Storia di Dugenta

Cenni

Il territorio comprende la media valle del Volturno, compresa fra il Matese a nord, il monte Maggiore ad ovest, le colline tifatine a sud, e il Taburno ad est, e comprende una parte della valle Caudina.  In origine (anno 969) e fino a recenti disposizioni, il suddetto territorio era suddiviso in quattro Diocesi: Alife, Telese (poi Cerreto-Telese), Sant'Agata de' Goti (e per breve tempo Tocco Caudio) incluse nell'arcidiocesi di Benevento, e Caiazzo, della chiesa metropolitana di Capua. Col nuovo ordinamento sono state unite nella persona del vescovo di Alife e Caiazzo (arcidiocesi di Napoli), Cerreto Sannita-Telese e Sant'Agata de'Goti (arcidiocesi di Benevento).

 

 

Una nota storica è opportuna per riscoprire le comuni radici dei paesi residenti la valle. Nella storia recente dell'uomo, il territorio appare quasi totalmente sannita. La successiva conquista romana delle roccaforti di Allifae (Alife), Kubulteria (Alvignano), Teleria (Telese), Saticula (Sant’Agata de’ Goti) e del territorio caudino, durò fino al crollo dell'impero romano. Il territorio bagnato dal Volturno e dal Calore, rimase abbastanza compatto nelle circoscrizioni amministrative di Goti e Longobardi.

Ma l'unificazione del territorio fu opera dei normanni. La conquista del principato di Capua, da parte di Riccardo Quarrel, e la fine del principato beneventano, portarono alla unificazione delle contee di Alife, Caiazzo, Telese e Sant'Agata de' Goti col Taburno e la Valle Caudina, nella persona dello stesso signore feudale, il conte Rainulfo Quarrel (1066-1087). Le grandi figure del figlio, conte Roberto (1087-1115 colui che fece edificare anche il castello di Sant'Agata de' Goti e, contemporaneamente, ad esso anche la Chiesa di San Menna ) e soprattutto di Rainulfo di Alife (1115-39) segnarono il periodo d'oro dello stato normanno, detto di Airola, dal nome dell'importante castello prossimo alla pontificia Benevento.

Cronache e documenti di mezza Italia meridionale ci consentono di tracciare un quadro abbastanza confortante delle condizioni di vita generale, complice lo sviluppo del commercio, l'edificazione di nuovi edifici, rocche e castelli, chiese o più grandi cattedrali, in tutte e quattro le città. Un interessante documento, memoratorium, scritto in Sant'Agata, nel maggio del 1122, e conservato nell'Archivio capitolare di Caiazzo, coinvolge le quattro contee, e individui di etnia normanna e longobarda. Nella riunione richiesta da Roberto presbitero abate della chiesa di S.Nicola intra civitatem Kaiatie, alla presenza del giudice Giovanni (in documenti precedenti è detto caiatiano atque allifano iudex) fanno dichiarazione Guglielmo del fu Stefano, ex genere normannorum, e la madre Maria filia quondam Alfani comitis ex civitate Telesina. Essi dichiarano di possedere terre nel comitato telesino per concessione della Chiesa telesina, e per acquisto da Riccardo figlio del fu Enrico di Bellomonte, barone di una rocca in tenimento di Caiazzo. Scrive Petrus clericus et notarius prefate civitatis Sancte Agathe, sottoscrivono Iohannes iudex e Alexius clericus.

Altri documenti, come l'importante donazione del conte Rainulfo II sono redatti in questo periodo a Sant'Agata de'Goti, pur riguardando altre città dello stato.La guerra contro Ruggero II di Sicilia (1132-39) fu combattuta con eroismo da parte delle popolazioni. L'eco della magnifica vittoria in battaglia campale a Nocera nel luglio 1132, da parte di Rainulfo e Roberto di Capua, fu mondiale. Ne parlano, in una lettera, Enrico vescovo guerriero di Sant'Agata, e nella sua biografia di Ruggero II, il grande intellettuale della nostra terra, Alessandro abate del cenobio di San Salvatore Telesino, autore pure della Historia Allifana nella quale racconta il contemporaneo trasporto delle reliquie di San Sisto dal deposito sul Vaticano ad Alife.

Nonostante la conquista di rocche e cittadelle, la precipitosa caduta degli alleati pugliesi contribuì alla resa di Rainulfo, che ottenne, tuttavia, dal cognato re Ruggero, la conferma dello stato e la restituzione della contessa Matilde e del primogenito Roberto. Dopo nuovi venti di rivolta, nel 1135, lasciate indifese dall'esercito comitale, le rocche di Caiazzo e Sant'Agata cedettero dopo assedio, mentre una dopo l'altra furono occupate Alife e la rocca di Rupecanina, Telese, la rocca di Tocco Caudio e così tutti i borghi e castelli.

La riconquista, nel 1137, di Rainulfo al seguito dell'esercito imperiale, la sua investitura nel ducato di Puglia e il governo di Riccardo di Rupecanina, durarono in tutto pochi mesi.

Gli incendi di Alife e Telese, nel 1138, le nuove occupazioni di Caiazzo e S.Agata, la fine a Troia di Rainulfo, che preparava la liberazione delle "sue" città, e infine, la sconfitta a Galluccio di Riccardo, riportarono tutto il territorio nelle mani del re. Le successive discese degli esuli, guidate dall'eroico Andrea di Rupecanina, guerriero dei due imperi, non riunificarono che per brevi periodi le città. Solo alla fine del periodo normanno, Giovanni di Rupecanina, l'ultimo discendente del primo Rainulfo, riuscì a comprendere in un ministato il territorio da Sant'Angelo d'Alife al Taburno, ma senza Telese.

