Finalista al Premio "Ceppo Proposte" 1986

Aria sulla quarta corda

Tutta l'erba del mondo

I maestri

Il bambino cinese

Per una citazione da Borges

La noce

8 Marzo

Bollettino del mare

Solstizio d'inverno

Note critiche

 

Prima Edizione - Forlì, Forum, 1985
Seconda
edizione - Forlì, Forum, 1987
cm. 21 X 13 pp. 70.
Presentazione di Pasquale Maffeo
Fotografia di copertina di Cesare Ianni
Apparato critico finale.

Il volume raccoglie 39 componimenti poetici, suddivisi in 5 sezioni:
Oroscopo, Il bambino cinese, lo spirito del Nord, Res, Il cane e il mare.


Tutta l'erba del mondo Torna su

Disperdere la nuvolaglia
addensata per anni sul mio capo
da pazienti artefici del grigio
é impresa
da non tentare nemmeno.
Però per me
una foglia verde
coi mobili orli trinati
é ancora
tutta l'erba del mondo.
La natura é la mosca
che a piccoli passi percorre
ostinata la costa del quaderno
poi al margine si volta
e torna indietro,
la passeggiata é finita.


I maestri Torna su

Siete qui, maestri
ascoltati ieri
col timore rapace
dell'ultimo dei discepoli.
Finalmente so
che cosa mi avete insegnato.
Siete nella tazza di caffé
vuota sul tavolo,
nelle carte sparse, nel cerchio
di luce della lampada.
La barbarie che é fuori la porta
non mi fa più paura.
Attraverso un tempo lunghissimo,
oltre lo spazio stretto del reale,
oggi siete chiarissimi,
concreti.


Il bambino cinese Torna su

Se potessi, vorrei un bambino cinese.
La sua umiltà orientale,
trasmessa dai geni della stirpe,
specchiata al mio silenzio occidentale,
conseguito in anni di esercizio.
Lui crescerebbe pianissimo
per discrezione e per discrezione anch'io
invecchierei lentamente.
Come nella favola del crisantemo,
allungheremmo il tempo
sminuzzandolo in petali di fiore.
Non avrò mai questo bambino cinese,
ma nel mio spazio lui esiste:
stendo sul piano le sue piccole mani,
leggo nei suoi primi disegni,
gli pareggio la frangia dei capelli.
E non lo mando a scuola.
Il fatto che non esista
ci concede questa evasione felice.


Per una citazione da Borges Torna su

Dov'é la tazza di latta rossa,
dove la bambola Tassona,
il cesto dei fili detto Tondone,
il saliscendi della finestra del balcone,
sgangherato,
col pomello di ottone lucidato a Pasqua?
In qualche angolo dell'universo,
trasformata materia,
ancora esistono. Ma esistono anche
nell' occhio che sceglie,
nella mano che prende,
nell'anima che trova pace
tra le vecchie cose -Le cose -
dice Borges -
durano più della gente -
Direi di più:
le cose cercano la gente.


La noce Torna su

Durante un concerto si addormentarono tutti.
Anche i suonatori.
Quando si svegliarono ognuno
guardò l'orologio e vide
che erano passate tre ore
ma nessuno osò confessare la cosa
e tantomeno i sogni che aveva fatti.
Solo il bambino che aveva sognato
di essere una noce
lo disse alla mamma e lei
rispose che sogno più bello mai era stato fatto.
Il mattino seguente la donna che puliva la sala
trovò una noce sotto a una poltrona
e se la mise in tasca.
Lì la trovò il suo bambino, la prese
la mangiò e la trovò buonissima.
Quella noce fu l'unico pegno
che il tempo lasciò per tre ore
rubate a quei nobili spiriti
raccolti nella conchiglia sonora
di un caldo Auditorium,
fu l'unico oggetto
sottratto al mondo dei sogni
di un bambino da un altro bambino.


8 Marzo Torna su

Sta nell'ombra dello stagno l'anatra iridata
e aspetta.
Una gallina, seria,
cova l'uovo
nel giallo del cortile.
La prima rondine spezza l'azzurro teso del cielo,
la donna nell'acqua alta
sfida il mare in un guizzo. Esseri di genere femminile,
in stasi e in moto,
pullulano nella natura,
esistono.


