PER UNA STORIA
DELLA LETTERATURA ZINGARA
di Giorgio Renato Franci
(Tratto dalla rivista Lacio Drom
di Mirella Karpati e Bruno Nicolini, n.3, 1996)
***********************************************
Tra le arti degli Zingari la
letteratura è quella che meno è stata studiata come fenomeno specifico
e insieme, per quanto possibile, unitario, con uno sguardo teso a
cogliere, al di là delle ovvie differenze linguistiche, ecc., gli
elementi che ne potrebbero consentire una visione organica.
Probabilmente la musica, anche prescindendo da tentativi come quello
prestigioso e generoso di Liszt(1), ha avuto una sorte migliore, forse
perché l'insediamento in veri paesi dei ceppi zingari e i rapporti di
questi con le popolazioni locali hanno certamente influito su aspetti
anche importanti della tradizione musicale ma senza che questo rendesse
meno riconoscibili certe caratteristiche della musica degli zingari,
impedendo di coglierne i tratti specifici: insomma, per fare un esempio
illuminante, varie enciclopedie, anche di buon livello, dedicano almeno
un paragrafo alle tradizioni musicali zingare, e niente di paragonabile
alle letterarie. Indubbiamente la differenziazione delle parlate romani,
cioè degli strumenti espressivi organici della letteratura, rende assai
più arduo il tentativo di un discorso relativamente unitario per le
arti della parola che, pur tenendo conto delle differenze, su di queste
non si appiattisca. Ma senza un discorso unitario qualcosa rischia di
andare perduto.
Gli Zingari hanno tradizioni antiche e non solo antiche(miti e leggende,
un'intensa produzione lirica e narrativa, ecc), le quali oltre che come
documento della loro storia e delle loro concezioni, meritano di essere
meglio riconosciute anche sotto il profilo artistico-letterario. E tanto
più nel nostro tempo, nel quale le culture minoritarie rischiano di
finire annegate in una specie di melassa mondiale, oppure di essere
lasciate sopravvivere come "interessanti" residui folclorici,
riserve indiane per il turismo culturale: in ogni caso con il pericolo,
molto concreto e in buona parte ormai divenuto realtà, di perdere la
forza vitale del proprio radicamento.
Che gli Zingari tra di noi costituiscano una realtà specifica (etnica,
sociale,ecc.), è cosa comunemente riconosciuta(la concordia finisce
quando si comincia a trarre le conseguenze da questa presa d'atto). Che
anche la cultura degli zingari possa costituire una realtà specifica e
particolarmente interessante, là dove si conserva, anche se con le
inevitabili trasformazioni, non sarà difficile ammetterlo, se solo si
pone in mente alla grande parte che vi gioca - per limitarci al piano
della creazione e trasmissione letteraria - l'oralità.Di letteratura
orale, ormai non abbiamo certo molto, a parte le barzellette e le
leggende metropolitane (più, se i bambini distratti dalla tivù, hanno
voglia di ascoltarle, e se gli adulti hanno voglia e capacità di
raccontarle, le favole(2) ).
Come si diceva, accingersi a
una storia della letteratura degli Zingari vuol dire imbarcarsi in
un'impresa che si preannuncia assai ardua. Questo mio intende essere, più
che altro, un piccolo contributo a un'impostazione generale di un così
complesso problema. Non credo comunque che le difficoltà siano
insuperabili. Non penso, tanto per cominciare con un esempio, che
costituisca una difficoltà insuperabile il carattere orale, ma, da vari
decenni ormai, non più solo orale, di questa tradizione letteraria, che
con il passaggio all'uso della scrittura sembra esserci arricchita di
nuove possibilità espressive, e non soltanto sul piano lessicale.