È chiaro che l'unificazione del territorio era finita con la morte di Rainulfo.

 Le più grandi città e i più piccoli centri passarono di mano ai vari signori feudali Svevi, Angioini... che si alternarono nel regno napoletano fino all'unificazione nazionale.

Delle contee normanne non restavano che le quattro Diocesi (Alife, Caiazzo, Cerreto Sannita- Telese e Sant’Agata dei Goti).

Credo sia opportuno precisare, almeno per chi non conosce Dugenta, dov’è situato questo paese.

 

Dugenta si trova nella valle dell’ Isclero, un tempo lago vulcanico, e zona altamente sismica per cui, più volte, fu distrutta da terremoti. Sono rimasti memorabili i terremoti del’11 ottobre del 1125, del gennaio 1349, del 9 settembre 1456, del 5 novembre 1468, del 5 giugno 1688 e del 14 marzo 1702. Questi due ultimi la distrussero completamente. Altro sisma di discreta entità ci fu nel 1930. L'ultimo il 23 novembre 1980, lambì il territorio Comunale, distruggendo, di contro, i territori dell'Irpinia e della Basilicata con migliaia di morti.  

Il territorio beneventano sud-occidentale, che comprende la Valle Caudina, la Valle dell'Isclero e quella del basso Calore, presenta emergenze archeologiche di particolare valenza che si concentrano intorno alle antiche città romane di "Caudium", "Saticula" e "Telesia". La ricerca che la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino, Benevento conduce da circa trent'anni in tale complesso, ha permesso di ricostruire la storia di tali centri, originati da realtà insediative precedenti, in un percorso a ritroso nel tempo nel quale è emerso; in una variegata e ricca massa di dati, l'avvicendamento delle fasi culturali che caratterizzano l'Italia preromana: le frequentazioni preistoriche, la cultura dell'Età del Ferro, la cultura sannitica.
 "Caudium", l'odierna Montesarchio, e "Saticula" , l'odierna Sant'Agata de Goti, nel territorio dell'antico Sannio Caudino, si caratterizzano per la ricchezza delle loro necropoli che hanno restituito corredi tombali significativi di particolare valore artistico e tecnico, espressione del grado di acculturazione raggiunto dalle popolazioni sannitiche fra il VI e il IV sec. a.C. A Sant'Agata dei Goti, nell'alveo del fiume Isclero, é stato rinvenuto un importante giacimento fossilifero con resti di ippopotami, elefanti, rinoceronti, iene, conservati all'interno di sedimenti di un antico lago, riferibile al Pleistocene inferiore - medio (ultimo terziario-primo quaternario, cioè circa 2 milioni di anni fa).

I confini comunali di Dugenta partono dal Volturno ad Ovest, scendendo verso sud si arriva a Terranzano,seguendo l’Isclero controcorrente si arriva al ponte, detto dei “quaqueri”, che passa sopra l’Isclero in località Biferchia e tira su fino a lambire Presta (Plistiam di Tito Livio) fino a giungere la sommità della collina chiamata Torretta, scendendo , poi, per la Piana del mondo, o Scassati, e poi per Monte Leone, o Bosco Cupo, Masseria Vallona, all’Ischitella, al Piano e Fienile, Adocchia, Conca, Fossi, Campo e sale fino a sopra i Guarini (o Tore di San Nicola), per Orcoli e per il primo Torello, per la strada Nazionale statale n.265 e scende nuovamente fino al Volturno.  

Il fiume Isclero nasce in tre rami: rio Varco, rio Cola e rio Querci, che hanno origine fra la Cima Recuorvo (m 968) e il monte Pizzone (m 756), in Provincia di Avellino. Presso Airola riceve a destra il torrente Tesa lungo 10 km che scende dal monte Cesco di Luccaro (m 765) e bagna Montesarchio. Tutti i torrenti attraversano le Valli Caudine. L'Isclero si tuffa nel Volturno presso Limatola.

In altri tempi, prima delle guerre d'Indipendenza Italiana, Dugenta aveva una vera e propria autonomia Comunale, in seguito fu aggregata al Comune di Limatola per poi essere unita a Melizzano, il primo maggio del 1861, per facilitare questo paese ad un maggior sviluppo. E' solo nel 1956 che Dugenta guadagna nuovamente la sua autonomia Comunale.

La divisione dal Comune di Melizzano comportò anche la spartizione della giurisdizione ecclesiastica; infatti, mentre Dugenta dipende dalla Diocesi di Sant’ Agata de’ Goti, Melizzano dipende da Telese-Cerreto Sannita.

Come giurisdizione giudiziaria dipende dal mandamento di Solopaca. Tempo fa la Valle dell'Isclero apparteneva alla provincia Terra del lavoro di Caserta, mentre ora da Dugenta incomincia la Provincia di Benevento.

Il territorio comunale è situato all’imbocco della valle dell’Isclero,provenendo dalla parte di Valle di Maddaloni., percorrendo la statale 265, si arriva alla contrada di Cantinelle, appartenente al Comune di Sant’Agata de’ Goti, attraversando il Ponte dei Quaqqueri  ha inizio il territorio Comunale.

