Capitolo Primo | Torna su |
Questo primo capitolo delinea
i caratteri di Ota e della piccola Lola, principali protagoniste del racconto,
e il rapporto umano che le unisce.
Ota è una giovane contadina, con i pregi ed i difetti propri della sua
gente: generosità, fedeltà, spirito di sacrificio, ma anche ombrosità,
ostinazione, durezza di maniere; Lola è una bambina troppo presto sottratta
alla sicurezza di una famiglia regolare (il padre è morto, la madre è
spesso lontana per lavoro, in casa non ci sono altri bambini): Ota rappresenta,
per lei, l'unico punto fermo, l'unica compagnia, per cui non potrà non
influire sulla sua formazione interiore, creando la base e il presupposto di
ogni futura educazione.
In un ormai lontanissimo
novembre, segnato, anche, dall'unghiata della Storia (era, esattamente, il
1939, e in Europa si scatenava la guerra), la mamma, la piccolissima Lola e
Ota rimasero sole sulla vasta terra.
La mamma aveva, come unico punto fermo, un diploma di ragioniera che le avrebbe
permesso di lavorare e di assicurare la sopravvivenza anche alle altre due.
Ota era una di quelle ragazze magre, nere, intelligenti, ombrose, che dai paesini
sparsi sulle montagne abruzzesi scendevano in città, una volta, per andare
a servizio presso una signora; oggi, per entrare in fabbrica, o alla Standa,
o in un negozio di parrucchiera.
Quando la mamma si impiegò in un ufficio, la piccola Lola fu posta
completamente nelle mani di Ota.
Ota era severissima e Lola aveva paura di lei. Ma era anche generosa e fedele
come un Ascaro, coraggiosissima; Lola si fidava soltanto di lei.
Quando la mamma usciva per andare a lavorare, Lola rimaneva in casa, sola con
Ota. Il diavolo incominciava subito a suggerirle tutti i capricci, e lei finiva
sempre col farne tanti da costringere Ota a dargliene di santa ragione.
Quindi Lola si buttava per terra e si nascondeva sotto il tavolo, dove Ota,
furibonda, la raggiungeva e tornava a darle le botte.
Alla fine si stancavano tutte e due, e Lola, piangendo a distesa, si rannicchiava
finalmente in un angolo vicino alla stufa, se era inverno; o in un pizzo del
balcone, se era estate.
Alle cinque, Ota le dava la merenda e poi la portava a giocare ai giardini.
Se un cane si fosse avvicinato a Lola per morsicarla, se un bambino le avesse
tirati i capelli, certamente Ota li avrebbe uccisi.
Per le otto, Ota preparava la cena e apparecchiava la tavola in cucina.
Mangiavano insieme, tutte e tre; Ota sceglieva per Lola tutti i bocconi migliori;
poi faceva la porzione per la mamma, e per sé lasciava l'indispensabile
per sfamarsi. Mangiava col piatto sulle ginocchia, presto presto, facendo un
grande rumore.
Quando la minestra era nella zuppiera, Lola si alzava sulle punte dei piedi
per vedere se, in fondo, c'era rimasta la porzione per Ota.
Una volta c'era un ospite e Lola si accorse che non era rimasto niente per Ota.
Allora alzò la zuppiera e la gettò per terra. Fu un gesto di improvvisa,
generosa violenza.
Anche se poi, per anni, Lola sentì il rimorso per aver rotto la zuppiera.
Capitolo Secondo | Torna su |
una educazione che vuole essere
signorile, ma che è fondamentalmente sbagliata: inserire un bambino in
un mondo socialmente più elevato di quello in cui abitualmente vive è
sempre pericoloso: Lola sembra avvertirlo più della mamma e di Ota, offuscate
dalle loro buone intenzioni, ma è troppo piccola per poter oggettivare
un'analisi così acuta; per cui risponde con un malessere indistinto,
una oscura insofferenza, a quanto rifiuta nel profondo.
Le ultime parole del capitolo suggeriscono una capacità di resistenza
al dolore da parte del bambino, una sua inconscia autodifesa, che è,
forse, solo la forza della vitalità naturale, lo spirito di conservazione
della specie.
Furono certo le migliori
intenzioni (quelle di cui, si sa, è lastricata la strada dell'Inferno)
che spinsero la mamma e Ota a cercare di dare alla piccola Lola un'educazione
il più possibile signorile. In quest'ottica rientrò la scelta
di un asilo infantile, che già nel nome sembrava alludere alla sua vocazione
aristocratica: Giardino d'Infanzia.
Più tardi la maestra, che era donna di gusti raffinati e severi, cultrice
di austeri principi pedagogici, ebbe a scrivere un libro (ahimè, perso
nell'immenso oceano dei libri), in cui c'era un capitolo intitolato: Bambini
tristi. In questo capitolo fu assegnato un posto anche a Lola.
