimo autorizzato unicamente a costruire apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte fornite da medici chirurghi con le indicazioni del tipo di protesi da eseguire. (Nella fattispecie, i giudici di merito avevano ritenuto la configurabilità del reato di cui all'art. 348 cod. pen., a titolo di concorso, nei confronti di un medico nel cui ambulatorio un odontotecnico aveva provveduto, intervenendo direttamente sui pazienti, alle regolazioni periodiche di apparecchi ortodontici in precedenza impiantati sui pazienti stessi. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto dal medico avverso la sentenza di condanna, ha enunciato il principio di cui in massima).

SENTENZA

sul ricorso proposto da , n. 9.3.1958 a Camposano. avverso la sentenza 7.5.1996 della Corte di appello di Napoli Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso, Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. Bardovagni

Udito il pubblico ministero in persona del dott. Gianfranco Iadecola che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Udito, per la parte precise, l'Avv. Uditi i difensori

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 7.5.1996 la Corte di appello di Napoli, su gravame dell'imputato, riduceva a mesi 3 di reclusione e lire 300.000 di multa la pena inflitta il 29.3.1993 dal pretore di Napoli a per concorso in abusivo esercizio della professione di odontoiatra ed altri reati ad esso uniti in continuazione, non investiti dall'impugnazione.

Propone ricorso il difensore deducendo omessa motivazione quanto alla responsabilita' ed alla mancata concessione della non menzione, travisamento dei fatti e manifesta illogicita'. L'imputazione riguardava l'abusiva pratica di visite e terapie ortodontiche e odontoiatriche da parte di tal , non abilitato, nell'ambulatorio del . Secondo il ricorrente i Giudici di appello avevano motivato con riferimento a circostanze estranee all'imputazione (mancato possesso da parte del , laureato in medicina, della specializzazione di odontoiatra) o non prese in considerazione dal Giudice di primo grado, comunque travisate ed erroneamente ritenute illecite (regolazione da parte del di apparecchi dentali regolarmente applicati dall'imputato). Quanto all'unico episodio di effettivo e comprovato abusivismo da parte del (otturazione di un dente a certo ) essa era avvenuta in assenza del e, secondo la tesi difensiva, per una estemporanea iniziativa del suo collaboratore; mancava in proposito una motivazione circa la consapevolezza e la volonta' del ricorrente di cooperare all'illecito.

Il ricorso e' infondato. La responsabilita' dell'imputato e' stata affermata nel giudizio di appello in base ad un argomento dichiaratamente ed effettivamente decisivo, onde e' superfluo esaminare le altre considerazioni della sentenza impugnata, che hanno carattere soltanto complementare e rafforzativo. La Corte di merito ha evidenziato che, secondo le affermazioni delle testi e , quando furono impiantati ai loro figli apparecchi ortodontici erano presenti sia il , sia il , e fu quest'ultimo a provvedere alle regolazioni periodiche degli stessi "in situ". Trattasi, come si e' visto, di circostanza non contestata, ed anzi ammessa con il ricorso, sicche' non si comprende la doglianza relativa ad un preteso travisamento del fatto. Da essa correttamente i Giudici di merito desumono non solo l'abusivo esercizio di attivita' non consentita al (semplice odontotecnico), ma anche la piena consapevolezza e la cosciente cooperazione all'illecito del . In proposito va richiamato l'insegnamento di questa Corte, secondo il quale commettere reato di abusivo esercizio della professione di dentista l'odontotecnico che svolga attivita', riservata al medico, di visita e diretto intervento sul paziente. Infatti, in virtu' dell'art. 11 R.D. 31.5.1928 n. 1334 - norma extra penale integratrice del precetto penale contenuto nell'art. 348 C.P. - e' escluso ogni rapporto diretto fra paziente e odontotecnico, quest'ultimo essendo autorizzato "unicamente a costruire apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte ... fornite da medici chirurghi ... con le indicazioni del tipo di protesi da eseguire" (Cass., Sez. VI, 12.12.1992, Cagalli). Nel caso di specie, illecito era dunque l'intervento di regolazione operato dal tecnico sulla persona dei pazienti, consapevolmente e preventivamente programmate col consenso del medico. Inaccettabile e' poi l'ulteriore obiezione mossa dal ricorrente all'uso, fatto in motivazione, di tale argomento e delle circostanze di fatto da esso presupposte. Si afferma che, trattandosi di questione non presa in esame dal Giudice di primo grado, ne' menzionata dall'atto di appello, sarebbe stato violato il principio "tantum devolutum quantum appellatum". In realta', ai fini dell'individuazione dell'ambito di condizione attribuito al giudice di secondo grado (limitato, ex art. 597, co. 1, C.P.P., "ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti") per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che puo' essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione perche' queste riguardano il momento logico e non gia' quello decisionale del procedimento. Ne deriva che il giudice dell'impugnazione puo', in ordine alla parte della sentenza autonomamente considerabile che riguarda una specifica questione decisa in primo grado, pervenire allo stesso risultato cui e' giunto il primo giudice anche sulla sola base di considerazioni e argomenti diversi da quelli considerati da il primo giudice (Cass., Sez. I, 12.5.1992, Montagna) o di dati di fatto non contestati e risultanti dagli atti, anche se non valutati in primo grado (cfr. Cass., Sez. VI, 20.7.1992, Barbaro) senza con cio' violare il principio dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione (cfr. da ultimo, Cass., Sez. VI, 24.1.1996, Torrisi). Nel caso di specie, essendo stata la decisione di primo grado impugnata sul punto della responsabilita' per concorso nel reato di cui all'art. 348 C.P., legittima e' dunque l'integrazione della motivazione con nuovi argomenti, operata in sede di appello. Quanto alla non menzione della condanna, essa non e' stata richiesta con i motivi di appello. Poteva tuttavia essere concessa d'ufficio a norma dell'art. 597, co. 5, C.P.P.. Tale applicabilita' d'ufficio rientra peraltro tra i poteri discrezionali del giudice di merito che, ove non intenda concedere il beneficio, non e' tenuto ad una espressa motivazione quando non vi e' richiesta specifica con indicazione degli elementi di valutazione (Cass., Sez. IV, 30.1.1991, Incognito; 4.12.1992, Lo Giudice; Sez. IV 20.5.1993, Rodi; Sez. II 21.8.1993, Todisco). Anche sotto questo profilo la vogliamo fa di mancata motivazione e' dunque infondata.

Il ricorso va pertanto respinto.

P.Q.M

La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Cosi' deciso in Roma, 11 febbraio 1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 12 MAR. 1997