Qui si trova, velocemente convertito (secondo me niente male) dal documento originale word,
circa un 60% del libro originale, a cui ho tolto tutte le introduzioni del 2006, perché troppo nuove per
il web gratuito. Fa caso a parte quella globale, che è assai importante per capire il senso del tutto.
NB: in realtà manca anche la sceneggiatura di Prologo, perchè troppo lunga. Magari in futuro provvedo ad integrarla.

 

 

 

 

Alberto Rapisarda - FUMETTO COME SCENEGGIATURA

L’arte difforme dello scrivere i comics

 

 

 



INTRODUZIONE

 

 

 

L’idea di questo libro m’è giunta in una serata estiva. Accompagnato da calura ed apatia, andavo alla ricerca di un passo della sceneggiatura di “Prologo”, dove mi dilungavo sul convivio come simbolo d‘incontro tra esseri umani e confronto tra spinte vitali.

Avevo voglia di rileggerlo, convinto che m’avrebbe ispirato una disposizione d’animo meno inerte, ma ci misi un po’ a trovarlo, tanto la sceneggiatura era fitta. Raccontai all’amico autore F.S. che dialoghi, note e descrizioni di un mio singolo breve fumetto, appunto “Prologo”, assommavano ad oltre 60 pagine A4, e lui commentò che era “un lavoro oltre il buon senso”. Anche un altro amico autore, L.M., in un’occasione mi avvisò che addentrarsi troppo nella fase di scrittura toglie il piacere della successiva realizzazione grafica.

Ma smentii entrambi.

Quelle note erano buone. E poi, col rovesciare i cassetti, trovai ben altro, d’indubbio interesse. Dimenticato.

Beninteso, non tutte le mie sceneggiature raggiungono quei livelli di perversione. Alcune sono solo brevi racconti in prosa, altre unicamente dialoghi. E molte vie di mezzo. Una varietà di materiali che raccolti in volume avrebbero catturato prima di tutto l’interesse del loro stesso autore, e probabilmente – oltre a risultare una lettura appassionante per il comune bibliofilo – anche del disegnatore (professionista) che si cimenta con la complessità dei soggetti che gli vengono assegnati, e infine per lo sceneggiatore che si domanda continuamente come istruire matitisti e coloristi affinché realizzino – esattamente – quello che gli frulla nella testa (be’, questo nei casi in cui il team creativo veda una distinzione di detti ruoli!)

Eppure questo NON è un manuale su come si sceneggiano i fumetti, e neppure uno sguardo esaustivo sulle fasi di pre-produzione di un fumetto completo.

Come accennato, il metodo di scrittura varia molto da storia a storia, ma – non dimentichiamo – questo lavoraccio del fare fumetti prevede, per un autore completo, come il sottoscritto, sempre una vasta produzione parallela d’illustrazioni che integrano e spiegano gli scritti. Se quest’ultimi, da soli, sono a volte letture insoddisfacenti, intesi come letteratura pura e dura, anche chi spera di trovare le istruzioni complete per la realizzazione di un fumetto finito resterà delusi, eccetto - come vedremo - pochi casi (le sceneggiature disegnate o storyboard, gli studi dei personaggi, le vignette poi escluse e ridisegnate, e molto altro materiale complementare a questo volume, si trova esemplificato in un mio sito web).

Allora perché questo volume? potrebbero chiedersi i miei lettori spaesati dalla frammentarietà dell’operazione. Un paio di buoni motivi.

Il primo è che ciò sarebbe rimasto inedito, ed essendo tutti figli miei, chi tiene un pargolo chiuso in casa?

Secondo e vero motivo, è che dopo molti anni ancora non mi sono assoggettato, fatta esclusione forse per la stesura di una breve sinossi, o della più classica dichiarazione d’intenti (che precedono sempre il lavoro vero), ad un metodo che uniformi il mio rapporto problematico con la pagina bianca – ciò, nonostante avessi mandato a memoria le ferree lezioni ricevute dall’ennesimo amico autore D.B. (“se alle pagine assegni delle cifre, le singole vignette, per non confondere, indicale con delle lettere” e così via), oltre a molto strutturalismo, semiologia del racconto, tutto Will Eisner.

Una varietà nello scrivere, nel cercare soluzioni, nel dibattersi con word processor e blocchi d’appunti, che affascina, e merita una raccolta sistematica.

A riprova insomma che quest’arte dello scrivere i comics, forse ancora in fasce, lontana dalle accademie e da dotti e sapienti, è  - lo dimostro? -, la più libera che ci sia.

 

Alberto Rapisarda

Castelfranco V.to,  settembre 2005

 

 

 


RIKI ANDREWS IN: HOT DOGS appunti

1984

 

 

 

 

 


RIKI ANDREWS          HOT DOGS       (profili & meccanismi)

 

Kurt K. Jenkins è l’unico figlio del noto uomo d’affari Micheal Klein Jenkins (secondo cognome o nome della moglie), proprietario tra l’altro della KNWS TV station, nonché di vari centri commerciali nel Richmond e nel Queens.

È stato anche candidato alla carica di Governatore nello Stato del Massachusettes (si scrive così?) x alcuni anni.

Si è ritirato dalla vita politica dopo il divorzio dalla moglie.

 

Il figlio Kurt è uno sfaccendato che, approfittando dei soldi del padre, rimanda la partenza per il college già da un anno (ha quindi 18 anni?).

 

Insoddisfatto e viziato, Kurt cerca di prendersi la rivincita sul padre, col quale ha dei rapporti tanto tesi quanto occasionali, dedicandosi a modeste attività “criminose” ...

 

Il suo gusto per il proibito e l’illegale nasce dalle ore passate alla TV, vedendo Dallas e Arsenio Lupin, + che da un’infanzia passata x le strade.

I suoi “complici” sono infatti x lo + compagni di scuola …

        _______________  o  ________________

 

In questi ultimi tempi Kurt sta facendo fortuna procurando ai ricchi amici del padre (tra loro si conoscono tutti), che incontra in genere in occasione dei “party” che Michael tiene ogni tanto in Bourbon Street (Michael vive a Manhattan), introvabili cuccioli di levrieri afgani. Da quando il WWF ha redatto un dossier dove risulta che detta specie - allevata generalmente da privati inglesi, per essere poi usata x la caccia – è ridotta a poche centinaia di esemplari, è stata proibita l’importazione dei cuccioli sia dall’Inghilterra, sia dall’Egitto, paese d’origine. Naturalmente x il Jet-Set newyorkese avere un afgano è diventato un must.

 


Kurt, x non rischiare i severi controlli di Egitto e Gr. Brit., è entrato in contatto con dei residenti AFGANI, dove la specie è discretamente diffusa, ma dove è anche più difficile avviare rapp. comm. (x la guerriglia ecc …) da parte degli organi ufficiali

        _______________  o  ________________

 

I cuccioli vengono caricati su dei mercantili a Karachi (dove sono giunti via terra), dove se ne occupa un complice che lavora sulla nave.

Kurt provvederà quindi, facendo qualche “regalino” qua e là, ad ottenere lo sdoganamento come si trattasse di manufatti tessili (di cui è carica la nave).

Caricate quindi le casse, una decina x un tot di 40/50 cani, su un camion della ditta “Jenkins & Co.”, i cuccioli vengono trasferiti nientemeno che nel cuore di NYC, vicino allo Shea Stadium (una zona con molto verde) in un prefabbricato in legno, dove i componenti della banda si danno il turno x stare a guardia della “merce”, nonché per nutrirli. Nel giro di pochi giorni Kurt consegna i cuccioli ai ricconi “in lista di attesa” per la modica cifra di $ 5000 (o più?)

        _______________

La banda, che è composta dai gemelli Smith & Wesson (per i lavori più sporchi), da Berenice Lee (stessa situaz. di Kurt: famiglia ricca ma inesistente), da Stephen Green (quello che ha sparato a Riki), da Reginald Sakamoto (nippo-americano, camp. di Karate), nonché da alcuni affiliati, + naturalmente Kurt, è solita trovarsi ad un drive-in in disuso (la baracca è troppo pericolosa, xchè piena di AFGANI), e qualche volta a casa di Kurt in Bourbon street (ma solo Kurt, Berenice e Stephen)


RIKI ANDREWS          HOT DOGS       (Antefatti & meccanismi)

vedi –STORY-

 

 

Quel pomeriggio in Bourbon Street, Kurt aveva annunciato a Stephen ed a Berenice che si attendeva per la notte successiva un nuovo “carico”.

Naturalmente si trattava degli AFGANI.

Ciò che dovevano fare al più presto era andare alla baracca sotto la Major Degan x ripulire le gabbie.

I due ragazzi, come consuetudine, prendono la moto fuoristrada di Kurt e si recano sul posto.

Mentre sono indaffarati all’interno del prefabbricato, sentono una macchina. Ne esce uno strano tipo con occhiali scuri che inizia a frugare tra le sterpaglie. Stephen prende la pistola, vorrebbe intimorirlo con un colpo, ma è l’altro a sparare per primo. Con gran abbaiare di cani, gli afgani? No! Cos ... Stephen perde la testa. Kran!

Poi silenzio. Berenice incacchiata gli dice di abbassarsi, che magari quello se ne và. Un’ora dopo gran scoppio!! Telano veloci, ma il tipo li insegue …

Alla moto di Kurt!! Lei spara, lo manca ma vede che ha preso la targa.

 

Veloci tornano a casa di Kurt. Lei smolla subito Stephen da Kurt, a riferire l’accaduto.

Kurt seccatissimo pensa subito alla moto. Va in commissariato a denunciare il furto. Dice di aver lasciato la moto in Battery Park alle 16:30, e dopo poco non c’era + (sono le dieci e venti)

 

Versione 1) poi subito al drive-in, dove incarica i gemelli Smith & Wesson di rintracciare il tipo e dargli un amichevole avvertimento (se ha preso la targa vuol dire che intende impicciarsi ancora).

Loro fanno tutto da soli, cosicché Kurt non viene a conoscenza del fatto che Riki abita nella barca di papà.

Quindi lascia detto che avvertano Berenice di venire a casa sua, il pomeriggio del giorno dopo, e che intanto, mancando la baracca, verrà lui al porto, per condurli in una fattoria di papà, dove possono sistemare i cani.


 

Versione 2) Stephen si è preso una bella strigliata da Kurt.

Pensa di sistemare le cose mandando i gemelli da Riki x spaventarlo, nonché per rendergli il favore della molotov. Intanto Kurt esce dal commissariato, e va al drive-in dove dà nuove disposizioni x il giorno dopo, e lascia detto che vuole vedere Berenice.

 

Kurt non torna alla villa, così la moto resta lì. Quando Riki suona, non è ancora arrivato nessuno, così trova la moto!


RIKI ANDREWS IN: HOT DOGS pt.2 soggetto

1984

 

 

 

 



SOGGETTO 2a parte (versione definitiva)

 

 

Riki è al bar per il solito spuntino, e alla luce degli ultimi avvenimenti, decide per un appostamento notturno alla villa, in cerca di nuovi elementi.

 

Arrivato alla villa, vede le luci accese, questa volta si è portato delle polpette al sonnifero per i dobermann, quindi non esita a scalare il muro di cinta.

Mentre si avvicina cautamente alla villa, sente da una finestra un’esclamazione: Cretini!

Si accosta e, all’interno, scorge un uomo (A) di spalle e una donna (B) che discutono:

A: E allora?

B. Era senz’altro un privato.

A. Un privato?!! E cosa ci faceva là?

B. Aveva l’aria di cercare qualcosa ...

A. Cioè?

B. Si guardava intorno, raccoglieva delle cose ...

A. Ma allora avevo capito bene! Cretini!!!

B. Noi ...

A. ... guardava per terra, cercava qualcosa! Ma delle casse di due metri per uno non si cercano in mezzo ai cespugli e alle immondizie! Chissà cosa ci faceva là ... e voi gli avete sparato!

B. Ma ... ha iniziato lui!

A. Hey, non fare la furba con me! Ieri sera ho parlato con Steve, ed ha ammesso che poteva aver sparato a quei cani randagi che gironzolavano lì intorno. Comunque l’episodio dovrebbe essere chiuso, ho subito mandato i gemelli a fargli una visitina …

B. Cerca di capire ...

A. Ok, ok ... torniamo al presente, per il carico di stanotte ho già sistemato tutto, mi vedo tra poco con i ragazzi. Tu vai a casa e non muoverti, mi faccio vivo io!

Intanto i cani stanno risvegliandosi e Riki è costretto a smobilitare velocemente.

 

Riki sta aspettando in macchina, vede la ragazza uscire su una Jaguar ed allontanarsi velocemente. Ma Riki non si preoccupa, non è lei che gli interessa.

Dopo poco esce infatti A su una Rolls Silver Cloud. Riki lo segue.


Percorrono molti chilometri, poi arrivano ad un drive-in in disuso. La macchina di A entra, Riki parcheggia fuori e lo segue a piedi.

Non vede un cartello: attenti ai cani!

 

 

Come entra, viene aggredito dai cani. Subito ripara sul palco. Un riflettore lo illumina a giorno: beccato! Promette di vendere cara la pelle.

      

Ritroviamo Riki ben impacchettato, sembra essere in uno stanzino di proiezione. A, dietro ad una lampada potentissima che non permette a Riki di vederlo in faccia, gli fa qualche domanda.

Riki, che non sa niente, non gli risponde. A si dirige verso la porta, dove parla con qualcuno che sta all'esterno. Dice che la cosa migliore è lasciarlo lì a riflettere sull'opportunità di cantare, che intanto l'importante è essere sicuri di non averlo tra i piedi per quella notte. Gli mette un walkman a tutto volume e se ne và.

 

 

Rimasto solo, Riki cerca di raggiungere il proiettore, ha visto qualcosa che potrebbe tagliare la corda con cui è legato.

Comincia a far saltellare la sedia che ... si sfascia liberandolo automaticamente. Appoggiando l'orecchio alla porta, ascolta ciò che dicono nell'altra stanza: si parla di un camion che deve caricare al molo 16.

 

 

Se ne vanno tutti tranne uno che resta di guardia. Riki collega un cavo elettrico, che ha spezzato, alla maniglia della porta.

Poi attira il guardiano con un urlo. Questo tocca la maniglia e si becca una scarica che lo manda immediatamente nel mondo dei sogni. Riki uscendo si accorge che è un ragazzo. Ricordandosi dei cani, esce da una finestra, poi passa in equilibrio sul muro di cinta, arriva alla macchina che però non va (sabotata). Nota, all'esterno del drive-in, una rimessa, entra e vi trova un triciclone Honda da fuoristrada.

 

 

Mentre viaggia ai due all'ora verso l'abitato, incrocia fortunatamente un taxi. Lo ferma e dice: al molo 16, presto!! Di quale porto? Chiede il tassista. Dann ... L'unico modo di riuscire a saperlo ...

Riki si fa riportare al drive-in. Qui con lo stesso stratagemma entra dove aveva lasciato il ragazzo, ma questo non c'è. Da una porta irrompono i cani, che però vengono fermati a mezz'aria da due colpi stranamente precisi esplosi dal nostro eroe; il ragazzo gli piomba da dietro e ingaggia una scaramuccia, poi Riki sopravvale grazie alla pistola che impugna molto professionalmente, e costringe lo sbarbo a dirgli il nome del porto.


Riki torna al taxi, ma il tassista, che ha sentito gli spari, non vuole guai e vorrebbe andarsene. Riki estrae la berta ed il tassista si convince. Giunti al porto Riki scende in tutta fretta e dice di aspettarlo.

 

 

Il molo 16 è cintato, e da lontano Riki vede distintamene un camion con le luci accese. Si accerta che non ci siano cartelli di "attenti ai cani" e scavalca la rete.

Viene subito assalito da un cagnetto indiavolatissimo. Temendo di venire scoperto, fugge tirandoselo dietro in direzione opposta al camion, entra in un capannone e ne esce protetto da un bidone. Il cagnetto non molla e Riki con un calcione lo sbatte nel capannone e chiude

 

Si avvicina al camion e assiste alle operazioni di carico. Le casse sono effettivamente lunghe due metri e larghe uno. Quando il camion è carico, parte della banda sale su questo, e parte sale su una macchina che precede il camion all'uscita. Con abile manovra Riki salta sul retro del camion tra le casse.

 

Intanto il tassista ha assistito alla scena, mette in moto mentre fa una chiamata col radiotelefono ...


Nel camion cerca di schiodare una cassa. Finalmente riesce ad aprirne una e rimane di stucco. Richiude la cassa con aria assente, sta cercando di capire ...

 

Fanno diversi chilometri sino ad arrivare ad una fattoria in aperta campagna. Riki salta giù e si acquatta. Qui ci sono tre furgoni che aspettano. Nello spiazzo A si siede su un masso, tira fuori una paglia e parla alla ragazza e a un altro: Quel privato sembrava agire da solo, comunque la prudenza non è mai troppa, d’ora in poi ci incontreremo sempre qui alla fattoria per il cambio.

 

A questo punto Riki salta fuori e blocca A da dietro, gridando a tutti di alzare le mani, se no l’ammazza. Ma A gli morde ferocemente un dito, e fuggendo urla: Sparate, sparate! Fatelo fuori!

Riki riesce appena a buttarsi dietro al masso, che piovono proiettili da ogni parte. Dietro al masso Riki si pente di aver voluto fare tutto da solo ma, era il primo caso serio dopo tanto tempo ...

 

D’improvviso la scena viene illuminata a giorno: Fermi tutti, polizia! Il taxista ha chiamato la pula! Tutta la banda alza le mani. Le casse vengono scaricate, contengono decine di cuccioli! Nessuno ci capisce niente. Riki ha avuto tutto il tempo per riordinare le idee e spiega: Vedete, sono cuccioli di levrieri afgani, da qualche anno qui da noi ne è vietata l’importazione, ma sapete anche voi che c’è gente che va pazza per queste cose, sono disposti a spendere follie per uno di questi cagnetti ...

 

Siamo al commissariato, Riki nel corridoio sta parlando con Herbie, mentre il commissario sta interrogando gli arrestati.

