Bretagne - Tibet
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Bretagne Tibet (Toenn Ar Bed)

Audaci incontri tra mare e cielo.

Due popoli lontani, il bretone e il tibetano. Due culture agli antipodi, forse, ma che cercano un punto di incontro musicale in un recente, interessante album della casa discografica bretone Coop-Breizh.

Qualche tempo fa si scherzava con un amico sull’ipotesi che la musica celtica fosse in qualche modo presente anche tra i monti del Tibet. Beh, forse non è proprio così, ma se Maometto non va alla montagna, è proprio la montagna…con quel che ne consegue!

Ovvero, per quanto “anomalo” possa sembrare, siamo questa volta in presenza di una commistione sonora tra le più inusitate, ancorchè affascinante nei risultati ottenuti: Bretagne Tibet è l’audace titolo di un recente album pubblicato dalla iperdinamica casa discografica bretone Coop Breizh (http://www.coop-breizh.com/) che questa volta si diverte a mescolare con coraggio la musica tradizionale bretone e quella dei lontani monti della regione asiatica.

Questo incontro è stato presentato lo scorso anno a Ploërmel nel quadro della rassegna “Rencontres Musicales Internationales”. Il progetto aveva un avvincente substrato filosofico: far incontrare due popoli (e due culture) “estreme”, la Bretagna, regione geograficamente protesa verso il mare, e il Tibet, naturalmente spinto verso il cielo o, per usare l’espressione in lingua bretone che fa da sottotitolo al disco, Toenn Ar Bed.

L’idea del contatto tra i due “estremi” è singolare ma interessante: in entrambi i casi si tratta di luoghi che, a causa del loro isolamento fisico-geografico, hanno avuto modo di conservare fino a oggi una espressione culturale forte, per molti versi incontaminata. Ed è proprio qui che, paradossalmente, i due estremi si toccano, ci sembra suggerire questo audace album: a ben vedere, non sono infatti pochi i punti in comune tra queste due lontanissime terre. In entrambe, infatti, il sentimento religioso è certo avvertito in maniera più forte rispetto a molte altre regioni, con un senso della natura che arriva talvolta a sconfinare nello sciamanesimo, un significato magico della morte, un rispetto “incantato” nei confronti del sole, o del vento…

Non solo. Anche da un punto di vista storico e sociale, curiosamente, le analogie tra Bretagna e Tibet non mancano: sono due popoli che, sia pure a “livello” differente, tanto hanno dovuto lottare per conservare una propria identità culturale, e se per la Bretagna l’integrazione all’interno della nazione francese non pare rappresentare più ormai un problema, il Tibet rimane sempre al centro di terribili attriti, anche internazionali. Non si tratta tanto (o solo) di salvaguardare una cultura, è l’intera popolazione tibetana che corre seri rischi di sopravvivenza!

Ora, se la musica sacra del Tibet occupa ormai da molto tempo un posto importante nell’universo delle tradizioni musicali a carattere religioso, lo stesso non si è verificato con la cultura popolare delle province tibetane del Kham, Amdo e del Tibet centrale, che solo oggi iniziano a far conoscere la propria tradizione musicale grazie ad artisti come Tenzin Gönpo, Yungchen Lhamo, Yarlung Techung, tutti non a caso residenti ormai da molto tempo nelle nazioni occidentali: come spesso accade a qualsiasi latitudine, è infatti proprio l’emigrazione di un popolo che ne consente una migliore conoscenza del proprio patrimonio culturale.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto se simili analogie abbiano per conseguenza anche una qualche affinità dal punto di vista strettamente musicale, insomma se le due culture in qualche modo riescano a “legare” ovvero se le diversità prevalgano sulle somiglianze. Qui il discorso si fa necessariamente più complesso: se infatti è vero che non mancano punti di contatto tra le due culture musicali (una buona presenza di musica da ballo, la presenza della “canzone” in entrambe le culture, il canto a risposta, i modi pentatonici, la pratica del canto all’interno del nucleo familiare), d’altro canto si ha talvolta la sensazione di essere comunque in presenza di mondi sonori molto differenti, e così, stando almeno all’ascolto di questo Bretagne Tibet, la proposta unione tra le due culture si rivela talvolta un puzzle di difficile soluzione, con il prevalere ora dell’uno, ora dell’altro “mondo” musicale. Il congiungimento artistico – possibile sulla carta – si rivela in realtà abbastanza complicato alla prova dei fatti, con il Tibet e la Bretagna che a turno devono cedere il passo, alla ricerca di un difficile punto di equilibrio.

Gli artefici di questo temerario melange artistico sono il già citato Tenzin Gönpo (flauti tibetani, dranyen, piwang, canto), e i bretoni Yann Dour (accordion, canto), Antonin Volson (batteria, percussioni, contrabbasso), Marc Jacquier (chitarre), Jean-Yves Martial (violino), Pascal Courtel (tastiere) e un quintetto vocale femminile. Un disco per molti versi audace, testimone di un’idea singolare e interessante. Comunque da ascoltare.

Testo di Alfredo De Pietra