Bollettino del mare Torna su

Mare di Corsica e di Sardegna
venti variabili forza tre.
Visibilità in diminuzione.
Il paralume é rosa,
il copriletto di trina.

Ionio meridionale e settentrionale
venti da Est forza quattro.
Burrasche in corso
  La tappezzeria francese
ha piccoli trifogli verdi e azzurri.

Nel Canale di Sicilia
tronchi alla deriva.
  Piove.
Si sente il brusio
oltre i vetri della veranda.

Una boa al largo
della Corsica.
  Le rose di pietra del caminetto
sono sei,
quattro orizzontali,
due verticali.

Il faro dell'isola del Giglio
é spento.
  Dal silenzio viene
quel ricordo di Bach,
Aria sulla quarta corda.


Solstizio d'inverno Torna su

Chi camminando
nella campagna bianca
ha visto l'acqua ghiaccia tra la neve,
il pettirosso vispo nel roveto,
ha colto il vischio chiaro
dal ramo nero
dell'albero stecchito e ha sciolto
al freddo purissimo
l'ultimo rancore.
Costui vorrei essere
per quel tanto che basti
a lavare ogni traccia di ricordo,
come il sole rinascere
al fuoco bianco
del solstizio d'inverno.

 



Note critiche Torna su

Poche volte accade che la felicità d'un titolo abbia forza d'evocazione e carica fantastica come questo di Aria sulla quarta corda, scaturito da una memoria musicale a connotare pronuncia e metafora della nuova raccolta di versi che Anna Ventura affida ora da L'Aquila ai torchi forlivesi dell' editrice Forum.
A chi dell' autrice conosca l'itinerario sinora percorso (in esso vi sono tappe in prosa di cui meglio e meno frettolosamente si dovrebbe dire) sarà agevole rilevare a primo impatto che il discorso lirico largamente esemplato nel precedente volume La diligenza dei santi (1983) trova qui amplificato a più sottile, più smagato seguito, in una continuità che si avvale sì di umori guizzi e morsure latenti,ma che si dipana e rassoda su un registro assottigliato sino alla cadenza prosastica, sempre tenuto sospeso, a mezz' aria, tra la levità delle aeree intonazioni e il corposo scorrere delle terrene angosce.
Perché questo mi pare sia il sicuro approdo, la saldatura che assembla e tiene entro un arco di momenti variamente ispirati, variamenente raggiati, l'intero fronte della presente silloge: l'amalgama, in profondo ben compatto e in superficie levigato e polito, d'una scrittura piana, misurata, intrisa d'intelligenza, aperta ad accogliere e contenere sussulti e brividi che una punta sensibile annota giorno dopo giorno sulla pagina.
Di là dalla partizione testuale, che pure ha la sua ragion d'essere, il tessuto tematico si legge in filigrana come trama, appoggio o puro pretesto che legittima il nascere della voce, dà avvio all'esperienza, smuove la vena. La quale si rivela generosa e lucida, nutrita di ascolti novecenteschi. Però si badi a non confondere, a non fraintendere: la Ventura non mima, non emula, men che mai annette luoghi e funzioni che nella sua culta frequentazione rimangono elementi naturali, termini di rimando che semmai fanno scattare molle di esorcismo.
In queste sue poesie vi è insomma una non ludica tensione di immagini e di sensi che testimonia un acquisto di identità, una volontà d'essere e rimanere in prorio, un'adulta coscienza: proprio come il secolo che si va a chiudere ormai intima dall'alto dei suoi ottant'anni di travagliata avanguardia a chiunque batta i sentieri della musa.

Dalla presentazione di Pasquale Maffeo


Ho finalmente letto la Sua nuova raccolta di versi (Aria sulla quarta corda), che trovo veramente splendida. Mi piace in essa il senso quieto eppure acuto di avventura della vita: quello sguardo chiaro e limpido sulle cose, che a poco a poco le trasforma in momenti di una visione dell'anima, in episodi di una storia umana di sempre.

