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Alcune tra le più belle pubblicazioni

 

 

ARALDICA GONZAGHESCA – LA STORIA ATTRAVERSO I SIMBOLI

269 pp., 258 ill. col., Il BULINO edizioni d’Arte, Modena 1992.

 

In questo libro, ripercorro la storia gonzaghesca, analizzando innumerevoli vicende da un singolare punto di osservazione: i simboli.

La lettura – o meglio blasonatura – degli stemmi gonzagheschi consente infatti non solo di interpretare sotto il profilo storico-simbologico molte delle questioni nobiliari che in quasi quattrocento anni di regno interessarono la famiglia, ma anche di datare atti ed eventi specifici che, in alcune occasioni, risultavano di difficile collocazione temporale.

Lo stemma Gonzaga che nel 1328 si esprime attraverso una partizione costituita da un fasciato  d’oro e di nero, nel 1707,  subentrato il ramo cadetto dei Gonzaga-Nevers, quando la dinastia si estingue ed il ducato è avocato alla giurisdizione e controllo diretto dell’Imperatore, lo stemma che contraddistingue le insegne della famiglia è formato da ben 39 quarti che, nei fatti, proiettarono la schiatta mantovana tra le più significative d’Europa.

L’analisi dello stemma Gonzaga svela risvolti misteriosi di grande fascino che solo una lettura come quella dei simboli può riservare. Conoscere gli accadimenti dinastici trovandone prova nei misteriosi  simboli proposti nell’arme nobiliare, può riservare piacevoli emozioni ed una conoscenza diversa dei “passi della storia”.

Di grande interesse anche le “avventure” relative agli Ordini Cavallereschi acquisiti dai principi di Casa Gonzaga, che si inquadrano specificamente nella più complessa questione dei privilegi araldici.

Nel complesso uno studio che nel 1992, quando fu dato alle stampe, esaurì la tiratura in  pochi mesi. Il desiderio di leggere la storia filtrata attraverso i simboli  dimostrò che il libro aveva sondato un terreno vergine ed affrontato un percorso suggestivo e vincente.

Una seconda edizione, riveduta ed ampliata, corredata da un apparato iconografico straordinario, sarà pubblicata entro qualche anno.

 

 

 

 

IL MITO DEI CAVALLI GONZAGHESCHI – ALLE ORIGINI DEL PUROSANGUE

279 pp., 48 ill. colori, 48 b.n., Editrice  PROMOPRINT, Verona 1995.

 

Il mito dei destrieri dei Gonzaga entra prepotentemente nella storia e più di cent’anni di vicende, dalla metà del XV alla metà del XVI secolo, si intersecano incessantemente con quelle degli splendidi animali, allevati e coccolati presso le scuderie gonzaghesche di Mantova, Gonzaga, Sermide, Pietole.

L’analisi della vita nelle scuderie e negli allevamenti ha preso gran parte del nostro intervento, perché è proprio da questo che si può trarre la misura del rapporto uomo-cavallo, che imponeva ad entrambi sacrificio e metodo. Si pensi ad esempio alla questione veterinaria, per molti versi fondamentale nel processo di creazione della razza, eppure affrontata spesso con sistemi empirici che oggi non possono che muoverci al sorriso. Ma allora era così; entravano in gioco l’astrologia con la scienza medica e la farmacia, la superstizione con la chirurgia, e nessuno dubitava che si procedesse sempre per il meglio.

Complessivamente la ricerca, mirata ad esprimere compiutamente quello che si incarnò – e per quasi tre secoli -  ad autentico mito, affronta tutte le  sfaccettature relative alla  famosissima “raza nostra de casa” creata da Francesco II Gonzaga, una razza di corridori che vinse per trent’anni le corse del palio in ogni parte d’Italia.

Tra le varie notazioni, due di particolare importanza: lo studio ci ha consentito di definire una  vicenda più specificamente attinente la Storia dell’Arte, in quanto dimostrato attraverso i documenti che Giulio Romano nel famosissimo  Palazzo Te di Mantova, non dipinse - per la prima volta in Italia -  il ritratto dei cavalli, ma con ogni probabilità li copiò da disegni preesistenti o li eseguì su indicazione di chi li aveva visti e accarezzati; tra questi il morello “Morel Favorito”,  morto  il 19 ottobre del 1524, ben prima che Giulio Romano approdasse alla corte dei Gonzaga.

La seconda emergenza di carattere storico riguarda il purosangue d’Inghilterra, influenzato geneticamente dal cavallo mantovano. I cavalli dei Gonzaga ed intere mandrie furono infatti mandate per due secoli in Inghilterra a ripopolare le scuderie inglesi piene solo di lentissimi cavalli di Scozia.

