_Riflessioni sul telaio:
                       misura,      
strumento, n dimensioni
_Tempo prima dimensione 
  dello spazio 
   (articolo Prof. Saggio)
     +riflessioni


_Mondi antichi,nuovi 
  generatori: 
                     protesi tecnologiche e
                     possibili decostruzioni    

_informazione/architettura: crisi e possibili risposte.

 

Antonino Saggio

tempo, prima dimensione dello spazio

L'umanità è capace con sorprendente abilità di assimilare un progresso tecnologico che annulli
distanze e che cambi anche radicalmente abitudini e comportamenti: un esempio è la
differenza tra il "chi è" e il "dove sei" legato alla nascita dei cellulari, o il fatto di parlare e
vedersi ovunque, o l'ibridarsi continuamente con l'artificio o il combinarsi biologicamente in
maniera impensabile sino a qualche anno fa per procreare, donare, eccetera.
Pur se questi cambiamenti hanno un tempo molto rapido di penetrazione, permane una
forma mentìs basata sull'insegnamento scolastico degli assoluti del sistema cartesiano,
newtoniano e, per gli architetti, mongiano.
Interrogarsi sulle conseguenze delle innovazioni tecnologiche e sul significato di altre ipotesi
scientifiche è però necessario anche se scuote alcune delle consuetudini del fare architettura.
In questo intervento in particolare vorrei sfidare la struttura mentale che vede nello spazio
e nel tempo delle quantità oggettive.
Gli architetti pensano di plasmare una cosa che "è", non pensano di poter creare essi stessi
il tempo e lo spazio.
È una questione rilevante in particolare se si connette questa indagine al più generalizzato
cambiamento da un paradigma meccanico (e oggettivo) e uno informatico e soprattutto
soggertt/o.
L'intervento illustra una serie di concetti,fornisce argomentazioni, suggerisce
sperimentazioni e soprattutto formula alcune definizioni.
La prima condizione da cui conviene partire è quella che sostiene che proprio il tempo è la
prima dimensione delio spazio [1].

Il tempo non è affatto una quarta dimensione dello spazio ("perché tutto si muove, tutto
è relativo" come spesso orecchiando un poco di relatività viene detto) ma è proprio il tempo
l'unico modo di descrivere uno spazio.(Per convincersene basta porsi In una condizione
artificiosamente limitata; una stanza buia oppure uno spazio a una sola dimensione,
come spiego in nota)'. Vale la pena sottolineare che dalla prima formulazione deriva direttamente
una seconda che sostiene che [2] "lo spazio è un Intervallo percorribile" (e che quindi
la sua minima dimensione è quella di una linea),e una terza che riguarda una definizione più
ampia dell'abituale di punto: [3] "punto è ciò che non ha spazio, ne tempo" (che ha
implicazioni anche in astrofisica)2.Ora chiediamoci come questa idea del tempo
come fattore decisivo per la comprensione e l'esistenza dello spazio può condurci
a formulare alcune idee di un certo interesse per
il nostro campo.Il centro di una seconda sperimentazione,anch'essa discussa in nota', è che il
tempo non solo è la prima dimensione dello spazio,ma che è anche lo strumento fondamentale per
comprendere mondi a meno dimensioni della nostra e allo stesso per immaginare logicamente
mondi a più dimensioni.
In particolare bisogna dire che [4] ogni sistema di riferimento inferiore è contenuto da uno
superiore, [5] da un sistema inferiore si ha proiezione di uno di livello superiore
e soprattutto [6] ogni sistema di riferimento è valido al suo interno e ha uno spazio
e un tempo autonomo. Queste formulazioni comportano un punto
decisivo: nei diversi sistemi di riferimento a uno,due o tré dimensioni i tempi sono "diversi":
è questo un punto centrale che scuote appunto quell'idea di oggettività del tempo (e di
conseguenza dello spazio) che è un dato tranquillizzante e comune del nostro lavoro.
Eseguiamo per capire meglio questo esperimento, ne ho una particolarmente
orgogliosa paternità [ES3J.
Prendiamo un foglio di carta e tracciamo una retta tra A e B e chiamiamo questa retta "T".
Ora immaginiamo di essere in un mondo solo a due dimensioni, non esìste altro, non
è possibile conoscere altro che il mondo a due dimensioni del foglio. Immaginamo di essere
una specie di verme piatto e di poter conoscere
e praticare solo la dimensione del piano.
Come abbiamo detto "T" è conosciuto come
intervallo temporale, ed è quindi
contemporanemaente uno spazio possibile che
ha tra l'altro la caratteristica di essere il più
efficiente possibile per unire tra A e B.
Ora cominciamo a curvare il foglio, prima
leggermente, poi in maniera più marcata.
Come è noto la lunghezza T, anche se curva,
non varia. Il modo di andare da A a B rimane
sempre segnato dalla stessa linea (anche
se è diventata una linea curva).
Ora continuiamo a curvare il foglio fin "quasi a"
far toccare i punti A e B. Di nuovo essendo
confinato alle due dimensioni quella linea
"continua" curva è il modo più breve
di collegare A e B.
Ma ecco il grande passaggio: immaginiamo
di saltare fuori da quel mondo a due dimensioni
e di guardare al foglio incurvato da un mondo
a tré dimensioni.
Vedremo subito, guardandolo da fuori, che
la maniera più breve di andare da A e B
non è lungo la retta curva T, ma tracciando una
nuova retta "t" che collega i punti A e B nello
spazio e che si muove appunto in un altro
sistema di riferimento (quello dello spazio a tré
dimensioni xyz) rispetto a quello a due del foglio.
Vedendo il tutto da un'altra dimensione,