Dopo aver sorpassato il dosso in località Campellone, ci si trova di fronte alle prime case; appena oltrepassatele, in prossimità del ruscello San Giorgio, sulla sinistra, su di un poggio, si notano le rovine del castello Angioino, franato per l'incuria e scarsa manutenzione a febbraio 1980.  

 

Il castello Angioìno, lato sud, come era prima che franasse all'inizio degli anni 80.

 

 

...e come si presenta oggi dopo.

 

Parecchi storici sostengono che qui era sita Orbitania, conquistata da Fabio nel 538 a. C.; secondo alcuni pare che fosse l'antica Trebula Sannitica, secondo altri la Trebula menzionata fosse l'attuale Treglia di Formicola, in provincia di Caserta. Ma se così fosse come si spiegherebbero le parole di Tito Livio il quale scriveva: “Marcellus per agrum saticolanum (Sant’Agata dei Goti) per Plistiam (Presta, contrada di S.Agata) Trebulanunque super Suessulam per Montes Nolem, pervenit, Volturno traiecto”. Fino ad un certo punto apprezzatissimi storici e studiosi d’antichità, non escluso il tedesco Monsen, il quale esaminò questa zona etnica della stirpe italica presente nella Campania Felice con tutte le altre contrade adiacenti sostennero che Dugenta, questo antichissimo castello Angioino era l’antica Trebula Sannitica e l’Agro Trebulano tutta la pianura Dugentese per dove passò Marcello per recarsi da Canosa di Puglia a Nola. Così trovano esatta spiegazione le parole Liviane, difatti Dugenta di oggi, Agrum Trebulanum antiquum, o Trebula, è situata in una vastissima pianura a quasi Oriente, tra Sant’Agata dei Goti di oggi, o Agrum Saticolam, o Saticola, la contrada Presta di oggi è la Plistiam antiqua, ad occidente tiene il Volturno e poi la regione montuosa di Caiazzo e del Matese. Anzi Dugenta, secondo l’opinione dell’illustre archeologo Momsen segna la delimitazione di confine con la Campania con il vecchio Sannio con il quale il Sannio ebbe rapporti di civiltà, di dominio, distinti da quelli Romani. Perciò si può congetturare che Trebula Sannitica sia appunto Dugenta di oggi. Sembra, però, che le parole di Tito Livio non lasciano dubbi in merito al loco. Infatti, Tito Livio è fra gli storici il primo che più diffusamente parla di queste contrade nei suoi libri delle Storie Romane, dove egli fa passare per la via Appia i grandi Romani, Consoli, Proconsoli, Imperatori, i quali vinti e vincitori calpestarono la polvere di questa Regina delle vie del mondo antico, passando per queste contrade, che allora forse non erano meno belle  di oggi. Ed ecco tanti pensieri si affollano alla mente curiosa di sapere la verità ed in una nebbia di tempi lontani, lontani appaiono ora, sul nostro suolo le ombre dei prodi Sanniti, di un Quinto Fabio Massimo, d’un Papirio Cursore, di un Decio Mure, d’un Sempronio Cracco, di un Marcello, di un Annibale (accampatosi con il suo esercito presso il ponte sul Volturno, all’estremità ovest della Valle dell’Isclero, in località Piana di Monte Verna, un tempo Piana di Caiazzo, nell’attesa di sottomettere Roma, dando vita ai famosi Ozi di Capua), e poi di Augusto, di Orazio, di un Virgilio, i quali ultimi due nei loro poemi cantarono pure i vini (famoso il Falerno tanto caro ai Romani) e le biade delle nostre contrade, di Nerone scortato dalle Guardia Pretoriane , e dei cavalieri germanici, coronato di alloro e di un Traiano trionfatore, reduce dalle sue grandi imprese, per Benevento tornando a Roma per questo Agro Dugentese. E poi più appresso i Barbari, Totila, Narsete, Longobardi, Normanni, Goti, Saraceni. Pontefici, Onorio II, Pasquale II, Gregorio VII, Innocenzo III, gli Imperatori Federico d’Aragona, i D’Angiò, Manfredi, il biondo Corradino di Svevia per questa via imperiale, attraversando questo paese, fino agli ultimi combattimenti delle guerre dell’Indipendenza italiana e scomparsa del Regno di Napoli.  

Scorcio del castello Angioìno visto da piazza castello

L’unificazione dell’Italia comportò anche il sopraggiungere del fenomeno sociale più diffuso della seconda metà del 19° secolo: il brigantaggio nell’Italia meridionale. Tale fenomeno politico-sociale diffuso nelle campagne del Mezzogiorno all'indomani dell'Unità d'Italia, associò le forme tradizionali del ribellismo contadino a una violenta protesta contro lo stato italiano, appena costituito, favorita dall'appoggio dei Borboni e del governo pontificio. Il brigantaggio mise radici sulle condizioni materiali e morali in cui vivevano le popolazioni del Meridione ed esplose contro lo stato unitario, che aveva imposto misure amministrative e fiscali considerate esose e punitive.

La dissoluzione dell'esercito borbonico, che reclutava truppe tra i contadini poveri, l'abolizione dei vantaggi dell'ordinamento feudale per i contadini, l'introduzione della leva obbligatoria furono alcune delle ragioni che scatenarono il brigantaggio.