D’un tratto si interrompe: sta entrando il suo amico Michael Klein accompagnato da un poliziotto!

R. Ma ... hey, Michael! Ma cosa ...?

M. Ciao Riki, vado di fretta ...

R. Ma devo parlarti ... lo yacht ...

M. Lo so, lo so ... ma adesso devo vedere il commissario ...

R. Ma ...

Mentre M.K. si affretta verso l’ufficio del commissario, Riki vede un’altra faccia nota entrare: Connie Harlok. Qualcosa non quadra.

R. Ma lei non ...

C. Salve Mister Andrews, finalmente posso presentarmi anch’io, mi chiamo Connie e sono la segretaria di Mr. Klein.

R. Allora cosa ... la valigetta ...

C. Ci sarà arrivato, adesso. Quel caso era un’invenzione per farle avere un po’ di soldi, ma lei è entrato in azione a modo suo, e guardi qua cosa ha combinato!!

R. Se parla dello yacht io non c’entro, non so neanche chi ...

C. Mr. Andrews, lei è un ciclone, lo yacht è il meno! Sa perché Mr. Klein è qui?

R. No ... stavo appunto chiedendomi ...

C. Lei ha fatto arrestare il figlio di Mr. Klein!

 

A questo punto il commissario esce dall’ufficio e si dirige verso Riki e gli spiega che, date le circostanze, il caso verrà messo a tacere; tutti, e Mr. Klein, contano sul suo silenzio.

 

Così Riki, sfumata la possibilità di farsi un’ottima pubblicità per il suo futuro di investigatore, se ne esce deluso dal commissariato. Tra i grattacieli di N.Y. sta albeggiando

 

 


 


MAGGIO soggetto

1987

 

 

 



 

 

MAGGIO

trama : ver. 1

 

È una giornata di maggio, di quelle giornate in cui la primavera sembra esplodere all’improvviso con tutte le sue piccole meraviglie che si erano fatte dimenticare nel letargo invernale. Ci troviamo in un’aula di una scuola media dove il professore di biologia sta tenendo una lezione sugli anuri e il loro apparato visivo. Il nostro piccolo protagonista - che chiameremo A. - è un vivace scolaro, che sembra più interessato al circo della Natura che si rinnova al di là delle grandi finestre dell'aula, che non alle lezioni teoriche dell'anziano insegnante. Sembrava certo più interessato alla variopinta farfalla che si è posata sul davanzale, che non all'estemporanea interrogazione al suo indirizzo in cui si palesa la sua ignoranza sul fatto che le rane SONO anuri. Così il prof, che lo conosce per un ragazzino sveglio e pieno d’entusiasmi per le cose più curiose e disparate, gli propone di impegnarsi nel week-end a catturare alcune farfalle magari belle come quella che poco prima attirava la sua attenzione, e con l'aiuto di un testo, fare poi un'accurata relazione da esporre ai compagni durante l'ora di biologia.

 

Il padre di A., che chiameremo B., è un tipo giovanile ed estroverso. Fisicamente ricorda Peter O'Toole. Da quando la moglie lo ha lasciato [nota a piè di pagina : nel senso che è morta], si è occupato del figlio nel migliore dei modi, rendendosi sovente complice spirituale delle marachelle del ragazzino. Ma certo questa volta non può sottrarsi al cliché tipo "cerca di farti furbo / segui le lezioni in classe / non distrartichehaituttodaguadagnare / ecc. ... ". Il piccolo A., nel suo candore, è un tantino giù di corda per i rimprovera subiti nella giornata e così il padre gli promette che l'indomani sarebbero andati ad acquistare degli splendide retini acchiappafarfalle, quindi, dopo una sostanziosa colazione al sacco, caccia grossa nel parco !

 

E così il giorno seguente troviamo in nostri bearsi tra una moltitudine di colori degni del Monet di Giverny ; la natura sembra essersi industriata per superare sé stessa, e la quantità di farfalle è tale da ricordare i fiocchi di neve, quando in balia di turbini di vento, si mescolano e si rimescolamento, senza mai scontrarsi e pur diventando uno tutt'uno. Il piccolo A. è talmente eccitato da tale spettacolo che, impugnata la rete, si tuffa tra i cespugli ancora con la bocca piena di torta di mele. Il padre gli promette che lo raggiungerà non prima d'aver raccolto i rifiuti e riordinato le loro cose. Ora per A. non c'è che l'imbarazzo della scelta. Si guarda attorno estasiato, ed ecco che la sua attenzione viene inevitabilmente attirata da una farfalla di notevoli dimensioni, non solo, ma soprattutto dai colori incredibilmente intensi, tanto simili a quelli di certe farfalle tropicali che si è soliti vedere nei musei di storia naturale. Tanto che A., per un attimo, rimane immobile ad osservarla nel suo volo irregolare, fino a vederla finire tra le fronde fiorite di un grosso cespuglio. Allora A., d'istinto, si getta tra il verde, determinato a catturarla. Quando la ritrova posata su di un ramo, con un gesto rapido la imprigiona nel retino. Ma ecco che, un istante dopo, prima d’aver avuto il tempo di ritrarre la mano, il suo retino acchiappafarfalle viene a sua volta "catturato" da un secondo retino, affiorato dal verde del cespuglio stesso. All'altro capo, in mezzo alle foglie, ecco apparire un individuo gigantesco, sul tipo dei lottatori di catch, ma vestito in maniera classica, inequivocabilmente danarosa. Lo sguardo da esagitato è di chi è abituato a comandare e non ama essere contraddetto. Così quando intima al piccolo A. di dargli la farfalla e si sente rispondere "l'ho vista prima io !", gli occhi, come carboni ardenti, sprigionano scintille d'ira. Poi il gigante dice che quella farfalla in realtà è un rarissimo esemplare di Babdaria Gangarellius, fuggitagli poco prima dalla gabbia in cui l'aveva sistema, dopo averla cattura con le sue stesse mani nel cuore dell’Amazzonia. Mentre tornava in macchina dall'aeroporto, la gabbia cadendo si era aperta, e la farfalla aveva riacquistato la libertà. Ma ciò non gli toglieva il diritto rientrarne in possesso. Allora A., dopo aver esclamato un sonoro "Col cavolo !", libera la farfalla e si svincola dalla presa del gigante. Poi correndo la riprende, e se la dà senza voltarsi indietro. Ma il gigante con un salto poderoso blocca A. a mezz'aria, e lo atterra con un pugno in testa. Recupera la farfalla, che mette in una gabbietta, e si dirige con passo veloce alla limousine che lo attende sul lato della strada. Intanto B., che ha terminato di riordinare la roba del picnic, sta cercando il figlio A., ma non lo può vedere dal punto in cui si trova, dato che alcuni cespuglio li dividono. Tanto che neanche il gigante vede B., uscendo dal verde e lo urta violentemente facendolo finire per terra. Questi [il gigante], senza degnarlo d'uno sguardo, dice "Togliti dai piedi microbo!", e si allontana. Intanto della gente che aveva assistito ai fatti di poco prima, si è apprestata a soccorrere il piccolo A. e alcuni, indicando il gigante, gridano "Fermatelo!". B., ancora ignaro dell'accaduto, comincia a temere per il piccolo, e d'istinto si lancia all'inseguimento del gigante, che nel frattempo è montato in macchina. B. con un balzo da record si lancia sul tetto della limousine, ma questa è ripartita a tale velocità che, quando B. si spalma sul marciapiede, [l'auto] ha già coperto alcuni chilometri.

 

Quella sera ritroviamo A. e B. di ritorno dal pronto soccorso dove sono stati medicati e sottoposti a qualche esame cautelativo. Intanto A. ha cercato di spiegare al padre i fatti del pomeriggio. Certo, riflette B., a chiunque appartenesse la farfalla, ciò non cambiava la sostanza dei fatti. E cioè che erano stati aggrediti intenzionalmente, e dovevano denunciare il fatto. Uscendo dal commissariato, B. cerca di sollevare il mo­rale visibilmente a terra del figlio, anticipandogli un probabile confronto all’americana. È fidando sulle capacità delle nostre forze dordine, il bruto avrà quel che si merita. Ma ciò che impensierisce A. non è tanto ciò che aspetta quel tipo, quanto ciò che aspetta lui quando, la mattina successiva, si presenterà a scuola senza il compito assegnatoli dal prof di biologia. Il padre gli assicura che non esiste il problema : l’indomani lo accompagnerà a scuola e, prima dell'inizio delle lezioni, andrà dal prof a spiegargli l'accaduto. Già, ma tu non lo conosci il prof, dice A., non ci crederà mai. Lui è uno che sostiene che i genitori sono in grado di inventare qualunque cosa pur di giustificare i figli. Andiamo, replica B., è una storia talmente inverosimile che nessuno potrebbe inventarla. Andiamo, gli risponde il prof, é una storia talmente inverosimile che nessuno potrebbe crederci. Siamo nella sala dei profs dell'istituto che A. frequenta. B. ha spiegato al prof di biologia quei fatti a noi già noti, ma si trova, con stupore misto a disagio, a non essere creduto. Dapprima cerca di entrare nel merito dei fatti, portando come prova le medicazioni sue e del figlio, e poi, dice, ho fatto denuncia alla polizia, c'erano numerosi testimoni ... Il prof non sente ragioni e B. inizia ad offendersi.

[nota a lato : quando parla B. abbiamo sempre la stessa inquadratura P.P. con B. che cambia espressione (stupore/disagio/irritazione/odio). Quando parla il prof abbiamo soggettive di B. che guarda dei dettagli oppure P.L. / P.A. con l’andirivieni di profs nella sala profs]

Lei mi sta dando del bugiardo, gli dice. Senta, risponde il prof con tono pacato, non mi fraintenda, io ho il massimo rispetto per lei, perché la conosco come una persona onesta e coscienziosa, che si occupa con pari dedizione, e del figlio, e del lavoro. So che avete passato dei momenti difficili, ma lei è riuscito a superarli in maniera ammirevole, e soprattutto ha aiutato A. a superarli. Ma io faccio questo lavoro da quasi quarant'anni e conosco molto bene tanto gli scolari quanto i loro genitori. Come un funzionario di polizia potrebbe dirgli che le galere sono piene di delinquenti che si professano innocenti, o un vigile che contesta ad un automobilista un eccesso di velocità, e si sente rispondere da questi che non aveva notato il limite, o magari che stava correndo all'ospedale dove il padre è in fin di vita, anche nel mio mestiere si sviluppa un sesto senso per queste cose. E' proprio perché lei è un buon padre che non sfugge alla regola. Guardi, non sempre i genitori danno ragione ai figli. Lei mi sta dicendo che A. non ha fatto il compito assegnatogli, quindi può ben vedere che su un punto siamo d'accordo.

 

Potremmo paragonare uno scolaro che non fa il proprio dovere a chi commette un reato. Ecco, il genitore riconosce quando il figlio sbaglia, poi però lo giustifica, fa un po’ da avvocato, gli trova le attenuanti ... [nota a lato : E poi, via, anche i genitori sono stati a loro volta studenti ] B. intanto sta ribollendo di rabbia, da quando si è sentito dare del bugiardo. Ma, dato il tono accomodante del prof, pensa che forse può far valere le sue ragioni. | Capisco, dice B. , il dubbio sistematico, da che mondo è mondo gli scolari cercano di farla in barba ai profs [...] ma mi darà atto che non si può fare di tutta l'erba un fascio. | [nota a lato : [...] vedi scenegg. E i genitori se ne fanno sovente complici / contando sull’appoggio dei genitori ] Ma se io sono venuto a parlare è perché ieri si è realmente verificato un imprevisto. Le ho spiegato: non si è trattato di una cosa da niente. D'altronde, per riprendere un suo esempio, non è forse vero che chi finisce in galera non sempre è colpevole ? C'è caso e caso guardi, lo interrom­pe il prof col suo solito tono pacato, mai sentita una giustifi­cazione che fosse cosa da niente. Una volta il padre(di un compagno di suo figlio) mi disse che (la sera del) giorno prima erano stati testimoni di un incontro ravvicinato, e che il piccolo ne era rimasto scioccato da non riuscire a dormire. Mi aveva per­sino portato il giornale che riportava la notizia di alcuni av­vistamenti di Ufo qui nei dintorni. Andiamo, se qualcuno venis­se a dirti che ha dimenticato il compito a casa, giuro, gli crederei. Nel mentre, suona la campanella. Il prof si scusa, che deve andare perché ha lezione, che comunque per questa volta non terrà conto dell'impreparazione di A., anche se una strigliatina certo gliela darà. B., come di pietra, si sente ad un tempo offeso, umiliato, bastonato, incacchiato, smentito ingiustamente. [nota a lato : VARIANTE AGGIUNTA il prof entra in aula, e, vedendo A. tutto pesto,  fa cadere gli occhiali] Mentre esce dalla scuola come un automa, con lo sguardo fisso nel vuoto, ripete a se stesso, come un disco incantato "Del bugiardo, mi ha dato del bugiardo, è ridicolo, non c'era motivo, mi ha dato del bugiardo, non mi capitava più da quando ero piccolTUNG!o ...”. D'improvviso, aprendo la porta a vetri dell’istituto, B. viene colpito in testa da una pietra proveniente dalla strada. Il colpo ha l’effetto di risvegliarlo dal "trance", ma quando si guarda intorno non vede anima viva. Si abbassa per raccogliere la pietra, quasi per accertarsi di non aver sognato. Ma nota d'un tratto che tra le ombre degli alberi che costeggia­no il viale, una ha un profilo insolito : un ragazzino con una fionda in mano sta cercando di nascondersi. B., con una mossa rapida e silenziosa, lo acchiappa prima che questi riesca a darsi, e con tono divertito gli dice "e bravo il nostro cecchino". Il piccolo tremando si scusa "glielo giuro, non volevo colpirla !" Già, dice B., volevi prendere il vetro, non è vero? Be’, non hai tutti i torti ... c'è gente di merda là dentro ...” poi B. guarda con tenerezza il piccolino, impaurito, aspettandosi chissà quale punizione. Prova della comprensione per questi, che mostra di temere di essere giudicato e condannato per un’intenzione presunta. Allora lo carezza con dolcezza sul capo.

Poi afferra il polso della mano che stringe la fionda, e gli fa alzare il braccio. E' molto bella, gli dice, suppongo l'abbia fatta tu. Il piccolo annuisce, accennando un sorriso. Sai, prosegue B., anch'io alla tua età costruivo le fionde, ma di belle così non ne ho fatte mai. Senti, me la venderesti ? Sono disposto pagartela molto bene.

 

La targetta sotto il campanello riporta un nome familiare. E' una di quelle villette in stile art nouveau che si confondono tra il verde disordinato dei quartieri residenziali "fin de siècle", e che oggi funzionano come mini condomini. [nota a lato : PORTINAIA AD UNA AMICA - C’ERA GIA ! 25 Jan 89 ] Nell'appartamento al primo piano, quello dal lato della strada, abita il prof di biologia ormai da più di trent'anni. Apre la cassetta della posta da più di trent'anni, scorre con lo sguardo gli steli e le corolle di ferro incurvato del cancello d'entrata e dello scorrimano delle scale da più di trent'anni, cerca nella tasca della giacca le chiavi che infila distrattamente nella toppa da più di trent’anni. Posa i libri di testo o i compiti dei ragazzi sull'ordinata scrivania dello studio da più di trent'anni. Ma oggi non trova quello stesso ordine. I fogli protocollo stanno alla rinfusa per tutta la stanza, tra frammenti di vetro. Dalla finestra rot­ta entra un vento violento, impietoso. Nel mezzo della stanza quella grossa pietra ... Il prof la raccoglie. Impassibile, si av­vicina alla finestra, percorrendo il viale con lo sguardo, come per trovarci una qualche risposta. "Ragazzacci ...” pensa. Intanto B., confuso tra il verde degli alberi sottostanti, osserva con un’infantile e crudele soddisfazione, il prof che, affac­ciato alla finestra, tradisce dall'espressione del viso, un con­tenuto dolore. Poi guarda la fionda che tiene nella mano destra. La solleva un poco come per guardarla meglio, ha come un ripensamento, nel suo sguardo si coglie forse del rimorso. Intanto lì davanti si è fermata una macchina familiare. E' la limousine del bullo che il giorno prima aveva aggredito A. nel parco. Infatti, lo vediamo aprire lo sportello, impugnare una ventiquattr'ore, e dire all'autista "Ricorda Battista, devi essere qui davanti per le l8 e 30 precise!". Poi si dirige verso il cancello di una delle villette, con la consueta andatura militare. B., ancora soprappensiero, è in mezzo al marciapiede, in rotta di collisione col gigante. Ed infatti questi lo toglie di mezzo con prepotenza, facendolo finire per terra. E, senza peraltro averlo riconosciuto, gli dice "Togliti dai piedi, microbo !". B., colto alla sprovvista, rimane un attimo fermo in terra, cercando di raccogliere le idee. Poi riconosce il tipo. Allora, alzandosi lentamente, raccoglie una grossa pietra, e caricando con questa la fionda, gli urla "Hey Mister, s'è perso una Babdaria Gangarellius, aspetti, che gliela rendo!!".

Fine (INIZIO ?)

 

Hey, Mister, lei ha qualcosa di mio

Hey amico, noi abbiamo qualcosa in sospeso

Hey Mister, le interessa una Babdaria ... venga a vederla (una farfalla rara ...)