non solo si risolve diversamente il problema,ma quello che è evidente è che sono proprioi tempi ad essere diversi (t è molto più cortodi T). Ed essendo i tempi diversi, lo sono anchegli spazi (diciamo almeno la logica dello spazi)diversi visto che t è diversa da T ed è un nuovomodo, più efficiente, di unire A e B.Ecco dunque dimostrato che non vi è affattouno spazio e un tempo assoluto ma che ciascunsistema è spazio temporalmente autonomoe dipendente dal sistema di riferimento usato.Questa diversità dello spazio e del temponei sistemi di riferimento diversi è provata quiin assenza di moto reciproco, caratteristica chedistingue questa dimostrazione da quella dellarelatività ristretta di Einstein.Ho come desk top un'immagine di Benoit Sokalcon una balena che salta fuori dalla superficieacquatica.Questa immagine può essere associata alragionamento su "come fare" a percepireun'altra dimensione quando se ne è, In qualchemodo costretti, in una inferiore.Nel caso specifico come fa un pesce costretto"unicamente" dentro all'acqua a "percepire"a comprendere cosa c'è fuori da quel liquidoe a descrivere a immaginare realmente le costee i golfi e le spiagge.Naturalmente, l'abbiamo capito, lo può fare conun salto fuori dalla propria dimensione.La figura del salto è fondamentale per percepireun'altra dimensione e per comprendere e pervedere allo stesso tempo la propria.Ma il portato del salto non è solo percettivo,non è solo un allargamento anche se incredibiledella visione e della ragione, è soprattuttol'inizio della comprensione delle regole di altrisistemi di riferimento, di altri spazi, di altri tempie soprattutto e qui rimettiamo in giocol'architettura, di altri sistemi di valori.In questo territorio arduo, in questa atmosferacon poco ossigeno, ci stiamo lentamentemuovendo: è quella della ricerca dellaconoscenza estetica.
Ve n'è a sufficienza credo, per fare il movimentosu quattro dimensioni.
Quattro dimensioni