Le bande di briganti colpirono con attacchi e imboscate i soldati e le forze di polizia, assassinando chi si era espresso a favore dello stato italiano e commettendo atti di brutale violenza. La risposta del governo fu prevalentemente repressiva: fu inviato un ingente corpo di spedizione al comando del generale Enrico Cialdini e quindi del generale Alfonso La Marmora, e furono emanate leggi eccezionali (legge Pica del 1863) sotto la giurisdizione dei tribunali militari. Vennero comminate oltre 7000 condanne a morte e uccisi più di 5000 banditi; diversi paesi che avevano solidarizzato con i briganti furono incendiati.

Nella Provincia di Benevento fu abbastanza folta la schiera di briganti; qualcuno afferma che i primi nacquero proprio sulle montagne del Sannio.

Rimembranze gloriose, che abbracciano oltre 30 secoli di storia dei nostri progenitori Sanniti; tempi eroici e gloriosi ed anche tempi miserabili, ripieni di disordini, di devastazioni, d’eccidio,  di guerre, di peste, di terremoti.

E' comunque indiscutibile la sua antichità. Il nome Dugenta ha remote origini, giacché si trova in un diploma con la data del 833, di Sicardo, Principe di Benevento, in favore del celebre monastero di S. Vincenzo al Volturno, con le parole....ab latere, via antiqua, quae venit de Ducenta......la quale conduce da Roma a Benevento.

Certo è che di Dugenta nessuna notizia si trova nel Catalogo dei Feudi, appartenenti ai Baroni nell’epoca Normanna, per quanto alcuni storici la facessero Città Baronale Normanna, poi rasa al suolo da un orribile terremoto, per cui venne meno la sua grandezza. La prima notizia, che ne ha, risulta dalla donazione fatta da Carlo D’Angiò a Guglielmo di Belmonte, in cui si comincia a chiamare Casale e viene valutato poco più di “once 42”. Nei frammenti rimasti del cedolario degli anni 1268-1269, il primo che sia stato fatto dagli Angioini, Dugenta è numerata con sole 23 famiglie tassate con “once 5” ciascuna. Nel successivo cedolario del 9 ottobre 1320, formato sotto il Governo del Re Roberto è segnato “Ducenta Once 6 - Tari 6- Grani 12”, sempre nel giustizierato di “Terra del lavoro”. Quando l’unica figlia di Guglielmo di Belmonte, Conte di Caserta, non volle lasciare la dimora di Francia e bisognò provvedere alla vacanza della Contea, è indubitato che Dugenta fu data a Guglielmo di Vandemonte e più precisamente a Addo De Souliac,(”dominus Casertae et Casalis Ducentae”) ed in seguito a Pietro Braherio nel 1291. Ancora venne distinto il feudo di Dugenta dal castello dello stesso nome, il quale difendendo il passo della valle, anche dal lato di Caiazzo e di Alife, ebbe sempre un’importanza militare di prim’ordine e grande reputazione strategica. Per tale ragione la concessione del castello si trova fatta nei tempi degli Angioini ad un De Vasis, a Ludovico De Robertis, a Roberto D’Herville, a Filippo De Villeclube, perché fu sistema degli Angioini della prima stirpe affidare al più forte e capace i luoghi più interessanti e i castelli del Regno più importanti ed a Capitani Francesi. In seguito ai tempi di Bonifacio VIII, il fratello di questi, un certo Ranfredo Gaetano, ebbe Caserta “Cum Turri castri Ducentae” il quale la donò al fratello Bonifacio. In seguito il paese passò ai Siginolfo di Telese, ai Lharat e poi ad altri possessori della Contea di Caserta finché nel 1511 lo comprò Andrea di Capua, Duca di Termoli e nel 1563 Annibale Monsorio li portò in dote nel 1567 al marchese di Treviso di Casa Loffredo, il quale nel 1589 lo vendette insieme al Feudo di Orcola e Torello a Paolo Cossa, Duca di Sant’Agata de’ Goti. Al tempo dell’abolizione del dominio feudale si trovò investita del titolo di Marchese di Dugenta la nobile famiglia Corsi di Firenze. E qui si deve notare che i Folgora, Marchesi di Dugenta, parenti della famiglia patrizia dei marchesi Pacca di Benevento, hanno il loro titolo sulla Ducenta d’Aversa, per l’ acquisto fatto fin dal 1608 e non su questa Dugenta Telesina, come fino ad un certo punto si era creduto.

E’ comunque opinione degli storici che nel castello di Dugenta si siano incontrati il Re Ruggiero con il Conte Rainolfo, aspri ed accaniti combattimenti vi furono ai tempi di Tancredi verso la fine del secolo XII e poi nel 1439, allorquando il celebre condottiero Giacomo Caldora, combattente per Renato d’Angiò, ne voleva forzare il passo, contrastato da Alfonso d’Aragona in persona, il quale sconfisse pienamente il nemico.

Non vi è stata inoltre, nei tempi posteriori, dimostrazione, armata o azione guerresca con l’obiettivo contro la Campania, che non avesse fatto punto d’appoggio su Dugenta per mantenere integre le posizioni e le comunicazioni verso le Valli Telesine-Caudine-Beneventane.

In questo castello fu tenuto prigioniero il Duca di Guisa nel 16489, quando fuggiva nella non riuscita impresa di Napoli. Ancora Carlo III di Borbone, nell’aprile del 1734, passò per Dugenta con il suo esercito di Spagnoli, Valloni, Francesi prima di recarsi a Maddaloni , e di là a Napoli, nella conquista che poi fece.