Forse un tale capitolo non sarebbe dovuto esistere, come non sarebbe dovuto
esistere il Diano di Anna Frank.
Però esistono: l'uno e l'altro; ed entrambi provano che i bambini possono
anche soffrire.
La sofferenza di Lola non era certo lo strazio di Anna Frank; aveva origini
molto meno oggettive; però c'era, in Lola, la sensazione, non falsa,
che qualcosa la rendeva estranea a quell'elegante Giardino; che una parete di
cristallo si ergeva tra lei, la maestra, i bambini, le mamme e le domestiche
di quei bambini. C'era, in lei, qualcosa in più e qualcosa in meno: un
eccesso e un difetto, che la rendevano inquieta.
E più inquietante era l'impossibilità a chiarire ed esprimere
questa cosa, per ottenere dalla mamma e da Ota la libertà da
quella prigione dorata. Più volte Lola meditò la fuga; ma era
troppo piccola per attuarla; più volte sperò di ammalarsi, o che
un'epidemia facesse chiudere il Giardino.
L'aiutò la Guerra, che incominciò a farsi minacciosa, per cui
la mamma ebbe paura a tenere per troppo tempo la piccola lontana da casa, e
la ritirò dal Giardino.
Per anni Lola si rifiutò di passare per la strada in cui sorgeva l'Asilo;
quando fu proprio impossibile evitarla, si preoccupò di girare la testa
dall'altra parte, vilmente: per paura che il colore di una pietra, il profumo
di un albero, un gioco di luci sul muro, risvegliassero in lei quell'antico
malessere.
Perché in una cosa Lola imparò presto ad essere bravissima: preservare
la fragile creta del suo cuore dagli assalti brutali di una realtà ostile.
Capitolo Sesto | Torna su |
Ancora un passo errato nella introduzione
nel mondo alto borghese; e ancora una volta la piccola Lola si sente umiliata
ed estranea: forse di più, questa volta, e a maggior ragione: il ballo
dei bambini mascherati è un'occasione di confronto, e la vittoria andrà
al bambino più fortunato, al più inserito nel mondo in cui la
festa ha luogo.
Non rimane che dire, con le parole che chiudono il capitolo: "I bambini
non dovrebbero essere esposti a competizioni perdute in partenza. E neanche
a competizioni vinte in partenza. Non dovrebbero essere esposti a nessuna competizione."
Un'altra mossa sbagliata
fu il ballo mascherato al Circolo Cittadino.
Tutti i bambini bene andavano a questo ballo, per cui sembrò doveroso,
per la mamma e per Ota, portare anche la piccola Lola.
Si introdusse anche la Maestra, che per l'occasione rimpannucciò un suo
nipotino, di nome Pietro, con una mantella bianca, un elmo di latta e una spadina:
doveva essere Orlando, o qualche altro eroe gentile. Per Lola invece fu preso
in fitto un vestitino verde da cinesina, con cappellotto di paglia e pettorina
nera con sopra ricamati tre ideogrammi cinesi.
Ota confezionò per l'occasione un paio di babbucce di velluto nero, e
ci cucì sopra due coccarde di raso verde.
L'arte delle babbucce era una delle grandi virtù di Ota, e una delle
fonti di felicità di Lola.
Ota faceva la babbuccia per intero: incominciava dalla suola, che ricavava da
una specie di materassino fatto con strati sovrapposti di vecchie pezze di lana,
fittamente impunturate; poi, con un panno robusto sagomava la tomaia, che veniva
cucita alla suola e quindi rifinita con un cordoncino.
Se era di buon umore, Ota era capace di fare dei capolavori, perché aggiungeva
alle babbucce punte di diverso colore, ricami, bottoncini, fiocchi.
Lola aveva una serie di babbucce; solo per sé, Ota non ne fece mai: preferiva,
d'estate e d'inverno, gli zoccoli di legno, con i quali correva, scivolava,
e spesso cadeva. Quando la mise cinese fu pronta, Lola venne truccata con gli
occhi lunghi e la bocca rossa, e così conciata fu portata al ballo.
Lì faceva un caldo d'inferno, c'era un polverone di coriandoli e un urlìo
di bambini.
Lola ballò con Pietro, che era di una spanna più basso di lei.
Poi la mascherina più bella fu premiata, ed era una damina coi capelli
incipriati, alta e grossa come una donna. Lola era convinta di essere meglio
di quella gigantesca damina; ma sapeva anche, in partenza, che mai le avrebbero
dato il premio, perché nessuno della sua famiglia era iscritto al Circolo
Cittadino, e questo la faceva soffrire.
Mai i bambini dovrebbero essere esposti a competizioni perdute in partenza.
E neanche a competizioni vinte in partenza.
Non dovrebbero essere esposti a nessuna competizione. Ma i genitori troppo spesso
dimenticano di essere stati bambini.