PER UNA STORIA DELLA LETTERATURA ZINGARA

di Giorgio Renato Franci

(Tratto dalla rivista Lacio Drom di Mirella Karpati e Bruno Nicolini, n.3, 1996)

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Tra le arti degli Zingari la letteratura è quella che meno è stata studiata come fenomeno specifico e insieme, per quanto possibile, unitario, con uno sguardo teso a cogliere, al di là delle ovvie differenze linguistiche, ecc., gli elementi che ne potrebbero consentire una visione organica. Probabilmente la musica, anche prescindendo da tentativi come quello prestigioso e generoso di Liszt(1), ha avuto una sorte migliore, forse perché l'insediamento in veri paesi dei ceppi zingari e i rapporti di questi con le popolazioni locali hanno certamente influito su aspetti anche importanti della tradizione musicale ma senza che questo rendesse meno riconoscibili certe caratteristiche della musica degli zingari, impedendo di coglierne i tratti specifici: insomma, per fare un esempio illuminante, varie enciclopedie, anche di buon livello, dedicano almeno un paragrafo alle tradizioni musicali zingare, e niente di paragonabile alle letterarie. Indubbiamente la differenziazione delle parlate romani, cioè degli strumenti espressivi organici della letteratura, rende assai più arduo il tentativo di un discorso relativamente unitario per le arti della parola che, pur tenendo conto delle differenze, su di queste non si appiattisca. Ma senza un discorso unitario qualcosa rischia di andare perduto.
Gli Zingari hanno tradizioni antiche e non solo antiche(miti e leggende, un'intensa produzione lirica e narrativa, ecc), le quali oltre che come documento della loro storia e delle loro concezioni, meritano di essere meglio riconosciute anche sotto il profilo artistico-letterario. E tanto più nel nostro tempo, nel quale le culture minoritarie rischiano di finire annegate in una specie di melassa mondiale, oppure di essere lasciate sopravvivere come "interessanti" residui folclorici, riserve indiane per il turismo culturale: in ogni caso con il pericolo, molto concreto e in buona parte ormai divenuto realtà, di perdere la forza vitale del proprio radicamento.
Che gli Zingari tra di noi costituiscano una realtà specifica (etnica, sociale,ecc.), è cosa comunemente riconosciuta(la concordia finisce quando si comincia a trarre le conseguenze da questa presa d'atto). Che anche la cultura degli zingari possa costituire una realtà specifica e particolarmente interessante, là dove si conserva, anche se con le inevitabili trasformazioni, non sarà difficile ammetterlo, se solo si pone in mente alla grande parte che vi gioca - per limitarci al piano della creazione e trasmissione letteraria - l'oralità.Di letteratura orale, ormai non abbiamo certo molto, a parte le barzellette e le leggende metropolitane (più, se i bambini distratti dalla tivù, hanno voglia di ascoltarle, e se gli adulti hanno voglia e capacità di raccontarle, le favole(2) ).

Come si diceva, accingersi a una storia della letteratura degli Zingari vuol dire imbarcarsi in un'impresa che si preannuncia assai ardua. Questo mio intende essere, più che altro, un piccolo contributo a un'impostazione generale di un così complesso problema. Non credo comunque che le difficoltà siano insuperabili. Non penso, tanto per cominciare con un esempio, che costituisca una difficoltà insuperabile il carattere orale, ma, da vari decenni ormai, non più solo orale, di questa tradizione letteraria, che con il passaggio all'uso della scrittura sembra esserci arricchita di nuove possibilità espressive, e non soltanto sul piano lessicale.
La letteratura orale è certamente letteratura con caratteristiche in buona parte proprie, e va studiata con metodologie adeguate (3). Ma, per esempio, la letteratura orale africana è stata oggetto di studi complessivi seri (4) che l'hanno proposta all'attenzione, forse non sempre così solerte come sarebbe stato auspicabile, degli studiosi e dei teorici del fenomeno letterario, e giustamente uno specialista come Ruth Finnegan già una ventina d'anni fa poteva dichiarare con matura o forse orgogliosa consapevolezza:"African oral literature....is part of the literature of the World and should be considered significant as such"(p.519). Non si vede perché qualcosa di analogo non possa essere compiuto per tradizioni letterarie degli Zingari. Ovviamente tenendo conto del ben diverso contesto socio-culturale: non va per esempio dimenticato che la letteratura degli Zingari ha costituito per gran parte della sua storia un fenomeno di oralità nel bel mezzo di popoli che conoscevano e praticavano da tempo l'arte della scrittura anche a scopi letterari (5), e senza dubbio non sono mai mancati i rapporti tra gli Zingari e questi popoli, come pure le influenze reciproche, anche se di natura e consistenza ben differenti. (Del resto, sarebbe assurdo scambiare per ignoranti illetterati gruppi umani dei quali sarebbe più corretto dire che hanno tradizioni letterarie concepite e trasmesse oralmente o- se si preferisce la versione del bicchiere mezzo vuoto, ma per me è meglio la prima, perché più aperta al riconoscimento della positività - che non hanno tradizioni scritte (6).
