Qui si trova, velocemente convertito (secondo me niente male) dal documento originale word,
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Alberto Rapisarda - FUMETTO
COME SCENEGGIATURA
L’arte difforme
dello scrivere i comics
INTRODUZIONE
L’idea di questo libro m’è giunta in una serata
estiva. Accompagnato da calura ed apatia, andavo alla ricerca di un passo della
sceneggiatura di “Prologo”, dove mi dilungavo sul convivio come simbolo d‘incontro
tra esseri umani e confronto tra spinte vitali.
Avevo voglia di rileggerlo, convinto che m’avrebbe
ispirato una disposizione d’animo meno inerte, ma ci misi un po’ a trovarlo,
tanto la sceneggiatura era fitta. Raccontai all’amico autore F.S. che dialoghi,
note e descrizioni di un mio singolo breve fumetto, appunto “Prologo”,
assommavano ad oltre 60 pagine A4, e lui commentò che era “un lavoro oltre il
buon senso”. Anche un altro amico autore, L.M., in un’occasione mi avvisò che
addentrarsi troppo nella fase di scrittura toglie il piacere della successiva
realizzazione grafica.
Ma smentii entrambi.
Quelle note erano buone. E poi, col
rovesciare i cassetti, trovai ben altro, d’indubbio interesse. Dimenticato.
Beninteso, non tutte le mie sceneggiature
raggiungono quei livelli di perversione. Alcune sono solo brevi racconti in
prosa, altre unicamente dialoghi. E molte vie di mezzo. Una varietà di
materiali che raccolti in volume avrebbero catturato prima di tutto l’interesse
del loro stesso autore, e probabilmente – oltre a risultare una lettura
appassionante per il comune bibliofilo – anche del disegnatore (professionista)
che si cimenta con la complessità dei soggetti che gli vengono assegnati, e infine
per lo sceneggiatore che si domanda continuamente come istruire matitisti e
coloristi affinché realizzino – esattamente – quello che gli frulla nella testa
(be’, questo nei casi in cui il team creativo veda una distinzione di detti ruoli!)
Eppure questo NON è un manuale su come si
sceneggiano i fumetti, e neppure uno sguardo esaustivo sulle fasi di
pre-produzione di un fumetto completo.
Come accennato, il metodo di scrittura varia
molto da storia a storia, ma – non dimentichiamo – questo lavoraccio del fare
fumetti prevede, per un autore completo, come il sottoscritto, sempre una vasta
produzione parallela d’illustrazioni che integrano e spiegano gli scritti. Se quest’ultimi,
da soli, sono a volte letture insoddisfacenti, intesi come letteratura pura e dura,
anche chi spera di trovare le istruzioni complete per la realizzazione di un
fumetto finito resterà delusi, eccetto - come vedremo - pochi casi (le
sceneggiature disegnate o storyboard, gli studi dei personaggi, le vignette poi
escluse e ridisegnate, e molto altro materiale complementare a questo volume, si
trova esemplificato in un mio sito web).
Allora perché questo volume? potrebbero
chiedersi i miei lettori spaesati dalla frammentarietà dell’operazione. Un paio
di buoni motivi.
Il primo è che ciò sarebbe rimasto inedito,
ed essendo tutti figli miei, chi tiene un pargolo chiuso in casa?
Secondo e vero motivo, è che dopo molti anni
ancora non mi sono assoggettato, fatta esclusione forse per la stesura di una
breve sinossi, o della più classica dichiarazione d’intenti (che precedono sempre
il lavoro vero), ad un metodo che uniformi il mio rapporto problematico con la
pagina bianca – ciò, nonostante avessi mandato a memoria le ferree lezioni
ricevute dall’ennesimo amico autore D.B. (“se alle pagine assegni delle cifre,
le singole vignette, per non confondere, indicale con delle lettere” e così
via), oltre a molto strutturalismo, semiologia del racconto, tutto Will Eisner.
Una varietà nello scrivere, nel cercare
soluzioni, nel dibattersi con word processor e blocchi d’appunti, che
affascina, e merita una raccolta sistematica.
A riprova insomma che quest’arte dello
scrivere i comics, forse ancora in fasce, lontana dalle accademie e da dotti e
sapienti, è - lo dimostro? -, la più
libera che ci sia.
Alberto Rapisarda
Castelfranco V.to, settembre 2005
RIKI ANDREWS IN: HOT DOGS appunti
1984
RIKI
ANDREWS HOT DOGS (profili & meccanismi)
Kurt K. Jenkins è
l’unico figlio del noto uomo d’affari Micheal Klein Jenkins (secondo cognome o nome della moglie), proprietario tra l’altro della KNWS TV station, nonché di vari centri commerciali nel
Richmond e nel Queens.
È stato anche
candidato alla carica di Governatore nello Stato del Massachusettes (si scrive così?) x alcuni anni.
Si è ritirato
dalla vita politica dopo il divorzio dalla moglie.
Il figlio Kurt è
uno sfaccendato che, approfittando dei soldi del padre, rimanda
Insoddisfatto e
viziato, Kurt cerca di prendersi
Il suo gusto per
il proibito e l’illegale nasce dalle ore passate alla TV, vedendo Dallas e
Arsenio Lupin, + che da un’infanzia passata x le strade.
I suoi “complici”
sono infatti x lo + compagni di scuola …
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In questi ultimi
tempi Kurt sta facendo fortuna procurando ai ricchi amici del padre (tra loro si conoscono tutti), che incontra in genere in occasione dei
“party” che Michael tiene ogni tanto in Bourbon Street (Michael vive a
Manhattan), introvabili cuccioli di
levrieri afgani. Da quando il WWF ha redatto un dossier dove risulta che detta
specie - allevata generalmente da privati inglesi, per essere poi usata x
Kurt, x non
rischiare i severi controlli di Egitto e Gr. Brit., è entrato in contatto con
dei residenti AFGANI, dove
_______________ o
________________
I cuccioli vengono
caricati su dei mercantili a Karachi (dove
sono giunti via terra), dove se ne
occupa un complice che lavora sulla nave.
Kurt provvederà
quindi, facendo qualche “regalino” qua e là, ad ottenere lo sdoganamento come
si trattasse di manufatti tessili (di
cui è carica la nave).
Caricate quindi le
casse, una decina x un tot di 40/50 cani, su un camion della ditta “Jenkins
& Co.”, i cuccioli vengono trasferiti nientemeno che nel cuore di NYC,
vicino allo Shea Stadium (una
zona con molto verde) in un
prefabbricato in legno, dove i componenti della banda si danno il turno x stare
a guardia della “merce”, nonché per nutrirli. Nel giro di pochi giorni Kurt
consegna i cuccioli ai ricconi “in lista di attesa” per
_______________
RIKI ANDREWS HOT
DOGS (Antefatti
& meccanismi)
vedi –STORY-
Quel pomeriggio in
Bourbon Street, Kurt aveva annunciato a Stephen ed a Berenice che si attendeva
per
Naturalmente si
trattava degli AFGANI.
Ciò che dovevano
fare al più presto era andare alla baracca sotto
I due ragazzi,
come consuetudine, prendono
Mentre sono
indaffarati all’interno del prefabbricato, sentono una macchina. Ne esce uno
strano tipo con occhiali scuri che inizia a frugare tra le sterpaglie. Stephen
prende
Poi silenzio.
Berenice incacchiata gli dice di abbassarsi, che magari quello se ne và. Un’ora
dopo gran scoppio!! Telano veloci, ma il tipo li insegue …
Alla moto di
Kurt!! Lei spara, lo manca ma vede che ha preso
Veloci tornano a
casa di Kurt. Lei smolla subito Stephen da Kurt, a riferire l’accaduto.
Kurt seccatissimo
pensa subito alla moto. Va in commissariato a denunciare il furto. Dice di aver
lasciato
Versione 1) poi
subito al drive-in, dove incarica i gemelli Smith & Wesson di rintracciare
il tipo e dargli un amichevole avvertimento (se ha preso la targa vuol dire che intende impicciarsi ancora).
Loro fanno tutto
da soli, cosicché Kurt non viene a conoscenza del fatto che Riki abita nella
barca di papà.
Quindi lascia
detto che avvertano Berenice di venire a casa sua, il pomeriggio del giorno
dopo, e che intanto, mancando
Versione 2)
Stephen si è preso una bella strigliata da Kurt.
Pensa di sistemare
le cose mandando i gemelli da Riki x spaventarlo, nonché per rendergli il
favore della molotov. Intanto Kurt esce dal commissariato, e va al drive-in
dove dà nuove disposizioni x il giorno dopo, e lascia detto che vuole vedere
Berenice.
Kurt non torna
alla villa, così
RIKI ANDREWS IN: HOT DOGS pt.2
soggetto
1984
SOGGETTO 2a parte (versione
definitiva)
Riki è al bar per il solito spuntino, e alla luce degli ultimi avvenimenti, decide per un appostamento notturno alla villa, in cerca di nuovi elementi.
Arrivato alla villa, vede le luci accese, questa volta si è portato delle polpette al sonnifero per i dobermann, quindi non esita a scalare il muro di cinta.
Mentre si avvicina cautamente alla villa, sente da una finestra un’esclamazione: Cretini!
Si accosta e, all’interno, scorge un uomo (A) di spalle e una donna (B) che discutono:
A: E allora?
B. Era senz’altro un privato.
A. Un privato?!! E cosa ci faceva là?
B. Aveva l’aria di cercare qualcosa ...
A. Cioè?
B. Si guardava intorno, raccoglieva delle cose ...
A. Ma allora avevo capito bene! Cretini!!!
B. Noi ...
A. ... guardava per terra, cercava qualcosa! Ma delle casse di due metri per uno non si cercano in mezzo ai cespugli e alle immondizie! Chissà cosa ci faceva là ... e voi gli avete sparato!
B. Ma ... ha iniziato lui!
A. Hey, non fare la furba con me! Ieri sera ho parlato con Steve, ed ha ammesso che poteva aver sparato a quei cani randagi che gironzolavano lì intorno. Comunque l’episodio dovrebbe essere chiuso, ho subito mandato i gemelli a fargli una visitina …
B. Cerca di capire ...
A. Ok, ok ... torniamo al presente, per il carico di stanotte ho già sistemato tutto, mi vedo tra poco con i ragazzi. Tu vai a casa e non muoverti, mi faccio vivo io!
Intanto i cani stanno risvegliandosi e Riki è costretto a smobilitare velocemente.
Riki sta aspettando in macchina, vede la ragazza uscire su una Jaguar ed allontanarsi velocemente. Ma Riki non si preoccupa, non è lei che gli interessa.
Dopo poco esce
infatti A su una Rolls Silver Cloud. Riki lo segue.
Percorrono molti chilometri, poi arrivano ad un drive-in in disuso. La macchina di A entra, Riki parcheggia fuori e lo segue a piedi.
Non vede un cartello: attenti ai cani!
Come entra,
viene aggredito dai cani. Subito ripara sul palco. Un riflettore lo illumina a
giorno: beccato! Promette di vendere cara la pelle.
Ritroviamo Riki ben impacchettato, sembra essere in uno stanzino di proiezione. A, dietro ad una lampada potentissima che non permette a Riki di vederlo in faccia, gli fa qualche domanda.
Riki, che non sa niente, non gli risponde. A si dirige verso la porta, dove parla con qualcuno che sta all'esterno. Dice che la cosa migliore è lasciarlo lì a riflettere sull'opportunità di cantare, che intanto l'importante è essere sicuri di non averlo tra i piedi per quella notte. Gli mette un walkman a tutto volume e se ne và.
Rimasto solo, Riki
cerca di raggiungere il proiettore, ha visto qualcosa che potrebbe tagliare la
corda con cui è legato.
Comincia a far saltellare la sedia che ... si sfascia liberandolo automaticamente. Appoggiando l'orecchio alla porta, ascolta ciò che dicono nell'altra stanza: si parla di un camion che deve caricare al molo 16.
Se ne vanno tutti tranne uno che resta di guardia. Riki collega un cavo elettrico, che ha spezzato, alla maniglia della porta.
Poi attira il guardiano con un urlo. Questo tocca la maniglia e si becca una scarica che lo manda immediatamente nel mondo dei sogni. Riki uscendo si accorge che è un ragazzo. Ricordandosi dei cani, esce da una finestra, poi passa in equilibrio sul muro di cinta, arriva alla macchina che però non va (sabotata). Nota, all'esterno del drive-in, una rimessa, entra e vi trova un triciclone Honda da fuoristrada.
Mentre viaggia
ai due all'ora verso l'abitato, incrocia fortunatamente un taxi. Lo ferma e
dice: al molo 16, presto!! Di quale porto? Chiede il tassista. Dann ... L'unico
modo di riuscire a saperlo ...
Riki si fa riportare al drive-in. Qui con lo stesso stratagemma entra dove aveva lasciato il ragazzo, ma questo non c'è. Da una porta irrompono i cani, che però vengono fermati a mezz'aria da due colpi stranamente precisi esplosi dal nostro eroe; il ragazzo gli piomba da dietro e ingaggia una scaramuccia, poi Riki sopravvale grazie alla pistola che impugna molto professionalmente, e costringe lo sbarbo a dirgli il nome del porto.
Riki torna al taxi, ma il tassista, che ha sentito gli spari, non vuole guai e vorrebbe andarsene. Riki estrae la berta ed il tassista si convince. Giunti al porto Riki scende in tutta fretta e dice di aspettarlo.
Il molo 16 è
cintato, e da lontano Riki vede distintamene un camion con le luci accese. Si
accerta che non ci siano cartelli di "attenti ai cani" e scavalca la
rete.
Viene subito
assalito da un cagnetto indiavolatissimo. Temendo di venire scoperto, fugge
tirandoselo dietro in direzione opposta al camion, entra in un capannone e ne
esce protetto da un bidone. Il cagnetto non molla e Riki con un calcione lo
sbatte nel capannone e chiude
Si avvicina al
camion e assiste alle operazioni di carico. Le casse sono effettivamente lunghe
due metri e larghe uno. Quando il camion è carico, parte della banda sale su
questo, e parte sale su una macchina che precede il camion all'uscita. Con
abile manovra Riki salta sul retro del camion tra le casse.
Intanto il tassista ha assistito alla scena, mette in moto mentre fa una chiamata col radiotelefono ...
Nel camion cerca di schiodare una cassa. Finalmente riesce ad aprirne una e rimane di stucco. Richiude la cassa con aria assente, sta cercando di capire ...
Fanno diversi chilometri sino ad arrivare ad una fattoria in aperta campagna. Riki salta giù e si acquatta. Qui ci sono tre furgoni che aspettano. Nello spiazzo A si siede su un masso, tira fuori una paglia e parla alla ragazza e a un altro: Quel privato sembrava agire da solo, comunque la prudenza non è mai troppa, d’ora in poi ci incontreremo sempre qui alla fattoria per il cambio.
A questo punto Riki salta fuori e blocca A da dietro, gridando a tutti di alzare le mani, se no l’ammazza. Ma A gli morde ferocemente un dito, e fuggendo urla: Sparate, sparate! Fatelo fuori!
Riki riesce appena a buttarsi dietro al masso, che piovono proiettili da ogni parte. Dietro al masso Riki si pente di aver voluto fare tutto da solo ma, era il primo caso serio dopo tanto tempo ...
D’improvviso la scena viene illuminata a giorno: Fermi tutti, polizia! Il taxista ha chiamato la pula! Tutta la banda alza le mani. Le casse vengono scaricate, contengono decine di cuccioli! Nessuno ci capisce niente. Riki ha avuto tutto il tempo per riordinare le idee e spiega: Vedete, sono cuccioli di levrieri afgani, da qualche anno qui da noi ne è vietata l’importazione, ma sapete anche voi che c’è gente che va pazza per queste cose, sono disposti a spendere follie per uno di questi cagnetti ...
Siamo al commissariato, Riki nel corridoio sta parlando con Herbie, mentre il commissario sta interrogando gli arrestati.
D’un tratto si interrompe: sta entrando il suo amico Michael Klein accompagnato da un poliziotto!
R. Ma ... hey, Michael! Ma cosa ...?
M. Ciao Riki, vado di fretta ...
R. Ma devo parlarti ... lo yacht ...
M. Lo so, lo so ... ma adesso devo vedere il commissario ...
R. Ma ...
Mentre M.K. si affretta verso l’ufficio del commissario, Riki vede un’altra faccia nota entrare: Connie Harlok. Qualcosa non quadra.
R. Ma lei non ...
C. Salve Mister Andrews, finalmente posso presentarmi anch’io, mi chiamo Connie e sono la segretaria di Mr. Klein.
R. Allora cosa ... la valigetta ...
C. Ci sarà arrivato, adesso. Quel caso era un’invenzione per farle avere un po’ di soldi, ma lei è entrato in azione a modo suo, e guardi qua cosa ha combinato!!
R. Se parla dello yacht io non c’entro, non so neanche chi ...
C. Mr. Andrews, lei è un ciclone, lo yacht è il meno! Sa perché Mr. Klein è qui?
R. No ... stavo appunto chiedendomi ...
C. Lei ha fatto arrestare il figlio di Mr. Klein!
A questo punto il commissario esce dall’ufficio e si dirige verso Riki e gli spiega che, date le circostanze, il caso verrà messo a tacere; tutti, e Mr. Klein, contano sul suo silenzio.
