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Diffamazione ai danni di un minorenne

Configurabilità – Condizioni

 

La violazione del divieto (prescritto dall’art. 114 VI co. cod. proc. pen.) di pubblicare le generalità e l’immagine di un minorenne testimone, persona offesa o danneggiato da un reato fin quando diventi maggiorenne non integra gli estremi del reato di diffamazione se i fatti pubblicati sono veri ed è stata rispettata la c.d. continenza, ovvero la sobrietà nel riportare le notizie

 

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 37667, Sez. V penale, del 20 settembre 2001, dep. 18 ottobre 2001 - Pres. Foscarini; Rei. Marasca; P.M. Febbraro; Imp. C.R.T.

 

(Abbiamo cambiato arbitrariamente i nomi del processo del processo per non violare la privacy).

 

LA CORTE DI CASSAZIONE OSSERVA

 

Alberto era imputato del delitto di cui agli artt. 57 e 595 c.p. nella sua qualità di direttore del ………… in relazione ad un articolo pubblicato 116 febbraio 1997 ed intitolato Lui, lei ed il miliar­dario”.

Nell’articolo si riferiva che secondo alcuni testimoni la signora Pamela, moglie di Piero, aveva allacciato una relazione sentimentale con il dott. Pietro, all’epoca giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, e che, quando la signora Pamela rimase incinta, nel palazzo di giustizia di Milano vennero diffusi volantini nei quali si sosteneva che si trattava della figlia di Pietro.

 

Con sentenza emessa il 7 gennaio 1999 il Tribunale di Roma aveva assolto Alberto da tale accusa perché il fatto non sussiste e la decisione era stata appellata dal P.G. e dalle parti civili Piero e Pamela, in proprio e quali genitori esercenti la patria potestà nell’interesse di Vanda.

 

Dichiarato inammissibile l’appello ex art. 577 c.p.p. delle parti civili, la Corte di Appello di Roma, con sentenza emessa il 13 aprile 2000, confermava l’assoluzione di Alberto in ordine alla diffama­zione in danno di Piero e Pamela, perché era stato correttamente esercitato il diritto di cronaca.

 

La Corte di merito, invece, affermava la penale responsabilità di Alberto in ordine alla diffama­zione in danno della minore Vanda, perché gli  artt. 114 comma VI c.p.p., 13 comma I D.P.R. 448/88 e 684 c.p. costituiscono un limite insupera­bile per l’esercizio del diritto di cronaca quando la notizia riguardi un minorenne.

 

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione Alessandro che deduceva la violazione della legge penale.

 

Sosteneva il ricorrente che la violazione dell’art. 114 comma VI c.p.p. è autonomamente sanzio­nata dall’art. 684 c.p., perché una cosa è la pubbli­cazione delle generalità e dell’immagine del minore, che sono vietate, altro è l’offesa alla reputazione.

 

Inoltre Alessandro sottolineava che l’art. 13 D.P.R. 448/88 proibisce la diffusione di notizie relative a procedimenti a carico di minori, mentre nel caso di specie si trattava di un procedimento per corruzione a carico di imputati maggiorenni.

 

Il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata, anche perché la valutazione circa l’asserita non essenzialità della notizia —  la pretesa paternità di Gianni — non appare ricondu­cibile all’ambito del « controllo », che il direttore di un periodico è tenuto ad esercitare.

 

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da Alessandro appaiono fondati.

 

In conformità alla direttiva 71 della legge delega, il comma 6 dell’art. 114 c.p.p. dispone il divieto di pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni che siano testimoni, persone offese o danneggiati da reato fino al raggiungimento della maggiore età.

 

L’art. 13 delle disposizioni del procedimento penale a carico dei minorenni prevede un’analoga forma di protezione vietando la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento.

 

La previsione delle due norme rende evidente che il divieto non riguarda soltanto i procedimenti celebrati dinanzi al Tribunale per i minorenni, come ha erroneamente sostenuto il ricorrente, ma tutti i procedimenti penali che vedano coinvolto un minore.

