Gli zingari in Sardegna in età moderna

di Massimo Aresu

Tratto dalla tesi di laurea 

Prospettive e Problematiche per una Storia degli Zingari in Età Moderna 

A.A. 1996/1997

Relatore : Maria Luisa Plaisant

Controrelatore : Giorgio Puddu

 


Indice

Marginalità e repressione dei devianti nella Sardegna Spagnola

Tracce documentarie e linguistiche della presenza zingara in Sardegna

S'arromaniska. Il caso dei ramai isilesi

Conclusioni

Bibliografia


Marginalità e repressione dei devianti nella Sardegna spagnola

 Se la presenza di gruppi zingari negli stati italiani di terraferma appartenenti alla corona spagnola in età moderna è un fatto ormai accertato da tempo [1] , meno scontate appaiono invece le testimonianze relative alla loro presenza in Sardegna, attestata documentalmente solo a partire dalla seconda metà del Cinquecento [2] .

Tale presenza va contestualizzata all'interno del complesso quadro politico economico e sociale dell'isola durante la lunga fase di dominio iberico [3] .

Sarà utile in particolare concentrare l'attenzione su tutti quei gruppi e individui che, a causa della loro appartenenza sociale o etnica, o del loro stile di vita, erano costretti a condurre un’esistenza marginale, frange di popolazione in dissintonia col resto del corpo sociale e perennemente in conflitto con le pubbliche autorità, che con la loro semplice presenza sulla scena sociale “ mettevano in mostra la debolezza di un sistema sociale che non riusciva ad assorbirli, di un sistema economico che non riusciva a sostenerli e di un sistema politico che non riusciva a controllarli” [4] .

La Sardegna, al pari di tutte le nazioni europee dell'epoca fu, caratterizzata per tutta l'età moderna dalla presenza, in particolare nei periodi di più sfavorevole congiuntura economica, di una massa fluttuante di poveri sradicati dai loro villaggi d'origine, privi di un'occupazione stabile e di una dimora fissa, che si spostavano in cerca di un lavoro occasionale o più semplicemente non lavoravano affatto, accontentandosi di vivere di espedienti [5] . Una gran parte di questi individui era costituita da contadini impoveriti, che per svariati motivi avevano perso la possibilità di autosostentarsi [6] .

Il rapporto tra il contadino sardo e le risorse alimentari, fin dal Medioevo, si presentava assai precario [7] . Una situazione di penuria endemica caratterizzava infatti l'agricoltura isolana e rendeva le crisi di sussistenza un fenomeno piuttosto frequente. Epidemie, cavallette, inondazioni, siccità erano alcune tra le più frequenti calamità, la cui ricorrenza andava spesso a vanificare il lavoro di tutta una stagione [8] .

Anche nei periodi non particolarmente avversi il quadro della situazione non appariva idilliaco. Lo storico John Day offre un ritratto dell'economia isolana alle soglie del XVI secolo decisamente desolante: "Un insediamento rurale più irrazionale che mai: le terre migliori abbandonate alle greggi erranti e alle zanzare, contadini concentrati in un numero ridotto di villaggi spesso lontani dai loro campi, uno squilibrio che persisterà fra un'agricoltura condannata da pratiche sorpassate e un allevamento trionfante ma povero" [9] .

L’autore mette in rilievo come fossero soprattutto le zone cerealicole, legate ai mercati di Cagliari a Sud e di Sassari a Nord a essere duramente colpite; non è un fatto casuale che queste fossero le stesse aree in cui vigeva la legge dell'ensierro, tenute all'obbligo di rifornimento ai magazzini frumentari pubblici delle città regie [10] .

Riferisce Francesco Manconi che "l'inserimento nel mercato internazionale del grano, come pure il diverso rapporto che con la venuta dei catalani viene a instaurarsi tra le città che consumano e la campagna che produce avranno un contraccolpo sostanzialmente negativo se non nella produzione granaria certamente sulla capacità di diversificazione delle colture agricole e quindi di riflesso sulla sicurezza alimentare dei sardi" [11] .