Così Riki, sfumata la possibilità di farsi un’ottima pubblicità per il suo futuro di investigatore, se ne esce deluso dal commissariato. Tra i grattacieli di N.Y. sta albeggiando
MAGGIO soggetto
1987
MAGGIO
trama : ver. 1
È una giornata di maggio, di quelle
giornate in cui la primavera sembra esplodere all’improvviso con tutte le sue
piccole meraviglie che si erano fatte dimenticare nel letargo invernale. Ci
troviamo in un’aula di una scuola media dove il professore di biologia sta tenendo
una lezione sugli anuri e il loro apparato visivo. Il nostro piccolo
protagonista - che chiameremo A. - è un vivace scolaro, che sembra più
interessato al circo della Natura che si rinnova al di là delle grandi finestre
dell'aula, che non alle lezioni teoriche dell'anziano insegnante. Sembrava
certo più interessato alla variopinta farfalla che si è posata sul davanzale,
che non all'estemporanea interrogazione al suo indirizzo in cui si palesa la
sua ignoranza sul fatto che le rane SONO anuri. Così il prof, che lo conosce
per un ragazzino sveglio e pieno d’entusiasmi per le cose più curiose e
disparate, gli propone di impegnarsi nel week-end a catturare alcune farfalle
magari belle come quella che poco prima attirava la sua attenzione, e con l'aiuto
di un testo, fare poi un'accurata relazione da esporre ai compagni durante
l'ora di biologia.
Il padre di A., che chiameremo B., è un
tipo giovanile ed estroverso. Fisicamente ricorda Peter O'Toole. Da quando la
moglie lo ha lasciato [nota a piè di pagina : nel senso
che è morta], si è
occupato del figlio nel migliore dei modi, rendendosi sovente complice
spirituale delle marachelle del ragazzino. Ma certo questa volta non può
sottrarsi al cliché tipo "cerca di farti furbo / segui le lezioni in
classe / non distrartichehaituttodaguadagnare / ecc. ... ". Il piccolo A.,
nel suo candore, è un tantino giù di corda per i rimprovera subiti nella
giornata e così il padre gli promette che l'indomani sarebbero andati ad
acquistare degli splendide retini acchiappafarfalle, quindi, dopo una
sostanziosa colazione al sacco, caccia grossa nel parco !
E così il giorno seguente troviamo in
nostri bearsi tra una moltitudine di colori degni del Monet di Giverny ; la
natura sembra essersi industriata per superare sé stessa, e la quantità di
farfalle è tale da ricordare i fiocchi di neve, quando in balia di turbini di
vento, si mescolano e si rimescolamento, senza mai scontrarsi e pur diventando
uno tutt'uno. Il piccolo A. è talmente eccitato da tale spettacolo che,
impugnata la rete, si tuffa tra i cespugli ancora con la bocca piena di torta
di mele. Il padre gli promette che lo raggiungerà non prima d'aver raccolto i
rifiuti e riordinato le loro cose. Ora per A. non c'è che l'imbarazzo della
scelta. Si guarda attorno estasiato, ed ecco che la sua attenzione viene
inevitabilmente attirata da una farfalla di notevoli dimensioni, non solo, ma
soprattutto dai colori incredibilmente intensi, tanto simili a quelli di certe
farfalle tropicali che si è soliti vedere nei musei di storia naturale. Tanto
che A., per un attimo, rimane immobile ad osservarla nel suo volo irregolare,
fino a vederla finire tra le fronde fiorite di un grosso cespuglio. Allora A.,
d'istinto, si getta tra il verde, determinato a catturarla. Quando la ritrova
posata su di un ramo, con un gesto rapido la imprigiona nel retino. Ma ecco che,
un istante dopo, prima d’aver avuto il tempo di ritrarre la mano, il suo retino
acchiappafarfalle viene a sua volta "catturato" da un secondo retino,
affiorato dal verde del cespuglio stesso. All'altro capo, in mezzo alle foglie,
ecco apparire un individuo gigantesco, sul tipo dei lottatori di catch, ma
vestito in maniera classica, inequivocabilmente danarosa. Lo sguardo da
esagitato è di chi è abituato a comandare e non ama essere contraddetto. Così
quando intima al piccolo A. di dargli la farfalla e si sente rispondere
"l'ho vista prima io !", gli occhi, come carboni ardenti,
sprigionano scintille d'ira. Poi il gigante dice che quella farfalla in realtà
è un rarissimo esemplare di Babdaria Gangarellius, fuggitagli poco prima dalla
gabbia in cui l'aveva sistema, dopo averla cattura con le sue stesse mani nel
cuore dell’Amazzonia. Mentre tornava in macchina dall'aeroporto, la gabbia
cadendo si era aperta, e la farfalla aveva riacquistato la libertà. Ma ciò non
gli toglieva il diritto rientrarne in possesso. Allora A., dopo aver esclamato
un sonoro "Col cavolo !", libera la farfalla e si svincola dalla
presa del gigante. Poi correndo la riprende, e se la dà senza voltarsi
indietro. Ma il gigante con un salto poderoso blocca A. a mezz'aria, e lo
atterra con un pugno in testa. Recupera la farfalla, che mette in una gabbietta,
e si dirige con passo veloce alla limousine che lo attende sul lato della
strada. Intanto B., che ha terminato di riordinare la roba del picnic, sta
cercando il figlio A., ma non lo può vedere dal punto in cui si trova, dato che
alcuni cespuglio li dividono. Tanto che neanche il gigante vede B., uscendo dal
verde e lo urta violentemente facendolo finire per terra. Questi [il gigante],
senza degnarlo d'uno sguardo, dice "Togliti dai piedi microbo!", e si
allontana. Intanto della gente che aveva assistito ai fatti di poco prima, si è
apprestata a soccorrere il piccolo A. e alcuni, indicando il gigante, gridano
"Fermatelo!". B., ancora ignaro dell'accaduto, comincia a temere per
il piccolo, e d'istinto si lancia all'inseguimento del gigante, che nel
frattempo è montato in macchina. B. con un balzo da record si lancia sul tetto
della limousine, ma questa è ripartita a tale velocità che, quando B. si spalma
sul marciapiede, [l'auto] ha già coperto alcuni chilometri.
Quella sera ritroviamo A. e B. di
ritorno dal pronto soccorso dove sono stati medicati e sottoposti a qualche
esame cautelativo. Intanto A. ha cercato di spiegare al padre i fatti del
pomeriggio. Certo, riflette B., a chiunque appartenesse la farfalla, ciò non
cambiava la sostanza dei fatti. E cioè che erano stati aggrediti
intenzionalmente, e dovevano denunciare il fatto. Uscendo dal commissariato, B.
cerca di sollevare il morale visibilmente a terra del figlio, anticipandogli
un probabile confronto all’americana. È fidando sulle capacità delle nostre
forze d’ordine, il bruto avrà quel che si merita. Ma ciò che
impensierisce A. non è tanto ciò che aspetta quel tipo, quanto ciò che aspetta
lui quando, la mattina successiva, si presenterà a scuola senza il compito
assegnatoli dal prof di biologia. Il padre gli assicura che non esiste il
problema : l’indomani lo accompagnerà a scuola e, prima dell'inizio delle
lezioni, andrà dal prof a spiegargli l'accaduto. Già, ma tu non lo conosci il
prof, dice A., non ci crederà mai. Lui è uno che sostiene che i genitori sono
in grado di inventare qualunque cosa pur di giustificare i figli. Andiamo,
replica B., è una storia talmente inverosimile che nessuno potrebbe inventarla.
Andiamo, gli risponde il prof, é una storia talmente inverosimile che nessuno
potrebbe crederci. Siamo nella sala dei profs dell'istituto che A. frequenta.
B. ha spiegato al prof di biologia quei fatti a noi già noti, ma si trova, con
stupore misto a disagio, a non essere creduto. Dapprima cerca di entrare nel
merito dei fatti, portando come prova le medicazioni sue e del figlio, e poi,
dice, ho fatto denuncia alla polizia, c'erano numerosi testimoni ... Il prof
non sente ragioni e B. inizia ad offendersi.
[nota
a lato : quando parla B. abbiamo sempre la stessa inquadratura P.P.
con B. che cambia espressione (stupore/disagio/irritazione/odio). Quando parla
il prof abbiamo soggettive di B. che guarda dei dettagli oppure P.L. / P.A. con
l’andirivieni di profs nella sala profs]
Lei mi sta dando del bugiardo, gli
dice. Senta, risponde il prof con tono pacato, non mi fraintenda, io ho il
massimo rispetto per lei, perché la conosco come una persona onesta e coscienziosa,
che si occupa con pari dedizione, e del figlio, e del lavoro. So che avete
passato dei momenti difficili, ma lei è riuscito a superarli in maniera
ammirevole, e soprattutto ha aiutato A. a superarli. Ma io faccio questo lavoro
da quasi quarant'anni e conosco molto bene tanto gli scolari quanto i loro
genitori. Come un funzionario di polizia potrebbe dirgli che le galere sono
piene di delinquenti che si professano innocenti, o un vigile che contesta ad
un automobilista un eccesso di velocità, e si sente rispondere da questi che
non aveva notato il limite, o magari che stava correndo all'ospedale dove il
padre è in fin di vita, anche nel mio mestiere si sviluppa un sesto senso per
queste cose. E' proprio perché lei è un buon padre che non sfugge alla regola.
Guardi, non sempre i genitori danno ragione ai figli. Lei mi sta dicendo che A.
non ha fatto il compito assegnatogli, quindi può ben vedere che su un punto
siamo d'accordo.
Potremmo paragonare uno scolaro che non
fa il proprio dovere a chi commette un reato. Ecco, il genitore riconosce
quando il figlio sbaglia, poi però lo giustifica, fa un po’ da avvocato, gli
trova le attenuanti ... [nota a lato : E poi, via, anche i
genitori sono stati a loro volta studenti ] B.
intanto sta ribollendo di rabbia, da quando si è sentito dare del bugiardo. Ma,
dato il tono accomodante del prof, pensa che forse può far valere le sue
ragioni. | Capisco, dice B. , il dubbio sistematico, da che mondo è mondo gli
scolari cercano di farla in barba ai profs [...]
ma mi darà atto che non
si può fare di tutta l'erba un fascio. | [nota a lato : [...] vedi scenegg. E
i genitori se ne fanno sovente complici / contando sull’appoggio dei genitori ]
Ma se io sono venuto a
parlare è perché ieri si è realmente verificato un imprevisto. Le ho spiegato:
non si è trattato di una cosa da niente. D'altronde, per riprendere un suo
esempio, non è forse vero che chi finisce in galera non sempre è colpevole ?
C'è caso e caso guardi, lo interrompe il prof col suo solito tono pacato, mai
sentita una giustificazione che fosse cosa da niente. Una volta il padre(di un
compagno di suo figlio) mi disse che (la sera del) giorno prima erano stati
testimoni di un incontro ravvicinato, e che il piccolo ne era rimasto scioccato
da non riuscire a dormire. Mi aveva persino portato il giornale che riportava
la notizia di alcuni avvistamenti di Ufo qui nei dintorni. Andiamo, se
qualcuno venisse a dirti che ha dimenticato il compito a casa, giuro, gli
crederei. Nel mentre, suona la campanella. Il prof si scusa, che deve andare
perché ha lezione, che comunque per questa volta non terrà conto
dell'impreparazione di A., anche se una strigliatina certo gliela darà. B.,
come di pietra, si sente ad un tempo offeso, umiliato, bastonato, incacchiato,
smentito ingiustamente. [nota a lato : VARIANTE AGGIUNTA il
prof entra in aula, e, vedendo A. tutto pesto,
fa cadere gli occhiali] Mentre
esce dalla scuola come un automa, con lo sguardo fisso nel vuoto, ripete a se
stesso, come un disco incantato "Del bugiardo, mi ha dato del bugiardo, è
ridicolo, non c'era motivo, mi ha dato del bugiardo, non mi capitava più da
quando ero piccolTUNG!o ...”. D'improvviso, aprendo la porta a vetri
dell’istituto, B. viene colpito in testa da una pietra proveniente dalla
strada. Il colpo ha l’effetto di risvegliarlo dal "trance", ma quando
si guarda intorno non vede anima viva. Si abbassa per raccogliere la pietra,
quasi per accertarsi di non aver sognato. Ma nota d'un tratto che tra le ombre
degli alberi che costeggiano il viale, una ha un profilo insolito : un
ragazzino con una fionda in mano sta cercando di nascondersi. B., con una mossa
rapida e silenziosa, lo acchiappa prima che questi riesca a darsi, e con tono
divertito gli dice "e bravo il nostro cecchino". Il piccolo tremando
si scusa "glielo giuro, non volevo colpirla !" Già,
dice B., volevi prendere il vetro, non è vero? Be’, non hai tutti i torti ...
c'è gente di merda là dentro ...” poi B. guarda con tenerezza il piccolino,
impaurito, aspettandosi chissà quale punizione. Prova della comprensione per
questi, che mostra di temere di essere giudicato e condannato per un’intenzione
presunta. Allora lo carezza con dolcezza sul capo.
Poi afferra il polso della mano che
stringe la fionda, e gli fa alzare il braccio. E' molto bella, gli dice,
suppongo l'abbia fatta tu. Il piccolo annuisce, accennando un sorriso. Sai,
prosegue B., anch'io alla tua età costruivo le fionde, ma di belle così non ne
ho fatte mai. Senti, me la venderesti ? Sono disposto pagartela molto bene.
La targetta sotto il campanello riporta
un nome familiare. E' una di quelle villette in stile art nouveau che si
confondono tra il verde disordinato dei quartieri residenziali "fin de
siècle", e che oggi funzionano come mini condomini. [nota
a lato : PORTINAIA AD UNA AMICA - C’ERA GIA ! 25 Jan 89 ] Nell'appartamento al primo piano,
quello dal lato della strada, abita il prof di biologia ormai da più di
trent'anni. Apre la cassetta della posta da più di trent'anni, scorre con lo
sguardo gli steli e le corolle di ferro incurvato del cancello d'entrata e
dello scorrimano delle scale da più di trent'anni, cerca nella tasca della
giacca le chiavi che infila distrattamente nella toppa da più di trent’anni.
Posa i libri di testo o i compiti dei ragazzi sull'ordinata scrivania dello studio
da più di trent'anni. Ma oggi non trova quello stesso ordine. I fogli
protocollo stanno alla rinfusa per tutta la stanza, tra frammenti di vetro.
Dalla finestra rotta entra un vento violento, impietoso. Nel mezzo della
stanza quella grossa pietra ... Il prof la raccoglie. Impassibile, si avvicina
alla finestra, percorrendo il viale con lo sguardo, come per trovarci una
qualche risposta. "Ragazzacci ...” pensa. Intanto B., confuso tra il
verde degli alberi sottostanti, osserva con un’infantile e crudele
soddisfazione, il prof che, affacciato alla finestra, tradisce
dall'espressione del viso, un contenuto dolore. Poi guarda la fionda che tiene
nella mano destra. La solleva un poco come per guardarla meglio, ha come un
ripensamento, nel suo sguardo si coglie forse del rimorso. Intanto lì davanti
si è fermata una macchina familiare. E' la limousine del bullo che il giorno
prima aveva aggredito A. nel parco. Infatti, lo vediamo aprire lo sportello,
impugnare una ventiquattr'ore, e dire all'autista "Ricorda Battista, devi
essere qui davanti per le l8 e 30 precise!". Poi si dirige verso il
cancello di una delle villette, con la consueta andatura militare. B., ancora
soprappensiero, è in mezzo al marciapiede, in rotta di collisione col gigante.
Ed infatti questi lo toglie di mezzo con prepotenza, facendolo finire per
terra. E, senza peraltro averlo riconosciuto, gli dice "Togliti dai piedi,
microbo !". B., colto alla sprovvista, rimane un attimo fermo in
terra, cercando di raccogliere le idee. Poi riconosce il tipo. Allora,
alzandosi lentamente, raccoglie una grossa pietra, e caricando con questa la
fionda, gli urla "Hey Mister, s'è perso una Babdaria Gangarellius,
aspetti, che gliela rendo!!".
Fine (INIZIO ?)
Hey, Mister, lei ha qualcosa di mio
Hey amico, noi abbiamo qualcosa in sospeso
Hey Mister, le interessa una Babdaria ... venga a
vederla (una farfalla rara ...)
Hey amico, ha perso qualcosa. Aspetti che gliela
restituisco
Hey amico, non ha dimenticato niente
31 Ott. / 7 Nov. 1987
NOSTOI I: TELEMACO appunti
1989
Su "Telemaco" -
1998 rev. 1.0
Un po' delle motivazioni vanno ricercate nel puro caso. O così
almeno siamo in grado di chiamarlo. Il caso in ultima analisi ruota più attorno
alla scelta della forma d'arte "fumetto", se non altro perché chi si
trova dalla parte, diciamo, del cinema, o della letteratura, a volte possiede
delle motivazioni così profonde e così indiscutibili per dedicarsi a quella
certa forma d'espressione. Il fumetto ha dalla sua un'imbarazzante giovane età,
pur attingendo con disinvoltura alla letteratura ed alla pittura. É
indiscutibile che i modelli narrativi della letteratura siano in massima parte
i generatori dei racconti a fumetti; ma se la genealogia dei generi letterari
può essere argomento di dibattito, anche e soprattutto nella complessità dei
rapporti tra gli stessi, pur tuttavia si può, con certo schematismo
programmatico, parlare di un "divenire" delle espressioni dello
spirito umano, nel quale rientrano tutte le forme d'arte, e dunque dove diventa
non solo lecito, ma anzi auspicabile, un interscambio continuo. Allora tornare
a leggere i poemi Omerici è segno di una partenza lungo l'itinerario di questo
"divenire", nel quale ci si è già avventurati spesso, come ci si
avventurerà ancora, tra motivi intellettuali ed improvvise passioni.