Ai famosissimi purosangue Byerley Turk, Godolphin Arabian e Darley Arabian, progenitori dei purosangue di tutto il mondo, vennero infatti date le figlie delle cavalle gonzaghesche colà inviate  a cominciare dal 1514, anno in cui Francesco II Gonzaga mandò al re Enrico VIII quattro straordinari stalloni a nome Altobello, Castano, Governatore e Saltasbarra che fecero letteralemnte impazzire, per la loro bellezza, velocità e bravura, il monarca inglese.

 

 

 

IL PALAZZO DUCALE DI MANTOVA – IMMAGINI DA UN  SOGNO DINASTICO

207 pp., Illustrazioni a colori (fotografie di Toni Lodigiani), ROSSI EDIZIONI, Mantova 1997

 

Il contributo nasce per l’amore che alla Reggia dei Gonzaga mi lega; per la suggestione profonda che esso esercita su di me e su ogni studioso o visitatore, pur ignaro, che ne ripercorra le  gaie stanze, i lunghi corridoi, le formidabili ed immortali sale.

Nasce per il piacere di cogliere un poco di più in profondità l’essenza del vetusto monumento, frutto di quattrocento anni di interventi, specchio  di un sogno dinastico mai finito di sognare, di drammi, gioie grandi e tragedie senza fine, espressione inimitabile di sentimenti spesso esasperati e contrastanti, e del sanguigno temperamento della famiglia dominante, mai domo, mai prono.

Ed, insieme ai testi, sono le immagine, sapide e fascinose, a farsi esse stesse momento di ricerca e di indagine, a sollecitare la realizzazione  di un percorso ottimale “di luce” che il visitatore, come lo storico, come il lettore, manterrà gelosamente custodito nella propria memoria, dopo aver reso silenzioso omaggio agli antichi muri sui quali ancora si riverberano le voci dei personaggi che tanta storia seppero costruire.

 

La Reggia dei Gonzaga è, in verità, molto più che un monumento. E’ una città essa stessa; è una specie di continuata celebrazione del Gotico, del Rinascimento, del Manierismo italiani; è uno sfaccettato prisma che elude i punti di vista; è come un gioco degli specchi dove la Bellezza insegue la Bellezza.

A questo universo mi sono approssimato attraverso un percorso diverso; attraverso la lettura dei simboli, degli stemmi, degli emblemi, delle pietre e di quella fantastica ed infinita storia che parla di giostre e tornei, di mitologiche gesta che, soprattutto nella “Sala di Troia”, trovano un singolare e straordinario momento di verifica.

 

 

 

 

 

 

 

BARBARA HOHENZOLLERN DEL BRANDEBURGO – IL POTERE E LA VIRTU’ (Die Macht und die Tugend).

238 pp. ; 74 illustrazioni a colori, Rezzato (BS) 1997, Magalini Editrice Due

 

Viene in questo libro ripercorso il cammino di Barbara Hohenzollern, dei margravi del Brandeburgo, per volere dell’imperatore Sigismondo IV di Lussemburgo promessa sposa a Ludovico Gonzaga, figlio del primo marchese di Mantova Gianfrancesco.

Se ne venne in Italia all’età di soli 11 anni, ignorante di costumi tradizioni e lingua, con nella mente il ricordo struggente della sua famiglia e della sua terra, nella quale non torno mai più.

Cominciarono presto per lei le vicissitudini nelle quali l’orgoglio del suo sposo la precipitarono, senza tenere conto della sua gioventù e insicurezza, del travaglio grave che una vita così frenetica le procurava, sola com’era in una Corte straniera.

Ma lei, la dolce Barbara, divenne la Signora di Mantova ad ogni effetto, costruendo giorno dopo giorno quella storia parallela, umile, silenziosa, scevra di recitazioni, protagonismi e pompa, che i secoli si sarebbero incaricati di innalzare al rango di grande storia, perché Barbara al fianco di Ludovico II concorse, e non in lieve misura, alla creazione di quella Mantua felix che narra di Vittorino da Feltre, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Luca Fancelli, i cui bagliori ancora ci accecano.

Poi divenne vecchia Barbara; vecchia come poteva esserlo una donna di quasi sessant’anni alla fine del Quattrocento. Invecchiata da undici figli, dal travaglio della loro crescita, dalla morte di tre di essi e da quella del suo Ludovico che, pur concedendosi qualche “svago” femminile, seppe amarla teneramente.

Ma la vecchiaia non la impressionò, né il declassamento subìto da parte del figlio Federico I, ed affrontò entrambi gli accidenti come si conveniva ritirandosi a vivere senza polemizzare, senza recare fastidi, tranquilla e serena come quando era al primo posto sul trono di Mantova.

