La storia del Gaelico irlandese
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La storia del gaelico irlandese 

Parte prima: storia e sviluppo 

Il gaelico irlandese trae la sua origine da una radice comune di lingue indoeuropee, chiamata per l’appunto tronco indoeuropeo. Questa lingua, verosimilmente parlata all’incirca 5000 anni or sono nelle steppe a nord del mar Nero, ha dato origine a quasi tutte le lingue usate oggi in Europa (con l’eccezione dell’ugro-finnico in Finlandia, del magiaro in Ungheria e del basco nella regione a cavallo tra Spagna e Francia), e a molte lingue dell’Asia meridionale e del sud-ovest (Asia Minore).

L’origine comune è messa in evidenza in modo netto dalle notevoli somiglianze presenti nelle varie lingue europee: “fratello” si dice così brother in inglese, bruder in tedesco, brat in russo, breur in bretone, bráthair in gaelico irlandese, e così via.

Di questa lingua indoeuropea, anche detta “proto-indoeuropeo”, non rimane oggi alcuna traccia scritta. Per questo motivo, a partire dalla fine del XVIII secolo, in particolare grazie all’opera dello studioso inglese William Jones, i linguisti hanno potuto lavorare solo su ricostruzioni e comparazioni per giungere, alla fine, esclusivamente a probabilità teoriche, seppur molto forti.

Si ritiene innanzitutto che questa lingua abbia conosciuto una prima suddivisione all’inizio del terzo millennio a.C., frammentandosi in conseguenza delle migrazioni delle varie popolazioni in Europa e in Asia.

Le principali branche di questa “lingua originaria” sono il celtico (che darà origine all’irlandese, allo scozzese, al bretone, al gallese e alle lingue della Cornovaglia e dell’isola di Man); il greco (antico e moderno); l’italico (da cui provengono il latino e le lingue di origine latina: il francese, l’italiano, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno, ecc.); il germanico (il tedesco, l’inglese, l’olandese e le lingue scandinave) e lo slavo (il russo, il ceco, il polacco, il serbo-croato).

Sono da aggiungere a questo elenco l’indo-iraniano (il sanscrito – lingua estinta – l’hindi e il persiano), l’armeno, l’albanese, il baltico (prussiano antico – oggi estinto – il lituano e il lettone) e l’anatolico (ittita).

Per quanto è dato sapere, questa lingua preistorica era già molto complessa: i nomi, gli aggettivi e la maggior parte dei pronomi distinguevano otto casi e tre numeri (singolare, plurale e neutro). Anche i generi erano tre (maschile, femminile e neutro), e i verbi venivano coniugati non solo in funzione della persona e del numero, ma anche a seconda dell’aspetto (imperfetto, perfetto, stativo), dei tempi (passato, non passato), della voce (passiva, medio-passiva) e del modo (indicativo, imperativo, ottativo). 

La branca celtica   

La lingua progenitrice di tutte le lingue celtiche, attuali ed estinte, è denominata “celtico comune”. In ordine di tempo la prima famiglia delle lingue celtiche era costituita dalle lingue celtiche continentali, oggi del tutto estinte: si tratta del gallico, del celto-iberico e del leponzio. Le prime tracce scritte di quest’ultima lingua, risalenti all’inizio del VI secolo a.C., sono state ritrovate in Italia del Nord.

Queste lingue continentali ebbero la loro massima diffusione intorno al III secolo a.C., dalla penisola iberica (a sud) fino alla Galazia (regione corrispondente all’attuale Turchia), passando per la Gallia.

Le tracce di queste lingue si possono ritrovare in un gran numero di nomi propri di origine celtica, in particolare fiumi, luoghi e città di tutta Europa. Per contrasto, le tracce scritte sono estremamente rare, a causa della riluttanza dei Celti a fissare il proprio sapere in forma scritta. Giulio Cesare ne spiega il motivo, nel corso del primo secolo d.C., dicendo a proposito dei druidi:

Essi ritengono che la loro religione non consenta loro di affidare alla scrittura l’oggetto dei loro insegnamenti, mentre per tutto il resto si servono dell’alfabeto greco. A me sembra che abbiano stabilito questo stato di cose per due motivi: sia perché essi non vogliono che la loro dottrina sia divulgata, sia perché affidandosi alla scrittura, la memoria sarebbe di conseguenza trascurata; perché è evidente che quando ci si affida a testi scritti ci si applica in maniera minore a ritenere le questioni a mente, trascurandone la trasmissione a memoria” (Giulio Cesare, De Bello Gallico, VI, 14).