La letteratura orale è certamente letteratura con caratteristiche in
buona parte proprie, e va studiata con metodologie adeguate (3). Ma, per
esempio, la letteratura orale africana è stata oggetto di studi
complessivi seri (4) che l'hanno proposta all'attenzione, forse non
sempre così solerte come sarebbe stato auspicabile, degli studiosi e
dei teorici del fenomeno letterario, e giustamente uno specialista come
Ruth Finnegan già una ventina d'anni fa poteva dichiarare con matura o
forse orgogliosa consapevolezza:"African oral literature....is part
of the literature of the World and should be considered significant as
such"(p.519). Non si vede perché qualcosa di analogo non possa
essere compiuto per tradizioni letterarie degli Zingari. Ovviamente
tenendo conto del ben diverso contesto socio-culturale: non va per
esempio dimenticato che la letteratura degli Zingari ha costituito per
gran parte della sua storia un fenomeno di oralità nel bel mezzo di
popoli che conoscevano e praticavano da tempo l'arte della scrittura
anche a scopi letterari (5), e senza dubbio non sono mai mancati i
rapporti tra gli Zingari e questi popoli, come pure le influenze
reciproche, anche se di natura e consistenza ben differenti. (Del resto,
sarebbe assurdo scambiare per ignoranti illetterati gruppi umani dei
quali sarebbe più corretto dire che hanno tradizioni letterarie
concepite e trasmesse oralmente o- se si preferisce la versione del
bicchiere mezzo vuoto, ma per me è meglio la prima, perché più aperta
al riconoscimento della positività - che non hanno tradizioni scritte
(6).
Naturalmente, e questo può anche esser considerato un apporto della
letteratura di certi popoli alla teoria generale della letteratura, non
è detto che sia metodologicamente utile e opportuno trasferire a una
letteratura come quella degli Zingari i criteri di riconoscimento e
valutazione del fatto letterario che vanno bene, che so?, per la
letteratura italiana colta, o per un'altra letteratura europea
occidentale dell'età moderna. Bisogna trovare criteri più aperti. Più
di una indicazione illuminante può venire dagli studi sulla poesia, la
narrativa,ecc., dei popoli d'interesse etnologico, dalle analisi di
poetica antropologica (7). E, dopo tutto, come dimenticare che
l'oratoria giudiziaria e politica ha un posto di primo piano nella
storia letteraria greca e latina, molto meno della nostra? Nella storia
letteraria degli Zingari andranno accolte altre cose ancora: oltre ai
miti e alle leggende, i racconti di vita, le idee e i valori
documentabili tramite gli indovinelli (8), e i proverbi (9),ecc. Dovrà
essere, penso - ma è solo un'ipotesi, non la precostituzione di un
canone! - storia della letteratura come quadro della storia culturale da
una prospettiva letteraria, nella sua complessità, non soltanto
presentazione e analisi dei valori poetici raggiunti.
Per una storia di questo genere ogni documento potrà tornare utile, e
non andrà scartato a priori. Specialmente per le fasi più antiche
potranno servire anche o soprattutto, sfruttandole cum grano salis, le
fonti indirette: quanto ci fanno conoscere i documenti dei gajè
incontrati dagli Zingari nel corso delle loro peregrinazioni, e che di
questi incontri hanno lasciato memoria per qualche aspetto interessante,
che può far luce su determinate lacune della storia. Senza escludere
neppure, per ipotesi, anche se, per ora, temo che non se ne possa
ricavare molto, la documentazione sui modi di vivere, sulle idee e
quant'altro di vagabondi , cerretani, bianti, pitocchi, ecc. del tipo di
quella raccolta, per esempio, da Piero Camporesi.
Un problema rilevante è dato dalla difficoltà di individuare i
soggetti attivi di questa creazione letteraria, cioè gli Zingari, per
la tendenza frequentemente attestata a celare la propria identità, per
la mancanza di dati anagrafici precisi, ecc.
