Alberto Mattone - Repubblica - 29 marzo 2004
   

Roma, immigrati in fila per votare

In fila, ordinatamente, sin dalle prime ore del mattino. Non per il permesso di soggiorno, nemmeno per chiedere asilo politico. Ma per votare quattro consiglieri comunali aggiunti, che siederanno in Campidoglio, in mezzo agli scranni degli altri partiti. Ieri, Roma ha portato alle urne la capitale invisibile degli immigrati, quella senza cittadinanza né diritti, che lavora e paga le tasse, tifa Totti e Corradi, e che adesso vuol far sentire la propria voce.
Ci sono voluti dieci anni di battaglie, di petizioni popolari e raccolta di firme, di scontri con An. Nel ?96, arrivò la prima proposta di modifica dello statuto comunale, e il partito di Fini issò un tricolore stracciato sul pennone più alto del Campidoglio, per difendere i «valori minacciati dell´italianità». Ieri, Roma ha voltato pagina, ha aperto, forse, la strada al voto amministrativo per gli extracomunitari. E gli stranieri hanno colto l´occasione, hanno risposto a questo primo esperimento, in 33 mila (su 280 mila tra residenti e irregolari che vivono nella capitale) si sono iscritti alle liste. Hanno animato una campagna elettorale artigianale ma vera, portata avanti con poveri mezzi. E ieri, come dimostra la discreta affluenza registrata alla chiusura dei seggi, 57,3%, sono andati alle urne in tanti, in 18.917, nonostante la novità, lo scarso tempo a disposizione, la diffidenza verso la burocrazia italiana. Sventolando come una bandiera il certificato elettorale, dicendo «grazie Roma».
«È un inizio, ma oggi si apre un´era di speranza», dice Abdul, un fioraio del Bangladesh di piazza Vittorio. È in fila nel seggio centrale di via Petroselli, dietro a suore filippine, a indiane avvolte nel tradizionale sari, a immigrati marocchini col vestito nazionale, a nigeriani con la scheda stretta tra le mani, a badanti ucraine col santino del proprio candidato. A stranieri venuti da paesi senza libertà civili e politiche, e che per questo votano per la prima volta. Varcano la soglia del seggio con pudore, con l´impaccio di chi non ha mai visto una scheda.
L´affluenza è buona in tutta la città, il seggio del centro storico viene raggiunto da migliaia di immigrati già dalla mattina, nonostante sia isolato dalle transenne della polizia municipale, che vigila sui podisti della maratona di Roma. «È una grande giornata per la democrazia», sorride Walter Veltroni, ieri mattina a via Petroselli per verificare le operazioni di voto. Il sindaco di Roma vede nelle prime elezioni multietniche «una grande opportunità per la capitale, quella di sentirsi compiutamente e istituzionalmente una città integrata». «Il prossimo passo - aggiunge - sarà il diritto di voto per le amministrative».
Roma è la prima metropoli che dà cittadinanza istituzionale agli immigrati. Iniziò nel ?93 Nonantola, provincia di Modena, fu seguita da qualche piccolo Comune della Toscana e della Liguria. Anche a Lecce, uno straniero siede nell´assemblea municipale. Ma è nominato dall´alto, dal sindaco Adriana Poli Bortone. La capitale, con una delibera presentata nel 2003 dal verde Silvio Di Francia e sponsorizzata dal sindaco Veltroni, ha scelto la strada elettorale. E il coinvolgimento delle comunità nazionali, radicate in città da molti anni, come quella filippina e cinese. O di nuova immigrazione, come la rumena, adesso la più numerosa.
Erano 51 i candidati per il consiglio comunale (223 se si conta anche chi correva per i 19 municipi). I risultati definitivi arriveranno stamattina: entreranno in Comune in quattro (ci dovrà essere una donna), uno per ogni continente, anche se è valido il voto trasversale. Non potranno votare le delibere, ma presentare mozioni e interrogazioni, partecipare alle commissioni. Gli immigrati, avranno, soprattutto, diritto di parola nell´agorà cittadina, nel luogo politicamente più rappresentativo di Roma, l´aula di Giulio Cesare in Campidoglio. Da oggi i partiti, prima di decidere, dovranno sentire anche loro.

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