Queste opinioni, è bene ricordare, sono espresse da un avversario delle popolazioni celtiche, e non rappresentano necessariamente la verità. 

Le lingue celtiche ancora oggi in uso, ivi compreso il bretone di Armorica (l’odierna Bretagna continentale), derivano tutte dal celtico insulare. In Irlanda esse sono identificate per la prima volta a partire dal IV secolo a.C., probabilmente a provenienza dalle regioni occidentali della Francia odierna; quest’onda linguistica si prolungherà in seguito verso l’isola di Man e la Scozia a partire dal V secolo d.C.. Un’altra propaggine si diresse verso l’odierna Inghilterra e verso il Galles, per ripropagarsi, sempre verso il V secolo, verso l’Armorica. Nello stesso periodo le lingue celtiche continentali scompaiono, insieme alla decadenza dell’impero romano.

A partire dal V secolo d.C. le lingue celtiche insulari si separano in due famiglie. Le lingue britoniche (brythonic in inglese), comprendenti la lingua in uso nella Cornovaglia (scomparsa nel corso del XVIII secolo), il bretone ed il gallese, queste due ultime per molto tempo (fino al XV secolo) molto simili e mutualmente comprensibili.

Le lingue gaeliche (in inglese goidelic) comprendono oggi la lingua dell’isola di Man (quasi estinta), il gaelico irlandese ed il gaelico scozzese. Queste due ultime condividono fino al XVII secolo regole strutturali molto simili, grazie agli stretti legami culturali, economici e politici esistenti tra le due regioni. Ancora oggi le due lingue sono abbsatanza “vicine”, al punto da essere reciprocamente comprensibili.

Talvolta si utilizza il termine di “Q-celtico” per il britonico e di “P-celtico” per il gaelico, a causa di una mutazione fonetica comparsa in epoca abbastanza precoce: così, ad esempio, il termine indoeuropeo ekvos (cavallo) diventa equos in Q-celtico e epos in P-celtico. Più recentemente “testa” diventerà penn in bretone e ceann in gaelico irlandese, e alla stessa maniera il numero “quattro” diverrà rispettivamente pevar e cathair.

Alla fin fine le lingue bretone e gaelica, pur essendo tra loro lontane parenti, sono comunque oggi troppo differenti per risultare mutualmente comprensibili. Al contrario probabilmente un bretone avrà più facilità a comprendere un gallese, così come la lingua italiana risulterà abbastanza comprensibile ad un francese, o la lingua olandese ad un tedesco. 

Le prime tracce scritte relative alla lingua gaelica in Irlanda risalgono al IV secolo d.C., sostanzialmente su alcune pietre funerarie (dette “ogamiche”), ma la maggior parte delle attuali conoscenze al riguardo proviene dai manoscritti redatti dai monaci irlandesi nel corso del Medio Evo: anche se quasi sempre scritti in latino, questi manoscritti avevano tuttavia alcune annotazioni in gaelico. La prima elegia interamente redatta in gaelico risale al 597, ed era dedicata a San Colombano.

Il più antico manoscritto di cui disponiamo, il manoscritto di Würzburg, risale al VII secolo. Con l’eccezione di esso, i primi manoscritti si collocano nel periodo del XII secolo, perché un gran numero di essi venne distrutto durante le invasioni vichinghe, dall’ottavo al decimo secolo. È proprio grazie a questi manoscritti, la cui tradizione continuerà nell’Irlanda monastica fino al XVIII secolo, che la prima fase evolutiva del gaelico irlandese (l’”Antico Irlandese”, 700-950) è potuta restare nota sino ai nostri giorni. In seguito la lingua irlandese evolverà in “Medio Irlandese” (950-1350), “Moderno Precoce” (1350-1650) e “Moderno Tardivo” (dal 1650 ad oggi).

Durante il primo periodo è possibile ritrovare il gaelico in poesie di grande semplicità, spesso molto brevi, come l’esempio seguente:

Un suono di zufolo

È sfuggito, dal becco dorato

Di un uccellino

Il merlo, dall’alto del suo albero ingiallito

Lancia i suoi fischi al di là del Loch Laigh.