Hey amico, ha perso qualcosa. Aspetti che gliela restituisco

Hey amico, non ha dimenticato niente

 

 

 

31 Ott. / 7 Nov. 1987



NOSTOI I: TELEMACO appunti

1989

 

 

 



Su "Telemaco" - 1998 rev. 1.0

 

 

 

 

 

 

 

   Un po' delle motivazioni vanno ricercate nel puro caso. O così almeno siamo in grado di chiamarlo. Il caso in ultima analisi ruota più attorno alla scelta della forma d'arte "fumetto", se non altro perché chi si trova dalla parte, diciamo, del cinema, o della letteratura, a volte possiede delle motivazioni così profonde e così indiscutibili per dedicarsi a quella certa forma d'espressione. Il fumetto ha dalla sua un'imbarazzante giovane età, pur attingendo con disinvoltura alla letteratura ed alla pittura. É indiscutibile che i modelli narrativi della letteratura siano in massima parte i generatori dei racconti a fumetti; ma se la genealogia dei generi letterari può essere argomento di dibattito, anche e soprattutto nella complessità dei rapporti tra gli stessi, pur tuttavia si può, con certo schematismo programmatico, parlare di un "divenire" delle espressioni dello spirito umano, nel quale rientrano tutte le forme d'arte, e dunque dove diventa non solo lecito, ma anzi auspicabile, un interscambio continuo. Allora tornare a leggere i poemi Omerici è segno di una partenza lungo l'itinerario di questo "divenire", nel quale ci si è già avventurati spesso, come ci si avventurerà ancora, tra motivi intellettuali ed improvvise passioni.

   Non è però casuale che se ne parli come si trattasse di "studio", inteso proprio nel senso più tradizionale, lo studio scolastico, del termine. Con ciò si evita un fastidioso equivoco. Se non si può affermare in senso stretto che per essere narratori si deve proseguire il “discorso letterario” con salde radici culturali, nondimeno ciò è auspicabile: è lì che si fonda anche l'essenza delle pulsioni e delle ragioni dell'Uomo. Da ciò non consegue che l'itinerario artistico di un autore debba ripercorrere, come io propongo in alcuni miei lavori, la storia della letteratura. Però ci si accorgerà, nel seguire altri e vari argomenti, che l'itinerario suddetto, in qualsivoglia caso, fornirà stimoli per l’attività artistica, vicina più allo studio che non altrimenti. In quel senso è plausibile che per un autore  che viaggia per altre destinazioni, un percorso di questo tipo meriti di essere compiuto, per rimanendo poi nel cassetto, come succede agli schizzi, agli studi preparatori, alle trame, a lunghi passi di sceneggiatura, e via dicendo.

   La Guerra di Troia è un cardine attorno al quale ruotano alcune delle opere più toccanti dell'antica Grecia. Un senso di impressionante attualità è dato - visto che molti scrittori di epoche diverse si sono cimentati con il ciclo Troiano - dalla sostanziale contemporaneità nello sviluppo delle varie vicende : Euripide scriveva, tre secoli dopo Omero, del tragico fato di Agamennone e dei figli di lui, quando già l'Odissea raccontava fatti successivi. Non stupisce che l'Alfieri, più di duemila anni dopo, narrerà l'Orestea con rinnovata commozione. Eppure sfugge in qualche misura la dimensione di modernità che possiedono queste opere. Si è parlato di archetipi,  nel tentativo di analizzare la psiche. Piacerebbe piuttosto saper rispondere ad una domanda più interessante, e cioè se sono le grandi opere d'arte che, in quanto tali, fondano un "tipo", o se alcune opere d'arte diventano grandi perché si occupano di un "tipo" preesistente. Le scienze della psiche sono forse orientate più per la seconda ipotesi, ma ovviamente, il loro compito non è esprimersi in giudizi estetici. Invece è certo che le opere dell'antichità che ci sono pervenute, per quanti siano i casi del fato, hanno in un certo senso superato numerosissimi giudizi critici, fino a divenire in primis un parametro del giudizio estetico (mi si passi questa affermazione un po' vaga) e in sostanza fino a perdere una precisa collocazione temporale, per divenire un "atto", dunque un tipo relativo a quel certo atto. La Guerra di Troia in questa ottica è un unico "atto" che può essere posto sotto una lente focale per mettere in risalto un fatto piuttosto che l'altro. Come la natura ci insegna, ad ogni ingrandimento si può farne seguire uno ulteriore, ed all'enormemente grande corrisponde l'enormemente piccolo. Vi è insomma una tale complessità negli intrecci narrativi, che i percorsi sono apparentemente infiniti e dunque inediti. Ancor più, il "tipo" ripropone sé stesso, come un enorme affresco monotematico ma multiepisodico. Se accettiamo dunque che su questa peculiarità si fonda la fortuna delle saghe dei guerrieri greci, si evidenzia dunque la spontaneità con cui si illuminano i dettagli di un siffatto affresco.

 

 

 

Questo fatto è però significativo per la valenza che assume un operazione come quella di approfondire la vicenda di alcuni dei protagonisti delle saghe Troiane. In prime luogo tuttora vivo 1'interesse per questi “cosmi” epici. Non è una questione secondaria ed accessoria. In sostanza si mette in discussione la possibilità di lavorare “trasversalmente” attorno ad una vicenda ben definita. Una regola delle produzioni artistiche odierne vuole che una storia che per una serie di motivi si lega a doppio filo con altre vicende dei medesimi personaggi, mantenga comunque una certa autonomia, e anzi, sia possibile fruirla come un prodotto a sé stante. Un altra regola vorrebbe (e da questa ci si sente un po’ più distanti) che la comprensibilità della vicenda sia subordinata alla fruizione di tutti, o quasi, i frammenti che la compongono. Si parla in queste case ad esempio degli sceneggiati televisivi, delle “soap opera”, delle saghe a fumetti, e via dicendo. In alcuni casi ciò è legittimo, e intendiamo quando un autore od un equipe di autori pensa che per poter esprimere alcune idee necessiti uno spazio più ampio di quello standard, e dunque diluito nel tempo. E non dimentichiamo inoltre che la pubblicazione a puntate di un romanzo, ad esempio non è prerogativa dei feuilleton, ma è occorso (volontariamente) ai più grandi scrittori del1’ultimo secolo, da Joyce alla Blixen a Vittorini. Ma c’è un terzo caso, ed è il nostro, nel quale si fa riferimento ad un opera per la capacità che ha questa stessa di porsi come riferimento. Il motivo di un operazione di questo tipo può essere ad esempio la volontà di renderne un tributo, o un proseguimento di un discorso (iniziato per caso, proseguito per interesse). Di alcuni argomenti relativi al perché scegliere di riferirsi ad un opera classica si è già detto poc’anzi.

Qui vorrei aggiungere, con qualche distinguo, che si propone la lettura delle opere a cui ci si ispira, come propedeutica (ad un approfondimento di cui dicevo). Anzi, questa proposta di vicenda "trasversale" significa in sostanza che non si fa una riesposizione di fatti che non entrano direttamente nella storia (si pensi poi a come Euripide nell'Elettra non narra direttamente di Agamennone, o a come è trattata la guerra di Troia nell'Odissea, nonostante tutto il libro ne narri le conseguenze). Ma questi stessi fatti sono concatenati a quelli narrati.

Mentre la questione della propedeuticità è legata ad un argomento relativo alla formazione culturale che viene fornita dalla scuola. Ovvero, si vuole assumere che la conoscenza di Omero sia un fatto universale (e le è) dunque si vuole semmai proporre un contributo alla rilettura di Omero.

Una questione che molto a proposito viene sollevata nell’ambito delle scienze estetiche, è quante sia accettabile una sistematizzazione dei temi delle opere del passate. C'è in questa ambizione un'evidente volontà di avvicinarsi al mondo delle scienze propriamente dette, all’interno delle quali una scoperta scientifica universalmente accettata, oppure una convenzione linguistica (come il valore ed il significato di una “P greca” in geometria), sembrano prendere definitivamente posto tra le cose vere ed universali. Per questo si intende dire che in un certo ambito il fatto culturale si identifica con l'ambito stesso (si provi a pensare, poniamo, che cos’è la fisica, o la sociologia ? É possibile leggere un testo senza la base culturale opportuna ?).

Perché allora ribadire un tale concetto. Non si intende dannare l’ignoranza, come chi fa statistiche (totalmente inutili) per sapere quanti libri legge un italiane medio, o quanti conoscono G. B. Shaw, o hanno sentito nominare Wiligelmo. La questione semmai è di pertinenza del discorso poetico che l'autore intende fare. La vastità di orizzonti culturali dell'autore potrà essere integrata da un’ampia documentazione, cioè non solo non è detto che l'autore conoscesse in maniera approfondita ciò di cui parlerà, prima di iniziarne lo studio, ma soprattutto è possibile che il prodotto finale rappresenti una notevole crescita culturale per lo stesso. Allora è lecito che l’autore faccia un progetto di ricerca, ponendo dei minimi e dei massimi all'interno dei quali possa muoversi un ipotetico fruitore.

È interessante esaminare alcuni punti, a queste proposito :

·       un artista ha un linguaggio dell'arte con cui si esprime, e nondimeno può possedere una formazione tipica di altri campi, ad esempio della filosofia o della linguistica e via dicendo, che possono rendere più complessa la lettura dell'opera in questione. In questo caso l'autore può ritenere che un linguaggio specifico sia inseparabile dalla costruzione del proprio lavoro. Anzi, la poetica di alcuni autori è talmente compenetrata di contributi di altre scienze umane, che diventa difficile fare delle distinzioni.

·       indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, si può tentare di identificare un pubblico attraverso una serie di parametri e di varianti. Tra questi c'è il mezzo di diffusione dell'opera, che spesse connota anche un livelle culturale.

E mentre la forma d'arte di per sé non pregiudica il valore di un opera (come chi in mala fede distingue tra musica colta e musica pop) può capitare che l’autore per ignoranza o per altri motivi, compia dei grossi errori di valutazione.

Se ciò significa che un autore ha la possibilità di inquadrare la propria opera all’interno di un sistema di riferimenti culturali che possiamo, ad esempio, per comodità inquadrare all'interno dei programmi ministeriali per la scuola, e da questo punto di vista assumiamo anche che un corso di studi qualifichi anche le fasce di lettori, possiamo stabilire un rapporto tra la qualità di un messaggio e chi lo riceve (e dunque i canali che il messaggio attraversa) che pur nella sua provvisoria validità, metta l'autore stesso in grado di fare delle scelte calibrate.

Nel mio case specifico intendo far notare come un’operazione in sostanza sperimentale si muova in un ambiente (tipi di riviste, predecessori e contemporanei, background culturale, ecc.) abbastanza omogeneo.

 

 

 

Questioni sul mondo Omerico.

 

Le scelte che un autore moderno deve fare per poter collocare plausibilmente le vicende di cui narra nel ciclo troiano sono necessariamente di diverse nature.

Pare più abbordabile e più oggettivo l'approccio storiografico, anche per il fatto che oggi si è inclini a considerare la guerra di Troia come fatto documentato, nonostante la tradizione letteraria abbia contribuito a rendere nebulosi ed indefiniti i dati precisi (quali nomi di località e di persone realmente vissute), tanto che in passato si considerava il ciclo come sostanzialmente frutto di fantasia artistica.

Per noi moderni, ma già per gli storici greci del V e del IV secolo A.C., quest'ultima impressione era alimentata dal fatto che il periodo in questione era la zona di demarcazione tra due periodi assai diversi tra loro, e culturalmente definiti da una serie di espressioni sociali (artistiche, politiche, economiche) che non possiedono alcuna continuità, lasciando un grosso vuoto.

Questo vuoto, attorno al quale verte un’importante questione storica, è stato colmato parzialmente da alcuni studi che tenevano curiosamente in gran conto (cosa che succede tuttora) gli scritti Omerici. Si è in altri termini attivata un'osmosi che lascia campo a futuri contributi.

 

Dunque il ciclo troiano è collocabile a grandi linee, ma con alcuni precisi punti di riferimento, in un quadro storico, ed è proprio da questo quadro storico che possiamo iniziare per delineare lo scenario delle nostre vicende.

 

Una piccola parentesi relativa al realismo di un opera d'arte, assumendo che l'autore della medesima intenda collocare la vicenda nella nostra realtà, così com'è “realmente” (in contrapposizione a chi ad esempio racconta di un invasione russa degli Stati Uniti, o dell’arrivo dei marziani sulla terra), vale sottolineare che quest’autore, narrando una qualsivoglia vicenda, introduce un elemento di perturbazione che nega la possibilità di identificare il suo mondo con la realtà, persino se ad esempio raccontando la vita di Kennedy o di Giovanni XXIII, facciamo dire a questi delle frasi che si ricavano da documenti.

Questa contraddizione, che poi lo è solo apparentemente, fa parte dello stesso processo artistico (facendo un affermazione molto sintetica ma efficace) attraverso il quale si crea un mondo fantastico, ma che esige una sua coerenza interna. La costruzione di questo mondo segue delle modalità generalmente molto meditate ed intenzionali. Voler essere realisti significa entrare in un campo abbastanza delicato, dove ad esempio entrane in gioco i concetti di plausibilità e di universalità.

Omero a sua volta (parliamo qui di Omero come genericamente dell'autore e degli autori dell'Odissea e dell’Iliade) racconta un mondo differente da quelle di Euripide e di Virgilio (o meglio il viceversa, per questioni cronologiche) che ha il fascino delle grandi opere d'arte. Sono dunque da lasciare agli storici, le questioni irrisolte ? Ancora una volta diciamo che ciò è a discrezione dell'autore e dei suoi propositi. Personalmente ritengo che le questioni storiche vengano a delineare lo "spazio" all’interno del quale muoversi più agevolmente. Anche una storia di fantasia, come si è dette, può muoversi in un quadre storico fittizio ma articolato (si diceva di Guerre Stellari), ed in sostanza la fonte da cui attingere i fatti può essere varia, né un metodo surclassa l'altro.

Ma il fatto di agganciarsi ad un discorso di vasta portata, che vaglia la verosimiglianza del mondo omerico ad esempio attraverso i riscontri dell’archeologia, o che di queste mondo allarga i confini, per farci comprendere, o solo supporre, alcune questioni appena accennate, significa se non altro la possibilità di approfondire il proprio lavoro, di verificare, entro certi limiti, dei nuovi campi d'interesse possibili, ed in ultima analisi fare delle scelte consone al proprio gusto.

La questione omerica, per ciò che riguarda gli aspetti storiografici, mira ovviamente a dipanare le contraddizioni tra i poemi epici e la realtà storica, mediante una rigorosa ricostruzione degli stessi fatti storici. A questo obiettivo ultimo ovviamente si tende senza che appaia plausibile arrivarci, e nondimeno qualunque contributo meritevole, aiuta a delineare quest'ambito (/quadro) storico.

Come narratore io mi propongo abbastanza realisticamente di fare delle scelte che non solo mi appaiono più convincenti, ma che sostanzialmente abbiano un certo valore artistico. In tal mode si delinea una struttura storica che richiede inevitabili raccordi ed ampliamenti, su basi documentarie, ma anche spesso riferendosi a parentele letterarie e artistiche in genere.

Tutte le questioni delle scienze sussidiarie agli studi classici, come le questioni archeologiche, estetiche, ecc., hanno in buona parte degli argomenti comuni a quelli suddetti. Se sarà opportuno, farò delle distinzioni.

 

 

 

Vediamo dunque in una breve sequenza alcuni temi preminenti nel ciclo troiano che considero interessanti in modo particolare. Il monde omerico è indubbiamente il punto di partenza, per il motivo che la telemachia è un argomento o omerico, o, come si ritiene possibile, successivo alla stesura del cuore dell’Odissea, ma che ci è pervenuto attraverso questa fonte.

 

 

 

Le monarchie.

 

Fine a qualche decennio fa si indicavano alcune date abbastanza precise che dovevano aver visto i palazzi micenei, e prima quelli minoici, crollare per violente e ripetute scosse telluriche. A questi cataclismi veniva dato un ruolo variabile, a seconda delle concause, nel declino della cultura palaziale. Si parlava in alcuni casi di un semplice colpo di grazia ad una struttura politica resa precaria da influenze esterne, tanto che alcuni studiosi trascurarono di considerare le cause naturali, per riagganciarsi ad esempio alla triste fama degli invasori del nord.

In entrambi i casi possiamo affermare che i “greci” della guerra di troia non erano ancora stati coinvolti da fenomeni di tale portata da significare la fine della cultura palaziale. E da un lato i fenomeni succitati saranno o graduali o accessori, al punto che alcune zone non saranno affatto coinvolte. Dall’altro le date tradizionali di alcuni cataclismi, e della stessa invasione dorica, sono di quasi un secolo successive alla conclusione della guerra di Troia.

Io trovo dunque più pertinente considerare il mondo dei cicli troiani come caratterizzati sostanzialmente dalla cultura palaziale, un interazione tra la volontà di autonomia e di particolarismo dei singoli monarchi, ed invece il "corporativismo" generatosi dalla condizione di "pari" che ogni monarca riconosce agli altri.

Il fatto che questi monarchi fossero in numero definito non è forse solo dovuto ad esigenze di narrazione, e ci riferiamo ad esempio all'Iliade, ma denota verosimilmente una quantificazione delle stato di monarca.

Inoltre come vedremo, gli abitanti della penisola ellenica si concentravano in pochi e grossi centri, per cui era assai difficile l'imporsi di neo-monarchie.

 

 

 

Le città ed i palazzi.

 

L'epoca che segna la conclusione della civiltà micenea è fortemente centralizzata. La vita non si esaurisce dentro le mura, o nei fondi delle immediate circostanze, ma è anche vero che le piccole comunità si caratterizzano poco dal punto di vista culturale. Vi sono certo dei motivi antropologici che caratterizzane gli spostamenti delle genti verso i grossi centri urbani. Nondimeno in questo periodo la tendenza è più marcata, o altri periodi hanno concesso di più alla tendenza al decentramento.

Io penso che lo splendore dei palazzi micenei abbia potuto concretizzarsi solo in virtù di questo accentramento di uomini, e dunque di talenti, in spazi limitati.

La città è dunque totalmente a dimensione d'uomo, e al suo interno sono soddisfatti i bisogni della comunità. I contatti tra città sono probabilmente dovuti al commercio di prodotti pregiati ed ai rapporti politici.

Il viaggio, che invariabilmente connota l'incognito ed il pericolo, è reso difficoltoso non tanto da ostacoli oggettivi (come poniamo il deserto o il mare), ma piuttosto da questa peculiare urbanizzazione del territorio, che trascura le zone al di fuori dalle mura cittadine.