Non è però casuale che se ne parli come si trattasse di
"studio", inteso proprio nel senso più tradizionale, lo studio
scolastico, del termine. Con ciò si evita un fastidioso equivoco. Se non si può
affermare in senso stretto che per essere narratori si deve proseguire il “discorso
letterario” con salde radici culturali, nondimeno ciò è auspicabile: è lì che
si fonda anche l'essenza delle pulsioni e delle ragioni dell'Uomo. Da ciò non
consegue che l'itinerario artistico di un autore debba ripercorrere, come io
propongo in alcuni miei lavori, la storia della letteratura. Però ci si
accorgerà, nel seguire altri e vari argomenti, che l'itinerario suddetto, in
qualsivoglia caso, fornirà stimoli per l’attività artistica, vicina più allo
studio che non altrimenti. In quel senso è plausibile che per un autore che viaggia per altre destinazioni, un percorso
di questo tipo meriti di essere compiuto, per rimanendo poi nel cassetto, come
succede agli schizzi, agli studi preparatori, alle trame, a lunghi passi di
sceneggiatura, e via dicendo.
Questo fatto è però
significativo per la valenza che assume un operazione come quella di
approfondire la vicenda di alcuni dei protagonisti delle saghe Troiane. In
prime luogo tuttora vivo 1'interesse per questi “cosmi” epici. Non è una
questione secondaria ed accessoria. In sostanza si mette in discussione la
possibilità di lavorare “trasversalmente” attorno ad una vicenda ben definita.
Una regola delle produzioni artistiche odierne vuole che una storia che per una
serie di motivi si lega a doppio filo con altre vicende dei medesimi personaggi,
mantenga comunque una certa autonomia, e anzi, sia possibile fruirla come un
prodotto a sé stante. Un altra regola vorrebbe (e da questa ci si sente un po’
più distanti) che la comprensibilità della vicenda sia subordinata alla
fruizione di tutti, o quasi, i frammenti che la compongono. Si parla in queste
case ad esempio degli sceneggiati televisivi, delle “soap opera”, delle saghe a
fumetti, e via dicendo. In alcuni casi ciò è legittimo, e intendiamo quando un
autore od un equipe di autori pensa che per poter esprimere alcune idee
necessiti uno spazio più ampio di quello standard, e dunque diluito nel tempo.
E non dimentichiamo inoltre che la pubblicazione a puntate di un romanzo, ad
esempio non è prerogativa dei feuilleton, ma è occorso (volontariamente) ai più
grandi scrittori del1’ultimo secolo, da Joyce alla Blixen a Vittorini. Ma c’è
un terzo caso, ed è il nostro, nel quale si fa riferimento ad un opera per la
capacità che ha questa stessa di porsi come riferimento. Il motivo di un
operazione di questo tipo può essere ad esempio la volontà di renderne un
tributo, o un proseguimento di un discorso (iniziato per caso, proseguito per
interesse). Di alcuni argomenti relativi al perché scegliere di riferirsi ad un
opera classica si è già detto poc’anzi.
Qui vorrei aggiungere, con
qualche distinguo, che si propone la lettura delle opere a cui ci si ispira,
come propedeutica (ad un approfondimento di cui dicevo). Anzi, questa proposta
di vicenda "trasversale" significa in sostanza che non si fa una
riesposizione di fatti che non entrano direttamente nella storia (si pensi poi
a come Euripide nell'Elettra non narra direttamente di Agamennone, o a come è
trattata la guerra di Troia nell'Odissea, nonostante tutto il libro ne narri le
conseguenze). Ma questi stessi fatti sono concatenati a quelli narrati.
Mentre la questione della
propedeuticità è legata ad un argomento relativo alla formazione culturale che
viene fornita dalla scuola. Ovvero, si vuole assumere che la conoscenza di
Omero sia un fatto universale (e le è) dunque si vuole semmai proporre un
contributo alla rilettura di Omero.
Una questione che molto a
proposito viene sollevata nell’ambito delle scienze estetiche, è quante sia
accettabile una sistematizzazione dei temi delle opere del passate. C'è in questa
ambizione un'evidente volontà di avvicinarsi al mondo delle scienze
propriamente dette, all’interno delle quali una scoperta scientifica
universalmente accettata, oppure una convenzione linguistica (come il valore ed
il significato di una “P greca” in geometria), sembrano prendere
definitivamente posto tra le cose vere ed universali. Per questo si intende
dire che in un certo ambito il fatto culturale si identifica con l'ambito
stesso (si provi a pensare, poniamo, che cos’è la fisica, o la sociologia ? É
possibile leggere un testo senza la base culturale opportuna ?).
Perché allora ribadire un
tale concetto. Non si intende dannare l’ignoranza, come chi fa statistiche
(totalmente inutili) per sapere quanti libri legge un italiane medio, o quanti
conoscono G. B. Shaw, o hanno sentito nominare Wiligelmo. La questione semmai è
di pertinenza del discorso poetico che l'autore intende fare. La vastità di
orizzonti culturali dell'autore potrà essere integrata da un’ampia
documentazione, cioè non solo non è detto che l'autore conoscesse in maniera
approfondita ciò di cui parlerà, prima di iniziarne lo studio, ma soprattutto è
possibile che il prodotto finale rappresenti una notevole crescita culturale
per lo stesso. Allora è lecito che l’autore faccia un progetto di ricerca,
ponendo dei minimi e dei massimi all'interno dei quali possa muoversi un
ipotetico fruitore.
È interessante esaminare
alcuni punti, a queste proposito :
·
un artista ha un linguaggio dell'arte con cui si esprime, e nondimeno
può possedere una formazione tipica di altri campi, ad esempio della filosofia
o della linguistica e via dicendo, che possono rendere più complessa la lettura
dell'opera in questione. In questo caso l'autore può ritenere che un linguaggio
specifico sia inseparabile dalla costruzione del proprio lavoro. Anzi, la
poetica di alcuni autori è talmente compenetrata di contributi di altre scienze
umane, che diventa difficile fare delle distinzioni.
·
indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, si può tentare di
identificare un pubblico attraverso una serie di parametri e di varianti. Tra
questi c'è il mezzo di diffusione dell'opera, che spesse connota anche un
livelle culturale.
E mentre la forma d'arte di
per sé non pregiudica il valore di un opera (come chi in mala fede distingue
tra musica colta e musica pop) può capitare che l’autore per ignoranza o per
altri motivi, compia dei grossi errori di valutazione.
Se ciò significa che un
autore ha la possibilità di inquadrare la propria opera all’interno di un
sistema di riferimenti culturali che possiamo, ad esempio, per comodità
inquadrare all'interno dei programmi ministeriali per la scuola, e da questo
punto di vista assumiamo anche che un corso di studi qualifichi anche le fasce
di lettori, possiamo stabilire un rapporto tra la qualità di un messaggio e chi
lo riceve (e dunque i canali che il messaggio attraversa) che pur nella sua
provvisoria validità, metta l'autore stesso in grado di fare delle scelte
calibrate.
Nel mio case specifico
intendo far notare come un’operazione in sostanza sperimentale si muova in un
ambiente (tipi di riviste, predecessori e contemporanei, background culturale,
ecc.) abbastanza omogeneo.
Questioni sul mondo Omerico.
Le scelte che un autore
moderno deve fare per poter collocare plausibilmente le vicende di cui narra
nel ciclo troiano sono necessariamente di diverse nature.
Pare più abbordabile e più
oggettivo l'approccio storiografico, anche per il fatto che oggi si è inclini a
considerare la guerra di Troia come fatto documentato, nonostante la tradizione
letteraria abbia contribuito a rendere nebulosi ed indefiniti i dati precisi
(quali nomi di località e di persone realmente vissute), tanto che in passato
si considerava il ciclo come sostanzialmente frutto di fantasia artistica.
Per noi moderni, ma già per
gli storici greci del V e del IV secolo A.C., quest'ultima impressione era
alimentata dal fatto che il periodo in questione era la zona di demarcazione
tra due periodi assai diversi tra loro, e culturalmente definiti da una serie
di espressioni sociali (artistiche, politiche, economiche) che non possiedono
alcuna continuità, lasciando un grosso vuoto.
Questo vuoto, attorno al
quale verte un’importante questione storica, è stato colmato parzialmente da
alcuni studi che tenevano curiosamente in gran conto (cosa che succede tuttora)
gli scritti Omerici. Si è in altri termini attivata un'osmosi che lascia campo
a futuri contributi.
Dunque il ciclo troiano è
collocabile a grandi linee, ma con alcuni precisi punti di riferimento, in un
quadro storico, ed è proprio da questo quadro storico che possiamo iniziare per
delineare lo scenario delle nostre vicende.
Una piccola parentesi
relativa al realismo di un opera d'arte, assumendo che l'autore della medesima
intenda collocare la vicenda nella nostra realtà, così com'è “realmente” (in
contrapposizione a chi ad esempio racconta di un invasione russa degli Stati
Uniti, o dell’arrivo dei marziani sulla terra), vale sottolineare che
quest’autore, narrando una qualsivoglia vicenda, introduce un elemento di perturbazione
che nega la possibilità di identificare il suo mondo con la realtà, persino se
ad esempio raccontando la vita di Kennedy o di Giovanni XXIII, facciamo dire a
questi delle frasi che si ricavano da documenti.
Questa contraddizione, che
poi lo è solo apparentemente, fa parte dello stesso processo artistico (facendo
un affermazione molto sintetica ma efficace) attraverso il quale si crea un
mondo fantastico, ma che esige una sua coerenza interna. La costruzione di
questo mondo segue delle modalità generalmente molto meditate ed intenzionali.
Voler essere realisti significa entrare in un campo abbastanza delicato, dove
ad esempio entrane in gioco i concetti di plausibilità e di universalità.
Omero a sua volta (parliamo
qui di Omero come genericamente dell'autore e degli autori dell'Odissea e
dell’Iliade) racconta un mondo differente da quelle di Euripide e di Virgilio
(o meglio il viceversa, per questioni cronologiche) che ha il fascino delle
grandi opere d'arte. Sono dunque da lasciare agli storici, le questioni
irrisolte ? Ancora una volta diciamo che ciò è a discrezione dell'autore e dei
suoi propositi. Personalmente ritengo che le questioni storiche vengano a
delineare lo "spazio" all’interno del quale muoversi più agevolmente.
Anche una storia di fantasia, come si è dette, può muoversi in un quadre
storico fittizio ma articolato (si diceva di Guerre Stellari), ed in sostanza
la fonte da cui attingere i fatti può essere varia, né un metodo surclassa
l'altro.
Ma il fatto di agganciarsi
ad un discorso di vasta portata, che vaglia la verosimiglianza del mondo
omerico ad esempio attraverso i riscontri dell’archeologia, o che di queste
mondo allarga i confini, per farci comprendere, o solo supporre, alcune
questioni appena accennate, significa se non altro la possibilità di
approfondire il proprio lavoro, di verificare, entro certi limiti, dei nuovi
campi d'interesse possibili, ed in ultima analisi fare delle scelte consone al
proprio gusto.
La questione omerica, per
ciò che riguarda gli aspetti storiografici, mira ovviamente a dipanare le
contraddizioni tra i poemi epici e la realtà storica, mediante una rigorosa
ricostruzione degli stessi fatti storici. A questo obiettivo ultimo ovviamente
si tende senza che appaia plausibile arrivarci, e nondimeno qualunque
contributo meritevole, aiuta a delineare quest'ambito (/quadro) storico.
Come narratore io mi
propongo abbastanza realisticamente di fare delle scelte che non solo mi
appaiono più convincenti, ma che sostanzialmente abbiano un certo valore
artistico. In tal mode si delinea una struttura storica che richiede
inevitabili raccordi ed ampliamenti, su basi documentarie, ma anche spesso
riferendosi a parentele letterarie e artistiche in genere.
Tutte le questioni delle
scienze sussidiarie agli studi classici, come le questioni archeologiche,
estetiche, ecc., hanno in buona parte degli argomenti comuni a quelli suddetti.
Se sarà opportuno, farò delle distinzioni.
Vediamo dunque in una breve
sequenza alcuni temi preminenti nel ciclo troiano che considero interessanti in
modo particolare. Il monde omerico è indubbiamente il punto di partenza, per il
motivo che la telemachia è un argomento o omerico, o, come si ritiene
possibile, successivo alla stesura del cuore dell’Odissea, ma che ci è pervenuto
attraverso questa fonte.
Le monarchie.
Fine a qualche decennio fa
si indicavano alcune date abbastanza precise che dovevano aver visto i palazzi
micenei, e prima quelli minoici, crollare per violente e ripetute scosse
telluriche. A questi cataclismi veniva dato un ruolo variabile, a seconda delle
concause, nel declino della cultura palaziale. Si parlava in alcuni casi di un
semplice colpo di grazia ad una struttura politica resa precaria da influenze
esterne, tanto che alcuni studiosi trascurarono di considerare le cause
naturali, per riagganciarsi ad esempio alla triste fama degli invasori del
nord.
In entrambi i casi possiamo
affermare che i “greci” della guerra di troia non erano ancora stati
coinvolti da fenomeni di tale portata da significare la fine della cultura
palaziale. E da un lato i fenomeni succitati saranno o graduali o accessori, al
punto che alcune zone non saranno affatto coinvolte. Dall’altro le date
tradizionali di alcuni cataclismi, e della stessa invasione dorica, sono di
quasi un secolo successive alla conclusione della guerra di Troia.
Io trovo dunque più
pertinente considerare il mondo dei cicli troiani come caratterizzati
sostanzialmente dalla cultura palaziale, un interazione tra la volontà di
autonomia e di particolarismo dei singoli monarchi, ed invece il
"corporativismo" generatosi dalla condizione di "pari" che
ogni monarca riconosce agli altri.
Il fatto che questi monarchi
fossero in numero definito non è forse solo dovuto ad esigenze di narrazione, e
ci riferiamo ad esempio all'Iliade, ma denota verosimilmente una
quantificazione delle stato di monarca.
Inoltre come vedremo, gli
abitanti della penisola ellenica si concentravano in pochi e grossi centri, per
cui era assai difficile l'imporsi di neo-monarchie.
Le città ed i palazzi.
L'epoca che segna la
conclusione della civiltà micenea è fortemente centralizzata. La vita non si
esaurisce dentro le mura, o nei fondi delle immediate circostanze, ma è anche
vero che le piccole comunità si caratterizzano poco dal punto di vista culturale.
Vi sono certo dei motivi antropologici che caratterizzane gli spostamenti delle
genti verso i grossi centri urbani. Nondimeno in questo periodo la tendenza è
più marcata, o altri periodi hanno concesso di più alla tendenza al
decentramento.
Io penso che lo splendore
dei palazzi micenei abbia potuto concretizzarsi solo in virtù di questo
accentramento di uomini, e dunque di talenti, in spazi limitati.
La città è dunque totalmente
a dimensione d'uomo, e al suo interno sono soddisfatti i bisogni della comunità.
I contatti tra città sono probabilmente dovuti al commercio di prodotti
pregiati ed ai rapporti politici.
Il viaggio, che
invariabilmente connota l'incognito ed il pericolo, è reso difficoltoso non
tanto da ostacoli oggettivi (come poniamo il deserto o il mare), ma piuttosto
da questa peculiare urbanizzazione del territorio, che trascura le zone al di
fuori dalle mura cittadine.
I palazzi sono
architettonicamente assai raffinati, costruiti su più piani pur mantenendo una
certa omogeneità tra i diversi locali, e soprattutto progettati in modo da
rendere possibili molti percorsi diversi tra punti uguali. Ogni locale è
affrescato secondo motivi ornamentali, ed anche con scene del mondo vegetale,
animale, o con rappresentazioni di sport e mestieri. Le statue, le
suppellettili, gli oggetti di uso quotidiano, sono subordinati alla funzione
dei locali, ma, dove si addice, sono in gran numero e di materiali preziosi.
Alcuni di questi locali sono vasti, ricchi di mobilia, e sono destinati ai
convivi. In essi si mangia, ma anche si trascorre il tempo dialogando od
ascoltando musiche e gesta epiche.
Le città hanno abitazioni di
qualità abbastanza omogenee, anche se non comparabili ai palazzi dei monarchi
(ovviamente) ed alcuni luoghi sono destinati a funzioni sociali, come nel caso
dei santuari agli dei, o delle strutture commerciali. Le vaste mura non rendono
difficile l'accesso, e dove esiste un porto, esso appare come la via
privilegiata, con ricercate soluzioni architettoniche che permettono, sia
l'intenso traffico sia difesa totale.
L'arte micenea.
Il periodo miceneo viene
considerato da storici e archeologi anteriore alle epoche “storiche”, per il
fatto che mancano documenti scritti risalenti a questa epoca.
La scrittura adottata nei
palazzi micenei era mutata sostanzialmente da quella minoica. Ciò che ci rimane
è una sorta di archivio di palazzo, di argomento commerciale. Nondimeno gli
storici greci di epoche successive tentarono di ricostruire la storia greca sin
dal principio del secondo millennio avanti Cristo.
Dal punto di vista
antropologico è durante l'età micenea che si ha l'inizio dell'età del ferro,
mentre quella del bronzo doveva gradualmente terminare anche presso le
popolazioni circostanti.
Definiamo dunque questa
epoca come proto-storica, come ibrido tra la preistoria e la storia
propriamente detta[1].