L'avvento della monocoltura granaria si caratterizzava come un evento economico di natura strutturale e può essere considerato per quanto riguarda la Sardegna uno dei principali fattori di destabilizzazione sociale nell'isola.

I contadini sardi, inoltre, non solo si trovavano a dover far fronte alle richieste pressanti della città e delle sue magistrature, ma erano costretti a subire ogni sorta di abusi da parte dei feudatari locali [12] .

Gli stessi rappresentanti del governo riconoscevano lo stato di vessazione cui gli abitanti delle campagne erano sottoposti, come emerge dalle relazioni del Visitatore Generale Martin Carrillo, inviato da Filippo III in Sardegna nel 1610, il quale non mancò di rilevare abusi e ingiustizie [13] .

La crisi sociale ed economica divenne più evidente nella seconda metà del XVI secolo e fu innescata, in particolare, dalla crescita demografica e dalla contemporanea contrazione delle terre comunali [14] .

Tale situazione diede luogo a spostamenti massicci di popolazione che abbandonava i propri villaggi d'origine per sfuggire alla miseria; l'esodo rurale finì per diventare una costante, la cui ampiezza variava secondo l'andamento della stagione agricola. In particolare crebbe l'afflusso di individui, per la maggior parte contadini impoveriti, verso le città, le quali garantivano maggiori possibilità di sostentamento rispetto alla campagna [15] . Francesco Manconi riferisce che il numero dei poveri assistiti presenti nella città di Cagliari passò nel 1590 da duecento a trecentosessanta unità [16] .

Il continuo afflusso di vagabondi nelle città del Regno venne inutilmente contrastato dai pubblici poteri isolani e rappresentò uno dei principali problemi a cui i viceré di stanza nell'isola tentarono di porre rimedio.

L'assillo maggiore per le autorità era il reinserimento dei nuovi venuti nei meccanismi sociali di controllo e di dipendenza che regolavano la vita sociale, meccanismi che erano venuti meno dopo la loro fuga dalle campagne. [17]

Questi elementi emergono con chiarezza dall'analisi dei gridari dei viceré spagnoli, in cui largo spazio trovano i temi connessi al vagabondaggio. Ciò che veniva contestato ai vagabondi presenti nelle città isolane del regno, era la mancanza di una dimora fissa, "cases certes y abitations propres", e di un rapporto di lavoro continuativo alle dipendenze di un padrone, "no estan ab amos" [18] . In mancanza della realizzazione di queste due condizioni: (residenza fissa e lavoro dipendente) il vagabondo di stanza in città veniva considerato socialmente pericoloso: un manifesto stato di ociositat era conseguentemente valutato alla stregua di un vero e proprio reato [19] . I vagabondi presenti in città venivano invitati a trovare un domicilio stabile e una persona presso la quale prestare servizio; la pena prevista per coloro che si sottraevano alle direttive viceregie era la condanna alla galera per il periodo di tre anni [20] .

Trovare un'occupazione non doveva essere però un'impresa semplice, dal momento che il mercato del lavoro cittadino era assolutamente inadeguato all'assorbimento di tutti i vagabondi disoccupati, come dimostra il fatto che tra i nullafacenti figuravano spesso anche esponenti delle maestranze artigianali cittadine [21] .

Gli unici che potevano esercitare l'accattonaggio senza incorrere in nessuna punizione erano le persone che, a causa di malattie o altre infermità, non erano in grado di svolgere nessun'attività lavorativa. Tale pratica era invece normalmente preclusa a tutti quei mendicanti e falsi poveri che simulando menomazioni fisiche di varia natura chiedevano l'elemosina nelle pubbliche vie [22] .

I contravventori alle direttive viceregie venivano puniti con la pena della fustigazione (cent açots) e con l'espulsione [23] .

Altre categorie sociali di indesiderabili e di marginali che nelle città incappavano spesso in sanzioni di legge per la loro condotta di vita dissoluta erano: le prostitute, i giocatori d'azzardo, i gestori di taverne e locande, considerati luoghi di "perdizione" e di ozio per eccellenza [24] .