I palazzi sono architettonicamente assai raffinati, costruiti su più piani pur mantenendo una certa omogeneità tra i diversi locali, e soprattutto progettati in modo da rendere possibili molti percorsi diversi tra punti uguali. Ogni locale è affrescato secondo motivi ornamentali, ed anche con scene del mondo vegetale, animale, o con rappresentazioni di sport e mestieri. Le statue, le suppellettili, gli oggetti di uso quotidiano, sono subordinati alla funzione dei locali, ma, dove si addice, sono in gran numero e di materiali preziosi. Alcuni di questi locali sono vasti, ricchi di mobilia, e sono destinati ai convivi. In essi si mangia, ma anche si trascorre il tempo dialogando od ascoltando musiche e gesta epiche.

 

Le città hanno abitazioni di qualità abbastanza omogenee, anche se non comparabili ai palazzi dei monarchi (ovviamente) ed alcuni luoghi sono destinati a funzioni sociali, come nel caso dei santuari agli dei, o delle strutture commerciali. Le vaste mura non rendono difficile l'accesso, e dove esiste un porto, esso appare come la via privilegiata, con ricercate soluzioni architettoniche che permettono, sia l'intenso traffico sia difesa totale.

 

 

 

L'arte micenea.

 

Il periodo miceneo viene considerato da storici e archeologi anteriore alle epoche “storiche”, per il fatto che mancano documenti scritti risalenti a questa epoca.

La scrittura adottata nei palazzi micenei era mutata sostanzialmente da quella minoica. Ciò che ci rimane è una sorta di archivio di palazzo, di argomento commerciale. Nondimeno gli storici greci di epoche successive tentarono di ricostruire la storia greca sin dal principio del secondo millennio avanti Cristo.

Dal punto di vista antropologico è durante l'età micenea che si ha l'inizio dell'età del ferro, mentre quella del bronzo doveva gradualmente terminare anche presso le popolazioni circostanti.

Definiamo dunque questa epoca come proto-storica, come ibrido tra la preistoria e la storia propriamente detta[1].

(L’arte micenea discende per molti versi dall’arte di Creta, e si possono distinguere, nelle produzioni locali, le influenze ed i caratteri originali)

Invece l’espressione artistica si è maggiormente conservata nelle pitture e nelle arti plastiche (è abbastanza plausibile che eventuali supporti cartacei delle arti letterarie siano andati distrutti), e la ricercatezza nell'espressione indica una tradizione più vasta di quello che possiamo ricostruire.

Si considera ad ogni modo la cultura micenea come il momento più alto di un periodo ben più vasto, e solo molto più tardi un nuovo ciclo artistico giungerà a nuove vette.

 

Le interpretazioni degli artisti moderni (scenografie cinematografiche, illustrazioni, ecc.) preferiscono esagerare i fasti dell’Egitto dei faraoni, della Roma Augustea, della Grecia classica, piuttosto che l'epoca micenea, presentata come un epoca sostanzialmente "barbara".

Inquadrata però in una prospettiva ciclica di cui si faceva cenno, essa acquista nuova linfa e nuovo splendere.

La mia interpretazione si riallaccia al ruolo centralizzante che le città avevano dal punto di vista demografico. Lo splendore dei palazzi micenei è assolutamente straordinario rispetto agli standard dell'epoca. Cosi come nella nostra epoca la tecnologia costruisce delle navi spaziali, concentrando gli sforzi, i capitali, ed i talenti umani, attorno ad un progetto specifico.

I riferimenti per ricreare questa atmosfera stanno ovviamente nei musei e nelle riproduzioni fotografiche delle opere d'arte rimastaci. Io credo che la dimensione favolistica che ha assunto l'epoca del ciclo Troiano, autorizzi largamente ad enfatizzare lo splendore delle regge micenee.

(N.B. : Il paragone con lo sviluppo tecnologico non corrisponde con la visione che io ho dello sviluppo artistico.)

 

 

 

(Itaca, questione greca, barbari)

Sull'eterogeneità del mondo Egeo.

 

Si è detto di come i monarchi micenei, o nella fattispecie, i monarchi dell'Iliade, si considerassero appartenenti ad una casta comune, dunque di "pari". Nonostante ciò, negli stessi poemi omerici emergono vistose differenze tra i regni, e si noti che storicamente ad esempio Itaca non appartiene alla cultura micenea; di questa non condivide il metodo di successione al trono, oltre al fatto che Itaca è in un certo senso una regione più povera rispetto alle zone micenee.

Ma una questione degna di nota è che i limiti del mondo allora conosciuto erano assai variabili ed erano legati alle esperienze di viaggio delle varie comunità.

Mentre l'area mediterranea era conosciuta abbastanza uniformemente, le regioni più lontane del continente rimanevano sconosciute, tanto che lo stesso Odisseo parla dell’occidente (cioè della nostra Europa, che a noi appare probabilmente molto piccola ed a portata d’uomo) come di una terra sconosciuta e pericolosa.

Tutto ciò ad indicare che questo status di pari tra i monarchi greci non era riconducibile ad un proto-stato, né vi era in essi una qualche coscienza in questo senso.

In seguito, col fiorire e lo splendore della Grecia classica, ciò significherà anche una consapevolezza dello stato, o comunque i Greci identificheranno le popolazioni esterne alla Grecia come "barbari" e non-Greci.

 

Il mondo miceneo ha invece una dimensione di quotidianità e di familiarità, in un certo senso insomma un ampliamento delle mura cittadine. Niente esclude che non vi potesse essere una affinità anche tra i monarchi micenei e quelli poniamo dell'Egitto, e ciò in certa misura avveniva sicuramente, quando Odisseo ed i suoi compagni ad esempio consideravano i propri parametri sull'ospitalità e sul culto degli Dei, come applicabili a tutti i popoli, anche assai lontani dal mare Egeo, che avevano la ventura di incontrare.

 

Nei colloqui tra monarchi micenei si può avvertire la distanza fisica tra i posti, che rende lenta e difficile la diffusione delle notizie. Ma ognuno di loro considera le questioni altrui come se potesse farne esperienza quotidiana, e come se, e questo era certo vero, gli sviluppi di queste questioni lo riguardassero direttamente.

 

I protagonisti.

 

I cicli troiani ed in genere la tradizione epica greca, definiscono abbastanza le vicende dei vari protagonisti. In alcuni casi, si pensi ad esempio alle avventure di Odisseo successive al suo ritorno ad Itaca, a seconda delle fonti abbiamo delle soluzioni discordanti.

Ma in linea di massima ciò che sostanzia i principali personaggi, è una serie di fatti che ritroviamo pur con alcune varianti in versioni differenti.

·       L'attesa di Penelope è quasi proverbiale, e la figura di lei che, pur speranzosa per il ritorno di Odisseo, si strugge (nella Telemachia) perché il figlio non segua il destino paterno, dà al personaggio una profondità coerente con la struttura morale del personaggio (N.B. : si assume che in linea di massima la telemachia sia, se non di un altro autore rispetto all'Odissea, almeno concepita in maniera autonoma).

·       La figura di Telemaco è sostanzialmente subordinata alle esigenze narrative dell'Odissea, nel senso che la sua ricerca ed in seguito la vendetta sui Proci, esprimono la volontà di tutelare le posizioni dei genitori, ma anche l'incapacità di autoaffermarsi, vista l’ancora giovane età..

·       Atena, come tutti gli dei omerici, ha caratteristiche più magiche e sovra-umane che non divine. Partigiana delle cause dei protagonisti (ma non sempre), fa spesso scelte ingiustificate, e che, vista la varietà di opinioni in materia, non corrispondono alla volontà degli altri dei. È assai difficile, anche volendolo, considerare Atena come personificazione del divino,(e dunque dei nostri concetti di provvidenza, di giustizia, ecc.) per una serie di motivi.

(Tra l'altro alcuni di questi concetti sono contraddittori rispetto poniamo anche al Dio di Mosè, che per alcuni aspetti richiama i comportamenti delle divinità greche.)

Ora, al di là, di qualunque discorso sugli aspetti monoteisti della religione greca, discorsi sicuramente interessanti, qui si afferma (per motivi di parentele artistiche) che le divinità omeriche sono utili solo alla dimensione fantastica dei poemi, così come lo sono i giganti e le sirene, e non sono neppure, come è pure plausibile, una personificazione di fenomeni naturali e di fatti inspiegabili.

Ciò non sminuisce le riflessioni teologiche che in Omero si pongono già in origine in un piano differente; rispetto alle vicende degli “dei”.

In Atena è interessante quella sorta di onnipresenza che esprime prendendo le sembianze di persone che partecipano alla vicenda.

 

(A me interesserebbe identificare le scelte di Atena con la volontà divina nel senso moderno [e cristiano?] del termine.

Le personificazioni di Atena potrebbero avere un senso se espresse come figure profetiche, o come epifanie.)

 

 

 

Argomenti vari - rimandi.

 

La questione dorica

 

Sulla questione dorica ho trattato alcuni argomenti parlando delle monarchie, a proposito dell’arte micenea, e più in generale a proposito dell'epoca micenea e dei suoi limiti. Qui accenno solo al fatto che la questione dell’invasione dorica si colloca tradizionalmente almeno ottanta anni dopo la guerra di Troia, dunque è estranea alle nostre questioni.

 

La telemachia.

 

Si è detto, a proposito dei suoi personaggi, dell’autonomia che i primi quattro libri dell'odissea, cioè i viaggi di Telemaco, hanno rispetto all'insieme delle vicende narrate da Omero. É opinione comune che un autore successivo a quello del nucleo dell'odissea, abbia aggiunto non solo questi capitoli introduttivi, ma anche alcuni versi di raccordo, sì da armonizzare il tutto (anche se vuoti e ripetizioni non sono infrequenti) .

É certo che in base ad osservazioni di questo tipo siamo portati a notare queste differenze. Vorrei segnalare principalmente :

1) gli strumenti che ci offre la filologia lasciano più dubbi che certezze. Inoltre queste questioni influiscono marginalmente sui giudizi estetici.

2) se la nostra epoca vede sempre di più l'opera non di un singolo artista, ma di una equipe di artisti che si partiscono i compiti, e che collaborano attivamente ad ogni fase del lavoro, nondimeno ciò succedeva nel passato quando ad esempio un grande affresco veniva eseguito (ed a volte terminato) da discepoli e aiutanti del pittore titolare dell'opera stessa, e poteva accadere anche per opere letterarie di questa natura, come parte integrante del processo compositivo.

 

Si diceva sin dal principio che la scelta della Telemachia ha una dose di casualità.

Più avanti esaminerò alcuni argomenti specifici di particolare interesse.

 

 

Attualità di Omero.

 

Qui non si intende valorizzare Omero sulle basi della sua attualità (si è già detto dell’importanza per noi moderni della letteratura greca, del percorso spirituale che i letterati compiono, ed Omero è un dei “grandi”) , ma si nota, e più avanti se ne potrà specificare i termini, che alcuni accadimenti dei nostri giorni si prestane ad essere commentati anche attraverso vicende di millenni or sono (o che viceversa Omero offre spunti di commento ecc.), o che comunque il romanzo storico si offre nondimeno a questa funzione, inquadrando in un tempo anteriore temi e fatti e personaggi del proprio tempo (Manzoni docet ... )

 

Progetto “Nostoi” versione 1. 00

 

Si è già parlato in diversi casi, come nell’introduzione, dell'interesse relative al ciclo Troiano.

Nell’Odissea (che è il racconto di un ritorno, seguito a molte vicende sfortunate o meno, di un eroe della guerra di Troia alla propria propria patria) si entra più volte nel tema dei ritorni degli Achei alle città d'origine, narrando la sorte toccata ad ognuno dei grandi eroi.

Queste tema topico, attorno al quale molta letteratura ci è rimasta, e molta è andata persa, prende la parola greca "nostos" ovvero ritorno (nostoi = ritorni) riferendosi precisamente alla guerra troiana.

I motivi che si intrecciane nei "nostoi" sono numerosi, ed alcuni molto distanti da altri, come il tema autonomo della sventura della famiglia degli Atridi, ma indiscutibilmente il sostantivo in questione implica un complemento (moto da luogo) che diventa tema portante e causa prima del carattere tragico dei destini che attendono i vincitori della guerra di Troia.

La critica letteraria sottolinea con certe radicalismo moderno che nell'Odissea, ma anche nell’Iliade, la guerra è deprecata non solo nella sua crudeltà, ma anche come azione empia, e dunque come fonte di profondo peccato.

Certo è che altrove si esalta il valere dei grandi combattenti e si trascura di valutare negativamente le scorrerie delle flotte Achee al ritorno dalla Troade.

Ma è forse nei "nostos" che è più intimamente racchiusa la tragicità delle vite e delle morti di molti di questi eroi.

 

Questi “ritorni” nella stessa parola (quando indica in maniera specifica quei ritorni) connotano il lutto, la colpa, il peccato, la punizione (divina), nonché il travaglio, l'inaspettato, e in conclusione un senso, comune a tutti gli eroi (il senso della guerra) che sconfina e corrompe il particolare.

 

Quando in un primo momento avevo mostrato interesse per l‘Elettra di Euripide, e quindi in generale per l’Orestea, avevo già vagliato la possibilità di lavorare su un ciclo tematico, con come denominatore comune non necessariamente il tema troiano ma anche l'autore (poniamo Euripide) od altro.

Poi l’incontro con la Telemachia, e per certi versi con la lettura (parziale per ora) di Joyce, e di qualche altra fonte, anche fi1mica.

Al momento, ed in breve, il progetto Nostoi comprende due brevi racconti, uno su Telemaco e uno su Oreste, con la possibilità di utilizzare le interpretazioni di autori diversi. In questo senso indiscutibilmente il nome Nostoi è un mis-nome, poiché i più prossimi protagonisti di un Nostos sono rispettivamente Odisseo ed Agamennone, che qui sono solo coinvolti indirettamente. Nonostante ciò, anzi proprio per questo, è rispettato il motivo tragico che scaturisce da una guerra decennale.

 

 

 

Progetto per “Nostoi I : Telemaco” versione 1.00

 

Su Nostoi I

 

Siccome era prevista (vedere avanti) un introduzione scritta su Telemaco, questa poteva introdurre anche l'Oreste e quindi comprendere un discorso generale sui Nostoi. Niente obbliga ad esplicitare il progetto Nostoi, né tanto meno ad indicare il numero, che qui ha un motivo logistico (di ordine cronologico).

Ora penso che sia più opportuno, per dare autonomia ad ogni opera, e per evitare di mettere ipoteche su cose ancora da fare, che "Telemaco" sia preceduto da un'introduzione autonoma che tocchi tanto l'argomento "Nostoi", quanto il tema delle guerra di Troia. Un'introduzione comune avrebbe motivo di essere, se i due racconti venissero pubblicati assieme, anche in libro (inoltre è probabile che l'Oreste possa lasciare spazio ad altri progetti, o che il ciclo si allarghi).

 

La struttura del racconto.

 

(In questa sede, per quanto possa parere prematuro, si farà riferimento alla lunghezza delle sequenze, e dell'insieme di sequenze, servendosi di due parametri fondamentali, ovvero 1) la pagina disegnata (cioè definitiva), e 2) la vignetta, che nel suo moltiplicarsi costituisce la striscia (un “n-esimo” di pagina ad “n” strisce) e la sequenza, che è l'unità narrativa.)

 

Il “Telemaco” consta di dodici pagine, che idealmente concedono tre pagine a testa ai quattro capitoli della telemachia.

Le divisioni all'interno del "Telemaco" possono seguire anche l'ordine dell'Odissea. Io in realtà privilegio una classificazione differente, che ha però una funzione più pratica che non di ordine cronologico (un po’ come quando, durante la lavorazione di un film, si girano di seguito tutte le scene in un dato esterno, indipendentemente dal fatto che in sede di montaggio dovranno essere intercalate da scene girate in pesti differenti), e cercherò in seguito di farne uno schema abbastanza chiaro.

Dico subito che una direzione è quella di identificare i personaggi fondamentali. Essi sono Telemaco, dunque la partenza ed il viaggio, Penelope, ovvero il timore ma anche la forza d'animo, Ulisse/Nestore, cioè il racconto e la figura della guerra, e Atena, cioè la divinità = provvidenza (nella sua interpretazione uni-dimensionale).

 

Una possibilità di montaggio di “Telemaco” consiste in questo tipo di ordine :

 

- pag. 1, titolo : “Nostoi : Telemaco

   Madre (Penelope)”

Inizia già con la scoperta da parte di Penelope che il figlio è partito ad insaputa di lei.

Lamento di Penelope, e atto di fede.

 

- pag. 4, titolo : “Padre”

Racconto della guerra di Troia nel colloquio tra Nestore e Telemaco.

Dubbi di Telemaco. Figure degli eroi troiani.

 

- pag. 7, titolo : “Figlio”

Viaggio di Telemaco, ed eventuali flashback ad Itaca con i Proci e la loro arroganza.

 

- pag. 10, titolo : “Dio”

Atena e i suoi interventi, prima ad Itaca (flashback ?) con Telemaco, ora accanto a Telemaco sotto mentite spoglie, e conclusione con accoglienza di Odisseo ad Itaca e ricerca di Telemaco. Ricongiungimento della famiglia.

 

Ora un montaggio di questo tipo oltre ad essere fuor da ogni dubbio già abbastanza elaborato, opera una scelta tematica delle diverse vicende narrate nell’Odissea, ed è una prima versione, nel senso che continua a mantenere l'elemento cronologico che per altri versi potrebbe essere trascurato. I flashback all'interno di una narrazione programmaticamente lineare, tendono generalmente ad appesantire lo svolgimento del racconto.

La versione diciamo numero zero, che è poi l'ordine col quale si legge la storia nell'Odissea, prevedeva alcune importanti considerazioni di Telemaco sulle sue paure di non essere in grado di cacciare i Proci e di regnare dunque su Itaca come il padre Odisseo. Nella prima pagina lui si guarda nelle specchio con indosso un armatura come se ne potevano usare durante la guerra di Troia.