(L’arte micenea discende per
molti versi dall’arte di Creta, e si possono distinguere, nelle produzioni
locali, le influenze ed i caratteri originali)
Invece l’espressione
artistica si è maggiormente conservata nelle pitture e nelle arti plastiche (è
abbastanza plausibile che eventuali supporti cartacei delle arti letterarie
siano andati distrutti), e la ricercatezza nell'espressione indica una
tradizione più vasta di quello che possiamo ricostruire.
Si considera ad ogni modo la
cultura micenea come il momento più alto di un periodo ben più vasto, e solo
molto più tardi un nuovo ciclo artistico giungerà a nuove vette.
Le interpretazioni degli
artisti moderni (scenografie cinematografiche, illustrazioni, ecc.)
preferiscono esagerare i fasti dell’Egitto dei faraoni, della Roma Augustea,
della Grecia classica, piuttosto che l'epoca micenea, presentata come un epoca
sostanzialmente "barbara".
Inquadrata però in una
prospettiva ciclica di cui si faceva cenno, essa acquista nuova linfa e nuovo
splendere.
La mia interpretazione si
riallaccia al ruolo centralizzante che le città avevano dal punto di vista
demografico. Lo splendore dei palazzi micenei è assolutamente straordinario
rispetto agli standard dell'epoca. Cosi come nella nostra epoca la tecnologia
costruisce delle navi spaziali, concentrando gli sforzi, i capitali, ed i
talenti umani, attorno ad un progetto specifico.
I riferimenti per ricreare
questa atmosfera stanno ovviamente nei musei e nelle riproduzioni fotografiche
delle opere d'arte rimastaci. Io credo che la dimensione favolistica che ha
assunto l'epoca del ciclo Troiano, autorizzi largamente ad enfatizzare lo
splendore delle regge micenee.
(N.B. : Il paragone con
lo sviluppo tecnologico non corrisponde con la visione che io ho dello sviluppo
artistico.)
(Itaca, questione greca, barbari)
Sull'eterogeneità del mondo Egeo.
Si è detto di come i
monarchi micenei, o nella fattispecie, i monarchi dell'Iliade, si
considerassero appartenenti ad una casta comune, dunque di "pari".
Nonostante ciò, negli stessi poemi omerici emergono vistose differenze tra i
regni, e si noti che storicamente ad esempio Itaca non appartiene alla cultura
micenea; di questa non condivide il metodo di successione al trono, oltre al
fatto che Itaca è in un certo senso una regione più povera rispetto alle zone
micenee.
Ma una questione degna di
nota è che i limiti del mondo allora conosciuto erano assai variabili ed erano
legati alle esperienze di viaggio delle varie comunità.
Mentre l'area mediterranea
era conosciuta abbastanza uniformemente, le regioni più lontane del continente
rimanevano sconosciute, tanto che lo stesso Odisseo parla dell’occidente (cioè
della nostra Europa, che a noi appare probabilmente molto piccola ed a portata
d’uomo) come di una terra sconosciuta e pericolosa.
Tutto ciò ad indicare che
questo status di pari tra i monarchi greci non era riconducibile ad un
proto-stato, né vi era in essi una qualche coscienza in questo senso.
In seguito, col fiorire e lo
splendore della Grecia classica, ciò significherà anche una consapevolezza
dello stato, o comunque i Greci identificheranno le popolazioni esterne alla
Grecia come "barbari" e non-Greci.
Il mondo miceneo ha invece
una dimensione di quotidianità e di familiarità, in un certo senso insomma un
ampliamento delle mura cittadine. Niente esclude che non vi potesse essere una
affinità anche tra i monarchi micenei e quelli poniamo dell'Egitto, e ciò in
certa misura avveniva sicuramente, quando Odisseo ed i suoi compagni ad esempio
consideravano i propri parametri sull'ospitalità e sul culto degli Dei, come
applicabili a tutti i popoli, anche assai lontani dal mare Egeo, che avevano la
ventura di incontrare.
Nei colloqui tra monarchi
micenei si può avvertire la distanza fisica tra i posti, che rende lenta e
difficile la diffusione delle notizie. Ma ognuno di loro considera le questioni
altrui come se potesse farne esperienza quotidiana, e come se, e questo era
certo vero, gli sviluppi di queste questioni lo riguardassero direttamente.
I protagonisti.
I cicli troiani ed in genere
la tradizione epica greca, definiscono abbastanza le vicende dei vari
protagonisti. In alcuni casi, si pensi ad esempio alle avventure di Odisseo
successive al suo ritorno ad Itaca, a seconda delle fonti abbiamo delle
soluzioni discordanti.
Ma in linea di massima ciò
che sostanzia i principali personaggi, è una serie di fatti che ritroviamo pur
con alcune varianti in versioni differenti.
·
L'attesa di Penelope è quasi proverbiale, e la figura di lei che, pur
speranzosa per il ritorno di Odisseo, si strugge (nella Telemachia) perché il
figlio non segua il destino paterno, dà al personaggio una profondità coerente
con la struttura morale del personaggio (N.B. : si assume che in linea di
massima la telemachia sia, se non di un altro autore rispetto all'Odissea,
almeno concepita in maniera autonoma).
·
La figura di Telemaco è sostanzialmente subordinata alle esigenze
narrative dell'Odissea, nel senso che la sua ricerca ed in seguito la vendetta
sui Proci, esprimono la volontà di tutelare le posizioni dei genitori, ma anche
l'incapacità di autoaffermarsi, vista l’ancora giovane età..
·
Atena, come tutti gli dei omerici, ha caratteristiche più magiche e
sovra-umane che non divine. Partigiana delle cause dei protagonisti (ma non
sempre), fa spesso scelte ingiustificate, e che, vista la varietà di opinioni
in materia, non corrispondono alla volontà degli altri dei. È assai difficile,
anche volendolo, considerare Atena come personificazione del divino,(e dunque
dei nostri concetti di provvidenza, di giustizia, ecc.) per una serie di
motivi.
(Tra l'altro alcuni di
questi concetti sono contraddittori rispetto poniamo anche al Dio di Mosè, che
per alcuni aspetti richiama i comportamenti delle divinità greche.)
Ora, al di là, di qualunque
discorso sugli aspetti monoteisti della religione greca, discorsi sicuramente
interessanti, qui si afferma (per motivi di parentele artistiche) che le
divinità omeriche sono utili solo alla dimensione fantastica dei poemi, così
come lo sono i giganti e le sirene, e non sono neppure, come è pure plausibile,
una personificazione di fenomeni naturali e di fatti inspiegabili.
Ciò non sminuisce le
riflessioni teologiche che in Omero si pongono già in origine in un piano
differente; rispetto alle vicende degli “dei”.
In Atena è interessante
quella sorta di onnipresenza che esprime prendendo le sembianze di persone che
partecipano alla vicenda.
(A me interesserebbe
identificare le scelte di Atena con la volontà divina nel senso moderno [e
cristiano?] del termine.
Le personificazioni di Atena
potrebbero avere un senso se espresse come figure profetiche, o come epifanie.)
Argomenti vari - rimandi.
La questione dorica
Sulla questione dorica ho
trattato alcuni argomenti parlando delle monarchie, a proposito dell’arte
micenea, e più in generale a proposito dell'epoca micenea e dei suoi limiti.
Qui accenno solo al fatto che la questione dell’invasione dorica si colloca
tradizionalmente almeno ottanta anni dopo la guerra di Troia, dunque è estranea
alle nostre questioni.
La telemachia.
Si è detto, a proposito dei
suoi personaggi, dell’autonomia che i primi quattro libri dell'odissea, cioè i
viaggi di Telemaco, hanno rispetto all'insieme delle vicende narrate da Omero.
É opinione comune che un autore successivo a quello del nucleo dell'odissea,
abbia aggiunto non solo questi capitoli introduttivi, ma anche alcuni versi di
raccordo, sì da armonizzare il tutto (anche se vuoti e ripetizioni non sono
infrequenti) .
É certo che in base ad
osservazioni di questo tipo siamo portati a notare queste differenze. Vorrei
segnalare principalmente :
1) gli strumenti che ci
offre la filologia lasciano più dubbi che certezze. Inoltre queste questioni
influiscono marginalmente sui giudizi estetici.
2) se la nostra epoca vede
sempre di più l'opera non di un singolo artista, ma di una equipe di artisti
che si partiscono i compiti, e che collaborano attivamente ad ogni fase del
lavoro, nondimeno ciò succedeva nel passato quando ad esempio un grande affresco
veniva eseguito (ed a volte terminato) da discepoli e aiutanti del pittore
titolare dell'opera stessa, e poteva accadere anche per opere letterarie di
questa natura, come parte integrante del processo compositivo.
Si diceva sin dal principio
che la scelta della Telemachia ha una dose di casualità.
Più avanti esaminerò alcuni
argomenti specifici di particolare interesse.
Attualità di Omero.
Qui non si intende
valorizzare Omero sulle basi della sua attualità (si è già detto
dell’importanza per noi moderni della letteratura greca, del percorso
spirituale che i letterati compiono, ed Omero è un dei “grandi”) , ma si nota,
e più avanti se ne potrà specificare i termini, che alcuni accadimenti dei
nostri giorni si prestane ad essere commentati anche attraverso vicende di
millenni or sono (o che viceversa Omero offre spunti di commento ecc.), o che
comunque il romanzo storico si offre nondimeno a questa funzione, inquadrando
in un tempo anteriore temi e fatti e personaggi del proprio tempo (Manzoni docet
... )
Progetto “Nostoi” versione 1. 00
Si è già parlato in diversi
casi, come nell’introduzione, dell'interesse relative al ciclo Troiano.
Nell’Odissea (che è il
racconto di un ritorno, seguito a molte vicende sfortunate o meno, di un eroe
della guerra di Troia alla propria propria patria) si entra più volte nel tema
dei ritorni degli Achei alle città d'origine, narrando la sorte toccata ad
ognuno dei grandi eroi.
Queste tema topico, attorno
al quale molta letteratura ci è rimasta, e molta è andata persa, prende la
parola greca "nostos" ovvero ritorno (nostoi = ritorni) riferendosi
precisamente alla guerra troiana.
I motivi che si intrecciane
nei "nostoi" sono numerosi, ed alcuni molto distanti da altri, come
il tema autonomo della sventura della famiglia degli Atridi, ma
indiscutibilmente il sostantivo in questione implica un complemento (moto da
luogo) che diventa tema portante e causa prima del carattere tragico
dei destini che attendono i vincitori della guerra di Troia.
La critica letteraria
sottolinea con certe radicalismo moderno che nell'Odissea, ma anche
nell’Iliade, la guerra è deprecata non solo nella sua crudeltà, ma anche come
azione empia, e dunque come fonte di profondo peccato.
Certo è che altrove si
esalta il valere dei grandi combattenti e si trascura di valutare negativamente
le scorrerie delle flotte Achee al ritorno dalla Troade.
Ma è forse nei
"nostos" che è più intimamente racchiusa la tragicità delle vite e
delle morti di molti di questi eroi.
Questi “ritorni” nella stessa
parola (quando indica in maniera specifica quei ritorni) connotano il
lutto, la colpa, il peccato, la punizione (divina), nonché il travaglio,
l'inaspettato, e in conclusione un senso, comune a tutti gli eroi (il senso
della guerra) che sconfina e corrompe il particolare.
Quando in un primo momento
avevo mostrato interesse per l‘Elettra di Euripide, e quindi in generale per
l’Orestea, avevo già vagliato la possibilità di lavorare su un ciclo tematico,
con come denominatore comune non necessariamente il tema troiano ma anche
l'autore (poniamo Euripide) od altro.
Poi l’incontro con anche fi1mica.
Al momento, ed in breve, il
progetto Nostoi comprende due brevi racconti, uno su Telemaco e uno su Oreste,
con la possibilità di utilizzare le interpretazioni di autori diversi. In
questo senso indiscutibilmente il nome Nostoi è un mis-nome, poiché i più
prossimi protagonisti di un Nostos sono rispettivamente Odisseo ed Agamennone,
che qui sono solo coinvolti indirettamente. Nonostante ciò, anzi proprio per
questo, è rispettato il motivo tragico che scaturisce da una guerra decennale.
Progetto per “Nostoi I : Telemaco” versione 1.00
Su Nostoi I
Siccome era prevista (vedere
avanti) un introduzione scritta su Telemaco, questa poteva introdurre anche
l'Oreste e quindi comprendere un discorso generale sui Nostoi. Niente obbliga
ad esplicitare il progetto Nostoi, né tanto meno ad indicare il numero, che qui
ha un motivo logistico (di ordine cronologico).
Ora penso che sia più
opportuno, per dare autonomia ad ogni opera, e per evitare di mettere ipoteche
su cose ancora da fare, che "Telemaco" sia preceduto da
un'introduzione autonoma che tocchi tanto l'argomento "Nostoi",
quanto il tema delle guerra di Troia. Un'introduzione comune avrebbe motivo di
essere, se i due racconti venissero pubblicati assieme, anche in libro (inoltre
è probabile che l'Oreste possa lasciare spazio ad altri progetti, o che il
ciclo si allarghi).
La struttura del racconto.
(In questa sede, per quanto
possa parere prematuro, si farà riferimento alla lunghezza delle sequenze, e
dell'insieme di sequenze, servendosi di due parametri fondamentali, ovvero 1)
la pagina disegnata (cioè definitiva), e 2) la vignetta, che nel suo
moltiplicarsi costituisce la striscia (un “n-esimo” di pagina ad “n” strisce) e
la sequenza, che è l'unità narrativa.)
Il “Telemaco” consta di
dodici pagine, che idealmente concedono tre pagine a testa ai quattro capitoli
della telemachia.
Le divisioni all'interno del
"Telemaco" possono seguire anche l'ordine dell'Odissea. Io in realtà
privilegio una classificazione differente, che ha però una funzione più pratica
che non di ordine cronologico (un po’ come quando, durante la lavorazione di un
film, si girano di seguito tutte le scene in un dato esterno, indipendentemente
dal fatto che in sede di montaggio dovranno essere intercalate da scene girate
in pesti differenti), e cercherò in seguito di farne uno schema abbastanza
chiaro.
Dico subito che una
direzione è quella di identificare i personaggi fondamentali. Essi sono
Telemaco, dunque la partenza ed il viaggio, Penelope, ovvero il timore ma anche
la forza d'animo, Ulisse/Nestore, cioè il racconto e la figura della guerra, e
Atena, cioè la divinità = provvidenza (nella sua interpretazione
uni-dimensionale).
Una possibilità di montaggio
di “Telemaco” consiste in questo tipo di ordine :
- pag. 1, titolo : “Nostoi : Telemaco
Madre
(Penelope)”
Inizia già con la scoperta
da parte di Penelope che il figlio è partito ad insaputa di lei.
Lamento di Penelope, e atto
di fede.
- pag. 4, titolo : “Padre”
Racconto della guerra di
Troia nel colloquio tra Nestore e Telemaco.
Dubbi di Telemaco. Figure
degli eroi troiani.
- pag. 7, titolo : “Figlio”
Viaggio di Telemaco, ed
eventuali flashback ad Itaca con i Proci e la loro arroganza.
- pag. 10, titolo : “Dio”
Atena e i suoi interventi,
prima ad Itaca (flashback ?) con Telemaco, ora accanto a Telemaco sotto mentite
spoglie, e conclusione con accoglienza di Odisseo ad Itaca e ricerca di
Telemaco. Ricongiungimento della famiglia.
Ora un montaggio di questo
tipo oltre ad essere fuor da ogni dubbio già abbastanza elaborato, opera una
scelta tematica delle diverse vicende narrate nell’Odissea, ed è una prima
versione, nel senso che continua a mantenere l'elemento cronologico che per
altri versi potrebbe essere trascurato. I flashback all'interno di una
narrazione programmaticamente lineare, tendono generalmente ad appesantire lo
svolgimento del racconto.
La versione diciamo numero
zero, che è poi l'ordine col quale si legge la storia nell'Odissea, prevedeva
alcune importanti considerazioni di Telemaco sulle sue paure di non essere in
grado di cacciare i Proci e di regnare dunque su Itaca come il padre Odisseo.
Nella prima pagina lui si guarda nelle specchio con indosso un armatura come se
ne potevano usare durante la guerra di Troia.
Avvalendosi invece
dell'ordine sopra descritto si mantengono le considerazioni (anche nel seconde
capitolo) e si elimina la scena introduttiva.
L'ordine dello schema è per
importanza dei personaggi, dove Atena è fuori serie, ed ha un valore conclusivo
ed universalizzante.
In questo momento penso che
alcune alternative, che forse si avvicinano maggiormente all’Odissea vedrebbero
ad esempio per primo il capitolo su Atena, dunque la situazione ad Itaca e la
partenza di Telemaco.
Oppure prima il capitolo su
Telemaco, con la scena introduttiva, e quindi la partenza, poi il viaggio, e i
dialoghi sulla guerra di Troia, quindi Penelope, e quindi Atena e conclusione.
In questo caso l'ordine è per importanza, ma è inverso.
Comunque sottolineo che
questi modelli sono sostanzialmente dei metodi per ordinare il materiale in
fase scrittura, ed hanno un’incidenza trascurabile (non sempre) sull'efficacia
e il senso dell'opera.
Inoltre dico subito che uno
dei motivi di interesse per me è lavorare sul montaggio del materiale già fatto
in un secondo tempo, lasciando un po’ di scelte al caso, od a soluzioni
esteticamente valide tra quelle offerte tra le varie combinazioni possibili.