 

A seguito delle invasioni vichinghe un’influenza scandinava si farà sentire a partire dall’VIII secolo: come la popolazione gaelica assorbirà questo apporto del popolo invasore, allo stesso modo la lingua gaelica integrerà questo apporto linguistico, la cui più netta influenza può oggi ritrovarsi maggiormente nei nomi di località della costa occidentale irlandese: Wexford, Waterford, Wicklow, etc.

I popoli anglo-normanni arrivarono in Irlanda a partire dal 1169, e due secoli dopo le autorità inglesi fecero votare lo statuto di Kilkenny (1366), tendente ad impedire che i cosiddetti “inglesi degenerati” adottassero i costumi tipici dei clan gaelici: i matrimoni misti furono proibiti e l’abbigliamento tipico della gente gaelica venne interdetto, insieme all’uso della lingua gaelica da parte degli anglo-normanni. Si tentò in altri termini di impedire, con il mescolarsi delle popolazioni, un processo naturale: in realtà questo editto si mostrò, alla luce dei risultati, scarsamente efficace.

Con l’uso sempre più frequente dell’alfabeto latino, a partire dal XVI secolo, la scrittura della lingua gaelica pose alcuni problemi. Così, il punto posto al di sopra di alcune consonanti per addolcirne il suono fu rimpiazzato, a partire dal 1567 dalla lettera “H” posizionata dopo la consonante in questione, ed ancora oggi utilizzato con questo scopo. L’accento lungo sulle vocali, detto fada (á, é, í, ó, ú) è invece perdurato sino ai nostri giorni.

Dal XVII al XIX secolo la lingua gaelica rimane in sostanza ciò che è sempre stata: una lingua rurale trasmessa oralmente. In particolare, la poesia rimane molto vivace nonostante la scomparsa del mondo gaelico, dei capi-clan e dei poeti ufficiali delle grandi dinastie gaeliche (i filí, al singolare file). In questo periodo fa anche la sua comparsa un personaggio molto importante, l’insegnante-poeta, spesso itinerante, di cui si trova un ottimo esempio nel grande romanzo di Thomas Flanagan The Year Of The French (Arrow Books, London, 1989). È anche in quest’epoca, tra il XVI e il XIX secolo, che la lingua gaelica, vittima delle separazioni subentrate tra le varie regioni irlandesi, si separa in svariati dialetti (Connaught, Ulster, Munster), ancora oggi ben difficili da riunire in un corpus d’inquadramento unico.

Inoltre la lingua inglese, lingua dell’amministrazione e dell’economia, iniziò progressivamente a guadagnare terreno anche nelle campagne, in particolare a seguito delle disastrose carestie della metà del XIX secolo. Molte altre ragioni possono essere addotte a spiegare la progressiva scomparsa del gaelico in Irlanda: sopra tutte il ruolo delle National Schools, fondate nel 1831, in cui l’insegnamento ufficiale avveniva esclusivamente in inglese. Va però anche detto che, a differenza di altri Paesi di origine celtica, in Irlanda non esiste una tradizione di divieto dell’uso della lingua gaelica nelle aule scolastiche e nei luoghi di ricreazione. È possibile che anche il clero abbia svolto un ruolo nella propagazione dell’inglese, semplicemente perché quasi tutti i preti non erano in grado di parlare la lingua (o il dialetto) delle regioni in cui essi dovevano recarsi a predicare la religione cattolica.

Di certo uno dei motivi principali deve essere messo al passivo dell’opera di Daniel O’Connell, insigne avvocato e uomo politico irlandese, considerato uno dei più strenui sostenitori dei diritti dei cattolici nel corso del XIX secolo. Sebbene fosse bilingue, O’Connell considerava la battaglia per la lingua una battaglia persa in partenza, e la sua importanza politica fu così grande (specie all’inizio del diciannovesimo secolo) che la sua visione a tal riguardo perdurò ancora per molti anni, lasciandosi alle spalle una lingua abbandonata dalle popolazioni rurali e disprezzata dalle classi sociali più agiate delle zone urbane. I cattolici più ricchi, in particolare, miravano a dare ai propri figli una buona educazione anglofona, con lo scopo di facilitare loro l’accesso ai posti più importanti dell’amministrazione anglo-irlandese.