Naturalmente, e questo può anche esser considerato un apporto della letteratura di certi popoli alla teoria generale della letteratura, non è detto che sia metodologicamente utile e opportuno trasferire a una letteratura come quella degli Zingari i criteri di riconoscimento e valutazione del fatto letterario che vanno bene, che so?, per la letteratura italiana colta, o per un'altra letteratura europea occidentale dell'età moderna. Bisogna trovare criteri più aperti. Più di una indicazione illuminante può venire dagli studi sulla poesia, la narrativa,ecc., dei popoli d'interesse etnologico, dalle analisi di poetica antropologica (7). E, dopo tutto, come dimenticare che l'oratoria giudiziaria e politica ha un posto di primo piano nella storia letteraria greca e latina, molto meno della nostra? Nella storia letteraria degli Zingari andranno accolte altre cose ancora: oltre ai miti e alle leggende, i racconti di vita, le idee e i valori documentabili tramite gli indovinelli (8), e i proverbi (9),ecc. Dovrà essere, penso - ma è solo un'ipotesi, non la precostituzione di un canone! - storia della letteratura come quadro della storia culturale da una prospettiva letteraria, nella sua complessità, non soltanto presentazione e analisi dei valori poetici raggiunti.
Per una storia di questo genere ogni documento potrà tornare utile, e non andrà scartato a priori. Specialmente per le fasi più antiche potranno servire anche o soprattutto, sfruttandole cum grano salis, le fonti indirette: quanto ci fanno conoscere i documenti dei gajè incontrati dagli Zingari nel corso delle loro peregrinazioni, e che di questi incontri hanno lasciato memoria per qualche aspetto interessante, che può far luce su determinate lacune della storia. Senza escludere neppure, per ipotesi, anche se, per ora, temo che non se ne possa ricavare molto, la documentazione sui modi di vivere, sulle idee e quant'altro di vagabondi , cerretani, bianti, pitocchi, ecc. del tipo di quella raccolta, per esempio, da Piero Camporesi.

Un problema rilevante è dato dalla difficoltà di individuare i soggetti attivi di questa creazione letteraria, cioè gli Zingari, per la tendenza frequentemente attestata a celare la propria identità, per la mancanza di dati anagrafici precisi, ecc.
Questo può valere, ovviamente, soprattutto per il passato. Come riconoscere la zingaricità, la romanipè: guardando la carta d'identità oppure partendo da certe tematiche rivelatrici o quanto meno indicative? Non sarà forse che, almeno in vari casi, se optiamo per la seconda soluzione (la prima è chiaramente impraticabile), partiamo per la ricerca già da una risposta data a priori, dalla nostra imago zingarica? In termini così rigidi il problema è forse insolubile. Ma un po' di buon senso suggerisce che un insieme di fattori può concorrere al riconoscimento induttivo della zingaricità. E che, dopotutto, si può procedere suppergiù come si è fatto per la musica degli Zingari; ci saranno stati errori, ma, al di là di questi e di ogni possibile dubbio, qualcosa di sostanziale, importante e specifico rimane.

Abbastanza complesso è anche il problema della molteplicità delle parlate. Se fosse soltanto per la difficoltà derivante dalle dimensioni quantitative della pluralità, si potrebbe ovviare con la collaborazione di competenti delle diverse lingue. Ma c'è una difficoltà più sottile, che riguarda la natura stessa di un progetto di esame unitario di una documentazione multi linguistica: questa unitarietà non deve essere soltanto nello sguardo di chi studia il fenomeno,ma, sia pure con tutte le possibili peculiarità, sfumature, ecc., nel fenomeno stesso. E' questo il "nostro" caso?