Naturalmente la quarta dimensione (abbiamo
fatto questo percorso per renderlo chiaro) non
è affatto il tempo, ma è una quarta dimensione
geometrica che estende la geometria xyz nella
progressione che abbiamo descritto.
Possiamo naturalmente pensare a creare uno
spazio a quattro con un processo analogico
di traslazione teorizzato già nell'Ottocento dal
matematico B. Riemann.
Se lo spazio a tré dimensioni da cui partiamoè uno spazio cubico, traslando un cuboavremmo uno spazio idealmente racchiusoin un ipercubo che termina e comincia conun cubo e che avrà sedici vertici invece degliotto del cubo di partenza.Lo spazio cosi definito avrà secondo il nostroragionamento una serie di caratteristichecomuni agli altri:

[1] il tempo è la prima dimensione dellospazio

[2] lo spazio è un intervallo percorriblle

[3] punto è ciò che non ha spazio, ne tempo

[4] ogni sistema di riferimento Inferiore è contenuto da uno superiore

[5] da un sistema inferiore si ha proiezione di uno di livello superiore

[6] ogni sistema di riferimento o valido al suo interno e ha uno spazio e un tempo

autonomo.

Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a quattro dimensioni dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione: [7] in ogni sistema di livello superiore coesistono infinti sistemi di riferimento di livello inferiore.
Ora domandiamoci, questo spazio a quattro
dimensioni come è fatto? Che cosa succede al
suo interno? Naturalmente funzionano tutti i
punti descritti anche se ampliati di una
caratteristica fondamentale che è condensata
proprio nella settima formulazione: dentro uno
spazio a quattro dimensioni coesistono più
sistemi di riferimento a tré!
Cosi se in uno spazio a tré dimensioni
coesistono infiniti piani, nello spazio a quattro
coesistono infiniti cubi!
Ciascuno può avere orientamento diverso di
assi, e naturalmente non è detto che siano
cubici, ma possono essere ovali spiraliformi,
sferici (dato che la conformazione cubica o
meglio ipercubica è solo scelta per semplicità).
Ciascuno di questi sistemi di riferimento (tra
l'altro non necessariamente con assi tra loro
perpendicolari) può descrivere mondi diversi dal


punto di vista di spazio e di tempo come abbiamo visto anche nei casi precedenti. Inoltrei diversi mondi possono muoversi velocissimamente l'uno sull'altro generando ifenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività einsteniana.Se la caratteristica intrinseca dì uno spazio a quattro dimensioni è quella della compresenzadi interi mondi a tré dimensioni, poniamoci allora una domanda abbastanza cruciale e conquesta domanda termino. Quale è la navigabilità prevalente di uno spazio a quattro dimensioni? In quella lineare la navigabilità è solo quella delbinario, in quella a due è evidentemente piatta, in quella a tré è anche verticale ma la navigabilità del mondo a quattro dimensioni è esattamente quella del salto Se in un mondo a due posso cambiare continuamente linea e in quella a tré posso cambiare continuamente piano in quella aquattro posso cambiare continuamente volume, posso cambiare sistema di riferimento tridimensionale.La navigabilità di base di un mondo a quattro è quella che permette di saltare da un mondo a tré dimensioni a un altro mondo a tré e questo "salto" non è (come abbiamo capito) solo spaziale, è spazio temporale. La navigabilità delle quattro dimensioni è quelladel salto.
Fermiamoci un momento.Protesi tecnologiche
Ora bisogna aggiungere un elemento che
riguarda il corpo della percezione.
O meglio il soggetto della visione.
Abbiamo stabilito in questo percorso che i
passaggi da un sistema spazio temporale ad un
altro non sono assoluti, ma che ciascuno ha il
proprio sistema interno, con sue leggi proprie
che possono essere infrante solo da un livello
superiore.
Ora tutto questo è in qualche modo dipendente
"anche" dal corpo che percepisce.
Abbiamo nei vari casi immaginato di essere un
insetto che può camminare unicamente lungo
un filo, oppure un verme piatto che può
conoscere solo lo spazio a due dimensioni
oppure un essere umano che ha capacità di
moto e di percezione su tré dimensioni. Ne
deriva che lo spazio a tré dimensioni non è
legato oggettivamente ad un'essenza delle
cose, ma bensì ad una caratteristica "fisica"
degli uomini e degli animali che è quella di
percepire e di muoversi su tré dimensioni.
Sembra così di essere arrivati ad un limite
"oggettivo" che è quello che l'uomo è per sua
natura un sistema a tré dimensioni e non a quattro.
Lasciamo stare altre argomentazioni sul tempo,
e ragioniamo solo pragmaticamente.
L'uomo come sappiamo benissimo ha la
possibilità di costruire "protesi" tecnologiche (e
bìologiche) che in diverso modo lavorano per
estendere i suoi limiti oggettivi.
Sotto quest'ottica possiamo vedere lo sviluppo
della tecnologia anche nella sua componente
cognitiva.
Il grande tema infatti non è solo quello di fornire
continuamente nuove protesi tecnologiche, ma
è quello di sollevare crisi, di porsi domande
sulla natura percettiva, cognitiva e infine, che è
la domanda più ardua, estetica che queste
protesi tecnologiche possono permettere.
Il lavoro svolto dalla collana la Rivoluzione
informatica in architettura e alcuni dei miei saggi
(per esempio Nuove Soggettiva o Informazione
materia prima dell'architettura su "Op. Cit." n.
112 e 118) cercano di capire come queste
protesi tecnologiche possano servire per
estendere le dimensioni della nuova spazialltà
architettonica. Naturalmente non possiamo
aprire per intero e ancora queste
argomentazioni, ma possiamo ricordare molto
succintamente tré punti.
Il primo riguarda il nesso fondamentale tra le
ìnteconnessioni dinamiche tipiche del mondo
dell'informatica, la nozione di modello
nell'accezione scientifica e il significato profondo
di interattività che porta la mutabilità fisica