Questo tipo di montaggio,
che è molto cinematografico, ma è stato usato splendidamente anche da alcuni
grandi del fumetto, da Kirby a Mattotti, è un’operazione (delicata) di gusto
“pop”, e si riallaccia dal punto di vista motivazionale col discorso
introduttivo che collegava i personaggi e gli avvenimenti dei cicli Troiani con
dei “tipi”, e dunque dei caratteri di "elementarità", nel senso
insiemistico del termine.
Una trama sintetica della Telemachia.
Libro I :
Introduzione;
situazione di Odisseo, ninfa
Calipso, colloquio tra gli dei dell’Olimpo, Atena prende posizione a favore di
Odisseo e intercessione di Zeus, Atena va ad Itaca sotto spoglie di un nobile
viandante, situazione della reggia di Odisseo con i Proci, Telemaco riceve
Atena come fosse un ospite, dialogo tra Atena e Telemaco, poi Atena se ne va in
un prodigio, Telemaco parla con la madre e poi rimprovera i Proci, questioni
sulla monarchia non ereditaria di Itaca nel dialogo tra Telemaco ed uno dei
Proci, Telemaco si corica alla fine della giornata;
descrizione di particolari
architettonici o di oggettistica.
Libro II :
Telemaco in assemblea con
gli Itacesi dove si riassume la situazione nella reggia di Odisseo con i Preci
che aspirano (ognuno) alla mano di Penelope ;
l'indovino Aliterse predice
la disfatta dei Proci per mano del venturo Odisseo;
Atena prende le apparenze di
Mentore amico di Odisseo e consiglia Telemaco affinché parta per un viaggio
sulle tracce del padre Odisseo, e (affinché) lo faccia all'insaputa della madre
Penelope;
Telemaco si risolve a
partire e lo dice ai Proci e alla nutritrice Euriclea ;
Atena prende l'aspetto di Telemaco
e raduna un equipaggio;
Atena addormenta i Proci e
invita Telemaco a mettersi in mare giacché la nave e l'equipaggio sono pronti,
e Telemaco raccoglie subito provviste e salpa nottetempo;
Atena/Mentore parte con
Telemaco.
Libro III :
La nave di Telemaco giunge a
Pilo, Telemaco ha un colloquio con il re di Pilo, ovvero Nestore, che era stato
compagno d'arme di Odisseo;
Telemaco chiede a Nestore
notizie del padre, Nestore parla estesamente della guerra di Troia e del fate
degli Atridi; Nestore consiglia Telemaco di mettersi in viaggio per Sparta dove
interrogherà Menelao, fratello di Agamennone e legittimo sovrano, dopo che
l'usurpatore Egisto aveva ucciso Agamennone ed era stato ucciso dal figlie di
questi, Oreste ;
Telemaco accetta
l'ospitalità per la notte offertagli da Nestore mentre Atena/Mentore se ne va
in un prodigio;
il giorno che segue Nestore
prepara dei sacrifici augurali, affinché il viaggio di Telemaco in compagnia di
un figlio dello stesso Nestore, ovvero Pisistrato, prosegua nel migliore dei
modi ;
Telemaco e Pisistrato si
mettono in viaggio a cavallo e fanno una sosta per la notte a Fere.
Libro IV :
Il giorno dopo, arrivati a
Sparta, vengono ricevuti da Menelao e dalla moglie Elena;
Elena riconosce in Telemaco
una somiglianza con Odisseo;
Telemaco espone il suo
travaglio;
nella conversazione Menelao
parla della guerra di Troia e del trucco del cavallo;
Telemaco e Pisistrato
trascorrono la notte ospiti di Menelao, e la mattina seguente proseguono i
racconti lasciati interrotti;
Menelao racconta del suo
ritorno a casa dopo un lungo periodo bloccato nell’isola di Faro (Alessandria)
dove cattura la divinità marina Proteo, che gli predice la via del ritorno, e
gli parla anche del fato di Agamennone e di Oreste che lo vendicherà, nonché
della sventura di Odisseo, bloccato nell’isola della ninfa Calipso;
Menelao termina il racconto,
e offre a Telemaco doni ed una lunga ospitalità, ma Telemaco lo prega di farlo
ripartire al più presto;
ad Itaca i Proci cospirano
contro Telemaco, ma la cosa giunge alle orecchie di Penelope, che così apprende
del viaggio del figlio Telemaco;
i Proci preparano
l'imboscata per Telemaco ;
Penelope si dispera, ma
Atena le si presenta in sogno sotto aspetto della sorella di Penelope stessa,
Iftime, e assicura la salvezza del figlio Telemaco;
i Proci pongono l'agguato
nelle prossimità dell’isola chiamata Asteride.
Libri seguenti.
Di lì a poco Odisseo doveva
giungere ad Itaca, dove viene ricevute dalla stessa Atena;
Atena quindi si presenta in
sogno a Telemaco che si trova ancora a Sparta, e gli comunica che il padre lo
attende ad Itaca, Telemaco si congeda da Menelao dopo un pasto augurale. Quando
Telemaco e Pisistrato giungono a Pilo, la fretta di Telemaco è tale che prega
il compagno di lasciarlo partire immediatamente evitando di congedarsi a dovere
con il padre di lui Nestore. Una volta giunto ad Itaca seguendo le istruzioni
di Atena per sfuggire all'imboscata che i Proci gli riservano, Telemaco si
ricongiunge infine col padre Odisseo.
Conclusioni, considerazioni varie, premesse per una sceneggiatura.
Tutto ciò che sì è
considerato nelle pagine precedenti è sostanzialmente un'introduzione alla
stesura della sceneggiatura. Si è anche vista la singolarità di un operazione
che è sostanzialmente concettuale, e meno (ma anche) motivata dal voler
raccontare una vicenda. Per altri versi questi scritti sono degli appunti di
studio, o si può definirli un diario di viaggio (o la preparazione di un
viaggio), di un viaggio attraverso i libri di storia come di arte come di
letteratura e di critica letteraria, di un viaggio che insomma non si interrompe
se anche si possono interrompere gli appunti.
In realtà il viaggio è
appena iniziato, e si suppone che considerazioni magari disordinate e casuali,
ma forse maggiormente approfondite, accompagnino poi la descrizione delle
singole vignette, dei dialoghi e del montaggio.
Ma veniamo ad una
considerazione fondamentale sul rapporto tra testo (in questo caso l'Odissea ed
in particolare i primi quattro libri) e sceneggiatura da esso tratta. Questo
metodo estesamente usato (si pensi che Kubrik non ha mai fatto la regia di una
sceneggiatura originale, eccetto forse agli inizi), cioè la stesura di una
sceneggiatura sulla base di un'opera letteraria, non ha ne indicazioni ne
controindicazioni, come si addice ad un procedimento artistico che è sottomesso
a giudizi estetici semmai, però fondamentalmente accorcia le varie fasi di
scrittura per ciò che riguarda la trama che esiste già, ed è il testo in
questione. Questa affermazione è volutamente vaga e inesatta e nondimeno sia
adatta al mio proposito fondamentale, ovvero a quello di fare un mosaico delle
vicende fondamentali utilizzando l'analisi della struttura originale del testo,
ed assoggettando questo nuovo ordine a degli argomenti di natura più
“ideologica”.
La perplessità mia, come
autore, è che poiché a lavoro ultimato si potrebbe stendere una trama, e questa
alla fine non sarà affatto il testo originale, allora si sarà persa una fase
fondamentale della lavorazione Di contro l’esecuzione diretta di questa fase,
cioè la stesura della trama, andrebbe fatta (per mia opinione) con i testo
originale continuamente a fronte, operando al più un lavoro di cernita dei
diversi periodi, e dunque mantenendo l'equazione trama = testo.
Tutte questo girare attorno
ad un problema apparentemente abbastanza tecnico ha un motivo nella scarsa
duttilità del testo Omerico.
Ciò con cui mi sono
scontrato nella lettura di Omero, con in mente anche le questioni di
sceneggiatura, e stata una tale pesantezza nel linguaggio, in parte dovuto alla
pedanteria del traduttore, e in parte ad effettiva prolissità nella
concatenazione dello sviluppo narrativo, che gli elementi originalmente attuali
ed interessanti per il mio caso (cioè dal punto di vista linguistico/narrativo)
che pure ci sono, e sono notevoli, basti pensare ai flashback ed alle
interruzioni delle sequenze nei momenti di suspense, non sono però sufficienti
per poter passare alla fase della sceneggiatura.
La mia soluzione è semplice,
e consiste da un lato nel fare una sintesi del testo Omerico come nelle pagine
precedenti, e dall'altro nel elaborare la vicenda secondo delle tematiche
diversificate od approfondite (in parte come fosse un soggetto originale), che
vanno elaborate autonomamente.
Un buon esempio è Telemaco
che si guarda allo specchio, e il tema dell'abbandono della giovinezza (che è
abbastanza presente nell’Odissea) per Telemaco, o il lamento di Penelope e la
sua statura morale (letterario), o gli argomenti teologici sulla provvidenza e
su Atena/simbolo della divinità, o le immagini a Pilo della tauromachia (elemento
folcloristico) e via dicendo.
Ovvero che a questo punto si
profila il lavoro più interessante e anche divertente. É una porta aperta.
Alcuni dubbi sulla compatibilità tra il mio gusto ed il genere epico non mi
impediscono la prosecuzione del lavoro, se non altro in subordine ad un altro
per me maggiormente rappresentativo. Ciò a dire che iniziando ora un progetto
più corposo, Telemaco ed Oreste avanzeranno a scatti più che con la regolarità
di un lavoro a puntate.
I dubbi riguardo
all'argomento epico rimangono, non sono preoccupanti e quindi trascurabili, e
nondimeno cercherò di arrivare a delle conclusioni fruttuose, pur orientandomi
su Telemaco diversamente. Una sola battuta per dire che nonostante l'Odissea
enfatizzi il lato avventuroso e guerresco, ciò è fatto con il contributo di
profonde considerazioni etiche.
FIN.
(stesura originale : 1989 - Castelfranco Veneto)
PROLOGO argomenti
1992
Argomenti su "Prologo".
Regia, montaggio, disegni, varie ed eventuali.
24/2/92.
Gli argomenti di questo documento fanno riferimento
alla sceneggiatura di "Prologo" versione 2.00, e alla sceneggiatura
grafica (ver. 1.00 o scen. 3.00) e sono particolarmente utili a definire
l'esecuzione degli schizzi delle singole vignette rispetto al complesso del lavoro.
Le divisioni.
Le scene.
La divisione in scene è il modo più semplice e
probabilmente meno specialistico per poter portare dentro e fuori dal fumetto a
cui si sta lavorando qualunque tipo di elemento (disegni, dialoghi, ecc...). In
ogni caso mi riservo di utilizzare più avanti altri tipi di divisione. Degli
esempi sono:
- divisione in pagine/strisce/vignette/ecc..:
si utilizza per lo più quando il lavoro è completato o quasi. In quel caso non
si è più interessati al contesto, ed è sufficiente una coordinata, cioè
l'indirizzo di un oggetto, conoscendo solo le poche convenzioni relative a
pagina, vignetta, striscia, baloon, ecc...,(ad es. dire "pag. 7, vig. 4,
ballon 2" è l'indirizzo del testo di un balloon e serve al letterist che
non conosce la storia per scrivere il lettering senza rischio di errori di
interpretazione).
NB: gli indirizzi degli elementi, come le pagine, sono
indicati, secondo l'ordine pagina/striscia/vignetta/altro (baloon, elementi),
nella forma pw/sx/vy/altroz, dove il numero dell'incognita è relativo alla
posizione dell'elemento all'interno dell'elemento precedente (il numero delle
pagine è relativo al racconto, ed è stabilito nel numero di 12), ad es. p2/s3/v2/baloon2 è il secondo
baloon nella seconda vignetta della terza riga della terza pagina.
- divisione in sequenze: la divisione in
sequenze è in funzione della narrazione, ed è utile alla modifica ed
all'elaborazione del linguaggio sequenziale stesso. E' in questa sede che è più
opportuno introdurre le indicazioni relative all'ordine nella successione delle
inquadrature.
Le sequenze non sono numerate, perché non sono un
numero determinato. Esse possono essere quantificate, così come si fa per le
proposizioni in un discorso. Però mentre il numero di pagine, ad es., è
intenzionale e motivabile, il numero di proposizioni in un discorso, anche di
lunghezza determinata, è casuale (e se è motivato non lo è coscientemente).
Inoltre esiste nell'analisi della sequenza, una certa discrezionalità, per cui
è possibile individuare delle sequenze differenti rispetto ad una diversa
prospettiva.
- la divisione in scene è mutuata dal
linguaggio teatrale, ed è grosso modo relativa agli ambienti in cui si svolgono
le vicende, e per convenzione (che stabiliamo qui) intendono che:
1 - all'interno di una scena non vi sono salti
temporali, ovvero avviene tutto in tempo reale (anche questa definizione riguarda una convenzione).
2 - la scena è facilmente nominabile con l'indicazione
del luogo dove avviene la vicenda. E' possibile però che per motivi particolari,
relativi alla storia, si abbia che diversi ambienti riguardino la stessa scena.
La divisione in scene è però una semplificazione convenzionale che implica
questa possibilità.
Gli elementi utili a descrivere un ambiente sono
ordinati come si usa per gli indirizzi (un ordine differente può essere utile
in casi particolari, da vedere di volta in volta). L'indicazione alternativa
tra ESTERNO ed INTERNO è un elemento ridondante (in genere si utilizzano altri
elementi per identificare un luogo, se l'alternanza tra i due termini dovesse
causare che si indichino due posti differenti [ad es., INTERNO Duomo Milano/
ESTERNO Piazza Duomo Milano], che
serve al colpo d'occhio e a stabilire una più diretta relazione con il concetto
di scena, ed è sempre riferito al sostantivo successivo, che può appartenere a
categorie differenti (ad es., INTERNO San Pietro, Roma; ESTERNO Sede Sip, via
Oberdan, Bologna; ESTERNO (generico) paesaggio, Dolomiti.).
Se la città è univoca, cioè il nostro caso, non si
indica - così come non indichiamo lo stato od il continente, a meno che la
vicenda non si svolga in più stati o continenti differenti.
La divisione in scene, oltre ad essere convenzionale,
non dice nulla riguardo al modo in cui le scene si legano o si miscelano.
Questo argomento viene trattato altrove, ed è soprattutto relativo alla
sceneggiatura, dove la divisione in scene non è attuata.
- Scena 1. ESTERNO, CANTIERE DELL'EDIFICIO PER LA
COMUNITA', ZONA PERIFERICA.
-Scena 2. INTERNO, MACCHINA DI FRANCO (TRAGITTO CANTIERE-CANONICA).
- Scena 3. INTERNO, SALA COMPUTER, CANONICA, CENTRO
CITTA'.
- Scena 4. ESTERNO, GENERICO CITTA' (TRAGITTO
CANONICA-CASA CINZIA).
- Scena 5. INTERNO, APPARTAMENTO CINZIA.
- Scena 6. ESTERNO, GENERICO CITTA', (TRAGITTO CASA
CINZIA-CANONICA).
- Scena 7. INTERNO, CHIESA
- Scena 8. INTERNO, SALA PRANZO, CANONICA.
- Scena 9. INTERNO, SALA COMPUTER, CANONICA.
- Scena 10. INTERNO, SALA PRANZO, CANONICA.
- Scena 11. INTERNO CHIESA. (Fine.)
La divisione
soprastante è corretta ed efficace. Si nota però che all'interno di essa non si
può, per definizione, lavorare sullo sviluppo narrativo secondo quello che
abbiamo chiamato tempo pseudo-reale (vedere paragrafo "La regia ed il
ritmo narrativo." del documento di Write "INTRO"), cioè uno
sviluppo narrativo dove tutti gli avvenimenti narrati si intende che accadano
senza alcun salto temporale.
Utilizzerò allora i nomi delle scene soprattutto
relativamente ad una descrizione generica dell'ambiente, cercando di introdurre
e di riassumere tutti gli elementi comuni alle diverse vignette.
I riferimenti alle scene così definite si avvarranno
dei numeri della scena.
(26-27/2/92).
Argomenti su "Prologo".
Regia, montaggio, disegni, varie ed eventuali.
Ver.1.00.
PROLOGO sceneggiatura
1992
NOTA ALL’EDIZIONE WEB (ottobre 2006): la sceneggiatura non è momentaneamente disponibile. Controllate la pagine nei prossimi mesi.
VETTE sceneggiatura
1992
Vette
La sceneggiatura di Vette, a differenza di quanto fosse stato per
quella di Prologo, in questa prima versione tenta di affiancare i diversi tipi
di materiali scritti (regia , dialoghi, ecc..) che, se necessitano di essere
consultati simultaneamente in fase di disegno ad esempio, in fase di scrittura
generalmente richiedono di essere realizzati ognuno in maniera autonoma,
particolarmente per poter seguire un certo filo elaborativo senza doverlo
cercare (di quel medesimo tipo di scritto) tra altri tematicamente eterogenei.