A fare le spese del vagabondaggio non erano solo i centri urbani, spesso anche le campagne erano interessate dagli spostamenti di gruppi di persone senza un domicilio fisso. I provvedimenti viceregi segnalavano abitualmente la presenza nell’isola di vagabondi che rifiutavano di dedicarsi al lavoro dei campi come a qualsiasi altro genere di attività, (“no volent se occupar a cosa de agricoltura ni en altre virtuos exercici” [25] ), i quali, col pretesto di cacciare selvaggina, portavano con sé cani di grossa taglia con cui facevano strage di animali domestici. Ai vagabondi in questione le popolazioni locali davano il nome di Canarjos [26] .

Le disposizioni contenute nei pregoni generali emanati dai vari viceré succedutisi negli anni al governo della Sardegna si ripetono sostanzialmente invariate per più di un cinquantennio.

 A partire dagli inizi del XVII secolo, alcune variazioni nei testi dei pregoni viceregi fanno presupporre che il fenomeno del vagabondaggio si fosse aggravato, come dimostrerebbero in primo luogo la possibilità discrezionale di inasprimento delle pene [27] e in secondo luogo il tentativo di sottoporre a un controllo più capillare i vagabondi presenti nell'isola [28] .

La situazione dovette subire un netto peggioramento nel decennio 1680-1690. Il 1680 vide infatti la Sardegna colpita dalla più grave carestia della sua storia, per la quale si calcola che, su una popolazione complessiva di circa 250.000 persone, ben 80.000 perirono conseguentemente alla penuria alimentare, cedendo di fronte alla fame e agli stenti [29] ; un gran numero di individui dall'entroterra si spostò nelle città dell'isola alla ricerca di un seppur magro sostentamento, che le campagne ormai non erano più in grado di fornire. 

La città di Cagliari subì un incremento demografico senza precedenti. Si accrebbero conseguentemente le schiere di vagabondi e mendicanti presenti nella capitale nonostante i provvedimenti che ne decretavano l'espulsione [30] . In questo caso non si trattava solo di poveri provenienti dalle zone agricole dell'interno, ma anche di vagabondi forestieri [31] .

Spesso la crescita dei fenomeni di vagabondaggio era connessa col contemporaneo aumento degli episodi di banditismo. Gutton mette in rilievo come in tutta Europa vagabondaggio e banditismo fossero manifestazioni di anomia strettamente collegate tra loro, entrambe legate a una dimensione esistenziale non conforme alle norme sociali riconosciute [32] . Per quanto riguarda il caso sardo è stata però messa in rilievo una sostanziale differenza, mentre ad ingrossare le file dei vagabondi erano soprattutto schiere di contadini impoveriti, a rimpinguare il numero dei bandeados e foraxidos erano principalmente individui appartenenti al mondo pastorale [33] ; in tutti e due i casi si trattava di una scelta di vita indotta da condizioni di estremo disagio sociale. Pietro Marongiu ci informa che "Le bande erano generalmente costituite da maschi giovani per lo più senza responsabilità familiari, spesso non inseriti nel processo produttivo" [34] . La tipologia dei reati era estremamente varia e andava dal furto all'omicidio, con prevalenza di crimini legati al mondo agro-pastorale.

Lungo le strade isolane divenne particolarmente diffusa la rapina a mano armata ad opera dei cosiddetti saltadors de camins [35] .

La situazione andò gradualmente peggiorando nel corso del XVII secolo, epoca in cui il banditismo isolano conobbe una notevole fase di recrudescenza [36] .

A poco valse il tentativo dei pubblici poteri dell'isola di far fronte all'aumento delle manifestazioni criminali con nuove e sempre più severe leggi; tale accanimento giudiziario appare invece sintomatico di come le misure adottate rimanessero sostanzialmente inapplicate. L'apparato di polizia esistente nell'isola si dimostrò assolutamente insufficiente in relazione ai compiti ad esso demandati [37] . Né l'impiego delle truppe né il largo uso delle taglie e dei salvacondotti riuscirono a contenere l'espansione dei fenomeni di criminalità [38] ; tali provvedimenti di ordine pubblico si presentavano del tutto inadeguati per far fronte a manifestazioni di anomia di natura strutturale, che avevano le loro radici nelle condizioni di marginalità economico-sociale in cui versavano vasti strati della popolazione durante il dominio spagnolo nell'isola.