 

Non si può terminare senza dare accenno alle contrade di Orcola,Ortolae Torello, che si trovano nel territorio comunale. Il paese con il nome di Ortola (o Ortella) faceva parte della Contea di Caserta, quale feudo, diviso nei tempi dei Normanni, ed era posseduto per una metà da Umfrido, figlio di Simone, e per l’ altra metà da Riccardo di Bari. Difatti si legge nel catalogo dei feudi “967 Umfridus filius Simonis, tenet de praedicto comite Roberto medietatem Ortellae quod est feudum unius militis - 968 - Riccardus de barolo, sicut ipse dixit, tenet de eodem comite medietatem Ortellae quod est feudum unius militis” nel cedolario del 1320 è messo dopo Valle di Maddaloni e Dugenta; Ortula vel Orcula “once 6- tari 29 - grani 12”.

Torello è anche adesso il nome di una località prossima al ponte sul Calore, tra Dugenta e Amorosi, quello che prima si chiamava Ponte Iacobelli, ora posseduto per metà dalle Ferrovie dello Stato e per l’altra dalla provincia di Benevento.

Nessun’altra notizia si trova di questo ex feudo nel catalogo dei Baroni Normanni. Compare unicamente nel ricordato cedolario del 1320 con la parola ”Torellum unc. 7, Tari 8, Grani 7”. S’intende già che sia Orcola che Torello erano siti nel giustizierato di Terra del Lavoro e facevano una sola cosa con Dugenta. Nella contrada Torello c’era una chiesa Curata, la quale era dedicata a Santo Spirito con un fiorente Monastero Benedettino.

Orcula una volta era in possesso dei duchi di Sant’Agata. Il Torello fu dato da Ferdinando D’Aragona nel 1469 al suo maggiordomo Giovanni De Montorio

Ignota è l’ epoca del declino di queste due contrade, probabilmente i vari terremoti succedutosi dal 1456, periodo in cui anche Dugenta si trovò pochissimo popolata. Nel 1461 vi si trovavano 29 famiglie, 26 nel 1545, 22 nel 1561, 18 nel 1648. Spopolata del tutto e distrutta dal terremoto e dalla peste nel 1656. Posteriormente qualcuno dei luoghi vicini tornò ad abitarla e così verso la fine del XVIII secolo numerava 146 abitanti”.

La Valle dell'Isclero è fertilissima ed è bagnata, per un buon tratto, ad occidente, dal fiume Volturno e verso il cosiddetto ponte dei quaccheri,(o quaqqueri) dal fiume Isclero, l’ Isclerius di Tito Livio, che va a versarsi nel Volturno; inoltre è circondata dai monti del Taburno, di Longano, di Limatola, di Caiazzo che la riparano dalla forza dei venti ed in lontananza si vedono le cime nevose del Matese. Insomma da uno sguardo fugace e rapido ne traspare subito un panorama magnifico.

Guardata Dugenta dalle colline circostanti sembra, nelle ore nebbiose, un vastissimo e poetico lago con le sue magnifiche e ridenti campagne che producono in abbondanza cereali, frutta di tutti i tipi, soprattutto mele annurche, cachi e ciliege tanto copiosi da farla ritenere senza timore di sbagliare, il granaio più florido di tutta la provincia di Benevento. E’ percorsa per intera dall'antica strada Regia Borbonica (oggi via Nazionale statale n.265),in tempi remoti via Appia che meritatamente si chiama Regina Viarum. 

Nel tenimento di Dugenta, e nelle zone limitrofe, si combattette la grande battaglia dei Romani, con Pirro nel 275 a.C.. In questa pianura si combatterono le sanguinose lotte Sannitiche, le quali ci dimostrano la lunga e disparata lotta fra i due popoli, anelanti ad una vittoria decisiva, che aveva stabilito finalmente a quali spettasse la conquista dell’Italia, che allora abbracciava soltanto il Lazio e la Magna Grecia. Ne riuscì vincitore il Lazio, insanguinato e ferito dal passaggio sotto il giogo delle Forche Caudine, ad opera del giovane generale Caio Ponzio Telesino, di Telese, nel 321 a.C., nei pressi del luogo ove sorgono le attuali cave dette di Tairano, presso Montesarchio. Intanto il Sannio dovette poi riconoscere la supremazia di Roma e ne dovette seguire le vicende ed i trionfi e Dugenta, le duae gentes, sarebbe il ricordo della fusione di questi due popoli.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, quando i barbari invasori s’impadronirono dell’Italia, Dugenta fu luogo di passaggio dei Longobardi, condotti da Narsete, attratto dal clima e fertilità delle campagne circostanti, diretti a Benevento passando per Montecassino, Capua e l’agro telesino, come si ricava dallo storico Paolo Diacono Longobardo. Poi vennero i Saraceni ed i Normanni.

A Dugenta si fermò, proveniente da S. Agata de’ Goti, il papa Pasquale II, diretto a Benevento, qui fu ospite nella Casa Ducale(castello), dove fu accolto come un vero trionfatore. E’ tradizione che sia stato questo papa, nel 1110 e nel 1112 a consacrare la chiesa arcipretale, posta nel recinto del castello, come si ricava dai libri parrocchiali.

Nella stessa casa ducale di Dugenta si fermò il papa Alessandro III , nel 1159 e nel 1181, fuggiasco dalle prepotenze di Federico Barbarossa e trovò asilo sicuro a Benevento il papa del Carroccio e della Lega Lombarda.