Questo può valere, ovviamente, soprattutto per il passato. Come
riconoscere la zingaricità, la romanipè: guardando la carta
d'identità oppure partendo da certe tematiche rivelatrici o quanto meno
indicative? Non sarà forse che, almeno in vari casi, se optiamo per la
seconda soluzione (la prima è chiaramente impraticabile), partiamo per
la ricerca già da una risposta data a priori, dalla nostra imago
zingarica? In termini così rigidi il problema è forse insolubile. Ma
un po' di buon senso suggerisce che un insieme di fattori può
concorrere al riconoscimento induttivo della zingaricità. E che,
dopotutto, si può procedere suppergiù come si è fatto per la musica
degli Zingari; ci saranno stati errori, ma, al di là di questi e di
ogni possibile dubbio, qualcosa di sostanziale, importante e specifico
rimane.
Abbastanza complesso è anche
il problema della molteplicità delle parlate. Se fosse soltanto per la
difficoltà derivante dalle dimensioni quantitative della pluralità, si
potrebbe ovviare con la collaborazione di competenti delle diverse
lingue. Ma c'è una difficoltà più sottile, che riguarda la natura
stessa di un progetto di esame unitario di una documentazione multi
linguistica: questa unitarietà non deve essere soltanto nello sguardo
di chi studia il fenomeno,ma, sia pure con tutte le possibili
peculiarità, sfumature, ecc., nel fenomeno stesso. E' questo il
"nostro" caso?
Forse una risposta convincente potrebbe venire solo alla conclusione di
un'impresa di storia unitaria, cioè dopo che ne siano state verificate
tutte le potenzialità ricostruttive. Però, a supporto di un'ipotesi di
lavoro nella direzione di una ricerca unitaria, non si può non
ricordare che più generazioni, ormai,di specialisti hanno riconosciuto
una certa qual unità culturale degli Zingari, innegabile anche se
difficile da definire (10): letterariamente la si può cogliere, oltre
nelle espressioni piu'direttamente connesse con lo stile di vita
errante, nelle tematiche e nelle voci in cui si traducono i dati della
condizione di apartheid e di reiezioni sociali tipici di questo popolo.
Insomma, se volessimo tentare un paragone forse un po' ardito, per
chiarire meglio l'idea rincorrendo a un esempio inverso, potremo forse
dire che, mentre l'unità della lingua inglese, anche se con varietà e
sottovarietà regionali, ha coperto e negato a lungo, anche sul piano di
riconoscimento di un autonomo statuto accademico, l'esistenza di forti
differenze di tradizioni letterarie, la varietà di parlate zingariche,
invece, vela, ma non impedisce di vedere, la realtà di un tessuto di
fondo comune. Questo anche se, come diceva il buon Colocci
(p.255),"lo Zingaro, poeta per natura e per necessità, cantò
argomenti soggettivi di indole quasi sempre appassionata; ma varia ne fu
l'inspirazione, varie le immagini, a seconda dei paesi, nei quali lo
recò la sua vita errabonda".
Molti temi potranno riuscire di notevole interesse in questa ricerca
storiografica. Ne accenno alcuni.
Innanzi tutto i generi coltivati: la lirica spesso dolorosa e amara, la
ballata, le brevi poesie narrative, le favole, le fiabe, i racconti,
ecc. Ci si potrà anche porre il problema della scarsa rilevanza
dell'epica vera e propria, cosa che, con altri elementi(11), viene a
confermare che gli Zingari, contrariamente a quanto sostenuto da taluno
(12), non sono i discendenti dei nobili guerrieri della seconda casta
indiana, come, del resto, non discendono neppure dai bramani.
Si potrà anche affrontare lo studio dello stile, delle eventuali
formule, ripetizioni, ecc. Anche, sebbene l'ipotesi prima facie paia
improbabile, della possibile presenza di una più o meno articolata
Dichtersprache.