Accanto ai fenomeni di marginalità originati da cause prevalentemente socioeconomiche, non mancarono in Sardegna altre forme di esclusione

Emblematica appare in particolare la sorte della comunità ebraica isolana, i cui appartenenti per motivi politico-religiosi [39] , ma anche per motivi di ordine economico [40] , alla fine del XV secolo si trovarono costretti a lasciare la Sardegna, in conformità con le direttive dei Re Cattolici che nel 1492 bandirono dai territori della Corona tutti gli Ebrei non disposti ad abbracciare la religione cristiana. [41] Gli Ebrei espulsi dall'isola furono circa cinquemila [42] , e   prima di essere cacciati subirono una serie di provvedimenti repressivi che ne limitarono pesantemente la libertà personale, accentuandone lo stato di segregazione nei confronti della popolazione cristiana [43] .

Un caso a parte è rappresentato dagli ex schiavi liberati, denominati Moros, originari in prevalenza dell'Africa o del Levante [44] , l’inserimento giuridico di questi ultimi nel mondo dei liberi secondo quanto afferma Gabriella Olla-Repetto, non parve comportare particolari problemi, mentre, più faticoso e lento dovette risultare il loro inserimento sociale [45] . Riguardo alle occupazioni svolte dai Moros, si sa che ad essi veniva abitualmente demandato lo svolgimento di lavori sgraditi al resto della comunità [46] . Alcuni di loro tuttavia riuscirono a guadagnare nel tempo posizioni sociali più vantaggiose

A Cagliari la maggior parte dei Moros andò ad abitare in una delle pendici della città prospiciente al porto, detta Lapola, in particolare nel Carrer dels assaonadors, nelle vie adiacenti e probabilmente anche nella cosiddetta ruga de is morus [47] .

Nella prima metà del XVII secolo sempre in Sardegna è attestata inoltre la presenza a Cagliari, Oristano e Portotorres di alcuni gruppi di Moriscos [48] ; non si trattava di uno stanziamento stabile, bensì di gruppi che per motivi contingenti, dopo la loro cacciata dalla penisola iberica. [49] , attuata tra il 1609 e il 1614, erano approdati nell'isola La loro presenza suscitò problemi più che altro di natura sanitaria. Ma la permanenza in Sardegna fu comunque breve, poiché in ottemperanza alle direttive che precludevano loro la possibilità di rimanere nei territori della corona, essi dovettero abbandonare l'isola.

Complessivamente si può affermare che le autorità isolane in età moderna tesero ad allinearsi, per quanto riguarda le disposizioni prese nei confronti di gruppi e classi marginali, alle norme in vigore negli altri territori della Corona. Così avvenne per il trattamento di banditi e vagabondi, così anche nel caso dell'espulsione degli Ebrei e dei Moriscos.

A ben vedere anche in Sardegna le molle della repressione e dell'esclusione sociale potevano essere innescate per molteplici motivi, ma il denominatore comune che rendeva invisi ai pubblici poteri e che riuniva tutti quei soggetti che si presentavano come marginali rispetto al tessuto sociale organizzato era la mancata adesione a un modello di società rigidamente strutturato, uniforme e cristallizzato: coloro, gruppi o individui, che non si adeguavano a un tale modello erano puniti fisicamente, ghettizzati, reclusi o scacciati dal resto del consesso sociale. Bisogna però operare una fondamentale separazione tra le posizioni ufficiali espresse dalle pubbliche autorità e dagli esponenti delle élites privilegiate dell'isola e la prassi sociale di tutti gli altri componenti della comunità, che di quella società d'ordine propugnata dai primi erano per lo più svogliati complici e non fautori. La considerazione preliminare di questi elementi appare necessaria per una corretta interpretazione delle notizie relative alla presenza in Sardegna degli Zingari, una popolazione che, per la propria peculiarità etnica, per l'organizzazione sociale e lo stile di vita, racchiudeva in sé caratteristiche tali da apparire agli occhi delle autorità pubbliche come i marginali e gli indesiderabili per eccellenza; fatto che come vedremo, non precluse però del tutto agli Zingari "sardi" un parziale inserimento o comunque l'intrattenimento di scambi e relazioni col resto della società.