Un contributo dunque mirato a far sì che si mantenga  maggiore e più sentita memoria di questa pur schiva e silenziosa sovrana.

 

 

 

 

 

LE CACCE DEL PRINCIPE – L’ARS VENANDI NELLA TERRA DEI GONZAGA

240 pp; 200 illustrazioni a colori, Modena 1998, Il Bulino Edizioni d’Arte

 

I Gonzaga parteciparono sempre con entusiasmo alla caccia, a quel rito profano che i contemporanei sentivano come espressione della potenza del Principe, efficace strumento che ne legittimava il prestigio e che fungeva  da cassa di risonanza in un più ampio contesto dinastico e di nobiltà. Battute in onori di ospiti, quali re, imperatori, papi, realizzavano il  desiderio del Principe di affermare il proprio rango e carisma, diventando significativo strumento politico.

E dopo le battute di caccia, la gioia del convivio, festoso e rumoroso, intorno alla tavola sontuosamente imbandita, a sancire la coesione ideale dei commensali in un momento di interazione denso di simbologie  che definiva compiutamente la figura  di Potens bellator  incarnata dal Principe.

 Al contempo, la necessità di garantire la presenza di abili predatori e di abbondanti prede, richiedeva al Principe tanto il preliminare allevamento di cani e di falconi, quanto efficaci controllo e tutela dei boschi, dello stato di rive e canali, del complesso sistema idrico e fluviale.

Questo studio sull’ars venandi, mentre persegue l’ambizioso progetto di tracciare un quadro approfondito sulla pratica venatoria nel territorio mantovano, sviluppa tutti i necessari presupposti perché la microstoria gonzaghesca si erga ad emblematico exemplum  per tutto il mondo curtense, dall’Età medievale al XVI secolo.

In tal senso è improntata la ricchissima dotazione illustrativa del libro, che si avvale, oltre che dell’iconografia specifica mantovana, delle più belle immagini dell’arte europea e soprattutto dei capolavori miniati conservati nei codici di biblioteche italiane ed estere.

 

 

 

 

SULLA MENSA DEL PRINCIPE – ALIMENTAZIONE E BANCHETTI ALLA CORTE DEI GONZAGA

328 pp.; 182 illustrazioni a colori e b.n., Modena 2000, Il Bulino Edizioni d’Arte

 

Se la tematica gastronomica costituisce materia sempre appetibile, la rievocazione delle tradizioni e lo studio particolareggiato dei cibi e dei vini imbanditi per il Principe rinascimentale svela suggestioni di grande fascino, con risvolti di interesse non solo culinario, ma anche artistico, letterario, politico.

In questo libro analizzo  in primo luogo l’organizzazione tra il Quattrocento ed il Seicento, del “sacro recinto” della Corte Corte gonzaghesca – assunta anch’essa come exemplum storico dilatabile a tutto il sistema curtense europeo – nel quale si registra una struttura gerarchica finalizzata alla determinazione di un modello di vita privilegiata per il signore e per l’ampia schiera dei cortigiani.

Di seguito prendo in esame il banchetto come  momento centrale della vita di Corte, durante il quale, oltre ai risvolti scenografici e coreografici, si manifestano intenti politici e diplomatici, ambizioni dinastiche ed inventive artistiche, ineluttabilmente mescolati a sentimenti, suoni, odori e riti; una congerie di elementi compositi utili a identificare la dimensione culturale di un fenomeno di straordinario interesse e sorprendenti rivelazioni.

In ragione di un’ampia ricerca sui documenti originali, propongo curiosità e problematiche afferenti la questione alimentare: cerimoniali, etichetta, approvvigionamenti, ordini ai dispensieri, affannose ricerche di sapori e profumi, di carni, verdure e frutti, di speciali leccornìe.

 La minuziosa trascrizione delle carte d’archivio mi ha consentito il ritrovamento di antiche ricette, rimaste sepolte per secoli  in attesa di essere rielaborate.

Oltre al momento solenne del convivio particolare attenzione ho riservato alle cibarie costituite da formaggi, salumi, confetture, frutta e verdura; un intero capitolo è riservato al pesce ed alla questione Quaresimale, così come al vino, con pagine dense di informazioni e curiosità.

L’ampia appendice di documenti, la trascrizione di alcuni solenni banchetti, l’indice di ben 3500 antichi lemmi di natura gastronomica ed alimentare, confermano la novità dello studio, che volutamente non ripercorre le ormai estenuate pagine dei Folengo, Messisbugo, Stefani,  Scappi, ma offre, attraverso di un inedito sentiero di ricerca, una diversa e più approfondita lettura del fenomeno Cucina nei secoli scorsi.