Giorgio Barberi Squarotti
in: Quinta generazione, Forlì - n. 147/148, settembre/ottobre 1986


Chi è stato nella giuria d'un premio di poesia avrà visto quante tonnellate di lirica stampata si accumulino ogni anno in Italia. Tante da dare le vertigini e lo scoraggiamento. Anche per l'infima qualità dei nove decimi di quella produzione. Si è così tentati di diventare ingiusti, di leggere solo i poeti già affermati, avallati da case editrici importanti (e anche così le delusioni possono essere forti). Poi, un giorno, tra mille titoli metti mano su un piccolo volume, ne leggi qualche riga e stenti a credere ai tuoi occhi. Ma questa è poesia! Insisti, leggi ancora, leggi tutto. E alla fine concludi: Sì, non c'è dubbio è davvero poesia.
E' ciò che mi è accaduto ficcando gli occhi nello smilzo libricino Aria sulla quarta corda di un'insegnante dell'Aquila, Anna Ventura (ed. Forum / Quinta Generazione Forlì 1985 60 pagine, lire 6.000).
L'incontro felice è scoccato con la prima poesia.
[…]

Sarei tentato di esemplificare ancora, seguendo l'invito a considerazioni e collegamenti di idee di varia natura. Altre poesie me ne offrirebbero il destro. Ma mi preme segnalare almeno un esito straordinario, dove la piana enunciazione del reale si fa musica e mistero, che è un altro binomio buono per caratterizzare la poesia. E' la lirica intitolata Bollettino del mare (pag.48), che finisce col verso che dà il titolo al volume. Giorgio Bàrbieri Squarotti ha definito "veramente splendida" questa raccolta di versi. Sottoscrivo, come non sempre mi accade di poter fare con l'illustre critico torinese. Ma se c'è un aggettivo più alto di "splendido", lo userei per questo Bollettino del mare.

Italo Alighiero Chiusano
in: Fiera, anno IV -n. 23 - febbraio 1986


La sua poesia è armoniosa, delicata, estesa a piegare la parola alla mansuetudine desiderata.
Accomiatandosi da lei, la lasciamo ai suoi oggetti che parlano, al "cuore che batte nel segreto dei cassetti", meccanismo di mistero e di vitale refrigerio dove lei si riflette.
E la pensiamo vicina al suo bambino cinese (una delle migliori poesie, esteticamente rimunerante) dove le sue oniriche allusività si dilatano, e ci persuadono come rapporto equilibrato fra significante e significato.

Giovanna Markus
in: Il Corriere di Roma, anno XXXVII, n. 499 - 5 marzo 1986


Mi allieta la sua compostezza, la sua commossa ma rattenuta nostalgia che le consente di osservare il mondo e il fluire di se stessa con una pacata - seppure intenerita e in certi casi appena accesa, anche un pochino lampeggiante - contemplazione.
Che altro dire? Niente. Preferisco limitarmi a queste veloci essenziali annotazioni, per non incorrere nelle trappole dei critici lussureggianti che spesso si parlano addosso. Il mestiere del critico non è proprio quello di aiutare i poeti a capirsi, ma quello di conquistare amici alla poesia, rendendola accessibile alle menti pigre e chiuse nei loro egoismi.

Gennaro Manna
Parsifal, Pescara, n. 2/3 1986
Successivamente
in: Quinta Generazione, Forlì, n. 147/148 sett./ ott. 1986


Una poesia piana, questa di Anna Ventura, apparentemente discorsiva, senza gridi o anatomie lessicali ma così espressione del quotidiano che sembra sussurri al lettore, con la pacatezza della meditazione, le verità che ognuno di noi sente di sapere ma sente di non sapere esprimere. Perché le esasperazioni dei sentimenti, il freddo esame della parola non sono di questa poesia che li ha, per cosi dire, superati ma di essi conserva come un'increspatura, qualche brivido lieve. La saggezza non è conquista indolore e l'impressione di saggezza che scaturisce dalla poesia di Anna Ventura è proprio la macerazione e il superamento di emozioni, autobiografie, dolori.
Così l'amore e l'ansia di sentire e di vivere l'ostinato ordine della natura sottoposto a leggi, uguali a quelle che regolano il vivere umano, diviene una lucida presa di coscienza della realtà; l'angoscia per il finire di cose, persone, generazioni ed anche di desideri e bellezze si piega ad un richiamo all'umiltà della piccola gioia, della piccola vittoria quotidiana.
La coscienza di possedersi è legata all'attaccamento alle cose connesse con la vita, con il ciclo eterno dell'uomo; le cose che "cercano la gente", il concreto che viene a costituire una verità, gli orologi che stanno a indicare che la vita ancora pulsa sono le precarietà che stanno a significare l'umano. E dall'osservazione delle cose si perviene alla ricostruzione di momenti e memorie; si constata, si chiarisce il significato dell'esistere.

