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Roma, immigrati in fila per
votare
In fila, ordinatamente, sin dalle prime ore del
mattino. Non per il permesso di soggiorno, nemmeno
per chiedere asilo politico. Ma per votare quattro
consiglieri comunali aggiunti, che siederanno
in Campidoglio, in mezzo agli scranni degli altri
partiti. Ieri, Roma ha portato alle urne la capitale
invisibile degli immigrati, quella senza cittadinanza
né diritti, che lavora e paga le tasse,
tifa Totti e Corradi, e che adesso vuol far sentire
la propria voce.
Ci sono voluti dieci anni di battaglie, di petizioni
popolari e raccolta di firme, di scontri con An.
Nel ?96, arrivò la prima proposta di modifica
dello statuto comunale, e il partito di Fini issò
un tricolore stracciato sul pennone più
alto del Campidoglio, per difendere i «valori
minacciati dell´italianità».
Ieri, Roma ha voltato pagina, ha aperto, forse,
la strada al voto amministrativo per gli extracomunitari.
E gli stranieri hanno colto l´occasione,
hanno risposto a questo primo esperimento, in
33 mila (su 280 mila tra residenti e irregolari
che vivono nella capitale) si sono iscritti alle
liste. Hanno animato una campagna elettorale artigianale
ma vera, portata avanti con poveri mezzi. E ieri,
come dimostra la discreta affluenza registrata
alla chiusura dei seggi, 57,3%, sono andati alle
urne in tanti, in 18.917, nonostante la novità,
lo scarso tempo a disposizione, la diffidenza
verso la burocrazia italiana. Sventolando come
una bandiera il certificato elettorale, dicendo
«grazie Roma».
«È un inizio, ma oggi si apre un´era
di speranza», dice Abdul, un fioraio del
Bangladesh di piazza Vittorio. È in fila
nel seggio centrale di via Petroselli, dietro
a suore filippine, a indiane avvolte nel tradizionale
sari, a immigrati marocchini col vestito nazionale,
a nigeriani con la scheda stretta tra le mani,
a badanti ucraine col santino del proprio candidato.
A stranieri venuti da paesi senza libertà
civili e politiche, e che per questo votano per
la prima volta. Varcano la soglia del seggio con
pudore, con l´impaccio di chi non ha mai
visto una scheda.
L´affluenza è buona in tutta la città,
il seggio del centro storico viene raggiunto da
migliaia di immigrati già dalla mattina,
nonostante sia isolato dalle transenne della polizia
municipale, che vigila sui podisti della maratona
di Roma. «È una grande giornata per
la democrazia», sorride Walter Veltroni,
ieri mattina a via Petroselli per verificare le
operazioni di voto. Il sindaco di Roma vede nelle
prime elezioni multietniche «una grande
opportunità per la capitale, quella di
sentirsi compiutamente e istituzionalmente una
città integrata». «Il prossimo
passo - aggiunge - sarà il diritto di voto
per le amministrative».
Roma è la prima metropoli che dà
cittadinanza istituzionale agli immigrati. Iniziò
nel ?93 Nonantola, provincia di Modena, fu seguita
da qualche piccolo Comune della Toscana e della
Liguria. Anche a Lecce, uno straniero siede nell´assemblea
municipale. Ma è nominato dall´alto,
dal sindaco Adriana Poli Bortone. La capitale,
con una delibera presentata nel 2003 dal verde
Silvio Di Francia e sponsorizzata dal sindaco
Veltroni, ha scelto la strada elettorale. E il
coinvolgimento delle comunità nazionali,
radicate in città da molti anni, come quella
filippina e cinese. O di nuova immigrazione, come
la rumena, adesso la più numerosa.
Erano 51 i candidati per il consiglio comunale
(223 se si conta anche chi correva per i 19 municipi).
I risultati definitivi arriveranno stamattina:
entreranno in Comune in quattro (ci dovrà
essere una donna), uno per ogni continente, anche
se è valido il voto trasversale. Non potranno
votare le delibere, ma presentare mozioni e interrogazioni,
partecipare alle commissioni. Gli immigrati, avranno,
soprattutto, diritto di parola nell´agorà
cittadina, nel luogo politicamente più
rappresentativo di Roma, l´aula di Giulio
Cesare in Campidoglio. Da oggi i partiti, prima
di decidere, dovranno sentire anche loro.
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