[1] Sull’argomento segnaliamo in particolare: F. Predari, Origini e vicende degli Zingari, Bologna 1970 (rist. anast. dell'edizione di Milano 1841)., passim; A.Colocci, Gli Zingari: storia di un popolo errante, Bologna 1971, (rist.anast. dell'edizione di Torino 1883), passim; M.Zuccon, "La legislazione sugli Zingari negli Stati italiani prima della Rivoluzione", Lacio Drom, 1979, n.1-2, (pp.21-27, pp. 51-55.); F. Buonocore, " Tre Documenti", Lacio Drom, 1984, n.1; A.Arlati, "Gli Zingari nello stato di Milano", Lacio Drom, 1989, n.2.

[2] G.Sorgia, Il Parlamento del viceré Fernandez de Heredia (1553-1554), Milano 1964, pp.69-70, p.90.

[3] Per delle notizie di carattere generale vedi G. Sorgia, La Sardegna spagnola, Sassari 1982; B. Anatra, Dall'unificazione aragonese ai Savoia, in J.Day, B.Anatra, L.Scaraffia, La Sardegna medioevale e moderna, Torino, 1984 (vol. X della storia d'Italia diretta da G. Galasso); B. Anatra, L'età moderna dagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo, in A.Mattone, B.Anatra, R.Turtas, Storia dei Sardi e della Sardegna a cura di M. Guidetti, Milano 1989.

[4] M.L. Kaprow, “L’addomesticamento dei Gitani e delle altre classi pericolose” in La Ricerca Folklorica, n. 22, Brescia, 1991, p. 18. Non dissimili le considerazioni dello studioso polacco B. Geremek: "Agli albori dell'età moderna la marginalità sociale si manifesta a più livelli riflettendo i punti di forza e di debolezza del sistema dominante nelle sue strutture economiche sociali e mentali" (Uomini senza Padrone . Poveri e marginali tra Medioevo ed età moderna, Torino 1992, p.121).

[5] F.Loddo Canepa, "Note sulle condizioni economiche e giuridiche della Sardegna", Studi Sardi, 1952, X-XI, p.312.

[6] Relativamente alla composizione sociale delle persone che decidevano di condurre una vita itinerante la Sardegna appare in linea con il resto della società europea. J.P.Gutton riferisce infatti che il grosso delle schiere dei vagabondi era costituito da lavoratori agricoli a giornata, da braccianti (La società e i poveri, Milano 1979, p.27).

[7] F.Manconi, "Gli Anni della Fame", in Il Grano del Re, Sassari,1992, p.15.

[8] F.Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, I, Sassari 1974, pp.93-106.

[9] J. Day, Uomini e terre nella Sardegna coloniale- XII-XVII secolo, Torino 1987,p.212.

[10] F.Manconi , op. cit., p. 20.Vedi anche B. Anatra, Storia dei Sardi e della Sardegna, cit., p.144: "Il privilegio di Magatzen per la città di Cagliari risale alla metà del 300 esteso poi nel 500 anche ad altre città regie Alghero, Oristano Sassari, Castellaragonese, Bosa e Iglesias".

[11] F.Manconi, op. cit, p.18.

[12] Ibidem, p.21. Cfr. B. Anatra, La Sardegna medioevale e moderna cit., pp. 491-493.

[13] Per informazioni specifiche vedi M.L. Plaisant,"Martin Carrillo e le sue relazioni sulle condizioni della Sardegna", in Studi Sardi, vol. XXI, 1968-70, pp.175-262.