Avvalendosi invece dell'ordine sopra descritto si mantengono le considerazioni (anche nel seconde capitolo) e si elimina la scena introduttiva.

L'ordine dello schema è per importanza dei personaggi, dove Atena è fuori serie, ed ha un valore conclusivo ed universalizzante.

In questo momento penso che alcune alternative, che forse si avvicinano maggiormente all’Odissea vedrebbero ad esempio per primo il capitolo su Atena, dunque la situazione ad Itaca e la partenza di Telemaco.

Oppure prima il capitolo su Telemaco, con la scena introduttiva, e quindi la partenza, poi il viaggio, e i dialoghi sulla guerra di Troia, quindi Penelope, e quindi Atena e conclusione. In questo caso l'ordine è per importanza, ma è inverso.

 

Comunque sottolineo che questi modelli sono sostanzialmente dei metodi per ordinare il materiale in fase scrittura, ed hanno un’incidenza trascurabile (non sempre) sull'efficacia e il senso dell'opera.

Inoltre dico subito che uno dei motivi di interesse per me è lavorare sul montaggio del materiale già fatto in un secondo tempo, lasciando un po’ di scelte al caso, od a soluzioni esteticamente valide tra quelle offerte tra le varie combinazioni possibili.

Questo tipo di montaggio, che è molto cinematografico, ma è stato usato splendidamente anche da alcuni grandi del fumetto, da Kirby a Mattotti, è un’operazione (delicata) di gusto “pop”, e si riallaccia dal punto di vista motivazionale col discorso introduttivo che collegava i personaggi e gli avvenimenti dei cicli Troiani con dei “tipi”, e dunque dei caratteri di "elementarità", nel senso insiemistico del termine.

 

 

 

Una trama sintetica della Telemachia.

 

Libro I :

Introduzione;

situazione di Odisseo, ninfa Calipso, colloquio tra gli dei dell’Olimpo, Atena prende posizione a favore di Odisseo e intercessione di Zeus, Atena va ad Itaca sotto spoglie di un nobile viandante, situazione della reggia di Odisseo con i Proci, Telemaco riceve Atena come fosse un ospite, dialogo tra Atena e Telemaco, poi Atena se ne va in un prodigio, Telemaco parla con la madre e poi rimprovera i Proci, questioni sulla monarchia non ereditaria di Itaca nel dialogo tra Telemaco ed uno dei Proci, Telemaco si corica alla fine della giornata;

descrizione di particolari architettonici o di oggettistica.

 

Libro II :

Telemaco in assemblea con gli Itacesi dove si riassume la situazione nella reggia di Odisseo con i Preci che aspirano (ognuno) alla mano di Penelope ;

l'indovino Aliterse predice la disfatta dei Proci per mano del venturo Odisseo;

Atena prende le apparenze di Mentore amico di Odisseo e consiglia Telemaco affinché parta per un viaggio sulle tracce del padre Odisseo, e (affinché) lo faccia all'insaputa della madre Penelope;

Telemaco si risolve a partire e lo dice ai Proci e alla nutritrice Euriclea ;

Atena prende l'aspetto di Telemaco e raduna un equipaggio;

Atena addormenta i Proci e invita Telemaco a mettersi in mare giacché la nave e l'equipaggio sono pronti, e Telemaco raccoglie subito provviste e salpa nottetempo;

Atena/Mentore parte con Telemaco.

 

Libro III :

La nave di Telemaco giunge a Pilo, Telemaco ha un colloquio con il re di Pilo, ovvero Nestore, che era stato compagno d'arme di Odisseo;

Telemaco chiede a Nestore notizie del padre, Nestore parla estesamente della guerra di Troia e del fate degli Atridi; Nestore consiglia Telemaco di mettersi in viaggio per Sparta dove interrogherà Menelao, fratello di Agamennone e legittimo sovrano, dopo che l'usurpatore Egisto aveva ucciso Agamennone ed era stato ucciso dal figlie di questi, Oreste ;

Telemaco accetta l'ospitalità per la notte offertagli da Nestore mentre Atena/Mentore se ne va in un prodigio;

il giorno che segue Nestore prepara dei sacrifici augurali, affinché il viaggio di Telemaco in compagnia di un figlio dello stesso Nestore, ovvero Pisistrato, prosegua nel migliore dei modi ;

Telemaco e Pisistrato si mettono in viaggio a cavallo e fanno una sosta per la notte a Fere.

 

Libro IV :

Il giorno dopo, arrivati a Sparta, vengono ricevuti da Menelao e dalla moglie Elena;

Elena riconosce in Telemaco una somiglianza con Odisseo;

Telemaco espone il suo travaglio;

nella conversazione Menelao parla della guerra di Troia e del trucco del cavallo;

Telemaco e Pisistrato trascorrono la notte ospiti di Menelao, e la mattina seguente proseguono i racconti lasciati interrotti;

Menelao racconta del suo ritorno a casa dopo un lungo periodo bloccato nell’isola di Faro (Alessandria) dove cattura la divinità marina Proteo, che gli predice la via del ritorno, e gli parla anche del fato di Agamennone e di Oreste che lo vendicherà, nonché della sventura di Odisseo, bloccato nell’isola della ninfa Calipso;

Menelao termina il racconto, e offre a Telemaco doni ed una lunga ospitalità, ma Telemaco lo prega di farlo ripartire al più presto;

ad Itaca i Proci cospirano contro Telemaco, ma la cosa giunge alle orecchie di Penelope, che così apprende del viaggio del figlio Telemaco;

i Proci preparano l'imboscata per Telemaco ;

Penelope si dispera, ma Atena le si presenta in sogno sotto aspetto della sorella di Penelope stessa, Iftime, e assicura la salvezza del figlio Telemaco;

i Proci pongono l'agguato nelle prossimità dell’isola chiamata Asteride.

 

Libri seguenti.

Di lì a poco Odisseo doveva giungere ad Itaca, dove viene ricevute dalla stessa Atena;

Atena quindi si presenta in sogno a Telemaco che si trova ancora a Sparta, e gli comunica che il padre lo attende ad Itaca, Telemaco si congeda da Menelao dopo un pasto augurale. Quando Telemaco e Pisistrato giungono a Pilo, la fretta di Telemaco è tale che prega il compagno di lasciarlo partire immediatamente evitando di congedarsi a dovere con il padre di lui Nestore. Una volta giunto ad Itaca seguendo le istruzioni di Atena per sfuggire all'imboscata che i Proci gli riservano, Telemaco si ricongiunge infine col padre Odisseo.

 

 

 

Conclusioni, considerazioni varie, premesse per una sceneggiatura.

 

Tutto ciò che sì è considerato nelle pagine precedenti è sostanzialmente un'introduzione alla stesura della sceneggiatura. Si è anche vista la singolarità di un operazione che è sostanzialmente concettuale, e meno (ma anche) motivata dal voler raccontare una vicenda. Per altri versi questi scritti sono degli appunti di studio, o si può definirli un diario di viaggio (o la preparazione di un viaggio), di un viaggio attraverso i libri di storia come di arte come di letteratura e di critica letteraria, di un viaggio che insomma non si interrompe se anche si possono interrompere gli appunti.

 

In realtà il viaggio è appena iniziato, e si suppone che considerazioni magari disordinate e casuali, ma forse maggiormente approfondite, accompagnino poi la descrizione delle singole vignette, dei dialoghi e del montaggio.

 

Ma veniamo ad una considerazione fondamentale sul rapporto tra testo (in questo caso l'Odissea ed in particolare i primi quattro libri) e sceneggiatura da esso tratta. Questo metodo estesamente usato (si pensi che Kubrik non ha mai fatto la regia di una sceneggiatura originale, eccetto forse agli inizi), cioè la stesura di una sceneggiatura sulla base di un'opera letteraria, non ha ne indicazioni ne controindicazioni, come si addice ad un procedimento artistico che è sottomesso a giudizi estetici semmai, però fondamentalmente accorcia le varie fasi di scrittura per ciò che riguarda la trama che esiste già, ed è il testo in questione. Questa affermazione è volutamente vaga e inesatta e nondimeno sia adatta al mio proposito fondamentale, ovvero a quello di fare un mosaico delle vicende fondamentali utilizzando l'analisi della struttura originale del testo, ed assoggettando questo nuovo ordine a degli argomenti di natura più “ideologica”.

 

La perplessità mia, come autore, è che poiché a lavoro ultimato si potrebbe stendere una trama, e questa alla fine non sarà affatto il testo originale, allora si sarà persa una fase fondamentale della lavorazione Di contro l’esecuzione diretta di questa fase, cioè la stesura della trama, andrebbe fatta (per mia opinione) con i testo originale continuamente a fronte, operando al più un lavoro di cernita dei diversi periodi, e dunque mantenendo l'equazione trama = testo.

 

Tutte questo girare attorno ad un problema apparentemente abbastanza tecnico ha un motivo nella scarsa duttilità del testo Omerico.

 

Ciò con cui mi sono scontrato nella lettura di Omero, con in mente anche le questioni di sceneggiatura, e stata una tale pesantezza nel linguaggio, in parte dovuto alla pedanteria del traduttore, e in parte ad effettiva prolissità nella concatenazione dello sviluppo narrativo, che gli elementi originalmente attuali ed interessanti per il mio caso (cioè dal punto di vista linguistico/narrativo) che pure ci sono, e sono notevoli, basti pensare ai flashback ed alle interruzioni delle sequenze nei momenti di suspense, non sono però sufficienti per poter passare alla fase della sceneggiatura.

 

La mia soluzione è semplice, e consiste da un lato nel fare una sintesi del testo Omerico come nelle pagine precedenti, e dall'altro nel elaborare la vicenda secondo delle tematiche diversificate od approfondite (in parte come fosse un soggetto originale), che vanno elaborate autonomamente.

Un buon esempio è Telemaco che si guarda allo specchio, e il tema dell'abbandono della giovinezza (che è abbastanza presente nell’Odissea) per Telemaco, o il lamento di Penelope e la sua statura morale (letterario), o gli argomenti teologici sulla provvidenza e su Atena/simbolo della divinità, o le immagini a Pilo della tauromachia (elemento folcloristico) e via dicendo.

 

Ovvero che a questo punto si profila il lavoro più interessante e anche divertente. É una porta aperta. Alcuni dubbi sulla compatibilità tra il mio gusto ed il genere epico non mi impediscono la prosecuzione del lavoro, se non altro in subordine ad un altro per me maggiormente rappresentativo. Ciò a dire che iniziando ora un progetto più corposo, Telemaco ed Oreste avanzeranno a scatti più che con la regolarità di un lavoro a puntate.

I dubbi riguardo all'argomento epico rimangono, non sono preoccupanti e quindi trascurabili, e nondimeno cercherò di arrivare a delle conclusioni fruttuose, pur orientandomi su Telemaco diversamente. Una sola battuta per dire che nonostante l'Odissea enfatizzi il lato avventuroso e guerresco, ciò è fatto con il contributo di profonde considerazioni etiche.

 

FIN.

 

 

 

 (stesura originale : 1989  - Castelfranco Veneto)

 


PROLOGO argomenti

1992

 

 

 



Argomenti su "Prologo".

Regia, montaggio, disegni, varie ed eventuali. 24/2/92.

 

Gli argomenti di questo documento fanno riferimento alla sceneggiatura di "Prologo" versione 2.00, e alla sceneggiatura grafica (ver. 1.00 o scen. 3.00) e sono particolarmente utili a definire l'esecuzione degli schizzi delle singole vignette rispetto al complesso del lavoro.

 

Le divisioni.

Le scene.

La divisione in scene è il modo più semplice e probabilmente meno specialistico per poter portare dentro e fuori dal fumetto a cui si sta lavorando qualunque tipo di elemento (disegni, dialoghi, ecc...). In ogni caso mi riservo di utilizzare più avanti altri tipi di divisione. Degli esempi sono:

- divisione in pagine/strisce/vignette/ecc..: si utilizza per lo più quando il lavoro è completato o quasi. In quel caso non si è più interessati al contesto, ed è sufficiente una coordinata, cioè l'indirizzo di un oggetto, conoscendo solo le poche convenzioni relative a pagina, vignetta, striscia, baloon, ecc...,(ad es. dire "pag. 7, vig. 4, ballon 2" è l'indirizzo del testo di un balloon e serve al letterist che non conosce la storia per scrivere il lettering senza rischio di errori di interpretazione).

NB: gli indirizzi degli elementi, come le pagine, sono indicati, secondo l'ordine pagina/striscia/vignetta/altro (baloon, elementi), nella forma pw/sx/vy/altroz, dove il numero dell'incognita è relativo alla posizione dell'elemento all'interno dell'elemento precedente (il numero delle pagine è relativo al racconto, ed è stabilito nel numero di  12), ad es. p2/s3/v2/baloon2 è il secondo baloon nella seconda vignetta della terza riga della terza pagina.

- divisione in sequenze: la divisione in sequenze è in funzione della narrazione, ed è utile alla modifica ed all'elaborazione del linguaggio sequenziale stesso. E' in questa sede che è più opportuno introdurre le indicazioni relative all'ordine nella successione delle inquadrature.

Le sequenze non sono numerate, perché non sono un numero determinato. Esse possono essere quantificate, così come si fa per le proposizioni in un discorso. Però mentre il numero di pagine, ad es., è intenzionale e motivabile, il numero di proposizioni in un discorso, anche di lunghezza determinata, è casuale (e se è motivato non lo è coscientemente). Inoltre esiste nell'analisi della sequenza, una certa discrezionalità, per cui è possibile individuare delle sequenze differenti rispetto ad una diversa prospettiva.

 

- la divisione in scene è mutuata dal linguaggio teatrale, ed è grosso modo relativa agli ambienti in cui si svolgono le vicende, e per convenzione (che stabiliamo qui) intendono che:

 

1 - all'interno di una scena non vi sono salti temporali, ovvero avviene tutto in tempo reale (anche    questa definizione riguarda una convenzione).

 

2 - la scena è facilmente nominabile con l'indicazione del luogo dove avviene la vicenda. E' possibile però che per motivi particolari, relativi alla storia, si abbia che diversi ambienti riguardino la stessa scena. La divisione in scene è però una semplificazione convenzionale che implica questa possibilità.

 

Gli elementi utili a descrivere un ambiente sono ordinati come si usa per gli indirizzi (un ordine differente può essere utile in casi particolari, da vedere di volta in volta). L'indicazione alternativa tra ESTERNO ed INTERNO è un elemento ridondante (in genere si utilizzano altri elementi per identificare un luogo, se l'alternanza tra i due termini dovesse causare che si indichino due posti differenti [ad es., INTERNO Duomo Milano/ ESTERNO Piazza  Duomo Milano], che serve al colpo d'occhio e a stabilire una più diretta relazione con il concetto di scena, ed è sempre riferito al sostantivo successivo, che può appartenere a categorie differenti (ad es., INTERNO San Pietro, Roma; ESTERNO Sede Sip, via Oberdan, Bologna; ESTERNO (generico) paesaggio, Dolomiti.).

Se la città è univoca, cioè il nostro caso, non si indica - così come non indichiamo lo stato od il continente, a meno che la vicenda non si svolga in più stati o continenti differenti.

 

La divisione in scene, oltre ad essere convenzionale, non dice nulla riguardo al modo in cui le scene si legano o si miscelano. Questo argomento viene trattato altrove, ed è soprattutto relativo alla sceneggiatura, dove la divisione in scene non è attuata.

- Scena 1. ESTERNO, CANTIERE DELL'EDIFICIO PER LA COMUNITA', ZONA PERIFERICA.

-Scena 2. INTERNO, MACCHINA DI FRANCO (TRAGITTO  CANTIERE-CANONICA).

- Scena 3. INTERNO, SALA COMPUTER, CANONICA, CENTRO CITTA'.

- Scena 4. ESTERNO, GENERICO CITTA' (TRAGITTO CANONICA-CASA CINZIA).

- Scena 5. INTERNO, APPARTAMENTO CINZIA.

- Scena 6. ESTERNO, GENERICO CITTA', (TRAGITTO CASA CINZIA-CANONICA).

- Scena 7. INTERNO, CHIESA

- Scena 8. INTERNO, SALA PRANZO, CANONICA.

- Scena 9. INTERNO, SALA COMPUTER, CANONICA.

- Scena 10. INTERNO, SALA PRANZO, CANONICA.

- Scena 11. INTERNO CHIESA. (Fine.)

La  divisione soprastante è corretta ed efficace. Si nota però che all'interno di essa non si può, per definizione, lavorare sullo sviluppo narrativo secondo quello che abbiamo chiamato tempo pseudo-reale (vedere paragrafo "La regia ed il ritmo narrativo." del documento di Write "INTRO"), cioè uno sviluppo narrativo dove tutti gli avvenimenti narrati si intende che accadano senza alcun salto temporale.

Utilizzerò allora i nomi delle scene soprattutto relativamente ad una descrizione generica dell'ambiente, cercando di introdurre e di riassumere tutti gli elementi comuni alle diverse vignette.

I riferimenti alle scene così definite si avvarranno dei numeri della scena.

(26-27/2/92).

 

Argomenti su "Prologo".

Regia, montaggio, disegni, varie ed eventuali. Ver.1.00.

 


PROLOGO sceneggiatura

1992

 

 

 


NOTA ALL’EDIZIONE WEB (ottobre 2006): la sceneggiatura non è momentaneamente disponibile. Controllate la pagine nei prossimi mesi.