dell'architettura al variare sia delle situazioni
esterne ma anche dei desideri degli utenti.
Questa concatenazione porta ad una ricerca
estetica rivolta ad un'architettura come creatrice
di metafore aperte, riprogrammabili,
riconfigurabill.
Il secondo punto riguarda la presenza di Internet.
Internet è una delle protesi più rivoluzionarie
create dall'uomo.
Accoppiata a sistemi di interfaccia a finestra, a
sistemi di navigazione in tempo reale, a sistemi
di raffigurazione a distanza con sistemi
ologrammatici sensibili e interattivi (è un breve
passo che si sta per compiere) II grande mondo
di Internet è un incredibile densificatore e
moltiplicatore di spazi e di tempi.
Possiamo avere finestre contemporaneamente
aperte su mondi lontanissimi uno dall'altro e
possiamo letteralmente saltare da uno all'altro:
viverci, sperimentare spazi in acceierazione o in
movimento, rappresentare ed essere
rappresentati e tutto in tempo reale e in un
continuo passare nei vari mondi. Internet è uno
strumento necessario all'architettura in questa
fase di ricerca non solo per i suoi aspetti
pragmatici, ma per quelli cognitivi.
Acquisendone coscienza, si capirà come
attraverso intemet e l'interattività si metterà in
azione una formulazione che abbiamo lasciato
un poco in ombra: [5] da un sistema inferiore
si ha proiezione di uno di livello superiore.
Formulazione che vuoi dire che è possibile, pur
essendo tisicamente Inseriti in dei limiti spazio
temporali tridimensionali, avere Idee di uno
spazio a quattro. E usarlo, immaginarlo, un poco
capirlo e progettarlo, plasmarlo questo spazio a
quattro dimensioni. No?
Nel grande trapasso da oggetto e soggetto che
investe tutte le sfere dell'arte, della scienza, del
pensiero attraverso questa discussione abbiamo
sottolineato che neanche il tempo, neanche lo
spazio sono più oggettivi, ma sono soggettivi.
La nostra dimensione, la nostra volontà, il
nostro tempo, la nostra comprensione creativa