Rita Baldassarri
in: Oggi e Domani, Pescara, anno XIV - n. 4, aprile 1986
successivamente
in: Quinta Generazione, Forli, n. 147/148, sett./ott. 1986


Il titolo è adeguato al contenuto: questa musica fattasi nero su bianco in parole concrete, in immagini ben calibrate, in concetti argutomelanconici che hanno il peso del meditato.
Eppure ciò che direi mappa poetica scientificamente sotto controllo possiede a contrappeso una ariosità, un volume dilatato, una dimensione ideale che fa pensare alla impalpabilità e alla concretezza e a un tempo, della musica; non tanto perché il verso sia, e lo è, armonioso, ma proprio perché il concreto di Anna Ventura è tale come appare essere concreto il mondo platonico delle idee; le sue immagini, come i concetti e quanto altro mai la sua poesia tocchi, ha la serenità, la perentorietà del "prototipo", che è come dire della "poesia".
Poesia, nel caso, la cui sapiente semplicità confida col trasognato, con l'appena nato, con ciò che si ode e si guarda, ma con altri sensi; la lettura si fa quindi impegno a una ricerca per i sentieri creativi del poeta, a individuarne la sorgente segreta che mi sembra abbia sede in una lunga, sommessa, progrediente, inesorabile polla molto antica entro l'anima del poeta; mai soggiogata dalla cultura anche se di questa si avvale, ma come del proprio sangue.
Avere fra le mani una raccolta poetica come Aria sulla quarta corda è un privilegio del quale il critico mi sembra non debba avvalersi per uno svisceramento a carattere tecnico; la lettura del testo mi commuove e mi appaga.


Lina Angioletti
in: Quinta Generazione - Forlì - n. 147/148, sett./ott. 1986
successivamente
in: Ipotesi 80, n. I8/19, sett. 1986/ aprile 1987


Ho apprezzato soprattutto quel tono tra distacco e partecipazione emotiva. che costituisce, mi pare, la sua "vis poetica". Lei raggiunge i risultati più felici in quelle composizioni - e non sono poche - in cui riesce a evocare atmosfere di favola o di sogno che però rinviano sempre alla realtà; in esse gli eventi privati e l'urgenza autobiografica, gli uni e l'altra illimpiditi mediante il filtro e la lontananza operati dalla memoria, si sciolgono e si risolvono in dolcezza di visione, sfumata eppure nitidissima, e a questo effetto concorrono insieme la fluidità della sintassi e la levità del ritmo. Mi è piaciuto, inoltre, quel dolore pacato, rasserenato, frutto di sapienza formale ma anche di equilibrio interiore.


Vincenzo Leotta
in Quinta Generazione - Forlì - n. 147-148 sett. - ott.1986


Ed ecco una poetessa di valore eccezionale. Se ne accorgeranno - se ne vorranno accorgere - i letteratissimi asserragliati nelle furbe chiesuole delle Grandi Città? C'è da temere di no. Ma il Tempo, alla fine, fa sempre giustizia.
Intanto, ben s'è accorto ltalo Alighiero Chiusano, che anche in grande città, non è uomo chi cosche o di clans. Ed ha riconosciuto il rifuggire da "geometriche attrezzature", l'amore e il possesso di concretezza; di vera concretezza, onde la vera poesia.
La Ventura non cerca i "toni alti", si attiene a un tono dimesso e colloquiale, accoglie largo elemento narrativo o descrittivo, non rifugge talvolta da un accenno discretissimo di autoironia.
Non imita nessuno. E' sempre immersa nella autentica Realtà; immersa, diciamo, nel senso che ci vive in mezzo e mai la rinnega; ma non ne è dominata nè oppressa, che in ogni atomo in realtà porta la propria anima, e di tutto fa una sua vicenda interiore. E' pensosa, dunque - spesso - malinconica; ma la sua malinconia ha levità, e sa sorridere.
Anche i sogni, sotto la sua penna, s'intridono meravigliosamente di realtà, e, non si sa come, a forza di mezzitoni, e di modestia, s'impongono - quale realtà di un nuovo ordine - con una prepotenza delicata e ineffabile
.


Aldo Capasso
in ArteStampa -Savona - anno XXXVII n. 1 / 2 genn. - giu 1987




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