Ciò che mi propongo di realizzare in questa prima fase del lavoro è utilizzare
appieno gli strumenti informatici che facilitano la stesura di un testo nel
quale è possibile leggere e stampare alcune parti del testo piuttosto che
altre, pur se tutte si trovano in un unico documento. Inoltre vorrei evitare di
rallentare la realizzazione del lavoro, nello scrivere, alla fine, quasi
molteplici soggetti differenti (impressione che è avvalorata dal fatto che per
poter ritrovare gli elementi pertinenti ad una certa sequenza si è costretti ad
aprire differenti documenti ed a consultarli ognuno secondo i propri
parametri). Non c'è però contraddizione con le esigenze succitate, che avevano
fatto preferire altre soluzioni. Le soluzioni migliori ovviamente vanno cercate
senza considerarne una come definitiva. Osservo qui che ciò che manca agli
scritti di Prologo semmai è proprio che non siano stati elaborati all'interno
di un modello rigido che permettesse di affiancarli in maniera automatica (come
potrebbe succedere per le voci analoghe di diversi fogli elettronici basati sul
medesimo modello). Qui, per il momento, procederemo differenziando l'aspetto
dei diversi temi mediante la definizione di stili ad hoc. Comunque i diversi
strumenti possono essere utilizzati liberamente, e se intendessi introdurre dei
cambiamenti che riguardino tutto il documento, si renderà opportuno archiviare
la versione in corso, e riprodurre la
versione aggiornata in un documento con un successivo numero di versione.
Scena- Interno automobile Fiat Tipo durante il tragitto Bassano-Trento.
Sequenza- Dialogo tra Stella ed Enzo riguardo :
il tempo
la telefonata che Enzo cerca di fare in ufficio nel mentre col telefonino
i motivi del viaggio.
Siamo alle porte di Bassano del Grappa, all'imbocco della statale Valsugana in direzione Trento. Sono le sette e trenta di mattina, e il paesaggio è immerso in una fitta nebbia che non sembra potersi diradare nonostante il sole alto. A bordo di una Fiat Tipo di colore bianco una coppia di giovani sposi.
Lei, Stella (detta Etoal, la pronuncia italiana della parola francese "etoile" cioè stella), ventottenne, scrittrice di origini venete, è alla guida della macchina. E' bionda, i capelli lisci e corti pettinati all'indietro con il gel le conferiscono un look molto "trendy". Porta gli occhiali lasciati cadere fin sulla punta del naso, ottenendone un aspetto da "intellettuale" che la fa apparire più adulta e meno bambolina di quanto suggerirebbero i suoi dolci lineamenti.
Lui, Enzo, trentenne, giovane manager editoriale di una casa nazionale, emiliano trapiantato nel Veneto, siede al fianco della sua neo sposa, tentando di telefonare con un minuscolo cellulare al proprio ufficio personale per avvisare del viaggio improvviso. E' alto, moro, senza caratteristiche fisiche particolari. Veste in modo elegante, ma nel seguito della storia abbandonerà giacca e cravatta per dei grossi pullover dai colori autunnali, più adatti alle temperature montane.
(Si saprà poi che) i due sposini intendono raggiungere il padre di lei, Galileo, che, ultra settantenne, mancatagli la consorte da qualche anno, si è trasferito a vivere in un'isolata baita di montagna, dove ha scelto di dedicarsi solo alla pittura. La professione di lui non è citata in maniera esplicita. Si è occupato negli anni di molte attività, anche differenti tra loro, e in particolare del coordinamento del settore matematico-astronomico d’un editore specializzato. Ciò che lo ha maggiormente distinto nella sua attività lavorativa è il grande entusiasmo che è sempre stato un efficace propellente per i progetti personali e per la produttività dei suoi stessi collaboratori. Un modo di fare tanto dipendente da umori e sentimenti, che lo ha caratterizzato agli occhi altrui come una persona scostante ed in fondo inaffidabile nel suoi modi quasi da artista.
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Telefono (Rossella) |
Stella |
Enzo |
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Questa è la segreteria telefonica dello 02 123456789. Gli uffici sono aperti nei giorni dal lunedì al venerdì nelle ore dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. E' in funzione il servizio notturno di segreteria telefonica. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico. |
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Non c'è nessuno... |
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E' un pò presto, ma se dici che Rossella è in ufficio già dalle 7.30, bisogna che usi disattivare subito la segreteria. |
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Quello che fa è precisamente coordinare le esigenze di lavoro dovute alle assenze impreviste. Convenzionalmente si telefona attorno a quest'ora... Siamo già a San Nazario e la nebbia non accenna a diminuire. Non vorrei che ci accompagnasse per tutta la Valsugana. |
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Ce la lasceremo alle spalle, vedrai. Oggi è effettivamente eccezionale, ma, nei casi peggiori, a questo punto comunque inizia a diradarsi. |
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Se si sta diradando lo fa molto timidamente... Hey, hai ragione, ne siamo venuti fuori ! |
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Uomo di scarsa fede ! |
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Ed è una giornata bel-lis-si-ma ! Va' che sole ! Wow ! Pronto, Scarlet ! Sono Enzo. |
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Buongiorno Enzo. Stai poco bene ? |
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Io no, ma pare ci siano dei problemi di salute per il padre di Stella, ed ho preferito mettermi in viaggio con lei. Qui nella migliore delle ipotesi posso essere in ufficio tra quattro giorni. |
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Intanto ti sostituiamo ... |
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Ciao Rossella ! |
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Ciao Stella. Di cosa si tratta ? |
Per ora sembra non sia qualcosa di preoccupante. Ha delle forme di aritmia cardiaca che gli danno per lo più un forte stato d'ansia. Quello che mi preoccupa in fondo è sapere se sia in grado di chiamare velocemente qualcuno in caso di bisogno. |
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Ultimamente fa un pò la vita dell'eremita ! |
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Beh, speriamo bene...il tempo com'è ? |
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Davvero c'è un sole stupendo. Lo commentavamo or ora. |
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Qui siamo immersi nella nebbia più fitta. |
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Semmai ti teniamo al telefono con noi, se t'arrivasse un po’ di sole... |
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Sequenza: successione di panoramiche di paesaggi montani a seguire il viaggio della giovane coppia che si sta dirigendo verso alta quota (Passo del Pordoi, ecc.).
La sequenza che segue, il tragitto fino alla casa di Galileo, vive soprattutto d’una armonia grafica, dunque in questa sede evito di entrare nei dettagli. Il tragitto che devono seguire i Nostri percorre la statale Valsugana da Bassano ad Ora, quindi la Val di Fiemme e la Val di Fassa fino ai tornanti del passo del Pordoi, ai piedi del quale si trova la località in cui si svolge la parte della storia che segue. La scelta dei riferimenti geografici è ovviamente legata a dei motivi secondari, in quanto è primario che i luoghi in cui si svolge la vicenda abbiano alcune particolari caratteristiche che si possono ritrovare solo approssimativamente nelle zone in questione. Vediamo alcune di queste caratteristiche. Si tratta di una catena montuosa che chiude una valle a ferro di cavallo. Dall'alto a fondo valle si vede un paese, e più lontano altri centri abitati che tracciano irregolarmente il percorso della valle stessa. La casa di Galileo si trova in un punto della montagna prossimo alla vetta, a quota superiore ai 2000 metri, dove la vegetazione è rara o del tutto assente. Per giungervi si deve abbandonare la statale e seguire una strada sterrata, impervia e scarsamente frequentata, che conduce ad alcune malghe aperte solo in estate, quindi, dato che la zona inizia ad essere innevata proprio in questi pressi, si deve convenientemente parcheggiare l'automobile un paio di centinaia di metri più a valle. La cima della montagna è poco più in alto, tanto che la si può raggiungere dalla casa in una decina di minuti. La conformazione della cima è tale che, pur essendo nello stesso versante della casa di Galileo (sud-est), quest'ultima non è più visibile dalla cima stessa e viceversa.
La casa di Galileo è di modeste dimensioni, ed è ad un piano con i tetti spioventi scalati in due gradini, tutta in legno con la sola base in pietra (la base è irregolare dato che la casa è costruita in un pendio che comporta un dislivello tra li lato retrostante e quello antistante). La facciata ha due grandi finestre uguali e nessuna porta. Nel lato destro (di chi guarda la facciata) c'è uno spiazzo immediatamente raggiungibile dalla strada (che continua) dove ci sono delle panche ed un tavolo di legno, e, nella parete della casa, l'uscio attraverso il quale si raggiunge un vasto ambiente che funge da sala da pranzo, da studio, da cucina. Da qui si può accedere a due locali che occupano la zona retrostante dell'edificio: a sinistra la camera da letto di Galileo, a destra il bagno (le due porte sono perpendicolari tra loro).
Scena: esterno paesaggio montano isolato. Sul pendio erboso di una montagna senza alberi, data l'alta quota, si allarga un vasto piano dove è costruita una piccola casa in legno. La cima della montagna è solo poco più alta, mentre a fondo valle per mezzo di un sentiero carrabile solo parzialmente si trova un piccolo centro abitato dalle caratteristiche architettoniche tipicamente alpine.
Enzo e Stella hanno abbandonato la macchina in un prato deserto e a piedi si dirigono verso la casa di Galileo. La porta è aperta, e i due sposini entrano. Dalla finestra entra un sole che è già prossimo al tramonto. Tuttavia, accatastati disordinatamente alle pareti e alle stesse finestre, dozzine di quadri fungono da sipario, rendendo l'ambiente scuro e poco confortevole.
Sequenza: Stella ed Enzo entrano nella casa dove non trovano nessuno e mentre commentano sul disordine giunge Beatrice, una signora del luogo che si occupa del Professore Galileo. Questa, amica di famiglia da anni, saluta affettuosamente Stella e spiega che il padre sta dipingendo in cima alla montagna.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
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Papà ?... |
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Mio Dio, che odoraccio... Qui per le pulizie ci vorrebbe un'impresa specializzata ! |
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Papà ?... |
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Ma come fa a vivere in questo caos... |
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(voce fuori campo) Stella !! |
P. A. di Stella ed Enzo, con lo sfondo frontale della parete dove si trovano le due finestre ed i quadri. Entrambi guardano verso la porta d'ingresso, cioè verso il lato sinistro della vignetta. |
Beatrice cara ! |
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Buongiorno Beatrice ! |
Tuo padre è in vetta che dipinge. Fai una corsa a chiamarlo, altrimenti non tornerà prima che sia tramontato il sole. Ciao Enzo ! Sei qui anche tu ! Non pensavo di vedervi così presto ! |
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Tu come stai ? |
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Qui, al solito. Finché le gambe mi sostengono, come vedete la faccio ancora a piedi per le scalette. Ma come vi vedo bene ! Da dopo sposati non vi ho più visti assieme ! |
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Come sta adesso Galileo ? |
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Stella si discosta dal gruppo e si avvicina alla porta. |
Io corro su intanto... |
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Stella è diventata esageratamente apprensiva, dopo che lei ci ha telefonato l'altra sera. Abbiamo letteralmente fatto una scappata ... |
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Non avevo inteso farvi fretta. Galileo conserva l'energia di un adolescente. |
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Pensavo fosse un altro il problema. Tutto questo disordine, il posto stesso... |
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Scena: esterno cima della montagna dove si trova la casa di Galileo, ma in un punto che guarda da un lato opposto.
Sequenza: dialogo tra Stella e Galileo a proposito della situazione reciproca, delle preoccupazioni di lei per la salute di lui.
Galileo, l'anziano genitore di Stella, ha una folta barba che lo rende somigliante al suo illustre omonimo. E' seduto su uno sgabellino portatile, in un punto della montagna totalmente disabitato, ma da dove si domina la valle. Essendo quasi in cima alla montagna, è sufficiente percorrere qualche metro verso la cima per poter ammirare tutta un'altra porzione di panorama. Galileo sta dipingendo un panorama mentre il sole tramonta. Stella lo raggiunge e, stando alle sue spalle, osserva il quadro. Nel frattempo Galileo inizia a riporre gli strumenti.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Galileo |
Piano Medio frontale di Galileo che dipinge. Il quadro si vede soltanto da dietro mentre si vede il viso Stella alle sue spalle. |
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Etoal, sei qui col consorte ? |
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Siamo appena arrivati. |
E ha voluto portare la macchina fin quassù ?! |
Stella sorride mostrando che sta al gioco. |
No, siamo venuti su a piedi ! |
Si è lamentato un pò ? |
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Un pò soltanto ! |
S'è portato via il lavoro ? |
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Anche di quello un pò ! |
Il telefonino ? |
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Yep ! |
Il laptop per comunicazioni ?! |
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L'ha lasciato in macchina ! |
Stasera per cena mangiamo funghi, polenta e formaggio fritto. Avete visto già Beatrice ? |
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Si, è giù con Enzo. |
Andiamo allora... |
Stella si gira verso la direzione dalla quale era venuta, in modo da precedere Galileo nella via del ritorno. |
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Etoal, neanche un bacio per tuo padre ? |
Stella
sorride all'improvvisa apertura del padre, fino a quel momento (e
generalmente) alquanto burbero. Stella bacia affettuosamente il padre Galileo. |
Come stai ? |
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Sequenza: dialogo tra Enzo e Beatrice a proposito di Galileo. (Da decidere se inserire questa sequenza in questo momento o più tardi. Nella prima eventualità è possibile fare in modo che questa sequenza e la precedente siano concatenate in modo da terminare con l'incontro dei due gruppi.)
Nota: la sequenza che segue va probabilmente eliminata dalla stesura finale, oppure può venir utilizzata per concatenare elementi di questa sequenza con elementi in quella precedente per stabilire una sincronia tra i due diversi eventi. La cosa non ha alcuna particolare funzione drammatica, e semmai potrebbe comportare una perdita di chiarezza delle informazioni veicolate dalle sequenze stesse. Viceversa una successione delle due sequenze in base alle scene suggerisce che la seconda sequenza avvenga mentre Stella e Galileo scendono a casa dalla cime, significando per questo che o il tragitto è eccessivamente lungo, o che questa sequenza è abbastanza importante da meritare uno spazio a sé stante. Il dialogo, ad ogni buon conto, è utile a definire alcuni elementi della dinamica della storia, così si può se non altro considerarlo con analoga funzione del testo descrittivo.
Vignette
/ Regia |
Enzo |
Beatrice |
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Realmente abbiamo pensato di portarlo con noi a casa. Stella è sempre molto in apprensione e credo ne abbia i motivi. Per noi è sicuramente un viaggio abbastanza lungo, ma in assoluto ha scelto di stare in una zona che non è adatta alle esigenze che può avere una persona della sua età. Riconosce che ho buoni motivi per pensare se non altro che sia annebbiato nelle facoltà intellettive? |
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Lo conosco da tanto di quel tempo, il signor Galileo, e posso onestamente affermare che non è diverso oggi da com'era da giovane. Mi stupirei del contrario, di vederlo in città, insofferente alle pareti di un condominio in cemento armato. |
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Di quello che era non riesco a vederne traccia. Una persona talmente attiva, un punto di riferimento per chi gli lavorava accanto, contagioso nel suo entusiasmo. Riusciva a rendere poetica una tabella sulle ere geologiche. |
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Anche tu hai lavorato con lui nei suoi ultimi anni di attività ? |
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No, lui era direttore editoriale delle collane scientifiche della stessa mia casa editrice. Io ho un compito più manageriale, ma ovviamente avevamo contatti continui. |
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Noi giù del paese, per un motivo o l'altro, si viene quassù quotidianamente. Neppure la nevicata più abbondante isolerebbe la zona, anche perché più ad ovest ci sono gli impianti di risalita per gli sciatori. Adesso tra l'altro hanno un elicottero della Croce Rossa che rimane in paese, e ci può collegare con l'ospedale di Trento |
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Qualcuno viene a vederlo ? |
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Io gli porto il giornale la mattina, o alcune cose di alimentari che mi chiede espressamente. |
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Quello del cibo rimane un mistero anche per noi. Non gli manca mai. |
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Conosce i posti... E qualche volta scende a valle, magari deve fare qualche fax ! |
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Fax ?... |
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Sequenza: breve dialogo generico dei quattro personaggi.
Nota: il ricongiungimento del gruppo si racconta egualmente con le ultime battute del dialogo tra Stella e Galileo, oltre che, ovviamente, con tutta la sequenza successiva. RIVEDERE EVENTUALMENTE.
NOTA: da questo punto in poi si considera che sia Stella che Enzo dormano entrambi in casa di Galileo. una variante prevederebbe che Enzo vada a dormire in albergo a valle, poiche' in un primo momento non ci sarebbero stati più di due letti nella baita. questa variante implicherebbe una serie di cambiamenti secondari, in particolar modo quello dell'introduzione di un breve dialogo tra Beatrice ed Enzo che scendono a valle dopo la cena.
Il sole è ormai tramontato, si vedono i profili delle montagne appena appena illuminate dalla luna, ed a fondo valle le luci del paese immediatamente antistante, e di altri paesi più lontani. I quattro protagonisti preparano una cena molto informale, tra l'interno e l'esterno della casa. La possibilità di fare svolgere tutto all'esterno è poco compatibile con la presenza della neve (siamo ai primi di novembre), ma è importante sottolineare che il vero protagonista è il paesaggio, ovvero la luna piena , il cielo stellato, il profilo dei monti dolomitici, e le luci del paese sottostante. I personaggi indugiano all'esterno fino all'ultimo momento.
Scena: esterno notturno dello
spiazzo antistante la casa di Galileo.
I quattro personaggi sono attorno al fuoco che preparano la cena.
