8.4. LA PITTURA TRA IL XV E IL XVIII SECOLO - PARTE III

In aperta polemica con la scuola classica del Solimena, è la cultura di Filippo Pennino, di origini beneventane ed attivo nel nostro territorio nell’ambito della committenza arcivescovile, più orientata verso una leggerezza rococò che presenta i personaggi privi di austera fisionomia e sempre immersi in una luce calda e dorata di tipo giordanesco. A lui è attribuita una delle più interessanti opere pittoriche esistenti a Salerno, la volta della cappella del tesoro del Duomo di Salerno, detta il Paradiso Salernitano, in quanto vi sono raffigurati tutti i Santi che direttamente o indirettamente hanno avuto un legame con la città: S. Matteo con l’Angelo, Caio, Fortunato e Anthes. La struttura dell’opera riprende quella delle volte barocche con uno sfondato illusionistico che dilata lo spazio del cielo con raffigurazioni eteree. Il ruolo di antagonista nei confronti del Solimena fu assunto dal pittore cilentano Paolo de Matteis il quale, dopo un periodo di formazione romana e i contatti con Giordano, trovò ampia affermazione in area meridionale, anche a seguito del successo riscosso presso le principali corti europee.

Figura 8. 23. Filippo Pennino: Volta della cappella del tesoro del Duomo di Salerno

Tra le sue opere: l’Adorazione dei pastori di Santa Maria della Vittoria a Barletta, il Matrimonio Mistico di Santa Caterina d’Alessandria oggi in collezione privata a Napoli; è certamente della sua bottega la Vergine Annunziata presso la Pinacoteca Provinciale.

Figura 8. 24. Bottega di Paolo de Matteis: Vergine Annunziata

Figura 8. 25. Michele Ricciardi: Vergine con Santi

A porre in discussione la propensione filo-romana e l’affermazione del linguaggio del Solimena, intervenne, con una personalità nuova che aveva raggiunto una sua dimensione, Michele Ricciardi. Tra le sue opere: la Visione di S. Idelfonso nella sacrestia di S. Giorgio; la Madonna con Bambino tra S. Filippo Neri e S. Francesco ora al museo Diocesano; le Allegorie della Fede; l’intera decorazione della chiesa di Santa Maria di Montevergine a Salerno; la Pentecoste sull’altare maggiore della chiesa di S. Michele; l’Assunzione della Vergine della Congregazione del Rosario di Fisciano e il Transito di s: Giuseppe della sacrestia del Duomo di Nocera.
Le novità introdotte dall’ignoto seguace del Ricciardi, a cui vanno attribuite le due lunette e l’affresco raffigurante la Gloria dei Beati nel Duomo di Salerno, presuppongono un accrescimento culturale dovuto a nuove conoscenze, in particolare quelle venete.

Una spinta verso nuovi orientamenti artistici, orientati verso nuove istanze di decoro, di eleganza formale e di sicurezza compositiva, espressi dal classicismo romano piuttosto che dalla tradizione locale, fu imposta dalla Corte ferdinandea verso la metà del XVIII secolo.
A questo mutamento di tendenze contribuì in maniera determinante il definitivo trasferimento a Napoli di Luigi Vanvitelli, che fin dall’inizio manifestò una evidente repulsione verso l’arte figurativa del Giordano e del Solimena, seguito da lì a poco da Ferdinando Fuga e da Sebastiano Conca, l’illustre esponente del classicismo romano che a lungo avrebbe rappresentato la risposta più soddisfacente alle nuove esigenze di decoro della Corte e della committenza locale.
Di fronte a questo nuovo orientamento, espresso anche dalla locale Accademia di Pittura, gli artisti di lontana e recente formazione solimenesca, si adattarono come poterono, riuscendo in qualche caso ad elaborare, e non senza un’iniziale confusione di idee, un linguaggio moderatamente razionalizzante. Così fece il più noto e fortunato allievo del Maestro, Francesco De Mura, a cui si deve il S. Tommaso nella chiesa di S. Domenico a Salerno, che per quasi mezzo secolo, grazie alla sua pittura lieve e rischiarata, riscosse il favore incondizionato della committenza italiana ed europea.

Figura 8. 26. Sebastiano Conca: Battesimo di Gesù

 

Figura 8. 27. Francesco di Mura: Generosità

Figura 8. 28. Nicola Peccheneda: Pietà (Chiesa di S. Maria dei Greci a Polla)

Non mancano comunque posizioni moderatamente anticlassiche, in una dimensione di preferenza vanvitelliana ormai acquisita in modo definitivo nel discorso etico-religioso, come quelle espresse da Lorenzo de Caro, Domenico Mondo e Giovan Battista Rossi a cui si deve il S. Francesco che dà le regole alle clarisse, nella chiesa di S. Michele a Salerno.
A questi artisti sembra rivolgere il suo interesse il giovane Nicola Peccheneda, un artista del Vallo di Diano, a torto poco conosciuto dalla critica, che svolse nel nostro territorio, a partire dal 1760, una frenetica attività pittorica che lo vide impegnato in tutta l’area vallese-lucana per oltre 30 anni, tanto che difficilmente riusciremo a trovare chiese o cappelle che non conservino i segni della sua produzione elegante e raffinata.
Legato ad un linguaggio pittorico di stampo neoclassico della componente solimeniana, il Peccheneda riesce a trasferire nelle sue opere con grande abilità immagini virtuosistiche aderenti ad un solenne equilibrio compositivo e ad una non comune immediatezza espressiva.
Tra le sue opere: il ciclo decorativo della chiesa di S. Biagio ad Altavilla Silentina; la decorazione della chiesa di Caggiano; il ciclo della chiesa di Santa Maria Maggiore di Atena Lucana; il ciclo per gli altari e il soffitto della chiesa di Santa Maria dei Greci a Caggiano e tantissime altre opere disseminate per tutto il Cilento.