[14] J. Day, Gli uomini e il territorio: i grandi orientamenti del popolamento sardo dal XI al XVIII secolo, in Storia dei Sardi e della Sardegna, cit., p. 40. Per un quadro complessivo vedi F. Braudel , (Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II. Torino, 1953), p.20, il quale si sofferma sul peggioramento delle condizioni generali dell'economia nel Mediterraneo a partire dalla fine del XVI secolo.

[15] J.P.Gutton ,op. cit., p. 34.

[16] F.Manconi ,op. cit., p. 30.

[17] Cfr. B. Geremek “Nelle zone dove le strutture feudali conservarono o riacquistarono la loro vecchia forza, il problema dei poveri e dei vagabondi ha un’altra dimensione sociale. Si trattava in questo caso soprattutto di creare delle condizioni che obbligassero i contadini a rimanere attaccati alla terra e garantissero il funzionamento del sistema della dipendenza personale” (La stirpe di Caino: l'immagine dei vagabondi e dei poveri nelle letterature europee dal XV al XVII secolo, Milano , 1988. p. 22)

[18] Edictes eo Pragmatiques Generales per lo bon govern y administratio de la justicia del present Regne de Sardenya, Caller, 1572, Juan de Coloma, cap. XXVI, in Atti governativi dei tempi della signoria spagnola, in "Fondo Baille", S.P.6.7.44, della Biblioteca Universitaria di Cagliari . " Que no sia vist ni trobat en el present Regne vagabundos sots pena de ser condanats al rem per tres anys a las galeras de sa magestat"

[19] Geremek afferma che ciò che caratterizzava il vagabondaggio erano in particolare la mancanza di redditi regolari e di uno stabile domicilio e nel contempo la mobilità e la vita vagabonda (Uomini senza Padrone, cit., p. 123).

[20] Edictes eo Pragmatiques Generales (…),1572, Juan de Coloma, cap. XXVI, in Atti governativi(…)cit.

[21] Crida General del il.ss. señor Don Miguel de Moncada llochtinent general del present regne de Sardenya, Caller, 1578,cap.LXX, in Atti governativi (…) cit.

[22] Ibidem, cap XXII. La situazione delle città sarde, in particolare Cagliari, appare conforme al quadro europeo. Cfr. J.P. Gutton, op. cit. , p. 64, il quale ci informa come la simulazione di infermità da parte dei mendicanti fosse un fenomeno particolarmente diffuso.

[23] Crida general del il.ss. señor Don Miguel de Moncada (...) 1578, cap. XIX, in Atti governativi (…) cit.

[24] Ibidem, cap. XX - XXI. Cfr. B. Geremek, Uomini senza Padrone, cit, p. 88: "sul piano della mentalità e dell'immaginario collettivo la taverna costituisce il principale elemento di stabilizzazione dell'esistenza criminale, in quanto sanziona l'anomia sociale, fornisce modelli di cultura e una peculiare scala di valori, favorisce il consolidarsi di legami interni all'ambiente delinquenziale e ne promuove l’affermazione".

[25] Edictes eo Pragmatiques Generales (…), Juan de Coloma, 1578, cap. XXXVI in Atti governativi cit. 

[26] Ibidem.

[27] Crida general de illustriss. excellentiss. Don Antonio Ximenes de Urreo y Enriques, Caller, 1633, cap.XXI, in Atti governativi(...) cit.

[28] Crida general novament agnadida y redussida en bona forma. Don Andrea Doria, Caller 1639, cap.IIII in Atti governativi(...) cit. "Que cascun jutgie ordinarii en lo destricte de la jurisdictio (…) cada mes degan enviar y trametre lista a sa excellencia dels dits vagabundos y del estat de la causa”.

[29] F. Manconi, op. cit., p.32.

[30] Ibidem, pp. 33-36.

[31] Archivio di Stato di Cagliari (d'ora in poi A.S.C.), Reale Udienza, Classe IV, 75/10 Fol. 20.

[32] J.P. Gutton, op. cit, p.36.