Per Dugenta passava nel 1265 Manfredi di Svevia, inseguito dall’Esercito di Carlo d’Angiò. Papa Urbano VI aveva stretto nel 1263 con Carlo I D'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, un accordo in cui Carlo, in cambio dell'appoggio della Chiesa alle sue azioni politiche, si sottometteva ad un rapporto di dipendenza vassallatica.
Tale accordo fu rinnovato da Clemente IV, che offrì a Carlo la corona di Sicilia purchè scacciasse Manfredi.

Questi, figlio illegittimo di Federico II, aveva sottratto nel 1258 al nipote Corradino (di Svevia) la corona di Sicilia, suscitando il malcontento dei baroni svevi e dei Comuni e delle Signorie italiane di parte ghibellina.

L'esercito di Manfredi e quello angioino vennero allo scontro diretto il 26 febbraio del 1266.

Quando Manfredi percepì la disfatta, preferì gettarsi nella mischia e morire da valoroso piuttosto che essere fatto prigioniero: morì “in co’” il ponte di Benevento, trafitto dai Francesi.

La morte di Manfredi è ricordata da Dante nel canto III del Purgatorio.

In seguito a questi eventi tutto il progetto di Federico II  sul meridione circa la valorizzazione delle arti e delle lettere, fiore all'occhiello della scuola siciliana, crollò: Carlo d'Angiò si impadronì di quest'area e vi insediò dei funzionari francesi, trasferendo la capitale da Palermo a Napoli.

Nel frattempo i ghibellini furono nuovamente scacciati da Firenze, dove ripresero il potere i guelfi.

Con l'avvento dei Guelfi a Firenze e la decadenza della corte dei Svevi il centro culturale letterario si sposta dalla scuola Siciliana alla Scuola Toscana. Si deve a questo evento la nascita del “Dolce Stil Nuovo”, movimento che sarà precursore della nostra lingua Italiana.

A Dugenta si edificò il celebre castello Angioìno che poi passò nelle mani della nobile famiglia Caetani e propriamente ne fu possessore il papa Bonifacio VIII. Questo grande papa della Chiesa apparteneva appunto alla famiglia Caetani. Fu uno dei papi più grandi del Medio Evo, quello che consacrò il primo Giubileo della storia. Infatti, a quel tempo era consuetudine tra i fedeli recarsi a Roma, spinti dal desiderio vivissimo nelle anime di una totale remissione della pena dovuta ai peccati, si comprende come, sul finire del sec. XIII, fosse opinione corrente tra i Cristiani che in ogni anno centenario dalla nascita del Redentore si potessero ottenere a Roma grandi indulgenze.
Fu così che nel 1300 l'Urbe fu invasa da turbe di pellegrini venuti per l'incontro cristiano.

Papa Bonifacio VIII, di fronte a quelle decine di migliaia di fedeli che chiedevano l'indulgenza, si risolveva ad indire il primo solennissimo Giubileo, cioè l'indulgenza plenaria a chi, confessato e comunicato, avesse visitato (15 volte se straniero, 30 se romano) le due basiliche di San Pietro e di San Paolo (nel 1350 sarebbe stata aggiunta San Giovanni in Laterano e nel 1390 Santa Maria Maggiore).

Bonifacio VIII aveva decretato che il Giubileo, in cui ognuno avrebbe potuto lucrare l'indulgenza plenaria e assicurarsi così il Paradiso, venisse celebrato ogni 100 anni. Ma già nel 1350 papa Clemente VI stabili' che il Giubileo si svolgesse ogni 50 anni. Paolo II, poi, nel 1471 fissò la cadenza ogni 25 anni e ne illustrò il significato penitenziale con il nome di "Anno Santo".

Nel 1475 Sisto IV celebrò il primo Giubileo della stampa: il primo, cioè, che dopo l'invenzione dei caratteri mobili da parte di Giovanni Gutenberg nel 1444, venisse bandito in tutta la cristianità con stampati, Bolle e preghiere rituali ancora oggi conservati nella Biblioteca vaticana.

Da allora la storia del Giubileo si intreccia ancora più strettamente con la storia d'Europa e della Chiesa cattolica: da quello del 1500 conosciuto come il Giubileo di papa Borgia, che inaugurò il mercato delle indulgenze che avrebbe poi suscitato le ire di Martin Lutero e lo scisma del 1517, agli spettacolari Giubilei del '600, in pieno barocco. Papa Bonifacio VIII fu anche il Papa dell’ insulto storico di Anagni, ricordato dal Divin Poeta. Egli rivendicò l’assoluta indipendenza del dominio spirituale e temporale della chiesa dai princìpi secolari. Fu perseguitato dalla famiglia Colonna e dai Francesi. Fu fatto prigioniero ad Anagni. Fu anche un papa Santo, nel 1605 fu fatta nelle grotte Vaticane la ricognizione della sepoltura e dopo tre secoli il suo corpo fu trovato intatto, vestito dei preziosi abiti Pontifici e di un ricchissimo camice lavorato in oro. Morì in Vaticano nel 1303.