Forse una risposta convincente potrebbe venire solo alla conclusione di un'impresa di storia unitaria, cioè dopo che ne siano state verificate tutte le potenzialità ricostruttive. Però, a supporto di un'ipotesi di lavoro nella direzione di una ricerca unitaria, non si può non ricordare che più generazioni, ormai,di specialisti hanno riconosciuto una certa qual unità culturale degli Zingari, innegabile anche se difficile da definire (10): letterariamente la si può cogliere, oltre nelle espressioni piu'direttamente connesse con lo stile di vita errante, nelle tematiche e nelle voci in cui si traducono i dati della condizione di apartheid e di reiezioni sociali tipici di questo popolo. Insomma, se volessimo tentare un paragone forse un po' ardito, per chiarire meglio l'idea rincorrendo a un esempio inverso, potremo forse dire che, mentre l'unità della lingua inglese, anche se con varietà e sottovarietà regionali, ha coperto e negato a lungo, anche sul piano di riconoscimento di un autonomo statuto accademico, l'esistenza di forti differenze di tradizioni letterarie, la varietà di parlate zingariche, invece, vela, ma non impedisce di vedere, la realtà di un tessuto di fondo comune. Questo anche se, come diceva il buon Colocci (p.255),"lo Zingaro, poeta per natura e per necessità, cantò argomenti soggettivi di indole quasi sempre appassionata; ma varia ne fu l'inspirazione, varie le immagini, a seconda dei paesi, nei quali lo recò la sua vita errabonda".
Molti temi potranno riuscire di notevole interesse in questa ricerca storiografica. Ne accenno alcuni.
Innanzi tutto i generi coltivati: la lirica spesso dolorosa e amara, la ballata, le brevi poesie narrative, le favole, le fiabe, i racconti, ecc. Ci si potrà anche porre il problema della scarsa rilevanza dell'epica vera e propria, cosa che, con altri elementi(11), viene a confermare che gli Zingari, contrariamente a quanto sostenuto da taluno (12), non sono i discendenti dei nobili guerrieri della seconda casta indiana, come, del resto, non discendono neppure dai bramani.
Si potrà anche affrontare lo studio dello stile, delle eventuali formule, ripetizioni, ecc. Anche, sebbene l'ipotesi prima facie paia improbabile, della possibile presenza di una più o meno articolata Dichtersprache.
Ci si potrà porre il problema dei rapporti tra la letteratura e le arti degli Zingari. Se la recitazione di una poesia può essere drammatizzata, già Colocci (266) diceva che "la forma più abituale e più caratteristica della poesia zingara è quella delle brevi liriche, quasi sempre improvvisate, destinate per servire di complemento e di istigazione alla danza". A questo proposito ci si può forse chiedere se l'attenzione per la performance, così importante nella poesia orale, non sia estesa sino alle arti dello spettacolo vero e proprio, in particolare al cosiddetto teatro minore (13), ai suoi eventuali aspetti letterari. Non dimenticando, ancora una volta, la possibilità di qualche utile indicazione che potrebbe venire dalle tradizioni basse dei popoli europei, secondo una prospettiva che dalla letteratura zingara colga anche fenomeni di risorgiva riscontrabili in queste testimonianze dei gajè. (Del resto, mi chiedo se sia del tutto improponibile, almeno come tema di ricerca, l'ipotesi di una influenza della teatralità zingara, non limitata al solo piano della gestualità, sulle origini della commedia dell'arte: ma può darsi che stia sfondando una porta aperta. Giulio Soravia mi dice che in Sicilia gli Zingari sono chiamati anche Zanni, probabilmente con un'assimilazione al noto personaggio teatrale, ora sciocco, ora imbroglione, dotato delle tipiche abilità dell'artista del teatro minore o del circo zingaro: mimica, acrobaticità da saltimbanco, ecc.).

Ovviamente, non potrà essere trascurata la figura degli autori, poeti, narratori, rinarratori: il che equivale ad affrontare la questione, ma nel concreto, non nella teoria generale, dell'individualità dell'artista nella letteratura popolare orale (14). Ma anche la questione delle tecniche creative e soprattutto mestiche: la poesia è figlia, ma anche, per i tempi e per gli uomini a venire, madre e strumento di Mnemosyne. Ma di che tipo di memoria, di che volontà di ricordare? La messa a confronto di racconti diversamente ripetuti nella medesima occasione, o in diverse, potrà fornire utili elementi per elaborare una risposta circostanziata a tali quesiti(15).