Il risultato di tutto ciò si ebbe con il censimento che si svolse alla fine del XIX secolo: nel 1891 solo lo 0,2% della popolazione non parlava l’inglese, e solo il 14,5% degli irlandesi parlava il gaelico. È in questo contesto che nasce, nel 1893, il principale movimento per la rinascita della lingua gaelica, la Liga Gaelica.

SECONDA PARTE: IL XX SECOLO 

In confronto con le altre lingue celtiche, si potrebbe in fondo affermare che, se non altro, il gaelico irlandese sia riuscito quanto meno a sopravvivere: sulle isole britanniche la lingua della Cornovaglia è infatti scomparsa già alla fine del diciottesimo secolo, nonostante alcuni tentativi di un suo revival di tipo letterario; sull’isola di Man invece la lingua locale ha cessato di esistere, più recentemente, con la morte dell’ultima persona in grado di parlarla, negli anni ’70.

In Francia le autorità non effettuano censimenti di tipo linguistico, ma si ritiene che all’inizio del nostro ventunesimo secolo vi siano circa 450.000 persone in grado di parlare il bretone, cifra tuttavia in rapida diminuzione. In Scozia sono circa 60.000 a parlare il gaelico scozzese, lingua molto vicina al gaelico irlandese. Ma è soprattutto il gallico, con circa 550.000 individui che lo parlano (ovvero il 20% della popolazione residente) a sembrare la lingua più adatta a resistere al lento processo di erosione, anche grazie ad una forte volontà di difendere, da parte di questo popolo, la propria identità soprattutto da un punto di vista culturale. 

Nel 1841 la popolazione irlandese superava gli otto milioni di abitanti, e si ritiene che la metà di essi parlasse il gaelico. Ma nel 1851, in seguito alle terribili carestie della metà del diciannovesimo secolo, non restavano che sei milioni di irlandesi, e i primi censimenti ci dicono che solo un milione e mezzo di essi si esprimeva in lingua irlandese. Negli anni successivi questa cifra continuò ad abbassarsi in modo continuo a causa del gran numero di emigranti provenienti dalle regioni povere dell’isola, zone in cui il gaelico era maggiormente presente. Così nel 1881 gli irlandesi rimanevano in numero appena superiore ai cinque milioni, e di questi solo 950.000 erano i gaelofoni, ovvero uno scarso 18%.

È in questo contesto che venne creata la Liga Gaelica, la prima grande associazione di difesa della lingua irlandese. Non si trattava tuttavia della prima grande associazione popolare a nascere con questo tipo di intenti: la G.A.A, ovvero la Gaelic Athetic Association, fondata nel 1884 dai futuri membri della Liga Gaelica, fece leva su una delle preoccupazioni più comuni, quasi quotidiane, di qualsiasi popolo, con una forte, implicita connotazione emotiva e culturale: lo sport.

Questa visione rispondeva anche ad un contesto di tipo politico, quello del nazionalismo tipico del diciannovesimo secolo: lo scopo era sì di dare un aspetto concreto alla cultura irlandese, in modo tale che fosse riconoscibile al mondo intero, ma anche di offrire ai compatrioti una certa confidenza con la propria cultura. La Liga Gaelica scelse quindi come slogan Ní tír gan teanga, ovvero “mai più un Paese senza lingua”.

Scegliendo tuttavia di difendere una cultura popolare attraverso la lingua, la neonata associazione si trovò a dover affrontare una difficoltà abbastanza considerevole: il gaelico irlandese era fortemente associato al concetto di vita miserevole delle campagne dell’ovest dell’Irlanda.

Uno dei membri fondatori della Liga Gaelica (e futuro presidente dello Stato Libero d’Irlanda, dopo l’indipendenza), Douglas Hyde, affermava il 25 novembre 1892 in un celebre discorso di fronte alla National Literary Society di Dublino che era ormai divenuto necessario “disanglicizzare” l’Irlanda, aggiungendo inoltre in modo inesatto, e oltretutto razzista:

“Quello che non dobbiamo mai dimenticare è che l’Irlanda odierna discende dall’Irlanda del settimo secolo (…). È vero che uomini venuti dal nord vi si sono timidamente installati a partire dal nono e dal decimo secolo, ed è anche vero che i Normanni vi si sono installati in modo più estensivo durante i secoli successivi, ma nessuna di queste invasioni ha mai interrotto la continuità della vita sociale su quest’isola”.