[33] P.Marongiu , Storia del Banditismo sociale in Sardegna, Cagliari, 1981, pp.117-121. Cfr. B.Anatra , Storia dei Sardi e della Sardegna, cit., p.121: " il banditismo e la criminalità in generale vigoreggiavano nelle aree a prevalente economia armentizia".

[34] P. Marongiu .op. cit. pp. 107-108.

[35] G. Sorgia, La Sardegna spagnola, cit., p.141.

[36] J.Day, Uomini e terre nella Sardegna coloniale, cit., p. 278.

[37] Cfr. B.Geremek , Uomini senza Padrone, cit., p.227: "l'apparato repressivo nelle società antiche rimaneva poco sviluppato e la sua scarsa efficacia doveva essere in qualche modo compensata con la severità delle punizioni e per il tramite della spettacolarità della loro applicazione con la  sorveglianza del vicinato e delle famiglia, con la messa fuorilegge del criminale".

[38] P. Marongiu. op. cit., p.110. Cfr. G.Olla Repetto, "Mezzi di lotta contro la criminalità nella Sardegna spagnola", in Atti del terzo congresso della Società italiana criminologica, in Rivista sarda di criminologia, vol.IV, fasc.2, 1968.

[39] Scrive J.H. Elliott, ( La Spagna Imperiale, 1469-1716, Bologna 1982, p. 119), “ in un paese così totalmente privo di unità politica quale era la Nuova Spagna, proprio una fede comune costituiva dell’unità politica il surrogato”.

[40] Vedi D. Abulafia, "Gli ebrei in Sardegna", in Storia d'Italia, Gli Ebrei in Italia, annali 11, 1996, Torino, p.93: "ancor prima della loro partenza le loro proprietà, ivi comprese le case, furono incamerate dalla corona".

[41] Ha calcolato John H. Elliott, (op.cit., p.121) che gli Ebrei espulsi dalla penisola iberica, su una popolazione complessiva di circa 200.000 individui, contassero  tra le 120.000 e le 150.000 unità.

[42] F.Loddo Canepa, La Sardegna., cit.,p.20.

[43] D.Abulafia, op. cit. p. 93: "Rigida segregazione in quartieri riservati, obbligo di portare cappello e contrassegno ebraico, divieto di vendere la carne non consumata ai cristiani, divieto di lavorare nelle festività cristiane, divieto di indossare abiti colorati e gioielli ornamentali , pena di morte per gli ebrei che avessero rapporti sessuali con i cristiani erano i veri elementi di un disegno volto a cancellare quella convivenza che ancora sussisteva in alcune zone dell'Italia e della Spagna". Cfr. C. Tasca "Una nota sulla presenza ebraica in Sardegna", in Atti del XIV congresso della Corona d'Aragona, Sassari-Alghero 1990, pp. 885 ss. Per riferimenti di carattere generale sull'argomento, sempre della stessa autrice vedi anche, Ebrei in Sardegna nel 14° secolo, società, cultura, istituzioni, Cagliari, 1992.

44 Per quanto riguarda notizie specifiche sulla  la provenienza degli schiavi sardi vedi C.Pillai, "Schiavi africani a Cagliari nel 400" in Atti del XIV congresso della Corona d'Aragona, cit., e sempre dello stesso autore "Schiavi orientali a Cagliari nel 400", in Medioevo saggi e rassegne n.10 ,1985.

[45] G.Olla - Repetto, "Cagliari crogiolo etnico: la componente mora", in Medioevo-saggi e rassegne, n.7, 1983, p. 163 .

[46] Quali ad esempio " lo scasso delle rocce e il taglio delle pietre" ibidem, p. 165.

[47] Ibidem, p.167. Cfr. anche D.Scano, Forma Karalis, Cagliari 1934.

[48]   M.L. Plaisant, "Note sull'esodo dei Moriscos dai possedimenti spagnoli", in Annali della Facoltà di Lettere , Filosofia e Magistero, Cagliari, 1970, vol. XXXIII. pp.143-158.

[49] Per delle informazioni più dettagliate vedi  J.H.Elliott, op. cit, pp. 350-355.