VETTE sceneggiatura

1992

 

 

 



Vette

 

La sceneggiatura di Vette, a differenza di quanto fosse stato per quella di Prologo, in questa prima versione tenta di affiancare i diversi tipi di materiali scritti (regia , dialoghi, ecc..) che, se necessitano di essere consultati simultaneamente in fase di disegno ad esempio, in fase di scrittura generalmente richiedono di essere realizzati ognuno in maniera autonoma, particolarmente per poter seguire un certo filo elaborativo senza doverlo cercare (di quel medesimo tipo di scritto) tra altri tematicamente eterogenei. Ciò che mi propongo di realizzare in questa prima fase del lavoro è utilizzare appieno gli strumenti informatici che facilitano la stesura di un testo nel quale è possibile leggere e stampare alcune parti del testo piuttosto che altre, pur se tutte si trovano in un unico documento. Inoltre vorrei evitare di rallentare la realizzazione del lavoro, nello scrivere, alla fine, quasi molteplici soggetti differenti (impressione che è avvalorata dal fatto che per poter ritrovare gli elementi pertinenti ad una certa sequenza si è costretti ad aprire differenti documenti ed a consultarli ognuno secondo i propri parametri). Non c'è però contraddizione con le esigenze succitate, che avevano fatto preferire altre soluzioni. Le soluzioni migliori ovviamente vanno cercate senza considerarne una come definitiva. Osservo qui che ciò che manca agli scritti di Prologo semmai è proprio che non siano stati elaborati all'interno di un modello rigido che permettesse di affiancarli in maniera automatica (come potrebbe succedere per le voci analoghe di diversi fogli elettronici basati sul medesimo modello). Qui, per il momento, procederemo differenziando l'aspetto dei diversi temi mediante la definizione di stili ad hoc. Comunque i diversi strumenti possono essere utilizzati liberamente, e se intendessi introdurre dei cambiamenti che riguardino tutto il documento, si renderà opportuno archiviare la versione in corso, e  riprodurre la versione aggiornata in un documento con un successivo numero di versione.

 

Scena- Interno automobile Fiat Tipo durante il tragitto Bassano-Trento.

 

Sequenza- Dialogo tra Stella ed Enzo riguardo :

il tempo

la telefonata che Enzo cerca di fare in ufficio nel mentre col telefonino

i motivi del viaggio.

 

Siamo alle porte di Bassano del Grappa, all'imbocco della statale Valsugana in direzione Trento. Sono le sette e trenta di mattina, e il paesaggio è immerso in una fitta nebbia che non sembra potersi diradare nonostante il sole alto. A bordo di una Fiat Tipo di colore bianco una coppia di giovani sposi.

Lei, Stella (detta Etoal, la pronuncia italiana della parola francese "etoile" cioè stella), ventottenne, scrittrice di origini venete, è alla guida della macchina. E' bionda, i capelli lisci e corti pettinati all'indietro con il gel le conferiscono un look molto "trendy". Porta gli occhiali lasciati cadere fin sulla punta del naso, ottenendone un aspetto da "intellettuale" che la fa apparire più adulta e meno bambolina di quanto suggerirebbero i suoi dolci lineamenti.

Lui, Enzo, trentenne, giovane manager editoriale di una casa nazionale, emiliano trapiantato  nel Veneto, siede al fianco della sua neo sposa, tentando di telefonare con un minuscolo cellulare al proprio ufficio personale per avvisare del viaggio improvviso. E' alto, moro, senza caratteristiche fisiche particolari. Veste in modo elegante, ma nel seguito della storia abbandonerà giacca e cravatta per dei grossi pullover dai colori autunnali, più adatti alle temperature montane.

(Si saprà poi che) i due sposini intendono raggiungere il padre di lei, Galileo, che, ultra settantenne, mancatagli la consorte da qualche anno, si è trasferito a vivere in un'isolata baita di montagna, dove ha scelto di dedicarsi solo alla pittura. La professione di lui non è citata in maniera esplicita. Si è occupato negli anni di molte attività, anche differenti tra loro, e in particolare del coordinamento del settore matematico-astronomico d’un editore specializzato. Ciò che lo ha maggiormente distinto nella sua attività lavorativa è il grande entusiasmo che è sempre stato un efficace propellente per i progetti personali e per la produttività dei suoi stessi collaboratori. Un modo di fare tanto dipendente da umori e sentimenti, che lo ha caratterizzato agli occhi altrui come una persona scostante ed in fondo inaffidabile nel suoi modi quasi da artista.

 

 

Telefono (Rossella)

 Stella

Enzo

 

Questa è la segreteria telefonica dello 02 123456789. Gli uffici sono aperti nei giorni dal lunedì al venerdì nelle ore dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. E' in funzione il servizio notturno di segreteria telefonica. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.

 

 

 

 

 

Non c'è nessuno...

 

 

E' un pò  presto, ma se dici che Rossella è in ufficio già  dalle 7.30, bisogna che usi disattivare subito la segreteria.

 

 

 

 

Quello che fa è precisamente coordinare le esigenze di lavoro dovute alle assenze impreviste. Convenzionalmente si telefona attorno a quest'ora...

 

Siamo già a San Nazario e la nebbia non accenna a diminuire. Non vorrei che ci accompagnasse per tutta la Valsugana.

 

 

Ce la lasceremo alle spalle, vedrai. Oggi è effettivamente eccezionale, ma, nei casi peggiori, a questo punto comunque inizia a diradarsi.

 

 

 

 

Se si sta diradando lo fa molto timidamente...

 

Hey, hai ragione, ne siamo venuti fuori !

 

 

Uomo di scarsa fede !

 

 

 

 

Ed è una giornata bel-lis-si-ma !

 

Va' che sole !

 

Wow !

 

Pronto, Scarlet ! Sono Enzo.

 

Buongiorno Enzo. Stai poco bene ?

 

 

 

 

 

Io no, ma pare ci siano dei problemi di salute per il padre di Stella, ed ho preferito mettermi in viaggio con lei. Qui nella migliore delle ipotesi posso essere in ufficio tra quattro giorni.

 

Intanto ti sostituiamo ...

 

 

 

 

Ciao  Rossella !

 

 

Ciao Stella. Di cosa si tratta ?

Per ora sembra non sia qualcosa di preoccupante. Ha delle forme di aritmia cardiaca che gli danno per lo più un forte stato d'ansia. Quello che  mi preoccupa in fondo è sapere se sia in grado di chiamare velocemente qualcuno in caso di bisogno.

 

 

 

 

Ultimamente fa un pò  la vita dell'eremita !

 

Beh, speriamo bene...il tempo com'è ?

 

 

 

 

Davvero c'è un sole stupendo. Lo commentavamo or ora.

 

 

Qui siamo immersi nella nebbia più fitta.

 

 

 

 

 

Semmai ti teniamo al telefono con noi, se t'arrivasse un po’ di sole...

 

 

 

 

 

Sequenza: successione di panoramiche di paesaggi montani a seguire il viaggio della giovane coppia che si sta dirigendo verso alta quota (Passo del Pordoi, ecc.).

 

 

La sequenza che segue, il tragitto fino alla casa di Galileo, vive soprattutto d’una armonia grafica, dunque in questa sede evito di entrare nei dettagli. Il tragitto che devono seguire i Nostri percorre la statale Valsugana da Bassano ad Ora, quindi la Val di Fiemme e la Val di Fassa fino ai tornanti del passo del Pordoi, ai piedi del quale si trova la località in cui si svolge la parte della storia che segue. La scelta dei riferimenti geografici è ovviamente legata a dei motivi secondari, in quanto è primario che i luoghi in cui si svolge la vicenda abbiano alcune particolari caratteristiche che si possono ritrovare solo approssimativamente nelle zone in questione. Vediamo alcune di queste caratteristiche. Si tratta di una catena montuosa che chiude una valle a ferro di cavallo. Dall'alto a fondo valle si vede un paese, e più lontano altri centri abitati che tracciano irregolarmente il percorso della valle stessa. La casa di Galileo si trova in un punto della montagna prossimo alla vetta, a quota superiore ai 2000 metri, dove la vegetazione è rara o del tutto assente. Per giungervi si deve abbandonare la statale e seguire una strada sterrata, impervia e scarsamente frequentata, che conduce ad alcune malghe aperte solo in estate, quindi, dato che la zona inizia ad essere innevata proprio in questi pressi, si deve convenientemente parcheggiare l'automobile un paio di centinaia di metri più a valle. La cima della montagna è poco più in alto, tanto che la si può  raggiungere dalla casa in una decina di minuti. La conformazione della cima è tale che, pur essendo nello stesso versante della casa di Galileo (sud-est), quest'ultima non è più visibile dalla cima stessa e viceversa.

La casa di Galileo è di modeste dimensioni, ed è ad un piano con i tetti spioventi scalati in due gradini, tutta in legno con la sola base in pietra (la base è irregolare dato che la casa è costruita in un pendio che comporta un dislivello tra li lato retrostante e quello antistante). La facciata  ha due grandi finestre uguali e nessuna porta. Nel lato destro (di chi guarda la facciata) c'è uno spiazzo immediatamente raggiungibile dalla strada (che continua) dove ci sono delle panche ed un tavolo di legno, e, nella parete della casa, l'uscio attraverso il quale si raggiunge un vasto ambiente che funge da sala da pranzo, da studio, da cucina. Da qui si può accedere a due locali che occupano la zona retrostante dell'edificio: a sinistra la camera da letto di Galileo, a destra il bagno (le due porte sono perpendicolari tra loro).

 

              

 

Scena: esterno paesaggio montano isolato. Sul pendio erboso di una montagna senza alberi, data l'alta quota, si allarga un vasto piano dove è costruita una piccola casa in legno. La cima della montagna è solo poco più alta, mentre a fondo valle per mezzo di un sentiero carrabile solo parzialmente si trova un piccolo centro abitato dalle caratteristiche architettoniche tipicamente alpine.

 

Enzo e Stella hanno abbandonato la macchina in un prato deserto e a piedi si dirigono verso la casa di Galileo. La porta è aperta, e i due sposini entrano. Dalla finestra entra un sole che è già prossimo al tramonto. Tuttavia, accatastati disordinatamente alle pareti e alle stesse finestre, dozzine di quadri fungono da sipario, rendendo l'ambiente scuro e poco confortevole.

 

Sequenza: Stella ed Enzo entrano nella casa dove non trovano nessuno e mentre commentano sul disordine giunge Beatrice, una signora del luogo che si occupa del Professore Galileo. Questa, amica di famiglia da anni, saluta affettuosamente Stella e spiega che il padre sta dipingendo in cima alla montagna.

 

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

 

Papà ?...

 

 

 

 

Mio Dio, che odoraccio...

 

Qui per le pulizie ci vorrebbe un'impresa specializzata !

 

 

Papà  ?...

 

 

 

 

Ma come fa a vivere in questo caos...

 

 

 

 

 

 

(voce fuori campo) Stella !!

P. A. di Stella ed Enzo, con lo sfondo frontale della parete dove si trovano le due finestre ed i quadri. Entrambi guardano verso la porta d'ingresso, cioè verso il lato sinistro della vignetta.

Beatrice cara !

 

 

 

 

Buongiorno Beatrice !

Tuo padre è in vetta che dipinge. Fai una corsa a chiamarlo, altrimenti non tornerà prima che sia tramontato il sole.

 

Ciao Enzo ! Sei qui anche tu ! Non pensavo di vedervi così presto ! 

 

Tu come stai ?

 

Qui, al solito. Finché le gambe mi sostengono, come vedete la faccio ancora a piedi per le scalette.

 

Ma come vi vedo bene ! Da dopo  sposati non vi ho più visti assieme !

 

 

 

Come sta adesso Galileo ?

 

Stella si discosta dal gruppo e si avvicina alla porta.

Io corro su intanto...

 

 

 

 

Stella è diventata esageratamente apprensiva, dopo che lei ci ha telefonato l'altra sera. Abbiamo letteralmente fatto una scappata ...

 

 

 

 

Non avevo inteso farvi fretta. Galileo conserva l'energia di un adolescente.

 

 

Pensavo fosse un altro il problema. Tutto questo disordine, il posto stesso...

 

                                                                                                

Scena: esterno cima della montagna dove si trova la casa di Galileo, ma in un punto che guarda da un lato opposto.

 

Sequenza: dialogo tra Stella e Galileo a proposito della situazione reciproca, delle preoccupazioni di lei per la salute di lui.

 

Galileo, l'anziano genitore di Stella, ha una folta barba che lo rende somigliante al suo illustre omonimo. E' seduto su uno sgabellino portatile, in un punto della montagna totalmente disabitato, ma da dove si domina la valle. Essendo quasi in cima alla montagna, è sufficiente percorrere qualche metro verso la cima per poter ammirare tutta un'altra porzione di panorama. Galileo sta dipingendo un panorama mentre il sole tramonta. Stella lo raggiunge e, stando alle sue spalle, osserva il quadro. Nel frattempo Galileo inizia a riporre gli strumenti.

 

Vignette / Regia

Stella

Galileo

Piano Medio frontale di Galileo che dipinge. Il quadro si vede soltanto da dietro mentre si vede il viso  Stella alle sue spalle.

 

Etoal, sei qui col consorte ?

 

Siamo appena arrivati.

E ha voluto portare la macchina fin quassù ?!

Stella sorride mostrando che sta al gioco.

No, siamo venuti su a piedi !

Si è lamentato un pò ?

 

Un pò  soltanto !

S'è portato via il lavoro ?

 

Anche di quello un pò  !

Il telefonino ?

 

Yep !

Il laptop per comunicazioni ?!

 

L'ha lasciato in macchina !

Stasera per cena mangiamo funghi, polenta e formaggio fritto. Avete visto già Beatrice ?

 

Si, è giù con Enzo.

Andiamo allora...

Stella si gira verso la direzione dalla quale era venuta, in modo da precedere Galileo nella via del ritorno.

 

Etoal, neanche un bacio per tuo padre ?

Stella sorride all'improvvisa apertura del padre, fino a quel momento (e generalmente) alquanto burbero.

Stella bacia affettuosamente il padre Galileo.

Come stai ?

 

 

 

Sequenza: dialogo tra Enzo e Beatrice a proposito di Galileo. (Da decidere se inserire questa sequenza in questo momento o più tardi. Nella prima eventualità è possibile fare in modo che questa sequenza e la precedente siano concatenate in modo da terminare con l'incontro dei due gruppi.)

 

Nota: la sequenza che segue va probabilmente eliminata dalla stesura finale, oppure può venir utilizzata per concatenare elementi di questa sequenza con elementi in quella precedente per stabilire una sincronia tra i due diversi eventi. La cosa non ha alcuna particolare funzione drammatica, e semmai potrebbe comportare una perdita di chiarezza delle informazioni veicolate dalle sequenze stesse. Viceversa una successione delle due sequenze in base alle scene suggerisce che la seconda sequenza avvenga mentre Stella e Galileo scendono a casa dalla cime, significando per questo che o il tragitto è eccessivamente lungo, o che questa sequenza è abbastanza importante da meritare uno spazio a sé stante. Il dialogo, ad ogni buon conto, è utile a definire alcuni elementi della dinamica della storia, così si può se non altro considerarlo con analoga funzione del testo descrittivo.

 

 

Vignette / Regia

Enzo

Beatrice

 

Realmente abbiamo pensato di portarlo con noi a casa. Stella è sempre molto in apprensione e credo ne abbia i motivi. Per noi è sicuramente un viaggio abbastanza lungo, ma in assoluto ha scelto di stare in una zona che non è adatta alle esigenze che può avere una persona della sua età.

 

Riconosce che ho buoni motivi per pensare se non altro che sia annebbiato nelle facoltà intellettive?

 

 

 

Lo conosco da tanto di quel tempo, il signor Galileo, e posso onestamente affermare che non è diverso oggi da com'era da giovane.

 

Mi stupirei del contrario, di vederlo in città, insofferente alle pareti di un condominio in cemento armato.

 

Di quello che era non riesco a vederne traccia. Una persona talmente attiva, un punto di riferimento per chi gli lavorava accanto, contagioso nel suo entusiasmo. Riusciva a rendere poetica una tabella sulle ere geologiche.

 

 

 

Anche tu hai lavorato con lui nei suoi ultimi anni di attività ?

 

No, lui era direttore editoriale delle collane scientifiche della stessa mia casa editrice. Io ho un compito più manageriale, ma ovviamente avevamo contatti continui.

 

 

 

Noi giù del paese, per un motivo o l'altro, si viene quassù quotidianamente. Neppure la nevicata più abbondante isolerebbe la zona, anche perché più ad ovest ci sono gli impianti di risalita per gli sciatori.

 

Adesso tra l'altro hanno un elicottero della Croce Rossa che rimane in paese, e ci può collegare con l'ospedale di Trento

 

Qualcuno viene a vederlo ?

 

 

 

Io gli porto il giornale la mattina, o alcune cose di alimentari che mi chiede espressamente.

 

Quello del cibo rimane un mistero anche per noi. Non gli manca mai.

 

 

 

Conosce i posti...

 

E qualche volta scende a valle, magari deve fare qualche fax !

 

Fax ?...

 

 

 

 

Sequenza: breve dialogo generico dei quattro personaggi.

 

Nota: il ricongiungimento del gruppo si racconta egualmente con le ultime battute del dialogo tra Stella e Galileo, oltre che, ovviamente, con tutta la sequenza successiva. RIVEDERE EVENTUALMENTE.

 

 

NOTA: da questo punto in poi si considera che sia Stella che Enzo dormano entrambi in casa di Galileo. una variante prevederebbe che Enzo vada a dormire in albergo a valle, poiche' in un primo momento non ci sarebbero stati più di due letti nella baita. questa variante implicherebbe una serie di cambiamenti secondari, in particolar modo quello dell'introduzione di un breve dialogo tra Beatrice ed Enzo che scendono a valle dopo la cena.

 

Il sole è ormai tramontato, si vedono i profili delle montagne appena appena illuminate dalla luna, ed a fondo valle le luci del paese immediatamente antistante, e di altri paesi più lontani. I quattro protagonisti preparano una cena molto informale, tra l'interno e l'esterno della casa. La possibilità di fare svolgere tutto all'esterno è poco compatibile con la presenza della neve (siamo ai primi di novembre), ma è importante sottolineare che il vero protagonista è il paesaggio, ovvero la luna piena , il cielo stellato, il profilo dei monti dolomitici, e le luci del paese sottostante. I personaggi indugiano all'esterno fino all'ultimo momento.

 

Scena: esterno notturno dello spiazzo antistante la casa di Galileo. I quattro personaggi sono attorno al fuoco che preparano la cena.