Dunque il castello di Dugenta l’ebbe in possesso la famiglia Caetani ed in porzione toccò proprio al Papa Bonifacio VIII, il quale fino ad un certo tempo ebbe qui un suo rappresentante (o Vicario) ed anche oggi vengono additate dei vecchi caseggiati, di proprietà degli eredi Martone, confinanti con la Chiesa e Casa Canonica, dette appunto “Vicario” dal nome antico. In seguito, il Castello di Dugenta fu esposto in vendita e fu acquistato dalla famiglia Corsi di Firenze, i cui eredi s’intitolarono Marchesi e signori di Dugenta e di Caiazzo.

Della storia si conosce pure che i Papi Nicolò II, accompagnato dal Cardinale Ildebrando, poi Pontefice Gregorio VII, nel 1059, Vittore III nel 1087, Urbano II nel 1091, Pasquale II nel 1108, andando a Benevento si fermarono, graditi ospiti di quei baroni, nel castello di Dugenta, il quale, come tutti gli altri castelli di allora fu teatro di macabre scene di terrore, di sevizie crudeli, di sangue, che vi si commettevano dai signori Feudatari, nei suoi sotterranei, nei suoi trabocchetti non del tutto ancora esplorati. Vi si vedono ancora labirinti e trafori, che lo mettevano in comunicazione con altri castelli.

Aveva il suo tribunale e il suo carcere giudiziario, il suo quartiere dei soldati, il campo di esercitazione di questi, tanto che anche oggi viene ricordato con il nome di “Quartiere” un caseggiato antico e dal nome di “Sopracampo” una vasta estensione di terreno che serviva per le esercitazione per i soldati avventurieri, assoldati dai feudatari.

Bisogna ancora notare che i signori feudatari cercavano se non di essere, almeno di apparire religiosi, perché si sa che furono sempre munifici con la Chiesa di S.Andrea Apostolo, la quale era attaccata al  castello, ne osservavano fino allo scrupolo i doveri, erano ossequienti all’Autorità Ecclesiastica, sempre in comunione con Roma e l’arciprete era il dignitario principale della Corte feudale.

Di qui passò San Paolo per la via Appia nelle sue peregrinazioni apostoliche con i suoi discepoli per andare a Benevento. 

Giova ripeterlo, Dugenta cadde sotto la dominazione e supremazia di Roma, come le altre città limitrofe, come Saticola, Telese, e forse fu allora che cambiò il suo primo nome in questo di Dugenta cioè “Duaes gentes”, ad indicare la fusione dei Sanniti con i Romani.

In tempi remoti Dugenta aveva una popolazione molto estesa e racchiudeva nel suo seno molte parrocchie e la Matrice era l’Arcipretale di S.Andrea Apostolo sita nel recinto del castello, mentre poi altre due Arcipretali, una a “Orcoli”, dedicata a S.Nicola di Bari, ed a ricordo di questa è stata di recente costruita presso la stazione ferroviaria una cappella sulla dote di detta Arcipretale, l’altra a “Torello” dedicata a S.Spirito, ov’era anche un monastero benedettino di grande rinomanza. Tutte e due le Arcipretali per mancanza di anime furono annesse all’ Arcipretale S.Giuliana di “Frasso”.

Dugenta fu luogo, dove per l’ultima volta si avvicinarono i due pretendenti di queste regioni, che formavano il Regno di Napoli: Rainulfo Conte della città di S.Agata dei Goti, di Alife e di altre località, e Ruggiero I Re di Napoli, nel 1129, in quel tempo Corte di Sicilia. Fu qui che si abbracciarono e si baciarono, giurandosi fedeltà reciproca.

Le più antiche famiglie che possedettero il castello sono la “De Vasis” e la “Saliaco” le quali l’ebbero in Feudo. In un diploma di Carlo D’Angiò dell’11 dicembre 1282 fu fatto Patrono di Dugenta Lodovico De Roberiis, soprannominato “il Miles”. Il De Roberiis, non si sa perché, rassegnò in mano del Re Dugenta ed il castello di Caserta ed in compenso ne ebbe 160 once di oro annuali. Carlo II D’Angiò, nel 1309, elesse il De Roberiis a giustiziere di Bari, con l’incarico di determinare i confini di questi feudi, ad evitare ogni questione per l’avvenire.

Si trova in seguito patrono di Dugenta Roberto di Herville e poi Guglielmo di Vandemonte, dopo la triste sorte di Manfredi e poi di Corradino e nel 1269 Filippo di Vallecublana, Signore di altri Feudi, e finalmente la famiglia Caetani, che lo diede in porzione al Papa Bonifacio VIII, autorevole membro della stessa famiglia, la quale poi lo perdette per aver seguito il partito di Renato D’Angiò contro Alfonso D’Aragona.

Pare che Dugenta sia anche zona archeologica, secondo il giudizio autorevole del celebre storico tedesco Monsem, il quale fece di questa pianura, centro di studi, da scavi fatti, si ricava che abbia sentita tutta quanta la civiltà Sannitica-Romana, VolsciaEtrusca, Gotica-Longobarda, Normanna.. Ancora nel linguaggio dialettale di questo popolo si trovano di continuo espressioni latine e greche e ciò serve a dimostrare che Dugenta abbia risentito l’influenza di Roma, della Magna Grecia e Bizantina.