Ci si potrà porre il problema dei rapporti tra la letteratura e le arti
degli Zingari. Se la recitazione di una poesia può essere
drammatizzata, già Colocci (266) diceva che "la forma più
abituale e più caratteristica della poesia zingara è quella delle
brevi liriche, quasi sempre improvvisate, destinate per servire di
complemento e di istigazione alla danza". A questo proposito ci si
può forse chiedere se l'attenzione per la performance, così importante
nella poesia orale, non sia estesa sino alle arti dello spettacolo vero
e proprio, in particolare al cosiddetto teatro minore (13), ai suoi
eventuali aspetti letterari. Non dimenticando, ancora una volta, la
possibilità di qualche utile indicazione che potrebbe venire dalle
tradizioni basse dei popoli europei, secondo una prospettiva che dalla
letteratura zingara colga anche fenomeni di risorgiva riscontrabili in
queste testimonianze dei gajè. (Del resto, mi chiedo se sia del tutto
improponibile, almeno come tema di ricerca, l'ipotesi di una influenza
della teatralità zingara, non limitata al solo piano della gestualità,
sulle origini della commedia dell'arte: ma può darsi che stia sfondando
una porta aperta. Giulio Soravia mi dice che in Sicilia gli Zingari sono
chiamati anche Zanni, probabilmente con un'assimilazione al noto
personaggio teatrale, ora sciocco, ora imbroglione, dotato delle tipiche
abilità dell'artista del teatro minore o del circo zingaro: mimica,
acrobaticità da saltimbanco, ecc.).
Ovviamente, non potrà essere trascurata la figura degli autori, poeti,
narratori, rinarratori: il che equivale ad affrontare la questione, ma
nel concreto, non nella teoria generale, dell'individualità
dell'artista nella letteratura popolare orale (14). Ma anche la
questione delle tecniche creative e soprattutto mestiche: la poesia è
figlia, ma anche, per i tempi e per gli uomini a venire, madre e
strumento di Mnemosyne. Ma di che tipo di memoria, di che volontà di
ricordare? La messa a confronto di racconti diversamente ripetuti nella
medesima occasione, o in diverse, potrà fornire utili elementi per
elaborare una risposta circostanziata a tali quesiti(15).
Ma proprio per i vincoli che legano l'arte orale alla memoria, ci si
dovrà chiedere quanto questa memoria affondi le sue radici nel tempo.
Già Bloch (p.116), a proposito di racconti degli Zingari, si chiedeva:
"Ces contes ont-ils une base orientale, comprennent-ils des
èlèments exotiques dans le folclore europèen?". E commentava :
" Question èpineuse ". Comunque, può forse dirci qualcosa
che, in quadro assai significativo (il rapporto molto particolare tra
Dio e il ........), ricompaia il tema mitico della pesca della terra dal
mare, tema non ignoto certo alla tradizione indiana (16), ma anche alle
polinesiane: Peter Buch ci racconta di Maui, il mitico pescatore che
trasse le isole della Polinesia dall'Oceano (17).
Non si potrà trascurare, inoltre, il contesto dell'attività e della
trasmissione letteraria: la condizione e la posizione dell'artista,
l'ambiente in cui agisce, il pubblico, i criteri di valutazione e di
merito, la funzione che viene riconosciuta, eventualmente, al fare arte,
le eventuali finalità didattiche (18), ecc.
Ci si dovrà anche chiedere quali novità ha introdotto l'uso della
scrittura (19).
E per chi scrivono gli Zingari che scrivono: se, per ipotesi, la loro
letteratura è paragonabile per qualche aspetto alla letteratura indiana
in inglese, la cosiddetta letteratura indo inglese, della quale più
d'uno usava dire che, poco interessava per gli Indiani, che non ne
apprezzano il colore locale, per loro fin troppo ovvio, si rivolge a un
pubblico che vive a migliaia di chilometri di distanza e che, viceversa,
è attratto dal colore locale indiano per amore di esotismo. Insomma è
letteratura per i gajè? Non sembra possibile ridurla a questo livello.
Ma, anche ase la cosa fosse vera, non ci sarebbe niente di male, non
toglierebbe nulla, anche prescindendo dal valore delle singole
realizzazioni artistiche, alla funzione di testimonianza civile sugli
esclusi e i reietti (20), propria di questa letteratura.