La Liga Gaelica (Conradh na Gaeilge o Gaelic League) venne quindi fondata, in buona parte in seguito a questo discorso, il 31 luglio 1893, con la “benedizione” di Douglas Hyde e Eoin McNeill. I primi segni del rinascimento gaelico furono estremamente incoraggianti, a giudicare ad esempio dall’aumento dei nomi di origine gaelica dati in quell’epoca ai neonati.

Il numero delle sezioni della Liga Gaelica vide un piccolo aumento durante il suo primo decennio di vita (nel 1901 le sezioni erano 227), ma in seguito esso aumentò molto rapidamente, di pari passo al crescente desiderio di indipendenza politica. La Liga Gaelica arrivò così a 600 sezioni nel 1904, che diventarono 819 nel 1922. Alcuni dei suoi membri fondatori tuttavia si dimisero proprio in seguito a questo stato di cose: lo stesso Douglas Hyde nel 1915 abbandonò la Liga Gaelica avendo la sensazione che quest’ultima fosse ormai diventata un’organizzazione di tipo separatista, con una connotazione politica fin troppo evidente.

In seguito all’indipendenza, raggiunta nel 1922, la Liga Gaelica subì un rapido declino proprio in virtù di questo suo carattere politico, ormai divenuto superfluo, al punto che nel 1924 ne rimanevano attive solo 139 sezioni. La sua influenza sulla vita culturale, sociale e politica degli anni 1897-1922 fu comunque importante, e anche grazie ad essa risultò chiaro che la lotta per l’indipendenza politica andava di pari passo con la lotta per l’indipendenza culturale.

Sin dalla sua formazione, il governo provvisorio in guerra con la Gran Bretagna (1917-1922) istituì un Ministero della Lingua Nazionale. Dopo l’indipendenza (1922) fu messo in opera un programma culturale per cercare di invertire la tendenza che si andava evidenziando, e consentire così al gaelico irlandese di resistere alla sempre più dilagante lingua inglese: furono accordate sovvenzioni per la creazione di un teatro nazionale in lingua irlandese a Galway nel 1928, “An Taibhdhearc” e, fatto ancor più importante, il gaelico venne dichiarato prima lingua ufficiale nella costituzione del 1937, mentre l’inglese diventava la seconda lingua ufficiale d’Irlanda. In questo modo tutti i funzionari statali dovevano essere in grado di parlare irlandese. La stessa Liga Gaelica venne convertita in un’organizzazione di tipo governativo: essa oggi conta circa duecento sezioni, essenzialmente localizzate (oltre che in Irlanda) negli Stati Uniti, in Australia e in Gran Bretagna, vale a dire i Paesi della diaspora irlandese.

Purtroppo le regioni rurali soffrirono enormemente della politica di autosufficienza e di ostilità economica nei confronti della Gran Bretagna del periodo 1922-1959, e in quelle zone l’emigrazione continuò come prima, continuando a colpire in misura maggiore la popolazione di lingua gaelofona. Si assistè nello stesso periodo ad un notevole spostamento demografico in direzione delle città irlandesi: la popolazione divenne quindi molto più urbanizzata che in precedenza. Nel 1961 la popolazione irlandese si attestava intorno ai due milioni e mezzo di abitanti, cifra cui è da sommare un altro milione e mezzo di persone che vivevano nelle contee dell’Irlanda del Nord.

Solo una caratteristica dell’Irlanda di questo periodo può essere considerata – in tale contesto generale abbastanza deprimente – molto positiva: si tratta di una popolazione molto giovane che darà prova di un grande dinamismo, anche per quel che riguarderà gli aspetti linguistici della rinascita economica degli anni ’90.