Sequenza: (vignetta iniziale sulla cottura della polenta) dialogo dei quattro che parlano della cena, del tempo, quindi intonano canzoni di montagna e frammenti di canzoni varie.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
Dettaglio del paiolo della polenta sopra al fuoco della cucina a legna. Si vede una mano che tenendo un mestolo rigira la polenta. |
Lascia che faccia io. Dammi ! |
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Mi raccomando... |
P.P. frontale di Stella e Galileo che tengono entrambi la testa bassa guardando il paiolo. Stella regge il mestolo e Galileo le tiene le mani per farle seguire il movimento che le sta spiegando. |
Da destra a sinistra riportando in senso orario |
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Da destra a sinistra riportando in senso orario |
Da destra a sinistra riportando in senso orario Così, brava ! |
Campo lungo in prospettiva del lato esterno della casa dove si trovano l'ingresso e la panca e il tavolo in legno. Il punto di vista si trova a sud (vedere pianta), ed a sud è seduto Enzo con un piatto di polenta e formaggio. Sul tavolo ci sono vari bicchieri pieni di vino rosso e la stessa bottiglia di vino. I fondo alla tavolata, verso nord, le due donne, che sono sedute su delle sedie, mentre Galileo lo si vede ora dentro ora fuori, tra Enzo e le donne, ora sull'uscio. |
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Il freddo di queste zone è impietoso, ma non insopportabile... a momenti è persino piacevole, stimolante ! |
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Mi dai atto di questo ! Solo non si deve trascurare di correggerlo, con qualcosa di forte. |
Stella e Beatrice sullo sfondo cantano all'unisono. ("Tanti ghe n'è" canto della Val di Fiemme ricostruito da L. Pigarelli ed eseguito del coro della S.A.T. nel long playing "Là su per le montagne, vol. III", 1963 R.C.A.) IL CANTO DEVE ESSERE SOTTOFONDO DI ALTRI DISCORSI E ANDRÀ INSERITO ALLA FINE NEL MODO PIÙ OPPORTUNO. |
Tanti ghe n'è de sti bei giovinoti Che ga le braghe rote sui ginoci, Traila traila trailala, Tanti ghe n'è de sti bei giovinoti Che ga le braghe rote sui ginoci, Traila trai-trailala. Rote va ben ma le farem giustare, Gavemo i soldi in testa per pagare, Traila traila trailala, Rote va ben ma le farem giustare, Gavemo i soldi in testa per pagare, Traila trai-trailala. Tanti ghe n'è, de poco i se incontenta, Che i va da la morosa e i se indormenta, Traila traila trailala, Tanti ghe n'è, de poco i se incontenta, Che i va da la morosa e i se indormenta, Traila trai-trailala. I se indormenta miga per domire Ma perche lì no i sa pù cosa dire, Traila traila trailala, I se indormenta miga per domire Ma perche lì no i sa pù cosa dire, Traila trai-trailala. |
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Bisognerà che scenda a valle, che è già molto tardi. |
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L'accompagno... |
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I fari della macchina di Enzo sono ormai lontani. |
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Scena: interno casa di Galileo. Il letto di Galileo si trova in una piccola stanza, mentre i due sposini sono sistemati alla meglio nella camera principale in due brande distinte.
Sequenza: dialogo tra Stella e Galileo a proposito delle fiabe e della loro interpretazione da parte degli jungiani.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
Indicazione di salto temporale, ad esempio ritraendo una candela quasi terminata, che nella vignetta precedente era consumata solo a metà. Stella e Galileo sono in casa e si apprestano ad andare a letto. Galileo tiene in mano un volume e lo legge ad alta voce mentre Stella è rannicchiata più in basso in atteggiamento filiale. |
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Quando il Padre creò le montagne, si lasciò prendere dal bello e se ne compiacque. Ma quando si trovò a dover stabilire gli abitanti...Qui nessuno ci voleva stare "Ai cittadini hai fatto le montagne" dicevano gli uomini "ai contadini le campagne, al marinaio il mare. Ma a noi montanari solo sudore e fatica ?" Lui, il Padre, si era sbizzarrito con tramonti di perla, con albe di fuoco, con prati verdi e fiori e minerali e alberi. "Cosa mangio io " diceva il montanaro "nuvole e bello, sassi e fiori ?" Allora il Padreterno prese un pezzetto di roccia, due rametti di pino, un po’ di prati verdi, due gocce di lago alpino e piantò il tutto nel cuore del montanaro. "Ecco" disse "senza queste cose non potrai vivere ..." Questa malattia che il Padre piantò nel cuore del montanaro si chiama Heimweh, nostalgia delle proprie montagne. |
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Qualche tempo fa ho letto anche il saggio della Von Franz. |
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E' un'interpretazione prettamente Jungiana. Interessante, coerente, a tratti pedante. Non è indispensabile... |
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Dice alcune cose molto toccanti... Peccato forse che la scelta delle fiabe sia così limitata e poco rappresentativa. |
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Per me piuttosto mancano in fondo le caratteristiche di uno studio scientifico. Gli strumenti psicanalitici sono si un valido ausilio, se si hanno già solide fondamenta. (Non si rischia altrimenti di fare gli esploratori percorrendo solo strade asfaltate ?) |
Galileo si alza e aggiunge della legna al fuoco. Nota: per non rendere pedante la sceneggiatura del rientro di Enzo sarà forse opportuno non menzionarlo affatto, ma piuttosto o mostrare semplicemente che è già tornato in una delle vignette precedenti, oppure farlo tornare durante la ninna nanna. La seconda soluzione implicherebbe che Stella e Galileo non attendano alzati Enzo, il che è improbabile, date le brevi distanze tra valle e casa. |
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Galileo in piedi si avvicina a Stella che già è nel letto. |
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Buonanotte, Etoal... |
Nota: la ninna nanna di Galileo non è necessariamente detta direttamente da lui, può essere un'intenzione, una colonna sonora. |
Buonanotte ! |
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Fente la nana, fentele, cantando finché la popa se va 'ndormenzando ninna nanna oooh ... oooh ... La popa se 'ndormenza poco a poco come la legna verda arentr al fuoco Ninna nanna oooh ... oooh ... La legna verda brusa e non fa fiama cossì fa la me popa a far la nana ninna nanna oooh ... oooh ... Fente la nana parà via 'l bobò doman de sera vegnirà 'l pupa ninna nanna oooh ... oooh ... oooh ... |
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Sequenza: nel cuore della notte Stella si alza per assistere Galileo che ha un attacco di tosse convulsa.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
Immagine simile a una delle precedenti, campo lungo della sala. Si vede la luce della camera di Galileo accesa. |
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Enzo si rende conto che Stella non è lì e si siede sul letto. |
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Sequenza: breve dialogo tra Stella ed Enzo sull'accaduto.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
La luce è tornata ad essere spenta. Stella torna a letto al chiar di luna. |
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Che c'è ? |
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Ha avuto un attacco molto violento. Ora si è tranquillizzato... |
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Occorre che faccia qualcosa ? |
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No, ora è tranquillo. Siamo nella norma, pare. |
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Vignetta senza dialogo simile a quella introduttiva della sequenza. Entrambi però ora dormono. |
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Sequenza: dialogo tra Stella ed Enzo l'indomani mentre fanno colazione. Stella dice che intende rimanere qualche tempo col padre. Discussione.
Sequenza: arrivo di Beatrice e dialogo sulla salute di Galileo. Beatrice dice che Galileo è andato a valle. Stella si preoccupa un poco.
Vignette
/ Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
Stella ed Enzo stanno facendo colazione. Lui sta sfogliando delle carte, lei sistema alcune cose da mangiare in tavola. |
Io mi fermo qui qualche tempo. |
Io vedo una soluzione immediata, e cioè che venga a casa con noi. Così avremo anche il tempo di decidere sulla cosa migliore. Eppoi ci vuole l'opinione di uno specialista... |
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Mmh Mmh, si... |
Adesso ? Da adesso ? |
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Intermezzo silente. |
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Ovvero ? |
Beh, vuoi che torniamo sull'argomento ? |
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Ovvero questo, il caos di questa casa, tutto questo posto, il modo di fare che ha da quando è qui ? |
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Allora vediamola, questa situazione. Il posto è isolato, è vero. Ma ha una sua dimensione. Invece quanti casi di abbandono sociale hanno luogo nelle nostre metropoli. Non facciamo paragoni estremizzanti, da una parte o dall'altra. Io dico che qui la gente vive come noi viviamo in città, confrontandosi con le questioni specifiche della propria realtà. Inoltre mettiamo che io desideri stare qui per un po’, e occuparmi della sua salute, delle sue esigenze con un la dovuta calma. Anche questo disordine per me significa che ha semplicemente bisogno di una mano. Voglio vedere piuttosto come ti troverò nella nostra casa al mio ritorno ! |
Allora è la cosa migliore, secondo te ? Rimanere qui ? Di cosa ha bisogno, ora come ora ? Tu credi, stando qui, di poter fare qualcosa ? Forse sei solo ingenua. Per me, improrogabilmente, c'è bisogno di trovare delle soluzioni con chi possa avere una competenza specifica ! |
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Ma ... lungi da me criticare il fatto di vivere qui di per sé. É la sua situazione che è assurda. Senza né gas, né corrente, né telefono, non facendo altro che dipingere... Non sono io a dover sottolineare quanto straordinariamente ha condotto per anni le sue attività. Io rimanevo sempre stupito da come potesse gestire dei progetti a livello mondiale solo tra la tecnologia del suo studio. Ogni nuovo giorno dalle enormi vetrate il sole inondava la stanza e sembrava che i progetti crescessero per naturale fotosintesi... |
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Stella sorride discretamente. |
Il seme della poesia ha fatto breccia anche in te. Potrebbe aiutarti a diventare un po’ più tollerante nei suoi confronti. |
Non è vero, io come te sono preoccupato ... questo è quanto. |
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Invece ne parli come di un barbone, di uno derelitto. Il più delle volte io lascio correre certe tue considerazioni, benché siano inaccettabili. Non è forse vero che anche adesso stavi per attaccare con la manfrina... |
Ma è vero ! Che modo di vivere è questo. |
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Eccolo... |
Non sono offensivo ... quando mai, figurati. Semmai sono come quel bambino che dice "il re è nudo" ! |
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NOTA: la saldatura tra il discorso di Stella e quello di Enzo non è così evidente, ma rischia, se svolta nella sua interezza, di diventare un po’ prolissa e di insistere sulla litigiosità dei due sposini, che invece sono così solo occasionalmente. DA RIVEDERE. |
Non voglio discutere oltre. Lascia che mi occupi di lui per un po’ e poi se sarà il caso ti prometto che considereremo anche la possibilità di tornare a casa assieme. |
Che poi sai che m'ha detto Beatrice ? Ogni mattina gli porta due quotidiani, mentre lui va spesso in paese a spedire la corrispondenza. Dove sono i giornali, la macchina da scrivere ? |
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Lo so, cosa c'entra tutto ciò ? Ti delude ? Ti delude sapere che una persona faccia responsabilmente delle scelte che non condividi ? Pensare che vi vedo molto simili. Tu ti comporti come un bimbo deluso ... Può darsi che il re sia nudo, dipende, che non sia il posto giusto per essere nudi. |
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Permesso ? Stella ? Tuo padre era già venuto in paese a prendere i giornali ! |
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Stella si alza e va in camera del padre. |
Nessuno di noi l'aveva sentito alzarsi... Enzo, dammi le chiavi che gli vado incontro in macchina. Beatrice, se vuoi del caffè appena fatto. |
Vuoi che vada io ? |
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No no, vado io. Stai qui che se serve vi trovo. Bye! |
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Stella
esce di casa. Enzo e Beatrice dialogano in casa ed
eventualmente all'esterno. |
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Bisogna che dia una mano a Stella per sistemare la casa. Anche tu pensi di fermarti un pò ? |
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Mi riuscirebbe difficile ! Ho diversi impegni ! |
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Io vi preparo come posso. Quello che servirà lo sistemeremo man mano. Anche voi due avreste bisogno di cambiare un po’ aria. |
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Ieri in realtà ero parecchio preoccupato, ed è per questo che ho piantato il lavoro. Mi sembra tutto sommato più semplice la situazione. |
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Stella ha desiderio di stare con suo padre, e poi questi sono i suoi posti di origine, anche se è cresciuta a Milano. |
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Si, credo sia così... Le do una mano. |
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Sequenza: arrivo di Galileo (è possibile che Stella gli sia andata incontro) e dialogo tra il gruppo. Enzo dice che intende fermarsi e viene bonariamente preso in giro.
Vignette / Regia |
Stella |
Enzo |
Beatrice |
Galileo |
La tavola è apparecchiata e l'ambiente è più ordinato di prima. Stella e Galileo sono in casa, ma hanno ancora addosso vestiti pesanti. |
Preparo
i pomodori e l'insalata, poi ci mettiamo in tavola. |
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Taglio
la polenta. |
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Sono tutti quattro seduti in tavola. |
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Buon
appetito. |
A
voi |
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Stella si rialza da tavola. |
Il
sale ! |
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Sapete,
ho richiamato in ufficio, e credo che mi fermerò, almeno per la settimana ! |
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Stella e Galileo si scambiano un'occhiata divertita. |
Nah
! In fondo è meglio che tu vada in giù. Saresti più responsabile. Eppoi
qui non c'è nemmeno tanto posto ! Mi
passi la polenta ? |
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Stella
ha un'espressione sorniona. |
Però
fino a fine settimana ti possiamo sistemare ? Anche
oltre, credo ? Eppoi
che nessuno andrà via di qui, se è così che desidera ... |
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FINE.
MAN IN THE MACHINE pt. 1 soggetto
1993
Un edificio di
notevole altezza, simile al palazzo delle Nazioni Unite, con in più un settore
adiacente, esteticamente uguale, ma alto solo un paio di piani, è l’unica
costruzione dell’uomo nel raggio di parecchi chilometri. Tutt’intorno solo
sabbia, e macchie di folta erba incolta, frastagliata dal vento.
Nonostante la
singolarità del posto, così lontano dai centri abitati, vi è un gran traffico
d’uomini tutt’intorno all’edificio, molti dei quali evidentemente addetti al
servizio di sicurezza ed alle necessità di chi si trova all’interno.
Qui si sta
infatti svolgendo un ciclo di conferenze che mirano alla costituzione di
un’organizzazione mondiale di scienziati che valutino casi di varia natura
ispirandosi a principi etici sovranazionali ed apolitici. Vi partecipano perciò
personalità di prim’ordine nel campo scientifico ed in quello politico, e per
questo vi è un tale spiegamento di forze.
Nella sala
riunioni principale, moderatamente affollata, si sta tenendo l’intervento di
Reed Richards, autorità mondiale nel campo dell’astrofisica e dell’ingegneria
elettronica, ed attualmente impegnato con l’ente governativo per la ricerca
tecnologica avanzata nella definizione dell’interfaccia utente relativa la
notazione e l’elaborazione delle coordinate di viaggio per il settore
aerospaziale civile.
Alle spalle di
Reed Richards, che sta in piedi davanti ad un leggio, si trova un maxi schermo
formato da 16 televisori affiancati in serie di quattro per quattro, e che
ritrasmette le immagini di una telecamera che riprende i relatori in primo
piano, mentre poco più a lato si trova uno schermo cinematografico dove vengono
proiettate le diapositive ed i filmati che integrano gli interventi.
Mentre Reed
Richards parla, si possono notare sullo schermo cinematografico alcune immagini
elaborate al computer che rappresentano sinteticamente una sezione del cosmo
all’interno di una sfera trasparente, delimitata da una serie di circonferenze
con diametri ed angolature differenti, come le parallele ed i meridiani del
globo terrestre. Alcuni dei corpi celesti che sono rappresentati all’interno
della sfera sono collegati da sottili linee tratteggiate che si diramano e si
intersecano in più punti, simili allo schema di una rete ferroviaria o della
metropolitana, che però nel nostro caso si sviluppa nelle tre dimensioni dello
spazio.
In piedi alle
spalle di Reed Richards si trova il moderatore, oltre a numerose altre persone
del personale di servizio, che nel muoversi in un continuo andirivieni rendono
estremamente caotico l’ambiente.
Reed
Richards : « Tra le prime simulazioni di viaggio che avevamo elaborato in equipe,
nessuna utilizzava come origine dello spazio cartesiano il pianeta terra, ed io
stesso ho sviluppato un simile modo di pensare in seguito alla mia vasta
esperienza diretta di cosmonauta.
Quello che ci
ha spinto ad utilizzare dei modelli più semplici è strettamente legato allo
sviluppo a cui assisteremo nei prossimi decenni nel settore civile,
ovvero : in primo luogo i progetti per la realizzazione di insediamenti
umani negli altri pianeti del nostro sistema solare, tra cui sarà sufficiente
citare le colonie residenziali e le miniere; in secondo luogo nel campo non
meno importante delle crociere per turisti.
Ci tengo a
ricordare che io non mi occupo se non marginalmente della ricerca in questo
settore, ma ritengo che lo sviluppo a cui è destinato coinvolgerà le grandi
imprese oltre ogni aspettativa.