Nella prima metà del 19° secolo a Dugenta si continuavano a scavare tombe dei tempi pre-romanici, con casse di creta, oggetti, lucerne, monete, iscrizioni sepolcrali, dal lavoro nei campi si rinvenivano capitelli con fogliame, busti, mosaici, pavimenti interi, ma rovinati in frantumi perché non se ne conoscevano l’importanza. I ritrovamenti in contrada Campellone e Masseria della Chiesa mostrarono ruderi di grande valore storico ed archeologico i quali attestarono la grandezza Sannitica e Romana e poi le posteriori incursioni dei barbari, dopo la caduta dell’Impero e le origini del Cristianesimo.

Nella storia di questo borgo sono da ricordare alcuni avvenimenti.

Il Regno Longobardo,caduto con la sconfitta di Desiderio, il quale va a farsi monaco Benedettino a Montecassino, Arichi II si fa incoronare principe ed assume il titolo di Re, ma poi aumentata la sua ambizione, vuole estendere i suoi dominii altrove. Ottiene i principati di Benevento, Capua e Salerno. Spesso fa incursioni con le sue soldatesche sull’ Agro Telesino e per Dugenta passa e ripassa da terribile dominatore. Ma poi i suoi successori inetti per l’ invasione continue dei Saraceni, si fanno guerra l’uno contro l’altro e si distruggono a vicenda e permettendo l’ entrata dei Normanni, che muovono alla conquista finanche delle Puglie e della Sicilia.

Una volta il territorio attorno il castello era di aria malsana per le tante acque stagnanti che racchiudeva nel suo seno, tant'è vero che si diceva che a "Ducent pure l'erv è malament" (a Dugenta pure l'erba è cattiva).

Perché non ricordare, almeno fugacemente, altri avvenimenti luttuosi del secolo appena passato cui fu protagonista e vittima la cittadinanza?

Il 1° ottobre 1860, in questo paese risuonò lo strepito di armi, dopo che ottomila uomini del Generale Von Meclel, avanzando per il Volturno superiore, si recarano a Valle di Maddaloni ed ai celebri Ponti di Valle (o Vanvitelliani) per occupare Maddaloni e poi avanzare.

Si sa l’eroica e vittoriosa difesa delle posizioni sui monti Caro e Longano, fatta da Bixio , coadiuvato dai Generali Dezza, De Eberhard - Spinozzi, Fabrizi, con la perdita di 46 morti sul campo e 275 feriti; ed a Castelmorrone con Pilade Bronzetti. Quest’ultimo, in tale scontro vi lasciò la vita a causa delle forze soverchianti borboniche irrompenti da Dugenta, e Dugenta appunto salvò la posizione dei Garibaldini, i quali sconfissero i borbonici, di Von Meclel, la battaglia fu aspra e dura e si combattette dall’ 1 al 2 ottobre 1860 e così l’esercito garibaldino prese la via libera verso Napoli.

Un monumento a perenne ricordo è situato presso i Ponti Vanvitelliani.

Durante la II guerra mondiale, oltre cinquemila tedeschi, reduci dalle azioni guerresche di Sicilia e di Calabria, si accamparono nel latifondo Selvolella del Commendatore Micillo, e fecero di Dugenta scempio, mettendo a ferro e a fuoco ogni cosa, portandovi distruzioni, rovine e morte, da veri predoni, fino a che giunse la V armata Americana, la quale mise in rotta quei nuovi saraceni spingendoli di là del Volturno. Lo stesso latifondo di Selvolella diventò scuola di addestramento di soldati Americani.

Una volta a Dugenta si pagava il così detto pedaggio per quelli che vi passavano ed a riscuotere questo vi erano soldati armati. Ancor oggi si addita il luogo, denominato “quartiere”, dove questo avveniva e per dove si passava la così detta vita doganale.

Dunque Dugenta era un castello Angioino, un vero titolo nobiliare, un feudo giurisdizionale di quei vecchi Signori e Baroni, che veniva concesso ora a questo ora a quello con diritto feudale.

Gli ultimi quarant’anni sono stati per Dugenta periodo di rigogliosità e benessere; sviluppo industriale notevole dovuto soprattutto alla presenza del Consorzio Agrario Provinciale il quale pianificava, ed interveniva con aiuti, alla coltivazione, al ritiro ed all’esportazione del tabacco, maggiore fonte di reddito per centinaia di famiglie contadine. A tutt’oggi l’attività del Consorzio è ridotta, anche in virtù di decisioni politiche assunte in sede Europea, circa la riduzione della produzione del tabacco.

Ed ecco che vi è rimasto soltanto il ricordo, peraltro molto vago, di quello che fu; così il Novelleto, sparpagliato in tanti proprietari, era del Marchese Tommaso Capece Minutolo, il Frasso, acquistato insieme al castello, dal Barone Ricciardi, il latifondo Terranzano del Barone Meoli prima e del Duca D’Aquara-Caracciolo dopo, la Selvolella del Comm. Micillo, Trentalance ed il latifondo della Marchesa Gambacorta, acquistato all’asta dal Dottor Perlingieri soffiandolo ai Dugentesi,  il più grande, suddiviso dallo stesso in 15 masserie rurali (affidate contrattualmente in mezzadria e colonia parziaria), sovrasta il paese ad est sul pendio del colle della Torretta.

Oggi le masserie non esistono più ed i terreni formano uno splendido giardino di un 1.000.000 di mq., coltivato a vigna di tutte le qualità, in cui fa bella mostra il villino, che ha tutta l’aria di un castello baronale, contornato da giardini e piscina

Le ultime vicissitudini inducono il proprietario alla vendita della tenuta. E’ in progetto la costituzione di una società per la rilevazione della proprietà.