della tecnologia li plasmano. Il nostro tempo è la
prima dimensione del nostro spazio.
Per approfondire
Questo scritto deve molto a Michele Emmer
Mathland Dal Mondo piatto alle ipersuperfid in
cui il matematico traccia una affascinante lettura
della modifica delle concezioni spaziali.
Il libro è stato pubblicato presso Testo&lmmagine
di Torino e Birkhauser di Basilea nella collana "La
Rivoluzione Informatica" nel 2003.
Di Emmer ricordiamo anche i volumi da lui curati
della serie Matematica e Cultura Springer Verlag
Italia, Milano 1998 - 2003 che contengono
annualmente gli atti dell'omonimo convegno.
L'altro volume che ha influenzato alcuni passi di
questo scritto è Shape as memory. New
Foundations or Architecture di Michael Leyton
ricercatore noto per i suoi formalismi che
collegano il tempo alla creazione e alla
comprensione della forma.
Questo volume è in uscita nel 2004 nella
Rivoluzione Informatica.
Di Leyton ricordiamo anche A Generative Theory
of Shape, Springer-Veriag, Berlino 2001.
Molto utili ad alcuni brani del testo sono stati
Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri
Brave storia del tempo. Superpocket, Milano
1998 e Cornelius Lanczos, Che cosa ha
veramente detto Einstein, Ubaldini, Roma 1967.
Da ricordare inoltre è Sanford Kwinter, Thè
Architecture of Time, Mit press, Cambridge
2002 per una serie di connessioni tra il pensiero
filosofico e le avanguardie artistiche.
Per quanto riguarda tempo, interne! e nuovi
media cfr. La conquista del tempo (curatora
Derrick de Kerckhove) Editori Riuniti, Roma
2003. Il volume dì Luciana Finelli e Cesare
De Sessa, Conversazioni sul contemporaneo,
Officina, Roma 2001 è risultato utile soprattutto
nelle sezione che rielaborando gli studi di De
Sessa tratta del rapporto tra concezioni
scientifiche e spaziali. A pagina 142 viene
ricordato che proprio Einstein nel 1916 scrisse
"Noi evitiamo del tutto il vago termine 'spazio'
di cui, dobbiamo riconoscere onestamente,
non possiamo formare il minimo concetto, e che
sostituiamo con 'moto relativo ad un corpo di
riferimento praticamente rigido'", che potrebbe
essere, invece che la conclusione, l'incipit
di questo scritto.
Note
' Cominciamo ponendoci in una situazione

limite: quella di uno spazio ad una sola

dimensione [Es1].

Immaginiamo cosi di vivere costretti lungo un

binario, immersi in una dimensione

esclusivamente lineare, senza averne mai

sperimentate e neanche immaginate altre due.

Facciamo a noi stessi una domanda chiave:

quale è il modo di conoscere, di descrivere, di

rappresentare questo mondo solo lineare?

Evidentemente la vista non c'è di aiuto perché

tutto apparirà schiacciato su un unico punto.

La risposta deve risiedere In un altro ordine di

esperienze: il modo dì conoscere questo

spazio lineare può avvenire solo

percorrendolo. Posso infatti calcolare il tempo

da un punto ad un altro del binario ed è

proprio questo "intervallo" ciò che permette di

descrivere questa condizione spaziale!

Il tempo diventa cosi la prima dimensione

conoscitiva e descrittiva dello spazio.

È la linea la minima entità spaziale.

Sto usando, in questo esperimento, il famoso

artificio di Edwin A. Abbott nel romanzo

Flatland: a Romance of Many Dimensions

pubblicato alla fine dell'Ottocento

in Inghilterra (Seeley & Co., Londra 1884);

l'edizione italiana è di Adelphi, Milano, 1966.

(Michele Emmer ha redatto un film nel 1994) cfr.

http://www.mat.uniroma1.it/people/emmer,

oltre a discutere più volte del volume.

Ho ricordato lo scrittore Edwin Abbott, ma

vorrei rendere chiaro che la definizione del

tempo come prima dimensione dello spazio,

non solo non deriva dallo scrittore inglese, ma

l'ho escogitata proprio per cercare di risolvere

quello che appare un artificio letterario usato

da Abbott.