 

La violazione della citata normativa, che, come è ovvio, mira a proteggere il fanciullo che venga coinvolto in un procedimento penale, è sanzionata penalmente dall’art. 684 c.p. e anche disciplinarmente, quando il contravventore sia un pubblico dipendente, come dispone l’art. 115 c.p.p.

 

Dal combinato disposto delle norme richiamate, però, non discende, come sostenuto dalla Corte di merito, un insuperabile limite al legittimo esercizio del diritto di cronaca.

 

Tale diritto, infatti, può essere legittimamente esercitato anche con riguardo ai minori nel rispetto dei limiti indicati dall’art. 114 comma VI c.p.p., in quanto ciò che la norma protegge è il diritto all’immagine del minore, poiché la sua crescita potrebbe essere pregiudicata dalla pubblicazione dei dati personali.

 

Con le opportune cautele è, quindi, possibile raccontare anche fatti che attengono a soggetti minorenni, a condizione ovviamente che i fatti siano veri e che venga rispettata la c.d. continenza, ovvero la sobrietà nel riportare le notizie.

 

Non solo non sussiste il preteso limite insupera­bile al diritto di cronaca, ma non è possibile affermare che la violazione dell’art. 114 comma VI c.p.p., autonomamente sanzionata, automatica­mente integri la violazione dell’art. 595 c.p., che, come è noto, richiede presupposti diversi.

 

L’affermazione di principio della Corte di merito è, perciò, non corretta.

 

Ma nel caso di specie vi erano anche altre particolarità che la Corte territoriale ha omesso di considerare e valutare.

 

L’articolo incriminato in effetti concerneva i rapporti esistenti tra il dottor Pietro, all’epoca giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, ed i coniugi Piero e Pamela, quali erano emersi da un’indagine giudiziaria relativa ad una pretesa corruzione di Pietro in un procedimento penale a carico di Piero.

 

In tale contesto, ed a dimostrazione degli intensi rapporti esistenti, in particolare, tra Pietro e Pamela, moglie di Piero, l’articolista, riportando passi della richiesta di rinvio a giudizio e delle dichiarazioni rese da una persona informata dei fatti, riferiva della relazione sentimentale tra Pietro e Pamela e della possibilità che Vanda, come sostenuto anche da volantini distribuiti all’interno del Palazzo di giustizia milanese, fosse figlia di Gianni.

 

Non sono state affatto espresse valutazioni né giudizi sulla minore, né sono stati raccontati fatti concernenti la sua vita, ma sono stati soltanto riportati i dubbi, giudiziariamente emersi, sulla paternità della ragazza, il cui nome e la cui immagine non erano nemmeno stati diffusi dal giornale.

 

A ben vedere poi la notizia riportata sul punto è che nel Palazzo di giustizia vennero diffusi volantini in cui si sosteneva che Marina era figlia di Gianni.

 

Notizia certamente singolare sia riguardo al contenuto della stessa che alle modalità di diffusione, sicuramente inusuali.

 

Segnale quest’ultimo di possibili aspri contrasti esistenti all’interno del Palazzo di giustizia milanese.

 

La sentenza impugnata dà, inoltre, atto che i fatti sono stati raccontati con sobrietà, sono veri e di pubblico interesse, in quanto relativi ad una pretesa corruzione di un giudice istruttore ed al clima esistente nel Palazzo di giustizia.

 

Infine non appare adeguatamente motivata — sarebbe più corretto dire che è del tutto immoti­vata — l’affermazione sulla pretesa non essenzia­lità della notizia.

 

Sembrerebbe invero potersi ritenere esatta­mente il contrario, perché non vi è dubbio che i rapporti tra due persone siano particolarmente intensi quando si abbia un figlio in comune.

 

Si tratta perciò di un elemento non marginale per valutare il contesto dei rapporti che avrebbero favorito la pretesa corruzione.

 

Non appare, infine, corretta l’affermazione del ricorrente che la non essenzialità della notizia non rientrerebbe nella sfera di controllo del direttore del giornale.

 

Specialmente per notizie ditale delicatezza ed importanza non vi è dubbio che il direttore di un giornale debba verificare se i fatti riportati e raccontati siano connessi alla vicenda esaminata e siano importanti per la corretta comprensione della stessa.

 

Le ragioni indicate impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio.