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Falsità ideologica commessa da un notaio. SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 31935, Sez. V penale, del 7 giugno 2001, dep. 27 agosto 2001.

Le novelle legislative degli anni novanta non hanno introdotto cambiamenti sostanziali con riguardo alla qualifica soggettiva di pubblico ufficiale. Di conseguenza, nulla è mai cambiato circa la capacità del notaio di commettere il reato di falsità ideologica in atti pubblici previsto dall'art. 479 cod. pen.

- Pres. Marrone; Rel. Ferrua; P.M. Abbate; Imp. G.M.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza 9-6-1992 il Tribunale di Udine dichiarava G.M. responsabile di falso ex artt. 110, 177 e 479 c.p. (per avere nella sua qualità di notaio, in concorso con L.C., nell'autenticare le firme apposte sul contratto di compravendita nel quale il C. figurava come acquirente, certificato falsamente che le sottoscrizioni dei venditori G.D.F., M.C., N.C. e L.C. erano state apposte in sua presenza; in Udine il 28-12-1988) e, con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, lo condannava a pena ritenuta di giustizia.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Trieste con pronuncia 21-2-2000 avverso la quale l'imputato ha proposto ricorso per cassazione negli infradescritti termini.

1 - Violazione della legge penale e vizio motivazionale per omesso proscioglimento.

In particolare si è rilevato che il fatto ascritto era stato depenalizzato per effetto della legge 86/90 che aveva modificato l'art. 357 c.p., alla luce della quale il notaio non poteva considerarsi pubblico ufficiale, e che la successiva novella introdotta dalla L. 181/92 non era applicabile a fatti anteriormente verificatisi.

La censura sotto il profilo del vizio motivazionale è inammissibile: invero, a fronte di questioni di diritto - e tale è quella circa la rilevanza penale di una determinata situazione alla luce dell'interpretazione delle norme vigenti - ciò che rileva è esclusivamente la correttezza o meno della soluzione adottata indipendentemente dalle giustificazioni poste a base della stessa.

Orbene, dal punto di vista giuridico l'affermazione dei giudici di merito circa l'operatività dell'art. 479 c.p. in relazione alla fattispecie ascritta è esatta ed il contrario assunto difensivo manifestamente infondato.

All'uopo è sufficiente richiamare l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui ai sensi dell'art. 357 c.p., come novellato dalle leggi n. 86 del '90 e n. 181 del '92, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o privati, possono e debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati. In siffatta ottica è stato specificatamente affermato che la sostituzione dell'art. 357 c.p. per effetto dell'art. 17 della L. 86/90 non ha posto una questione di successione dileggi né di jus novum più favorevole all'imputato, in quanto tale ultima norma non ha introdotto sostanziali cambiamenti con riguardo alla qualifica soggettiva di pubblico ufficiale, ma ha soltanto precisato i requisiti contenuti in nuce nella precedente definizione datane dal cod. pen.: conseguentemente, anche prima della sostituzione, nel testo dell'ultima parte del c. 2 dell'art. 357 c.p., delle congiunzioni copulative "e" con quelle disgiuntive "o" ad opera della L. 18 1/92, doveva considerarsi sufficiente, ai fini della qualificazione di pubblico ufficiale, l'esercizio disgiunto del potere autoritativo o di quello certificativo (Cass. S.U. 11-7-1992 n. 7958 RV. 191171).

2 - Violazione di legge e vizio motivazionale in quanto la fattispecie doveva semmai farsi rientrare nell'art. 480 c.p.

Nel rilevare la manifesta infondatezza di questo motivo, basti osservare che costantemente la giurisprudenza di legittimità ha affermato che costituisce falsità ideologica in atto pubblico il fatto del notaio che attesti falsamente essere state apposte in sua presenza sottoscrizioni in calce a dichiarazioni negoziali (Cass. 8-1-1983 n. 136 RV. 156821; Cass. 11-11-1983 n. 9439 RV. 161121; Cass. 4-3-1988 n. 2945 RV. 177808).

3 - Violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al dato materiale.

4 - Violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al dolo. Entrambe le 4enuncie si risolvono nell'assumere, con apodittiche affermazioni di fatto, una valenza delle emergenze in atti diversa da quella di cui al provvedimento impugnato.

5 - Violazione di legge e vizio motivazionale in punto pena.

La censura è manifestamente infondata in quanto il giudice di secondo grado ha operato un corretto riferimento ai parametri legislativamente previsti: gravità del fatto alla luce del contesto in cui si svolse nonché dell'intensità del dolo, e precedente specifico dell'imputato.

Concludendo, s'impone declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna dell'impugnante al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, valutata la vicenda processuale, si stima equo fissare in lire 1.000.000; il predetto deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di lire 1.000.000; condanna il medesimo alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessive lire 3.500.000 di cui lire 500.000 per spese.