Flatlandia è uno spazio a due dimensioni

(un piano cartesiano) in cui vive il quadrato,

protagonista base del libro. In questo spazio

vivono altre figure geometriche che

si muovono tutte come vermi piatti e che non

conoscono altro mondo che il piano a due

dimensioni. Ora una figura, poniamo

il quadrato, potrebbe avere cognizione

di tutte le altre figure - triangoli, cerchi, poligoni -

non per il fatto che essi hanno lati luminosi e

colorati appunto come sostiene Abbott, ma

bensì "circumnavigandole", percorrendone il

perimetro e quindi facendo entrare il tempo

come prima dimensione dello spazio!
2 Questo utilizzo del tempo nella formulazione

dello spazio che arriva ad ampliare il primo

postulato di Euclide (per Euclide , si ricorderà,

"il punto è ciò che non ha parti") adotta alcune

componenti della definizione astrofisica di

buco nero che ha massa infinita, curvatura

infinita e non ha ne tempo ne spazio.

Lo spazio e il tempo si generano insieme

("II tempo ebbe inizio con il big-bang"

sostiene Hawking 98 p. 64) e sono tra l'altro

governati da una relazione nota

(1 secondo = 300mila kilometri e cioè la

velocità della luce).

Il noto astrofisico ricorda anche che

Sant'Agostino alla domanda "che cosa faceva

Dìo prima di creare l'universo?" rispose "che il

tempo era una proprietà creata da Dio, e che

quindi prima dell'inizio dell'universo il tempo

non esisteva"

(Hawking 98 p. 21).

3 Proviamo a chiederci; come faccio a percepire

una figura a tré dimensioni se vivo in un

mondo a due? Per rispondere facciamo un

secondo esperimento [Es2]. Immaginiamo di

incastrare una sfera in un piano.

Se conoscessi solo le due dimensioni del

piano, percorrendo la sezione di incastro sul

piano della sfera penserei naturalmente che la

figura sia un cerchio. Ma facciamo intervenire

sulla sfora il fattore tempo.

E cioè facciamola muovere in giù in maniera

che la sezione d'incastro sul piano diventi

progressivamente più grande. In questo caso
circumnavigando la sezione dì incastro
una seconda volta scoprirei che il cerchio
è diventato più grande e facendo una terza
volta il giro troverei che il periplo è diventato triplo.
Naturalmente questo sarebbe un fenomeno
"quasi" inspiegabile nel mondo a due
dimensioni. Si potrebbero fare congetture
su l'evento e escogitare ipotesi balzane.
Ma è anche possibile ipotizzare logicamente
una sorta di progressione: visto che nel mondo
a due dimensioni si ha coscienza di mondi
a una sola dimensione (e cioè le linee) sarebbe
possibile immaginare che la progressione
possa muoversi anche verso l'atto.
E cioè che dopo un mondo a due dimensioni
ne possa esistere uno a tré!
Uno scienziato geniale potrebbe ipotizzare
che, esistendo uno spazio a tré dimensioni,
esistano anche figure a tré dimensioni,
e quindi che le circonferenze continuamente
cangianti sul piano siano effettivamente
sezioni d'incastro dovute al movimento
di una sfera in uno spazio a tré! Sarebbero

una serie di scoperte terrificanti, quasi

impossibili da spiegare a chi conosce solo

il mondo a due dimensioni, ma che sarebbero

di un'evidenza lapalissiana se si potesse saltare

dal mondo a due a quello a tré dimensioni

e quindi vedere la scena della sfora incastrata

sul piano da un altro punto di vista, anzi

letteralmente "da un'altro sistema

di riferimento".

La ragione di questa lunga digressione

è dimostrare che anche in questo caso

è il fattore tempo la chiave (in questo caso

il movimento della sfera è l'elemento che può

far comprendere l'esistenza di mondi a più

dimensioni rispetto a quelli effettivamente

sperimentati).

Mentre l'Idea di analogia per pensare a mondi

a più dimensioni ed il concetto di salto

da una dimensione all'altra sono temi che

derivano da Abbott, il fattore tempo è estraneo

al ragionamento dello scrittore inglese ed

è quello che caratterizza tutta questa analisi.


 

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