Ma proprio per i vincoli che legano l'arte orale alla memoria, ci si dovrà chiedere quanto questa memoria affondi le sue radici nel tempo. Già Bloch (p.116), a proposito di racconti degli Zingari, si chiedeva: "Ces contes ont-ils une base orientale, comprennent-ils des èlèments exotiques dans le folclore europèen?". E commentava : " Question èpineuse ". Comunque, può forse dirci qualcosa che, in quadro assai significativo (il rapporto molto particolare tra Dio e il ........), ricompaia il tema mitico della pesca della terra dal mare, tema non ignoto certo alla tradizione indiana (16), ma anche alle polinesiane: Peter Buch ci racconta di Maui, il mitico pescatore che trasse le isole della Polinesia dall'Oceano (17).
Non si potrà trascurare, inoltre, il contesto dell'attività e della trasmissione letteraria: la condizione e la posizione dell'artista, l'ambiente in cui agisce, il pubblico, i criteri di valutazione e di merito, la funzione che viene riconosciuta, eventualmente, al fare arte, le eventuali finalità didattiche (18), ecc.
Ci si dovrà anche chiedere quali novità ha introdotto l'uso della scrittura (19).
E per chi scrivono gli Zingari che scrivono: se, per ipotesi, la loro letteratura è paragonabile per qualche aspetto alla letteratura indiana in inglese, la cosiddetta letteratura indo inglese, della quale più d'uno usava dire che, poco interessava per gli Indiani, che non ne apprezzano il colore locale, per loro fin troppo ovvio, si rivolge a un pubblico che vive a migliaia di chilometri di distanza e che, viceversa, è attratto dal colore locale indiano per amore di esotismo. Insomma è letteratura per i gajè? Non sembra possibile ridurla a questo livello. Ma, anche ase la cosa fosse vera, non ci sarebbe niente di male, non toglierebbe nulla, anche prescindendo dal valore delle singole realizzazioni artistiche, alla funzione di testimonianza civile sugli esclusi e i reietti (20), propria di questa letteratura.
In effetti, uno studio di questo genere può avere risultati molto positivi, oltre che sul piano più squisitamente scientifico sia come contributo alla conoscenza di una tradizione letteraria molto peculiare, sia quanto può venirne alla letteratura comparata e alla teoria della letteratura - in linea più generale facendo conoscere meglio aspetti rilevanti di una cultura misconosciuta, e quindi anche contribuendo a rimuovere pregiudizi e stereotipi che ostacolano la comprensione della realtà di un popolo.
Non vorrei che da queste considerazioni e riflessioni si potesse desumere un'intenzione, da parte mia, di trascurare o non apprezzare giustamente il lavoro, molto e meritorio, che è già stato fatto in questo campo, quasi avessi l'aria trionfante e pretenziosa dell'ennesimo scopritore dell'acqua calda. La mia intenzione è esattamente l'opposta. Conoscendo, riconoscendo e apprezzando i contributi portati a questi studi, anche solo per limitarci a quanto è stato fatto in Italia, da riviste come Lacio Drom(21), la ricerca folclorica,ecc., da studiosi come Mirella Karpati, Giulio Soravia e ormai tanti altri, vorrei piuttosto proporre che dai contributi sparsi e anche dalle monografie più organiche si provasse a passare a un progetto che la natura stessa dei materiali da studiare e dei problemi che si impongono invita a impostare e attuare con un lavoro di equipe che raccolga e integri le diverse competenze di specialisti delle origini, dei miti e delle leggende, di esperti delle differenti tradizioni letterarie create e trasmesse nelle principali varietà delle parlate, ecc. Un'opera di questo genere potrebbe costituire un autentico salto di qualità, soprattutto, ma non soltanto, per le persone colte che non hanno una conoscenza approfondita di questo campo di studi e neppure immaginano la ricchezza delle testimonianze e la complessità della storia. Ma un quadro complessivo meditato, organico e metodologicamente consapevole potrebbe riuscire utile anche agli specialisti dei singoli settori, non essendo possibile oggi avere una visione d'insieme per cognizione documentata e diretta. E potrebbe servire anche di stimolo per una forte ripresa degli studi in questa direzione.
Sarebbe bello se un quadro storico anche sintetico della letteratura degli Zingari potesse trovar posto in una seria opera collettiva o collana dedicata alla storia delle letterature indiane (per esempio nella serie fondata da Jan Gonda). Sarebbe, con il riconoscimento dell'indologia più ufficiale, quasi un ritorno alla cultura materna: ma dovrebbe essere riconosciuta comunque la specificità del fenomeno "Zingaro", tutta la ricchezza delle esperienze che la cultura degli Zingari ha accumulato nei molti secoli di avventure, incontri, disavventure della loro storia di viaggianti. Però, forse, anziché cullarsi in sogni di sogni, sarà più opportuno, nel frattempo, pensare concretamente alla fattibilità, e migliorabilità, del progetto.

Da "Studi orientali e linguistici", Istituto di Glottologia, Università degli studi di Bologna

NOTE
*) In questo saggio-proposta molto, sicuramente, è ovvio e risaputo, in particolare per gli addetti ai lavoro nei singoli campi che tocca. Ma è sembrato necessario riprendere anche cose già dette e stridette perché la proposta risultasse più chiara e meglio definita nelle sue potenzialità. Lo stesso discorso va fatto per la bibliografia, che ha soltanto la pretesa di essere funzionale al testo.
1) L'allusione a Des Bohèmiens et de leur musique en Hongrie (I ediz.1859) del grande virtuoso e musicologo vuol essere solo un riferimento esemplare a un'opera celebre e influente, anche se, nella suggestiva concezione romantica, superata per le sue tesi di fondo: un'opera, comunque, che non ha avuto nessun equivalente nel campo storico-letterario.
2) Per le leggende metropolitane è degna di interesse, a coronamento di un'ormai lunga serie di studi, la silloge presentata nel n.52 di Communication con ampia bibliografia inglese e francese. Per tradizione orale si trasmette tuttora qualche indovinello, magari interessante soprattutto per le possibilità di doppio senso, tipo Il papa ce l'ha, ma non la usa. Non so se sono nel vero, ma ritengo ormai estinto il fenomeno delle pasquinate, che, peraltro, di solito erano scritte, e dei versi satirici (alcuni, del resto, attributi a poeti di valore come Trilussa): ne circolavano di famosi durante il fascismo,p. es. a "celebrare" una visita di Hitler a Roma, o altre poesiole o necrologi inventati di Mussolini, tipiche rivendicazioni di un superstite jus murmurandi.
Non credo che, nell'ambito di questo breve riferimento, siano da prendere in considerazione anche i fenomeni come i filò, i maggi, il teatro di stalla: questo prescindendo da qualunque giudizio di valore, generico o specifico, ma soltanto perché si tratta di forme di arte popolare residuale, quasi fossili viventi nella società postmoderna.
3) Gli studi sulle tradizioni orali hanno compiuto un autentico salto di qualità con la pubblicazione nel 1961 di De la tradition orale dell'antropologo belga Jan Vansina (se ne veda anche l'edizione italiana, con un'importante introduzione di Alessandro Triulzi). Però Vansina è interessato a queste testimonianze più come fonti per la conoscenza storica, che non come documenti del gusto, della sensibilità e del fare artistico. Su questi temi esiste da anni una eccellente produzione italiana (e anche delle sintesi ben documentate anche sul piano bibliografico, come quelle di Passerini e Pianta; cfr.anche l'edizione italiana della Semiotica di Bogatyrev). Sulle innovazioni che l'introduzione della scrittura ha introdotto nei modi di pensare, di esprimersi, di fare arte, sulle ragioni e le forme di quella che a taluni pare un'autentica rivoluzione intellettuale, sono comparsi in questi ultimi decenni molti studi, e talora si è anche caduti in qualche discutibile esagerazione: mi limito qui a ricordare specialisti del calibro di Cordona, Goody, Hagège, Haveloc, Ong, ecc. E non andrebbero certo dimenticati gli interventi di un Nencioni, o l'invito di De Mauro a non intendere con aprioristica rigidezza l'opposizione tra parlato e scritto, come anche le considerazioni di Schenda sulla comunicazione semiletteraria, ecc.
4) Cfr. p. es. Gli studi di Finnegan, Lunghi, ecc.
5) Cfr. p. es. Soravia 1991
6) Vorrei chiarire: tutte le culture, certo, sono rispettabili, ma per riconoscere questo elementare punto di partenza per lo studio degli "altri" non è necessario giudicarle tutte indifferentemente uguali, appiattendone gli sviluppi in una linea di relativismo radicale. E , per esempio, penso che l'invenzione o l'acquisizione della scrittura costituisca una tappa e uno strumento fondamentale del divenire umano. Dopo di che, credo, con la stessa forza, che si debbano per quanto possibile valorizzare peculiarità, realizzazioni, ecc. sia delle culture alfabetiche sia di quelle orali.
7) Rimando per questo, a puro titolo indicativo, alla silloge curata da Cerchia e Salizzoni.
8) Cfr. p. es.Radita 1969;ecc.
9) Cfr. p.es. Tipler-Nicolini; ecc.
10) Per questo punto, cfr., le interessanti osservazioni di Soravia 1977, pp. 14-19.
11) Penso, oltre che - però prima di tutto - all'esclusiva oralità antica, all'assenza di un ceto sacerdotale, di dottrine e tradizioni alte, alla carenza di miti e riti sanscritici, alla mancanza, quanto meno di documentazione, di una qualche conoscenza delle scienze e dell'erudizione che costituiscono il patrimonio della cultura indiana classica e, per converso, alla presenza di tradizioni "basse" che, semmai, possono richiamare un filone popolare, piuttosto marginale nel bramanesimo sanscritico, ma attestato fin dall'Atharvaveda. Cfr. anche le interessanti considerazioni che a questo proposito sviluppa Soravia 1989.
12) Alludo soprattutto alle posizioni di Kochanowschi, che ritengo infondate e fuorvianti, comunque totalmente infeudate a tesi preconcette e senza prove.
13) Rimando, per questo punto, alla buona bibliografia approntata da Fabrizio Cruciani, in Cruciani-Savarese.
14) La questione come è arcinoto, ha avuto grande rilievo nelle teorie della creatività artistica: naturalmente la sua impostazione e le soluzioni proposte dipendono anche, o soprattutto, dalle concezioni generali sull'arte letteraria. Superfluo ricordare le proposizioni romantiche e crociane in questa materia. Un'utile integrazione a prospettive troppo eurocentriche può venire da libri come quelli della Seppilli. Del resto, cose acute e molto sensate si possono trovare ancora in studi come quelli di Magliaro, che giustamente osserva: "E' un fatto che, anche chi riconosca come la poesia popolare ripeta la sua origine da moti individuali e voglia da lasciare da parte la concezione romantica del popolo che esprime la sua anima nel canto, non può fare a meno di ammettere che essa possiede una realtà, per così dire, autonoma, nella quale ogni innovazione si spersonalizza" (p.15), e subito dopo: "Mentre la poesia, che possiamo chiamare d'arte, ha come suo carattere il fatto che il componimento, in quanto realtà ben definita e compiuta secondo quel ritmo interiore che il poeta gli ha impresso, esiste quale dato formalmente definito e immutabile, la cui esistenza è, per così dire, legata alla sua integrità, cioè alla sua fedeltà al momento creativo originario, il carattere della poesia popolare determinato dal fatto che la realtà, in cui il momento creativo si realizza, non si conchiude in sé definitivamente, ma diventa realtà formale, suscettibile di variazioni, in rapporto a variazioni maggiori o minori del suo contenuto".
15) Su una scala molto piu' vasta, questo è il tipo di lavoro che a tradizioni epico-cavalleresche Hindi ha dedicato S.M. Pandey (per cui cfr., anche le mie recinsioni su SOL,1,p.331,e IV,p.349).
16) Cfr., per una particolare modulazione su questo tema, S.Sen., pp.40-41.Del resto non va dimenticato il motivo mitico, attestato fin dai Brahmana, del (Dio che ha preso la forma del) cinghiale che trae la terra su delle acque che la sommergevano: un tema che riceverà la sua consacrazione definitiva nella figura del varahavatara.
17) Cfr. pp.63,201-202,ecc.. Maui pescò con la lenza l'isola settentrionale della Nuova Zelanda, le Tonga, ecc.
18) Cfr., per un particolare inquadramento di questo tema, Carpati 1994.
19) Per la letteratura contemporanea scritta dagli Zingari, cfr., il capitolo di Rajko Djuric e l'antologia di Giorgio Viaggio nel volume curato da Mirella karpati, Zingari ieri e oggi
20) Per certi aspetti la letteratura degli zingari può ricordare la letteratura dalit, cioè dei gruppi più miseri e reietti della società indiana: un fenomeno, tra disperazione, denuncia e ribellione, che giustamente suscita un sempre maggiore interesse.
21) Anche soltanto una scorsa alla sezione "Narrativa, poesia, arte" degli indici di questa rivista può dare un'idea della quantità, varietà, interesse dei temi trattati.