In effetti, uno studio di questo genere può avere risultati molto
positivi, oltre che sul piano più squisitamente scientifico sia come
contributo alla conoscenza di una tradizione letteraria molto peculiare,
sia quanto può venirne alla letteratura comparata e alla teoria della
letteratura - in linea più generale facendo conoscere meglio aspetti
rilevanti di una cultura misconosciuta, e quindi anche contribuendo a
rimuovere pregiudizi e stereotipi che ostacolano la comprensione della
realtà di un popolo.
Non vorrei che da queste considerazioni e riflessioni si potesse
desumere un'intenzione, da parte mia, di trascurare o non apprezzare
giustamente il lavoro, molto e meritorio, che è già stato fatto in
questo campo, quasi avessi l'aria trionfante e pretenziosa dell'ennesimo
scopritore dell'acqua calda. La mia intenzione è esattamente l'opposta.
Conoscendo, riconoscendo e apprezzando i contributi portati a questi
studi, anche solo per limitarci a quanto è stato fatto in Italia, da
riviste come Lacio Drom(21), la ricerca folclorica,ecc., da studiosi
come Mirella Karpati, Giulio Soravia e ormai tanti altri, vorrei
piuttosto proporre che dai contributi sparsi e anche dalle monografie più
organiche si provasse a passare a un progetto che la natura stessa dei
materiali da studiare e dei problemi che si impongono invita a impostare
e attuare con un lavoro di equipe che raccolga e integri le diverse
competenze di specialisti delle origini, dei miti e delle leggende, di
esperti delle differenti tradizioni letterarie create e trasmesse nelle
principali varietà delle parlate, ecc. Un'opera di questo genere
potrebbe costituire un autentico salto di qualità, soprattutto, ma non
soltanto, per le persone colte che non hanno una conoscenza approfondita
di questo campo di studi e neppure immaginano la ricchezza delle
testimonianze e la complessità della storia. Ma un quadro complessivo
meditato, organico e metodologicamente consapevole potrebbe riuscire
utile anche agli specialisti dei singoli settori, non essendo possibile
oggi avere una visione d'insieme per cognizione documentata e diretta. E
potrebbe servire anche di stimolo per una forte ripresa degli studi in
questa direzione.
Sarebbe bello se un quadro storico anche sintetico della letteratura
degli Zingari potesse trovar posto in una seria opera collettiva o
collana dedicata alla storia delle letterature indiane (per esempio
nella serie fondata da Jan Gonda). Sarebbe, con il riconoscimento dell'indologia
più ufficiale, quasi un ritorno alla cultura materna: ma dovrebbe
essere riconosciuta comunque la specificità del fenomeno
"Zingaro", tutta la ricchezza delle esperienze che la cultura
degli Zingari ha accumulato nei molti secoli di avventure, incontri,
disavventure della loro storia di viaggianti. Però, forse, anziché
cullarsi in sogni di sogni, sarà più opportuno, nel frattempo, pensare
concretamente alla fattibilità, e migliorabilità, del progetto.
Da "Studi orientali e linguistici", Istituto di Glottologia,
Università degli studi di Bologna
NOTE
*) In questo saggio-proposta molto, sicuramente, è ovvio e risaputo, in
particolare per gli addetti ai lavoro nei singoli campi che tocca. Ma è
sembrato necessario riprendere anche cose già dette e stridette perché
la proposta risultasse più chiara e meglio definita nelle sue
potenzialità. Lo stesso discorso va fatto per la bibliografia, che ha
soltanto la pretesa di essere funzionale al testo.
1) L'allusione a Des Bohèmiens et de leur musique en Hongrie (I
ediz.1859) del grande virtuoso e musicologo vuol essere solo un
riferimento esemplare a un'opera celebre e influente, anche se, nella
suggestiva concezione romantica, superata per le sue tesi di fondo:
un'opera, comunque, che non ha avuto nessun equivalente nel campo
storico-letterario.
2) Per le leggende metropolitane è degna di interesse, a coronamento di
un'ormai lunga serie di studi, la silloge presentata nel n.52 di
Communication con ampia bibliografia inglese e francese. Per tradizione
orale si trasmette tuttora qualche indovinello, magari interessante
soprattutto per le possibilità di doppio senso, tipo Il papa ce l'ha,
ma non la usa. Non so se sono nel vero, ma ritengo ormai estinto il
fenomeno delle pasquinate, che, peraltro, di solito erano scritte, e dei
versi satirici (alcuni, del resto, attributi a poeti di valore come
Trilussa): ne circolavano di famosi durante il fascismo,p. es. a
"celebrare" una visita di Hitler a Roma, o altre poesiole o
necrologi inventati di Mussolini, tipiche rivendicazioni di un
superstite jus murmurandi.
Non credo che, nell'ambito di questo breve riferimento, siano da
prendere in considerazione anche i fenomeni come i filò, i maggi, il
teatro di stalla: questo prescindendo da qualunque giudizio di valore,
generico o specifico, ma soltanto perché si tratta di forme di arte
popolare residuale, quasi fossili viventi nella società postmoderna.
3) Gli studi sulle tradizioni orali hanno compiuto un autentico salto di
qualità con la pubblicazione nel 1961 di De la tradition orale
dell'antropologo belga Jan Vansina (se ne veda anche l'edizione
italiana, con un'importante introduzione di Alessandro Triulzi). Però
Vansina è interessato a queste testimonianze più come fonti per la
conoscenza storica, che non come documenti del gusto, della sensibilità
e del fare artistico. Su questi temi esiste da anni una eccellente
produzione italiana (e anche delle sintesi ben documentate anche sul
piano bibliografico, come quelle di Passerini e Pianta; cfr.anche
l'edizione italiana della Semiotica di Bogatyrev). Sulle innovazioni che
l'introduzione della scrittura ha introdotto nei modi di pensare, di
esprimersi, di fare arte, sulle ragioni e le forme di quella che a
taluni pare un'autentica rivoluzione intellettuale, sono comparsi in
questi ultimi decenni molti studi, e talora si è anche caduti in
qualche discutibile esagerazione: mi limito qui a ricordare specialisti
del calibro di Cordona, Goody, Hagège, Haveloc, Ong, ecc. E non
andrebbero certo dimenticati gli interventi di un Nencioni, o l'invito
di De Mauro a non intendere con aprioristica rigidezza l'opposizione tra
parlato e scritto, come anche le considerazioni di Schenda sulla
comunicazione semiletteraria, ecc.
4) Cfr. p. es. Gli studi di Finnegan, Lunghi, ecc.
5) Cfr. p. es. Soravia 1991
6) Vorrei chiarire: tutte le culture, certo, sono rispettabili, ma per
riconoscere questo elementare punto di partenza per lo studio degli
"altri" non è necessario giudicarle tutte indifferentemente
uguali, appiattendone gli sviluppi in una linea di relativismo radicale.
E , per esempio, penso che l'invenzione o l'acquisizione della scrittura
costituisca una tappa e uno strumento fondamentale del divenire umano.
Dopo di che, credo, con la stessa forza, che si debbano per quanto
possibile valorizzare peculiarità, realizzazioni, ecc. sia delle
culture alfabetiche sia di quelle orali.
7) Rimando per questo, a puro titolo indicativo, alla silloge curata da
Cerchia e Salizzoni.
8) Cfr. p. es.Radita 1969;ecc.
9) Cfr. p.es. Tipler-Nicolini; ecc.
10) Per questo punto, cfr., le interessanti osservazioni di Soravia
1977, pp. 14-19.
11) Penso, oltre che - però prima di tutto - all'esclusiva oralità
antica, all'assenza di un ceto sacerdotale, di dottrine e tradizioni
alte, alla carenza di miti e riti sanscritici, alla mancanza, quanto
meno di documentazione, di una qualche conoscenza delle scienze e
dell'erudizione che costituiscono il patrimonio della cultura indiana
classica e, per converso, alla presenza di tradizioni "basse"
che, semmai, possono richiamare un filone popolare, piuttosto marginale
nel bramanesimo sanscritico, ma attestato fin dall'Atharvaveda. Cfr.
anche le interessanti considerazioni che a questo proposito sviluppa
Soravia 1989.
12) Alludo soprattutto alle posizioni di Kochanowschi, che ritengo
infondate e fuorvianti, comunque totalmente infeudate a tesi preconcette
e senza prove.
13) Rimando, per questo punto, alla buona bibliografia approntata da
Fabrizio Cruciani, in Cruciani-Savarese.
14) La questione come è arcinoto, ha avuto grande rilievo nelle teorie
della creatività artistica: naturalmente la sua impostazione e le
soluzioni proposte dipendono anche, o soprattutto, dalle concezioni
generali sull'arte letteraria. Superfluo ricordare le proposizioni
romantiche e crociane in questa materia. Un'utile integrazione a
prospettive troppo eurocentriche può venire da libri come quelli della
Seppilli. Del resto, cose acute e molto sensate si possono trovare
ancora in studi come quelli di Magliaro, che giustamente osserva:
"E' un fatto che, anche chi riconosca come la poesia popolare
ripeta la sua origine da moti individuali e voglia da lasciare da parte
la concezione romantica del popolo che esprime la sua anima nel canto,
non può fare a meno di ammettere che essa possiede una realtà, per
così dire, autonoma, nella quale ogni innovazione si
spersonalizza" (p.15), e subito dopo: "Mentre la poesia, che
possiamo chiamare d'arte, ha come suo carattere il fatto che il
componimento, in quanto realtà ben definita e compiuta secondo quel
ritmo interiore che il poeta gli ha impresso, esiste quale dato
formalmente definito e immutabile, la cui esistenza è, per così dire,
legata alla sua integrità, cioè alla sua fedeltà al momento creativo
originario, il carattere della poesia popolare determinato dal fatto che
la realtà, in cui il momento creativo si realizza, non si conchiude in
sé definitivamente, ma diventa realtà formale, suscettibile di
variazioni, in rapporto a variazioni maggiori o minori del suo
contenuto".
15) Su una scala molto piu' vasta, questo è il tipo di lavoro che a
tradizioni epico-cavalleresche Hindi ha dedicato S.M. Pandey (per cui
cfr., anche le mie recinsioni su SOL,1,p.331,e IV,p.349).
16) Cfr., per una particolare modulazione su questo tema, S.Sen.,
pp.40-41.Del resto non va dimenticato il motivo mitico, attestato fin
dai Brahmana, del (Dio che ha preso la forma del) cinghiale che trae la
terra su delle acque che la sommergevano: un tema che riceverà la sua
consacrazione definitiva nella figura del varahavatara.
17) Cfr. pp.63,201-202,ecc.. Maui pescò con la lenza l'isola
settentrionale della Nuova Zelanda, le Tonga, ecc.
18) Cfr., per un particolare inquadramento di questo tema, Carpati 1994.
19) Per la letteratura contemporanea scritta dagli Zingari, cfr., il
capitolo di Rajko Djuric e l'antologia di Giorgio Viaggio nel volume
curato da Mirella karpati, Zingari ieri e oggi
20) Per certi aspetti la letteratura degli zingari può ricordare la
letteratura dalit, cioè dei gruppi più miseri e reietti della società
indiana: un fenomeno, tra disperazione, denuncia e ribellione, che
giustamente suscita un sempre maggiore interesse.
21) Anche soltanto una scorsa alla sezione "Narrativa, poesia,
arte" degli indici di questa rivista può dare un'idea della
quantità, varietà, interesse dei temi trattati.
|