 

Sequenza: (vignetta iniziale sulla cottura della polenta) dialogo dei quattro che parlano della cena, del tempo, quindi intonano canzoni di montagna e frammenti di canzoni varie.

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

Dettaglio del paiolo della polenta sopra al fuoco della cucina a legna. Si vede una mano che tenendo un mestolo rigira la polenta.

Lascia che faccia io. Dammi !

 

 

Mi raccomando...

 

 

P.P. frontale di Stella e Galileo che tengono entrambi la testa bassa guardando il paiolo. Stella regge il mestolo e Galileo le tiene le mani per farle seguire il movimento che le sta spiegando.

Da destra a sinistra riportando in senso orario

 

Da destra a sinistra riportando in senso orario

Da destra a sinistra riportando in senso orario

 

Così, brava !

Campo lungo in prospettiva del lato esterno della casa dove si trovano l'ingresso e la panca e il tavolo in legno. Il punto di vista si trova a sud (vedere pianta), ed a sud è seduto Enzo con un piatto di polenta e formaggio. Sul tavolo ci sono vari bicchieri pieni di vino rosso e la stessa bottiglia di vino. I fondo alla tavolata, verso nord, le due donne, che sono sedute su delle sedie, mentre Galileo lo si vede ora dentro ora fuori, tra Enzo e le donne, ora sull'uscio.

 

Il freddo di queste zone è impietoso, ma non insopportabile... a momenti è persino piacevole, stimolante !

 

Mi dai atto di questo ! Solo non si deve trascurare di correggerlo, con qualcosa di forte.

Stella e Beatrice sullo sfondo cantano all'unisono.

("Tanti ghe n'è" canto della Val di Fiemme ricostruito da L. Pigarelli  ed eseguito del coro della S.A.T. nel long playing "Là su per le montagne, vol. III", 1963 R.C.A.)

IL CANTO DEVE ESSERE SOTTOFONDO DI ALTRI DISCORSI E ANDRÀ INSERITO ALLA FINE NEL MODO PIÙ OPPORTUNO.

 

Tanti ghe n'è de sti bei giovinoti

Che ga le braghe rote sui ginoci,

Traila traila trailala,

Tanti ghe n'è de sti bei giovinoti

Che ga le braghe rote sui ginoci,

Traila trai-trailala.

 

Rote va ben ma le farem giustare,

Gavemo i soldi in testa per pagare,

Traila traila trailala,

Rote va ben ma le farem giustare,

Gavemo i soldi in testa per pagare,

Traila trai-trailala.

 

Tanti ghe n'è, de poco i se incontenta,

Che i va da la morosa e i se indormenta,

Traila traila trailala,

Tanti ghe n'è, de poco i se incontenta,

Che i va da la morosa e i se indormenta,

Traila trai-trailala.

 

I se indormenta miga per domire

Ma perche lì no i sa pù cosa dire,

Traila traila trailala,

I se indormenta miga per domire

Ma perche lì no i sa pù cosa dire,

Traila trai-trailala.

 

 

 

 

 

 

 

Bisognerà che scenda a valle, che è già molto tardi.

 

 

 

L'accompagno...

 

 

I fari della macchina di Enzo sono ormai lontani.

 

 

 

 

 

Scena: interno casa di Galileo. Il letto di Galileo si trova in una piccola stanza, mentre i due sposini sono sistemati alla meglio nella camera principale in due brande distinte.

 

Sequenza: dialogo tra Stella e Galileo a proposito delle fiabe e della loro interpretazione da parte degli jungiani.

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

Indicazione di salto temporale, ad esempio ritraendo una candela quasi terminata, che nella vignetta precedente era consumata solo a metà. Stella e Galileo sono in casa e si apprestano ad andare a letto. Galileo tiene in mano un volume e lo legge ad alta voce mentre Stella è rannicchiata più in basso in atteggiamento filiale.

 

 

 

 

Quando il Padre creò le montagne, si lasciò prendere dal bello e se ne compiacque.

Ma quando si trovò a dover stabilire gli abitanti...Qui nessuno ci voleva stare

 

"Ai cittadini hai fatto le montagne" dicevano gli uomini "ai contadini le campagne, al marinaio il mare. Ma a noi montanari solo sudore e fatica ?"

 

Lui, il Padre, si era sbizzarrito con tramonti di perla, con albe di fuoco, con prati verdi e fiori e minerali e alberi. "Cosa mangio io " diceva il montanaro "nuvole e bello, sassi e fiori ?"

 

Allora il Padreterno prese un pezzetto di roccia, due rametti di pino, un po’ di prati verdi, due gocce di lago alpino e piantò il tutto nel cuore del montanaro.

"Ecco" disse "senza queste cose non potrai vivere  ..." Questa malattia che il Padre piantò nel cuore del montanaro si chiama Heimweh, nostalgia delle proprie montagne.

 

Qualche tempo fa ho letto anche il saggio della Von Franz.

 

 

E' un'interpretazione prettamente Jungiana. Interessante, coerente, a tratti pedante. Non è indispensabile...

 

 

 

Dice alcune cose molto toccanti...

 

Peccato forse che la scelta delle fiabe sia  così limitata e poco rappresentativa.

 

 

Per me piuttosto mancano in fondo le caratteristiche di uno studio scientifico. Gli strumenti psicanalitici sono si un valido ausilio, se si hanno già solide fondamenta.

 

(Non si rischia altrimenti di fare gli esploratori percorrendo solo strade asfaltate ?)

Galileo si alza e aggiunge della legna al fuoco.

Nota: per non rendere pedante la sceneggiatura del rientro di Enzo sarà forse opportuno non menzionarlo affatto, ma piuttosto o mostrare semplicemente che è già tornato in una delle vignette precedenti, oppure farlo tornare durante la ninna nanna. La seconda soluzione implicherebbe  che Stella e Galileo non attendano alzati Enzo, il che è improbabile, date le brevi distanze tra valle e casa.

 

 

 

 

Galileo in piedi si avvicina a Stella che già è nel letto.

 

 

 

Buonanotte, Etoal...

Nota: la ninna nanna di Galileo non è necessariamente detta direttamente da lui, può essere un'intenzione, una colonna sonora.

Buonanotte !

 

 

Fente la nana, fentele, cantando

finché la popa se va 'ndormenzando

ninna nanna

oooh ...

oooh ...

 

La popa se 'ndormenza poco a poco

come la legna verda arentr al fuoco

Ninna nanna

oooh ...

oooh ...

 

La legna verda brusa e non fa fiama

cossì fa la me popa a far la nana

ninna nanna

oooh ...

oooh ...

 

Fente la nana parà via 'l bobò

doman de sera vegnirà 'l pupa

ninna nanna

oooh ...

oooh ...

 

oooh ...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sequenza: nel cuore della notte Stella si alza per assistere Galileo che ha un attacco di tosse convulsa.

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

Immagine simile a una delle precedenti, campo lungo della sala. Si vede la luce della camera di Galileo accesa.

 

 

 

 

Enzo si rende conto che Stella non è lì e si siede sul letto.

 

 

 

 

 

 

Sequenza: breve dialogo tra Stella ed Enzo sull'accaduto.

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

La luce è tornata ad essere spenta. Stella torna a letto al chiar di luna.

 

 

 

 

 

 

Che c'è ?

 

 

 

Ha avuto un attacco molto violento. Ora si è tranquillizzato...

 

 

 

 

 

Occorre che faccia qualcosa ?

 

 

 

No, ora è tranquillo. Siamo nella norma, pare.

 

 

 

Vignetta senza dialogo simile a quella introduttiva della sequenza. Entrambi però ora dormono.

 

 

 

 

 

 

 

Sequenza: dialogo tra Stella ed Enzo l'indomani mentre fanno colazione. Stella dice che intende rimanere qualche tempo col padre. Discussione.

 

Sequenza: arrivo di Beatrice e dialogo sulla salute di Galileo. Beatrice dice che Galileo è andato a valle. Stella si preoccupa un poco.

 

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

Stella ed Enzo stanno facendo colazione. Lui sta sfogliando delle carte, lei sistema alcune cose da mangiare in tavola.

Io mi fermo qui qualche tempo.

Io vedo una soluzione immediata, e cioè che venga a casa con noi. Così avremo anche il tempo di decidere sulla cosa migliore.

 

Eppoi ci vuole l'opinione di uno specialista...

 

 

 

Mmh Mmh, si...

Adesso ? Da adesso ?

 

 

Intermezzo silente.

 

 

 

 

 

Ovvero ?

Beh, vuoi che torniamo sull'argomento ?

 

 

 

 

Ovvero questo, il caos di questa casa, tutto questo posto, il modo di fare che ha da quando è qui ?

 

 

 

Allora vediamola, questa situazione.

 

Il posto è isolato, è vero. Ma ha una sua dimensione. Invece quanti casi  di abbandono sociale hanno luogo nelle nostre metropoli. Non facciamo paragoni estremizzanti, da una parte o dall'altra. Io dico che qui la gente vive come noi viviamo in città, confrontandosi  con le questioni specifiche della propria realtà.

 

Inoltre mettiamo che io desideri stare qui per un po’, e occuparmi della sua salute, delle sue esigenze con un la dovuta calma.

 

Anche questo disordine per me significa che ha semplicemente bisogno di una mano. Voglio vedere piuttosto come ti troverò nella nostra casa al mio ritorno !

Allora è la cosa migliore, secondo te ? Rimanere qui ? Di cosa ha bisogno, ora come ora ? Tu credi, stando qui, di poter fare qualcosa ?

 

Forse sei solo ingenua.

 

Per me, improrogabilmente, c'è bisogno di trovare delle soluzioni con chi possa avere una competenza specifica !

 

 

 

 

Ma ... lungi da me criticare il fatto di vivere qui di per sé. É la sua situazione che è assurda.

 

Senza né gas, né corrente, né telefono, non facendo altro che dipingere...

 

Non sono io a dover sottolineare quanto straordinariamente ha condotto per anni le sue attività. Io rimanevo sempre stupito da come potesse gestire dei progetti a livello mondiale solo tra la tecnologia del suo studio. Ogni nuovo giorno dalle enormi vetrate il sole inondava la stanza e sembrava che i progetti crescessero per naturale fotosintesi...

 

 

 

 

Stella sorride discretamente.

Il seme della poesia ha fatto breccia anche in te.

 

Potrebbe aiutarti a diventare un po’ più tollerante nei suoi confronti.

Non è vero, io come te sono  preoccupato ... questo è quanto.

 

 

 

Invece ne parli come di un barbone, di uno derelitto.

 

Il più delle volte io lascio correre certe tue considerazioni, benché siano inaccettabili. Non è forse vero che anche adesso stavi per attaccare con la manfrina...

Ma è vero ! Che modo di vivere è questo.

 

 

 

 

 

Eccolo...

Non sono offensivo ... quando mai, figurati.

 

Semmai sono come quel bambino che dice "il re è nudo" !

 

 

NOTA: la saldatura tra il discorso di Stella e quello di Enzo non è così evidente, ma rischia, se svolta nella sua interezza, di diventare un po’ prolissa e di insistere sulla litigiosità dei due sposini, che invece sono così solo occasionalmente. DA RIVEDERE.

Non voglio discutere oltre. Lascia che mi occupi di lui per un po’ e poi se sarà il caso ti prometto che considereremo anche la possibilità di tornare a casa assieme.

 

Che poi sai che m'ha detto Beatrice ? Ogni mattina gli porta due quotidiani, mentre lui va spesso in paese a spedire la corrispondenza. Dove sono i giornali, la macchina da scrivere ?

 

 

 

Lo so, cosa c'entra tutto ciò ?

 

Ti delude ? Ti delude sapere che una persona faccia responsabilmente delle scelte che non condividi ? Pensare che vi vedo molto simili. Tu ti comporti come un bimbo deluso ... Può darsi che il re sia nudo, dipende, che non sia il posto giusto per essere nudi.

 

 

 

 

 

 

Permesso ? Stella ? Tuo padre era già venuto in paese a prendere i giornali !

 

Stella si alza e va in camera del padre.

Nessuno di noi l'aveva sentito alzarsi... Enzo, dammi le chiavi che gli vado incontro in macchina.

 

Beatrice, se vuoi del caffè appena fatto.

Vuoi che vada io ?

 

 

 

No no, vado io. Stai qui che se serve vi trovo.

 

Bye!

 

 

 

Stella esce di casa. Enzo e Beatrice dialogano in casa ed eventualmente all'esterno.

 

 

Bisogna che dia una mano a Stella per sistemare la casa.

 

Anche tu pensi di fermarti un pò ?

 

 

Mi riuscirebbe difficile ! Ho diversi impegni !

 

Io vi preparo come posso. Quello che servirà lo sistemeremo man mano.

 

Anche voi due avreste bisogno di cambiare un po’ aria.

 

 

 

Ieri in realtà ero parecchio preoccupato, ed è per questo che ho piantato il lavoro. Mi sembra tutto sommato più semplice la situazione.

 

Stella ha desiderio di stare con suo padre, e poi questi sono i suoi posti di origine, anche se è cresciuta a Milano.

 

   

Si, credo sia così...

 

Le do una mano.

 

 

 

 

Sequenza: arrivo di Galileo (è possibile che Stella gli sia andata incontro) e dialogo tra il gruppo. Enzo dice che intende fermarsi e viene bonariamente preso in giro.

 

Vignette / Regia

Stella

Enzo

Beatrice

Galileo

La tavola è apparecchiata e l'ambiente è più ordinato di prima. Stella e Galileo sono in casa, ma hanno ancora addosso vestiti pesanti.

Preparo i pomodori e l'insalata, poi ci mettiamo in tavola.

 

Taglio la polenta.

 

Sono tutti quattro seduti in tavola.

 

Buon appetito.

A voi

 

Stella si rialza da tavola.

Il sale !

 

 

 

 

 

Sapete, ho richiamato in ufficio, e credo che mi fermerò, almeno per la settimana !

 

 

Stella e Galileo si scambiano un'occhiata divertita.

Nah ! In fondo è meglio che tu vada in giù. Saresti più responsabile.

 

Eppoi qui non c'è nemmeno tanto posto !

 

Mi passi la polenta ?

 

 

 

Stella ha un'espressione sorniona.

Però fino a fine settimana ti possiamo sistemare ?

 

Anche oltre, credo ?

 

Eppoi che nessuno andrà via di qui, se è così che desidera ...

 

 

 

 

FINE.


MAN IN THE MACHINE pt. 1 soggetto

1993

 

 

 



 

 

 

Uno

 

 

 

 

 

 

 

Long Island, New York, marzo 1993.

Un edificio di notevole altezza, simile al palazzo delle Nazioni Unite, con in più un settore adiacente, esteticamente uguale, ma alto solo un paio di piani, è l’unica costruzione dell’uomo nel raggio di parecchi chilometri. Tutt’intorno solo sabbia, e macchie di folta erba incolta, frastagliata dal vento.

Nonostante la singolarità del posto, così lontano dai centri abitati, vi è un gran traffico d’uomini tutt’intorno all’edificio, molti dei quali evidentemente addetti al servizio di sicurezza ed alle necessità di chi si trova all’interno.

Qui si sta infatti svolgendo un ciclo di conferenze che mirano alla costituzione di un’organizzazione mondiale di scienziati che valutino casi di varia natura ispirandosi a principi etici sovranazionali ed apolitici. Vi partecipano perciò personalità di prim’ordine nel campo scientifico ed in quello politico, e per questo vi è un tale spiegamento di forze.

Nella sala riunioni principale, moderatamente affollata, si sta tenendo l’intervento di Reed Richards, autorità mondiale nel campo dell’astrofisica e dell’ingegneria elettronica, ed attualmente impegnato con l’ente governativo per la ricerca tecnologica avanzata nella definizione dell’interfaccia utente relativa la notazione e l’elaborazione delle coordinate di viaggio per il settore aerospaziale civile.

Alle spalle di Reed Richards, che sta in piedi davanti ad un leggio, si trova un maxi schermo formato da 16 televisori affiancati in serie di quattro per quattro, e che ritrasmette le immagini di una telecamera che riprende i relatori in primo piano, mentre poco più a lato si trova uno schermo cinematografico dove vengono proiettate le diapositive ed i filmati che integrano gli interventi.

 

Mentre Reed Richards parla, si possono notare sullo schermo cinematografico alcune immagini elaborate al computer che rappresentano sinteticamente una sezione del cosmo all’interno di una sfera trasparente, delimitata da una serie di circonferenze con diametri ed angolature differenti, come le parallele ed i meridiani del globo terrestre. Alcuni dei corpi celesti che sono rappresentati all’interno della sfera sono collegati da sottili linee tratteggiate che si diramano e si intersecano in più punti, simili allo schema di una rete ferroviaria o della metropolitana, che però nel nostro caso si sviluppa nelle tre dimensioni dello spazio.

In piedi alle spalle di Reed Richards si trova il moderatore, oltre a numerose altre persone del personale di servizio, che nel muoversi in un continuo andirivieni rendono estremamente caotico l’ambiente.

Reed Richards : « Tra le prime simulazioni di viaggio che avevamo elaborato in equipe, nessuna utilizzava come origine dello spazio cartesiano il pianeta terra, ed io stesso ho sviluppato un simile modo di pensare in seguito alla mia vasta esperienza diretta di cosmonauta.

Quello che ci ha spinto ad utilizzare dei modelli più semplici è strettamente legato allo sviluppo a cui assisteremo nei prossimi decenni nel settore civile, ovvero : in primo luogo i progetti per la realizzazione di insediamenti umani negli altri pianeti del nostro sistema solare, tra cui sarà sufficiente citare le colonie residenziali e le miniere; in secondo luogo nel campo non meno importante delle crociere per turisti.

Ci tengo a ricordare che io non mi occupo se non marginalmente della ricerca in questo settore, ma ritengo che lo sviluppo a cui è destinato coinvolgerà le grandi imprese oltre ogni aspettativa.