 

Nel corso dei periodici censimenti le domande sulla capacità di esprimersi in lingua gaelica sono sempre state presenti, ma talvolta ci rivelano alcuni risvolti sorprendenti. Nel 1991 il 32% della popolazione affermava di parlare irlandese (su una popolazione totale di circa 3.300.000 abitanti). Nel 1996 questa cifra passa improvvisamente al 43%. In realtà questo aumento repentino dipende esclusivamente dalla modifica della domanda che era stata utilizzata sin dal 1961: mentre prima veniva chiesto a ciascun irlandese (maggiore di 3 anni di età!) di rispondere a una di queste tre opzioni: a) parla esclusivamente irlandese?; b) parla sia l’irlandese che l’inglese?; c) sa leggere l’irlandese, ma non lo parla?, ora viene semplicemente chiesto se la persona in questione sia in grado di parlare irlandese. In questo modo diventa un grosso problema l’esame delle risposte da parte degli analisti, trattandosi evidentemente di dati non omologabili.

Le percentuali, tra l’altro, variano di molto a seconda delle varie regioni: le zone gaelofone si trovano maggiormente nell’ovest dell’isola (i Gaeltachtaí, al singolare Gaeltacht), che comprende all’incirca il 23% del totale della popolazione irlandese, contro il 16% nel 1926. Queste regioni gaelofone hanno raggiunto un particolare status politico mediante leggi che si succedettero tra il 1956 e il 1982, aventi lo scopo di favorirne l’economia, ma anche la lingua: si tratta di alcune parti delle contee di Cork, Donegal, Galway, Kerry, Mayo, Meath e Waterford.

Considerando la Repubblica d’Irlanda nella sua globalità, si può stimare che oggi solamente meno del 5% della popolazione utilizzi l’irlandese come prima lingua in famiglia o sul lavoro, mentre circa il 10% ne faccia uso in modo regolare, ma tuttavia non quotidiano. Queste cifre sembrano tra l’altro abbastanza stabili già da alcuni anni. Un elemento sorprendente viene infine a sommarsi a tutte queste cifre: si direbbe che oggi sia più “chic” parlare il gaelico nelle zone urbane che non nelle regioni rurali e povere del Paese. Anche questa constatazione è diventata oggetto di riflessione da parte dei politici, in un periodo in cui, tra parentesi, si assiste ad un notevole sviluppo delle attività iper-tecnologiche nelle zone dell’ovest dell’Irlanda (in particolare l’informatica). Tuttavia non è ancora certo che una politica di questo genere porterà i frutti sperati.

In realtà, la forte crescita del gaelico cui oggi si assiste è dovuta ad una conoscenza di tipo scolastico e universitario della lingua, piuttosto che ad un suo uso effettivo in ambito quotidiano e familiare. Lo Stato irlandese si è in effetti impegnato, a partire dagli anni ’20, in un vasto programma d’insegnamento, in cui la lingua irlandese è diventata una materia obbligatoria. E tra l’altro va ricordato che, paradossalmente, intere generazioni di irlandesi sono rimaste letteralmente disgustate dalla propria lingua, in particolare in seguito allo studio di un libro intitolato “Peig”, che narra la storia della vita di un’anziana donna originaria delle isole Blasket, nella contea di Kerry. Questa autobiografia di una donna analfabeta, ma che conosce centinaia di vecchie storie, diviene purtroppo il simbolo dello stridente contrasto esistente tra la realtà della vita quotidiana dei giovani liceali della fine del ventesimo secolo e la volontà patriottica (spesso al limite dell’estremismo) di alcuni insegnanti da un lato; e la visione nostalgica della vita rurale irlandese dal’altro. Lo studio di questo volume ha cessato di essere obbligatorio solo nel corso degli anni ’90, e ciò è stato considerato un mutamento epocale nella storia dell’insegnamento della lingua irlandese.

Ulteriori sforzi sono stati tentati dalle amministrazioni successive nel tentativo di giungere ad una semplificazione e standardizzazione dell’ortografia, da sempre un inestricabile rompicapo di questa lingua. Per la segnaletica stradale si giunse infine ad una soluzione bilingue.

Da un punto di vista socio-economico la lingua gaelica per molto tempo è stata appannaggio dei dipendenti statali, per i quali il bilinguismo era un requisito obbligatorio. Tuttavia questo obbligo venne annullato nel 1973, tranne che per quegli impiegati che hanno a che fare con le politiche linguistiche, come ad esempio gli insegnanti. È quindi evidente che si tratta di un uso linguistico seguito in maniera più o meno aleatoria. A sua volta, ogni cittadino ha il diritto di far uso della lingua che preferisce, quando si rivolge allo Stato e ai suoi rappresentanti, a prescindere dal livello di questi ultimi. È anche questo il caso delle problematiche relative alla Legge e alla Giustizia, ma un irlandese che si ostini a far uso del gaelico in questi àmbiti dovrà rassegnarsi al fatto che il suo problema verrà preso in considerazione, verosimilmente, con un notevole ritardo di tempo rispetto alla media.