Notate che i
modelli che ho supervisionato sono inquadrabili come caso particolare del
modello globale, e permetterebbero alla compagnia privata un’autonomia di
viaggio ristretta al proprio ambito esclusivo, definito da una concessione
rilasciata da un preposto ente internazionale. Ogni diversione di rotta
richiederebbe il collegamento in rete all’elaboratore del modello globale. E
questa eventualità sarebbe legata possibilmente ai soli casi di emergenza. »
Interviene una
persona del pubblico che si presenta : «Sono il Dottor Claude Clerc,
fisico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Francia. Dottor Richards, quale
reale consistenza potrebbe avere in quest’ottica l’iniziativa
individuale ? O, diciamo, esiste il rischio di istituzionalizzare i viaggi
spaziali ? »
Reed
Richards : « Non solo esiste, ma è, credo, un rischio, tra virgolette, che
va percorso fino in fondo, condizionale allo stesso sviluppo del settore. Lei
si riferisce alla sindrome delle Colonne d’Ercole, e capisco perfettamente che
la possa preoccupare l’idea di un ente che, diciamocelo pure, stabilisce dove
si potrà e dove non si potrà andare. Noi qui presenti, come rappresentanti dei
ricercatori scientifici delle nazioni della terra, portiamo con ogni grande
innovazione grandi responsabilità. Finché però la nostra voce avrà la
consistenza di un’ampia intesa, ci sarà sempre la possibilità di aprirsi a
nuove strade. »
Interviene una
seconda persona del pubblico : « Sono il Dottor Arthur Rossman,
neurofisiologo, ricercatore dell’Università del Massachusetts. Dottor Richards,
mi permetta di fare un riferimento alla sua persona, poiché riflettevo sul
fatto che i viaggi interstellari ai quali ha partecipato in prima persona, e di
cui ha reso cronaca in diverse sedi, non sono stati fatti nell’ambito della
pianificazione governativa, ed in alcuni casi sono stati condotti
nell’autonomia più totale. La mia domanda è : quanto del ruolo che lei ha
avuto nel panorama scientifico è legato alle sue qualità sovra-umane ? »
Brusio di
sdegno da parte della platea. Il moderatore si avvicina al microfono e prende
la parola : « Per favore, colleghi ! Dottor Rossman, credo che la sua
domanda sia estranea al contesto ... »
Reed Richards
si avvicina al microfono ed interviene : « Vorrei rispondere, prego. Be’,
vede, questa domanda mi è stata fatta sovente, ed io stesso me la sono posta
più volte, in vari momenti della mia vita ... Ma le dirò qualcosa di non
necessariamente legato alla mia esperienza, perché se è vero che io, così come
i miei tre noti compagni, ho subito delle imprevedibili mutazioni del tessuto
cellulare per una complicazione occorsa propri durante un viaggio spaziale,
questo fatto ha contribuito ad attirare su noi quattro l’attenzione della stampa
e delle autorità forse più perché siamo sopravvissuti a quella massiccia
quantità di radiazioni cosmiche, che non per le qualità sovra-umane che abbiamo
acquisito in seguito al medesimo evento. Intendo dire che avremmo potuto
passare alla storia come dei fenomeni da baraccone ...
Quando mi
trovai in quella situazione ero ancora abbastanza giovane, però tutto ciò mi
capitò non per caso o per incoscienza, ma a seguito di una seria preparazione
scientifica che è stata una piccola parte della mia lunga carriera di
ricercatore.
Un risultato
eclatante apre molte porte, ed offre spesso la possibilità di concretizzare i
propri interessi di lavoro, ammesso che si riesca a coniugare opportunamente le
proprie capacità con le risorse esterne. E se da giovane ero impaziente e un
po’ spregiudicato, non ho mai smesso di imparare molto dall’esperienza di
coloro con cui ho lavorato, alcuni dei quali ancor oggi considero miei maestri.
»
La scena si
sposta negli appartamenti, dove Reed si è ora ritirato, e dove guarda dalla vetrata
il profilo di New York in lontananza. Pensa.
Reed Richards
: « Mi abituerò mai a questa continua tensione ? Gli anni e la saggezza
non mi hanno aiutato ad accettare il fatto che ad ogni angolo vi possa essere
un pericolo. Tutto l’allenamento a cui noi quattro ci siamo sottoposti non mi
aiuta ad essere più rilassato ... è servito solo a farci essere operativi in
tempi reali.
Sono così
inquieto ... »
Reed si siede
al tavolo che si trova nella stanza, quindi accende un terminale senza tasti,
composto da uno solo schermo sottile come un giornale, che integra al proprio
interno tutti i circuiti elettronici, e che riceve i comandi tramite voce,
oppure toccando lo schermo con le dita.
Reed
Richards : « Non riesco a contattare Susan ... il faro di trasmissione del
Quartiere Generale non riconosce il mio codice identificativo. Curioso,
considerando quanto tempo ho dedicato a quel progetto ...
Qualunque
intoppo, tra l’altro, mi fa temere che vi possano essere interferenze esterne.
»
Più tardi. La
scena si sposta al piazzale antistante il palazzo delle riunioni, dove Reed
Richards sta colloquiando con un addetto al servizio di sicurezza.
Agente di
sicurezza : « Stanno terminando il controllo di pragmatica del sistema di
sicurezza, le assicuro che si tratta di attendere una mezz’ora al massimo. Se
desidera la metto in priorità secondo la procedura sanitaria e la faccio
tornare a Manhattan con l’elicottero della Croce Rossa. »
Reed
Richards : « Nessuna priorità, agente, solo un piccolo problema tecnico,
attenderò ... »
Pensa : «
Per interrompere il controllo completo del sistema ci vorrebbe ad ogni modo ben
più di mezzo’ora ...
Qui dentro non
si muove una piuma senza mille permessi. »
Reed si
avvicina al sistema difensivo.
Reed
Richards : « Non so se io sono iperapprensivo, ma non voglio correre il
rischio di aver preso con leggerezza una situazione di questo tipo ... »
Reed tasta il
terreno al di sotto del sistema difensivo, che è costituito da una specie di
enorme muraglia elettronica quasi invisibile. In quella zona il terreno è quasi
esclusivamente sabbioso, e Reed muta le proprie dimensioni allo spessore di un
foglio di carta in modo da passare attraverso la sabbia senza attivare gli
allarmi. Poco dopo si ritrova nel lungomare deserto, dove riprova a contattare
il Quartiere Generale con la trasmittente da polso.
Reed
Richards : « È il Quartiere Generale che è isolato ...
Non è certo
con un intervento esterno, per quanto sofisticato, che potrebbero determinarsi
queste condizioni. Sembrerebbe piuttosto una avaria ad un componente
dell’elaboratore centrale.
Non può essere
... »
New York City.
Ci troviamo in
un quartiere periferico e degradato, in una zona dove abitano solo persone di
colore. Particolari di case e di gente che va e viene. Sui gradini della porta
d’entrata di un vetusto palazzone è seduto Benjamin Grimm, pilota aeronautico e
collaudatore. Davanti ai gradini, proprio sul marciapiede, si trova un
gruppetto di ragazzini neri. I bambini sono disposti in cerchio, come il pubblico
di un’arena, ed ascoltano estasiati i racconti di Ben Grimm.
Ben
Grimm : « Allora ero arrabbiato, una di quelle rabbia di cui non è bene
essere arrabbiati ... con le mie sole mani nude ho fatto rottami delle sue
armature, e tutti i suoi trucchi e trucchetti e frizzi e lazzi ... c’è voluto
il carro attrezzi per rimandarlo in Latveria. »
Un bambino
guarda Ben con stupore : « Orpo ... »
Nel mentre
sono arrivati un paio di ragazzotti, sempre di colore, che abitano nello stesso
condominio dei bambini più piccoli, ed ora devono passare per i gradini dove
Ben è seduto.
Il primo
ragazzo parla ad alta voce con tono di scherno : « ... e questo che
è ? Un grand’uomo bianchiccio di fronte alla mia porta ...»
Il secondo
ragazzo del gruppo si rivolge direttamente a Ben : « Ma perché mai al
mondo te ne vieni proprio qui con la tua gran faccia bianchiccia ... »
Ben si alza
dinoccolando, facendo il verso ai due ragazzi.
Ben
Grimm : « Bianchiccia ? Ma dove lo vedete un tipo bianchiccio ?
Vedete un tipo bianchiccio qua ‘ttorno ? Io non vedo affatto tipi
bianchicci qua ‘ttorno ! È meglio che ci riguardiate, ‘che non ci sono
affatto tipi bianchicci qua ‘ttorno.
O voi si,
piccola grande gente ? »
I bambini
rispondono in coro : « Naaah ! »
Alle spalle di
Ben appare una donna sui trentacinque anni, di colore, con abbigliamento ed
accessori da casalinga. Si chiama Donna, ed è la madre di alcuni dei piccoli
ragazzini che ascoltavano i racconti di Ben. Tra parentesi i suoi figli si
chiamano George, Abrahm, Martin e John (sic).
Donna parla
ad alta voce con tono perentorio, rivolgendosi prima ai ragazzi più grandicelli
che stanno canzonando Ben, quindi ai propri figli nel gruppetto dei bambini più
piccoli.
Donna : «
Okay, okay, fratelli Eddiemurphy, veloci a casa che sta facendo tardi ...
Anche
voialtri, popolo raccontami-una-storia, a lavarvi le mani, e in fretta !
Ora salutate
lo zio Ben ... »
I bambini
tutti assieme : « Ci vediamo ... »
I ragazzi piu
grandi si rendono conto solo in quel momento che la persona che hanno di fronte
è il famoso Ben Grimm.
Il primo
ragazzo : « Cioè ! Lui è Ben Grimm, la Cosa !
Hey amico,
davvero ! »
Donna alza la
voce : « Svelti ! »
In un attimo
tutti i bambini sono entrati nel condominio. Ben e Donna restano soli.
Donna : «
Da quando ti stai occupando dei bimbi, sono divenuti studiosissimi e mi danno
tante soddisfazioni ... »
Ben
Grimm : « No, non sono io che mi sto occupando di loro, sono loro che
hanno imparato ad occuparsi di sé stessi, ed un po’ anche mi me ... Mi chiamano
“fratellone” ! »
Donna : «
Come io vorrei chiamarti “il mio uomo” ... »
Ben ha un
attimo di imbarazzo, ed abbassa gli occhi. In quel mentre suona il telefono
cellulare[2]
di Ben.
Ben : «
Scusa ...
Suzie ? »
Susan Strom
Richards dal telefono : « Ben., puoi essere al Quartiere Generale in breve
tempo ...
Non so se la
cosa abbia qualche peso : qui ho delle difficoltà con gli automi. E poi
non riesco a mettermi in contatto con Reed ! »
Ben
Grimm : « Sono da te a minuti ... »
Ben mette giù
il telefono
Ben
Grimm : « Donna, prendiamoci uno o due giorni per pensarci su ... »
Donna : «
Abbi cura di te stesso. »
Ben
Grimm : « Ci provo »
Cielo.
Tramonto
Un aeroporto
europeo (la località non è specificata[3])
da dove partono le operazioni aeree dei caschi blu nella ex-Yugoslavia. Vi si
trova ora, in missione per l’ONU, anche Johnny Storm, studente ( ? ), fratello
di Susan e collaboratore di Reed Richards nei Fantastici Quattro.
Johnny
Storm :« Maggiore, sono in partenza, la ringrazio sentitamente per la
disponibilità ! »
Maggiore :
« Il vostro aiuto ci è prezioso ... »
Johnny
Storm : « Ci vediamo la prossima settimana, appena il Dottor Richards avrà
elaborato i dati ...
Buonanotte !
» (Fuori campo.)
Successione di
immagini. L’aereo di Johnny Storm si alza dalla pista illuminata di notte.
Inizia il viaggio di ritorno. D’un tratto si apre il portellone della calotta
sopra il posto di guida, ed il sedile di Johnny viene espulso, attivando nel
contempo il paracadute.
Johnny Storm,
pensa : « E adesso ? Il sistema di bordo mi ha espulso senza
preavviso
Devo
recuperare il velivolo prima che precipiti ...
Hey, mi
sparano addosso ! Cribbio ! ... »
SI vedono i
lampi della contraerea, ed infine l’aereo in fiamme che precipita sopra un
bosco. Johnny, che aveva intanto attivato i suoi poteri di combustione, si
confonde nel finimondo.»
Quartiere
Generale dei Fantastici Quattro a Manhattan. È quasi notte. Dalla vetrata di
uno degli appartamenti si vede la città circostante. All’interno c’è Susan
Storm con il figlio Franklin. Stanno leggendo un libro.
Susan
Storm : « Intanto completiamo il commento allo Statuto delle Nazioni
Unite. Le ere geologiche le lascio alla proprietà di tuo padre ... »
Franklin
annuisce.
Franklin
Richards : « Allora, è in seguito alla conferenza di San Francisco che nel
1945 si dava corpo allo statuto, la cosiddetta “Carta di San Francisco”. In un
primo momento il numero degli stati membri dell’ONU era di cinquantuno ... »
Susan
Storm : « Scusa Franklin, è qui Ben ! »
Ben
Grimm : « Allora ? ! »
Susan
Storm : « Reed ha chiamato poco fa da una cabina telefonica della spiaggia
di Long Island. Pare che il problema sia limitato al sistema informatico. »
Ben
Grimm : « Me ne sono accorto mio malgrado ! Qui non funziona
niente ! »
Susan
Storm : « Non è proprio così ... se si attua una diagnosi del sistema,
sembra che le periferiche non abbiano guasti apparenti, ma il sistema non le
riconosce ! »
Long Island,
notte fonda. Reed Richards è rientrato nel palazzo del convegno ed è a colloquio
con il Dottor James Huston, il presidente del convegno stesso.
James
Huston : « Dottor Richards, conti sulla mia collaborazione più
incondizionata. Spero comunque che questo inconveniente non le impedisca di
partecipare alle prossime sessioni dei lavori »
Reed Richards : « Me lo auguro ! »
Entra un
agente di sicurezza e porge dei fogli al Dottor Huston.
Agente di
sicurezza : « Il suo rapporto, Dottor Huston. L’analista prega di
esaminare questo tracciato. Nel pomeriggio abbiamo rilevato un animale
sconosciuto mentre attraversava il muro elettronico, da sotto la sabbia. Ha
delle proprietà di polimorfismo, vede ... come Mr. Fantastic ! »
Reed
arrossisce.
Reed
Richards : « Temo che quel trattato mi riguardi ! »
L’agente di
sicurezza si illumina in viso.
Agente di
sicurezza : « Il Dottor Richards ! Già, è vero ... lei “è” Mr.
Fantastic ! »
Il Dottor
Huston guarda la relazione con gli occhiali posati sulla punta del naso.
James
Huston : « È risaputo ... »
Agente di
sicurezza : « Pensi che neanche l’archivio centrale aveva fatto il
collegamento ... »
Il Dottor
Huston lancia un’occhiata a Reed, come per domandarsi “in quali mani ci
ritroviamo”. D’un tratto si mettono a suonare contemporaneamente, a basso
volume ma incessantemente, una serie di aggeggi elettronici, tra quelli che si
trovano sulle pareti dello studio del Dottor Huston, ed altri che appartengono
alla dotazione dell’uniforme dell’agente di sicurezza. Quest’ultimo prende il
mano il walkie-talkie e parla con un suo superiore.
Agente di
sicurezza : « Stiamo ricevendo una comunicazione di massima allerta da una
delle frequenze che il Pentagono ha assegnato ai Fantastici Quattro !
Viene dal mare Adriatico ! »
Reed
Richards : « Presto mi faccia vedere ! »
Accendono un
terminale che si trova nella parete dello studio di Huston.
Reed
Richards : « Non ricordo quel identificativo. Collego la trasmissione al
mio archivio del mio computer da polso. Mi dia l’accesso al server. »
Agente di
sicurezza : « Non so se posso ... »
James
Huston : « Si sbrighi, la autorizzo io ! »
Agente di
sicurezza : « Non posso collegarla, ho bisogno dell’autorizzazione del
Dipartimento della Difesa ! »
Reed
Richards : « Lasci stare, mi ridia il segnale a video, che faccio una
scansione. Ci vorrà qualche istante in più ... »
Reed armeggia
con il suo computer portatile ed ottiene dei risultati che lo mostrano
preoccupato.
James
Huston : « Cosa significa ? ! »
Reed
Richards : « Proviene dal computer di bordo dell’aereo di mio cognato
Johnny Storm, durante il viaggio di ritorno dall’ex-Yugloslavia dove stava
partecipando ad una missione ONU. Alcuni elementi del messaggio sono dei codici
di errore che vengono forniti dall’auto-diagnosi della macchina. Sicuramente in
queste condizioni il velivolo non è in condizione di viaggiare. »
James Huston,
altrettanto preoccupato : « Vedo ... la procedura di invio farebbe
supporre una richiesta di soccorso ... »
Reed
Richards : « Lo è, infatti ...
E la cosa mi
preoccupa.
Il codice
identificativo del mittente equivale ad un numero di serie interno di un
componente del sistema informatico di bordo. In altre parole, è la macchina che
ci sta chiamando ! ! ! »
FINE DELLA PRIMA PARTE (DI
QUATTRO)
[1] Qui manca un pezzo,
sorry ! ! (Scritto a matita nelle pagine originali - nota del
settembre 1998)
[2]All’epoca della stesura originale la parola “cellulare”
riferita ad un telefono portatile non apparteneva ancora al linguaggio comune,
ed qui è aggiunta nella versione del 1998 per maggior chiarezza espositiva.
Certamente i Fantastici Quattro sin dagli anni sessanta utilizzavano
trasmittenti da polso e da cintura, nonché molte altre diavolerie simili,
dunque il fatto che Ben, in questa storia, utilizzasse un telefono portatile
era un fatto assolutamente attendibile - anche si fosse trattato dell’unico modello
al mondo. Si noti che Ben utilizza un telefono portatile assai simile ai
cellulari attuali, mentre Reed poco prima disponeva della più canonica
“trasmittente da polso”. ( N. d. A. - giugno 1998 )
[3] Potrebbe intendere che si tratta di una base Nato, ad
esempio Aviano, nel nord d’Italia ; in realtà qui si tratta di
un’ipotetica base aerea provvisoria delle forze armate degli Stati Uniti
d’America, situata da qualche parte nel territorio balcanico.