Notate che i modelli che ho supervisionato sono inquadrabili come caso particolare del modello globale, e permetterebbero alla compagnia privata un’autonomia di viaggio ristretta al proprio ambito esclusivo, definito da una concessione rilasciata da un preposto ente internazionale. Ogni diversione di rotta richiederebbe il collegamento in rete all’elaboratore del modello globale. E questa eventualità sarebbe legata possibilmente ai soli casi di emergenza. »

Interviene una persona del pubblico che si presenta : «Sono il Dottor Claude Clerc, fisico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Francia. Dottor Richards, quale reale consistenza potrebbe avere in quest’ottica l’iniziativa individuale ? O, diciamo, esiste il rischio di istituzionalizzare i viaggi spaziali ? »

Reed Richards : « Non solo esiste, ma è, credo, un rischio, tra virgolette, che va percorso fino in fondo, condizionale allo stesso sviluppo del settore. Lei si riferisce alla sindrome delle Colonne d’Ercole, e capisco perfettamente che la possa preoccupare l’idea di un ente che, diciamocelo pure, stabilisce dove si potrà e dove non si potrà andare. Noi qui presenti, come rappresentanti dei ricercatori scientifici delle nazioni della terra, portiamo con ogni grande innovazione grandi responsabilità. Finché però la nostra voce avrà la consistenza di un’ampia intesa, ci sarà sempre la possibilità di aprirsi a nuove strade. »

Interviene una seconda persona del pubblico : « Sono il Dottor Arthur Rossman, neurofisiologo, ricercatore dell’Università del Massachusetts. Dottor Richards, mi permetta di fare un riferimento alla sua persona, poiché riflettevo sul fatto che i viaggi interstellari ai quali ha partecipato in prima persona, e di cui ha reso cronaca in diverse sedi, non sono stati fatti nell’ambito della pianificazione governativa, ed in alcuni casi sono stati condotti nell’autonomia più totale. La mia domanda è : quanto del ruolo che lei ha avuto nel panorama scientifico è legato alle sue qualità sovra-umane ? »

Brusio di sdegno da parte della platea. Il moderatore si avvicina al microfono e prende la parola : « Per favore, colleghi ! Dottor Rossman, credo che la sua domanda sia estranea al contesto ... »

Reed Richards si avvicina al microfono ed interviene : « Vorrei rispondere, prego. Be’, vede, questa domanda mi è stata fatta sovente, ed io stesso me la sono posta più volte, in vari momenti della mia vita ... Ma le dirò qualcosa di non necessariamente legato alla mia esperienza, perché se è vero che io, così come i miei tre noti compagni, ho subito delle imprevedibili mutazioni del tessuto cellulare per una complicazione occorsa propri durante un viaggio spaziale, questo fatto ha contribuito ad attirare su noi quattro l’attenzione della stampa e delle autorità forse più perché siamo sopravvissuti a quella massiccia quantità di radiazioni cosmiche, che non per le qualità sovra-umane che abbiamo acquisito in seguito al medesimo evento. Intendo dire che avremmo potuto passare alla storia come dei fenomeni da baraccone ...

Quando mi trovai in quella situazione ero ancora abbastanza giovane, però tutto ciò mi capitò non per caso o per incoscienza, ma a seguito di una seria preparazione scientifica che è stata una piccola parte della mia lunga carriera di ricercatore.

Un risultato eclatante apre molte porte, ed offre spesso la possibilità di concretizzare i propri interessi di lavoro, ammesso che si riesca a coniugare opportunamente le proprie capacità con le risorse esterne. E se da giovane ero impaziente e un po’ spregiudicato, non ho mai smesso di imparare molto dall’esperienza di coloro con cui ho lavorato, alcuni dei quali ancor oggi considero miei maestri. »

 

La scena si sposta negli appartamenti, dove Reed si è ora ritirato, e dove guarda dalla vetrata il profilo di New York in lontananza. Pensa.

Reed Richards : « Mi abituerò mai a questa continua tensione ? Gli anni e la saggezza non mi hanno aiutato ad accettare il fatto che ad ogni angolo vi possa essere un pericolo. Tutto l’allenamento a cui noi quattro ci siamo sottoposti non mi aiuta ad essere più rilassato ... è servito solo a farci essere operativi in tempi reali.

Sono così inquieto ... »

Reed si siede al tavolo che si trova nella stanza, quindi accende un terminale senza tasti, composto da uno solo schermo sottile come un giornale, che integra al proprio interno tutti i circuiti elettronici, e che riceve i comandi tramite voce, oppure toccando lo schermo con le dita.

Reed Richards : « Non riesco a contattare Susan ... il faro di trasmissione del Quartiere Generale non riconosce il mio codice identificativo. Curioso, considerando quanto tempo ho dedicato a quel progetto ...

Qualunque intoppo, tra l’altro, mi fa temere che vi possano essere interferenze esterne. »


 

 

 

Due

 

 

 

 

 

 

 

Più tardi. La scena si sposta al piazzale antistante il palazzo delle riunioni, dove Reed Richards sta colloquiando con un addetto al servizio di sicurezza.

Agente di sicurezza : « Stanno terminando il controllo di pragmatica del sistema di sicurezza, le assicuro che si tratta di attendere una mezz’ora al massimo. Se desidera la metto in priorità secondo la procedura sanitaria e la faccio tornare a Manhattan con l’elicottero della Croce Rossa. »

Reed Richards : « Nessuna priorità, agente, solo un piccolo problema tecnico, attenderò ... »

Pensa : « Per interrompere il controllo completo del sistema ci vorrebbe ad ogni modo ben più di mezzo’ora ...

Qui dentro non si muove una piuma senza mille permessi. »

Reed si avvicina al sistema difensivo.

Reed Richards : « Non so se io sono iperapprensivo, ma non voglio correre il rischio di aver preso con leggerezza una situazione di questo tipo ... »

Reed tasta il terreno al di sotto del sistema difensivo, che è costituito da una specie di enorme muraglia elettronica quasi invisibile. In quella zona il terreno è quasi esclusivamente sabbioso, e Reed muta le proprie dimensioni allo spessore di un foglio di carta in modo da passare attraverso la sabbia senza attivare gli allarmi. Poco dopo si ritrova nel lungomare deserto, dove riprova a contattare il Quartiere Generale con la trasmittente da polso.

Reed Richards : « È il Quartiere Generale che è isolato ...

Non è certo con un intervento esterno, per quanto sofisticato, che potrebbero determinarsi queste condizioni. Sembrerebbe piuttosto una avaria ad un componente dell’elaboratore centrale.

Non può essere ... »


 

 

 

Tre

 

 

 

 

 

 

 

New York City.

Ci troviamo in un quartiere periferico e degradato, in una zona dove abitano solo persone di colore. Particolari di case e di gente che va e viene. Sui gradini della porta d’entrata di un vetusto palazzone è seduto Benjamin Grimm, pilota aeronautico e collaudatore. Davanti ai gradini, proprio sul marciapiede, si trova un gruppetto di ragazzini neri. I bambini sono disposti in cerchio, come il pubblico di un’arena, ed ascoltano estasiati i racconti di Ben Grimm.

Ben Grimm : « Allora ero arrabbiato, una di quelle rabbia di cui non è bene essere arrabbiati ... con le mie sole mani nude ho fatto rottami delle sue armature, e tutti i suoi trucchi e trucchetti e frizzi e lazzi ... c’è voluto il carro attrezzi per rimandarlo in Latveria. »

Un bambino guarda Ben con stupore : « Orpo ... »

Nel mentre sono arrivati un paio di ragazzotti, sempre di colore, che abitano nello stesso condominio dei bambini più piccoli, ed ora devono passare per i gradini dove Ben è seduto.

Il primo ragazzo parla ad alta voce con tono di scherno : « ... e questo che è ? Un grand’uomo bianchiccio di fronte alla mia porta ...»

Il secondo ragazzo del gruppo si rivolge direttamente a Ben : « Ma perché mai al mondo te ne vieni proprio qui con la tua gran faccia bianchiccia ... »

Ben si alza dinoccolando, facendo il verso ai due ragazzi.

Ben Grimm : « Bianchiccia ? Ma dove lo vedete un tipo bianchiccio ? Vedete un tipo bianchiccio qua ‘ttorno ? Io non vedo affatto tipi bianchicci qua ‘ttorno ! È meglio che ci riguardiate, ‘che non ci sono affatto tipi bianchicci qua ‘ttorno.

O voi si, piccola grande gente ? »

I bambini rispondono in coro : « Naaah ! »

Alle spalle di Ben appare una donna sui trentacinque anni, di colore, con abbigliamento ed accessori da casalinga. Si chiama Donna, ed è la madre di alcuni dei piccoli ragazzini che ascoltavano i racconti di Ben. Tra parentesi i suoi figli si chiamano George, Abrahm, Martin e John (sic).

Donna parla ad alta voce con tono perentorio, rivolgendosi prima ai ragazzi più grandicelli che stanno canzonando Ben, quindi ai propri figli nel gruppetto dei bambini più piccoli.

Donna : « Okay, okay, fratelli Eddiemurphy, veloci a casa che sta facendo tardi ...

Anche voialtri, popolo raccontami-una-storia, a lavarvi le mani, e in fretta !

Ora salutate lo zio Ben ... »

I bambini tutti assieme : « Ci vediamo ... »

I ragazzi piu grandi si rendono conto solo in quel momento che la persona che hanno di fronte è il famoso Ben Grimm.

Il primo ragazzo : « Cioè ! Lui è Ben Grimm, la Cosa !

Hey amico, davvero ! »

Donna alza la voce : « Svelti ! »

In un attimo tutti i bambini sono entrati nel condominio. Ben e Donna restano soli.

Donna : « Da quando ti stai occupando dei bimbi, sono divenuti studiosissimi e mi danno tante soddisfazioni ... »

Ben Grimm : « No, non sono io che mi sto occupando di loro, sono loro che hanno imparato ad occuparsi di sé stessi, ed un po’ anche mi me ... Mi chiamano “fratellone” ! »

Donna : « Come io vorrei chiamarti “il mio uomo” ... »

Ben ha un attimo di imbarazzo, ed abbassa gli occhi. In quel mentre suona il telefono cellulare[2] di Ben.

Ben : « Scusa ...

Suzie ? »

Susan Strom Richards dal telefono : « Ben., puoi essere al Quartiere Generale in breve tempo ...

Non so se la cosa abbia qualche peso : qui ho delle difficoltà con gli automi. E poi non riesco a mettermi in contatto con Reed ! »

Ben Grimm : « Sono da te a minuti ... »

Ben mette giù il telefono

Ben Grimm : « Donna, prendiamoci uno o due giorni per pensarci su ... »

Donna : « Abbi cura di te stesso. »

Ben Grimm : « Ci provo »

Cielo. Tramonto


 

 

 

Quattro

 

 

 

 

 

 

 

Un aeroporto europeo (la località non è specificata[3]) da dove partono le operazioni aeree dei caschi blu nella ex-Yugoslavia. Vi si trova ora, in missione per l’ONU, anche Johnny Storm, studente ( ? ), fratello di Susan e collaboratore di Reed Richards nei Fantastici Quattro.

Johnny Storm :« Maggiore, sono in partenza, la ringrazio sentitamente per la disponibilità ! »

Maggiore : « Il vostro aiuto ci è prezioso ... »

Johnny Storm : « Ci vediamo la prossima settimana, appena il Dottor Richards avrà elaborato i dati ...

Buonanotte ! » (Fuori campo.)

Successione di immagini. L’aereo di Johnny Storm si alza dalla pista illuminata di notte. Inizia il viaggio di ritorno. D’un tratto si apre il portellone della calotta sopra il posto di guida, ed il sedile di Johnny viene espulso, attivando nel contempo il paracadute.

Johnny Storm, pensa : « E adesso ? Il sistema di bordo mi ha espulso senza preavviso

Devo recuperare il velivolo prima che precipiti ...

Hey, mi sparano addosso ! Cribbio ! ... »

SI vedono i lampi della contraerea, ed infine l’aereo in fiamme che precipita sopra un bosco. Johnny, che aveva intanto attivato i suoi poteri di combustione, si confonde nel finimondo.»


 

 

 

Cinque

 

 

 

 

 

 

 

Quartiere Generale dei Fantastici Quattro a Manhattan. È quasi notte. Dalla vetrata di uno degli appartamenti si vede la città circostante. All’interno c’è Susan Storm con il figlio Franklin. Stanno leggendo un libro.

Susan Storm : « Intanto completiamo il commento allo Statuto delle Nazioni Unite. Le ere geologiche le lascio alla proprietà di tuo padre ... »

Franklin annuisce.

Franklin Richards : « Allora, è in seguito alla conferenza di San Francisco che nel 1945 si dava corpo allo statuto, la cosiddetta “Carta di San Francisco”. In un primo momento il numero degli stati membri dell’ONU era di cinquantuno ... »

Susan Storm : « Scusa Franklin, è qui Ben ! »

Ben Grimm : « Allora ? ! »

Susan Storm : « Reed ha chiamato poco fa da una cabina telefonica della spiaggia di Long Island. Pare che il problema sia limitato al sistema informatico. »

Ben Grimm : « Me ne sono accorto mio malgrado ! Qui non funziona niente ! »

Susan Storm : « Non è proprio così ... se si attua una diagnosi del sistema, sembra che le periferiche non abbiano guasti apparenti, ma il sistema non le riconosce ! »


 

 

 

Sei

 

 

 

 

 

 

 

Long Island, notte fonda. Reed Richards è rientrato nel palazzo del convegno ed è a colloquio con il Dottor James Huston, il presidente del convegno stesso.

James Huston : « Dottor Richards, conti sulla mia collaborazione più incondizionata. Spero comunque che questo inconveniente non le impedisca di partecipare alle prossime sessioni dei lavori »

Reed Richards : « Me lo auguro ! »

Entra un agente di sicurezza e porge dei fogli al Dottor Huston.

Agente di sicurezza : « Il suo rapporto, Dottor Huston. L’analista prega di esaminare questo tracciato. Nel pomeriggio abbiamo rilevato un animale sconosciuto mentre attraversava il muro elettronico, da sotto la sabbia. Ha delle proprietà di polimorfismo, vede ... come Mr. Fantastic ! »

Reed arrossisce.

Reed Richards : « Temo che quel trattato mi riguardi ! »

L’agente di sicurezza si illumina in viso.

Agente di sicurezza : « Il Dottor Richards ! Già, è vero ... lei “è” Mr. Fantastic ! »

Il Dottor Huston guarda la relazione con gli occhiali posati sulla punta del naso.

James Huston : « È risaputo ... »

Agente di sicurezza : « Pensi che neanche l’archivio centrale aveva fatto il collegamento ... »

Il Dottor Huston lancia un’occhiata a Reed, come per domandarsi “in quali mani ci ritroviamo”. D’un tratto si mettono a suonare contemporaneamente, a basso volume ma incessantemente, una serie di aggeggi elettronici, tra quelli che si trovano sulle pareti dello studio del Dottor Huston, ed altri che appartengono alla dotazione dell’uniforme dell’agente di sicurezza. Quest’ultimo prende il mano il walkie-talkie e parla con un suo superiore.

Agente di sicurezza : « Stiamo ricevendo una comunicazione di massima allerta da una delle frequenze che il Pentagono ha assegnato ai Fantastici Quattro ! Viene dal mare Adriatico ! »

Reed Richards : « Presto mi faccia vedere ! »

Accendono un terminale che si trova nella parete dello studio di Huston.

Reed Richards : « Non ricordo quel identificativo. Collego la trasmissione al mio archivio del mio computer da polso. Mi dia l’accesso al server. »

Agente di sicurezza : « Non so se posso ... »

James Huston : « Si sbrighi, la autorizzo io ! »

Agente di sicurezza : « Non posso collegarla, ho bisogno dell’autorizzazione del Dipartimento della Difesa ! »

Reed Richards : « Lasci stare, mi ridia il segnale a video, che faccio una scansione. Ci vorrà qualche istante in più ... »

Reed armeggia con il suo computer portatile ed ottiene dei risultati che lo mostrano preoccupato.

James Huston : « Cosa significa ? ! »

Reed Richards : « Proviene dal computer di bordo dell’aereo di mio cognato Johnny Storm, durante il viaggio di ritorno dall’ex-Yugloslavia dove stava partecipando ad una missione ONU. Alcuni elementi del messaggio sono dei codici di errore che vengono forniti dall’auto-diagnosi della macchina. Sicuramente in queste condizioni il velivolo non è in condizione di viaggiare. »

James Huston, altrettanto preoccupato : « Vedo ... la procedura di invio farebbe supporre una richiesta di soccorso ... »

Reed Richards : « Lo è, infatti ...

E la cosa mi preoccupa.

Il codice identificativo del mittente equivale ad un numero di serie interno di un componente del sistema informatico di bordo. In altre parole, è la macchina che ci sta chiamando ! ! ! »

 

 

 

 

 

 

 

FINE DELLA PRIMA PARTE (DI QUATTRO)



[1] Qui manca un pezzo, sorry ! ! (Scritto a matita nelle pagine originali - nota del settembre 1998)

[2]All’epoca della stesura originale la parola “cellulare” riferita ad un telefono portatile non apparteneva ancora al linguaggio comune, ed qui è aggiunta nella versione del 1998 per maggior chiarezza espositiva. Certamente i Fantastici Quattro sin dagli anni sessanta utilizzavano trasmittenti da polso e da cintura, nonché molte altre diavolerie simili, dunque il fatto che Ben, in questa storia, utilizzasse un telefono portatile era un fatto assolutamente attendibile - anche si fosse trattato dell’unico modello al mondo. Si noti che Ben utilizza un telefono portatile assai simile ai cellulari attuali, mentre Reed poco prima disponeva della più canonica “trasmittente da polso”. ( N. d. A. - giugno 1998 )

[3] Potrebbe intendere che si tratta di una base Nato, ad esempio Aviano, nel nord d’Italia ; in realtà qui si tratta di un’ipotetica base aerea provvisoria delle forze armate degli Stati Uniti d’America, situata da qualche parte nel territorio balcanico.


INDEX