Sul piano culturale un’altra sollecitazione molto importante si è avuta grazie alla radio e alla televisione. In seguito alla loro nascita, nel 1926, le trasmissioni radiofoniche in gaelico hanno sempre riscosso un buon successo presso gli ascoltatori. Dal 1972 esiste una radio esclusivamente in lingua gaelica, Raidió na Gaeltachta, la cui diffusione, per molto tempo limitata alle regioni costiere, si è poi estesa all’intera Irlanda a partire dagli anni ’80. Il problema è risultato più complesso per quanto riguarda la televisione, introdotta in Irlanda nel 1961: le trasmissioni televisive in gaelico per molto tempo sono state rarissime. Un progetto di televisione in lingua gaelica, sostenuto da tutti i governi avvicendatisi dagli inizi degli anni ’90, ebbe numerosi detrattori, scoraggiati dai costi e dai consueti dubbi in tema di redditività. Ci volle tutta la determinazione di Michael D. Higgins, ministro per il Gaeltacht, perché questo progetto vedesse la luce il 31 ottobre 1996. Localizzata nella contea di Galway, e dotata di apparecchiature tecniche di assoluto livello, TG4 (fino al 1999 TnaG, ovvero Téléfis na Gaeilge), riporta oggi un successo considerevole grazie alla sua impronta nettamente giovanile, riassunta nel motto “Súil Eile”, ovvero “una visione differente”.

Gli ideatori dei programmi di TG4 fanno tra l’altro di tutto per conquistare il pubblico: i programmi in inglese, di grande attualità, sono sottotitolati in gaelico; anche i bambini sono attratti da cartoni animati in gaelico, mentre buona parte degli aduti si ritrova a seguire la soap-opera “Ros na Rún”. La pubblicità si adatta in modo vivace e spigliato ai programmi bilingui, seguiti quotidianamente da oltre 700.000 persone, ma al centro del progetto rimangono le cinque ore quotidiane di trasmissione in irlandese.

Per quanto concerne le iniziative private, va ricordato che non esiste alcun quotidiano interamente redatto in irlandese: vi sono solo alcuni articoli in gaelico, sparsi tra le pagine di qualche giornale, scritto comunque sempre in lingua inglese. Vi sono infine due settimanali redatti in irlandese, ma con una tiratura di copie molto limitata.

Per concludere, la politica culturale irlandese in favore della lingua gaelica, nel corso del ventesimo secolo, si è chiusa con un bilancio fatto di molti insuccessi e di rare vittorie. Malgrado gli sforzi ufficiali iniziati sin dall’indipendenza del 1922, il numero di coloro che si esprime realmente in lingua gaelica non ha cessato di ridursi, per attestarsi intorno alla cifra di 50.000 persone nelle regioni del Gaeltacht, vale a dire poco più dell’1% della popolazione totale della Repubblica d’Irlanda. I censimenti più recenti ci dicono anche che un milione di irlandesi ha ricevuto un insegnamento del gaelico a livello scolastico. Ma il vero fatto positivo è la constatazione della rinnovata crescita demografica nelle 26 contee irlandesi, con una popolazione che è destinata a superare i quattro milioni di abitanti nel corso del 2003. Probabilmente è proprio da questa rinascita economica e demografica che potrà scaturire il rinnovamento della lingua irlandese. Ma se i suoi sostenitori si lasceranno sfuggire anche questa opportunità è del tutto verosimile che la lingua inglese, largamente maggioritaria ormai in tutto il pianeta, la soppianterà in modo decisivo, decretando la scomparsa definitiva del gaelico irlandese. Non sarà una grave perdita per il mondo intero, la scomparsa di una lingua cui si devono tra l’altro parole universalmente usate come whisky, slogan, bardo o clan?

 

                                                                                              Testo di Erick Falc’her-Poyroux

                                                                                              Traduzione di Alfredo De Pietra

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